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Affidamento condiviso: una sentenza contestata sui poteri decisionali di maggiore interesse

Una recente Sentenza della Cassazione pare ridisegnare la portata normativa dell’affidamento condiviso in materia delle scelte di maggiore interesse per i figli minori.

Revirement?

No. Non tanto.

I precedenti provvedimenti degli ermellini – abbastanza recenti, essendo la norma sull’affidamento condiviso risalente solo al 2006 – non hanno mai segnalato deviazioni significative.

Piuttosto, si potrà parlare di interpretazione estensiva del potere decisionale attribuito al singolo genitore, da farsi valere in via “temporanea ed urgente,nei casi in cui si verifichi uno stallo risolutivo in ordine a questioni di primaria importanza per i figli.

Facciamo il punto della situazione.

Affidamento condiviso: ossia il potere, conferito ad entrambi i genitori, di poter assumere e partecipare alle scelte che riguardino la prole. In virtù di un intento rafforzativo della bigenitorialità, l’istituto vuole conferire tanto al padre, quanto alla madre medesima dignità di ruolo.

In questo senso, ad entrambi i genitori è conferita la possibilità di intraprendere, autonomamente, senza ottenere il previo consenso dell’altro, le scelte “di ordinaria amministrazione” per i figli.

Per quanto riguarda le scelte di maggiore interesse – leggiamo testualmente l’art. 337 ter cc. – “relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice“.

Accordo preventivo o niente: pareva di intendersi.

Ed invece no

.La sentenza della Cassazione in esame, (n. 4060/2017) relativa alla scelta effettuata unilateralmente dalla madre in ordine al tipo di scuola (pubblica o privata) da far frequentare alla figlia, ha stabilito che “quando il rapporto tra i genitori non consente il raggiungimento di un’intesa, occorre assicurare ancora la tutela del migliore interesse del minore e l’opposizione di un genitore non può paralizzare l’adozione di ogni iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se di rilevante interesse, e neppure è necessario ritrovare l’intesa prima che l’iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete al giudice, ove ne sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all’interesse del minore“.

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Compatibile l’affidamento condiviso con la decisione unilaterale, seppur provvisoria, di un solo genitore?

Nessuna intesa preventiva, ma una scelta unilaterale oggetto di eventuale e postuma decisione del giudice.

Il provvedimento – apparentemente di buon senso, in quanto volto ad eliminare frequenti impasse, causate più da attriti tra coniugi, o ex coniugi, piuttosto che da significative divergenze genitoriali – pare disattendere da un lato la parola della legge, dall’altro la ratio dell’istituto dell’affidamento condiviso.

Se, infatti, il testo dell’art. 337 ter cc lascia pochi dubbi circa la consensualità che deve presidiare le decisioni gravate da maggior incidenza e significato per la vita della prole nonchè il momento in cui deve intervenire l’eventuale pronuncia del Tribunale a dirimere il contrasto, a monte e non ex post, dall’altro è bene evidenziare come la ragione di tale previsione normativa fosse nell’attenta e precisa valorizzazione della pari dignità genitoriale alla base della gestione delle vicende relative ai figli.

Se, accanto alla spesso inevitabile collocazione prevalente dei figli presso un genitore – vigente l’affidamento condiviso – fosse consentito anche che un ascendente possa anche assumere unilateralmente le scelte più importanti, da sottoporre al vaglio successivo e solo eventuale del giudice, si svuoterebbe di significato e di rilevanza il ruolo dell’altro genitore, con buona pace del preciso intento parificatorio dell’intervento legislativo citato.

C’è da lavorare.

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