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Autore: Studio Legale Berto

Acquisti dei coniugi in separazione dei beni: a chi appartengono?

 

 

Acquisti dei coniugi in separazione dei beni: alcuni concetti da conoscere per una scelta consapevole del regime patrimoniale

 

 

An, pan, fiol d’un can, fiol d’un beco, mori seco, con le gambe destirà…


Una filastrocca, di quelle vicentine, di una volta.


Mi pare di vederli, i due fidanzatini, pochi giorni prima delle nozze. Hanno pensato a tutto, buffet, abito, preparativi, invitati, cerimonia, biglietti del viaggio. Manca una riflessione, una piccola scelta: comunione o separazione dei beni? Quale regime patrimoniale è meglio? Dobbiamo dirlo al prete. Boh, che ne so… Tiriamo a sorte: passa paperino, con la pipa in bocca, guai a chi la tocca, l’hai toc – ca- ta pro—prio tuuu…


Questo articolo vuole essere di aiuto tanto ai disperati – che stanno leggendolo, magari il giorno prima del matrimonio, magari alle ore piccole (andate a letto, sennò sai che occhiaie nelle foto?), e si sono presi all’ultimo con le decisioni – tanto ai più diligenti che vogliano operare una scelta consapevole.

Comunione o separazione dei beni?


Sulla comunione ne abbiamo detto di ogni. Vi agevoliamo i contributi essenziali a questi link 1, 2, 3, 4, 5, 6.

 

debiti dei coniugi in comunione dei beni

 


In cosa consiste la separazione dei beni?

 

E’ il regime patrimoniale che comporta la titolarità esclusiva degli acquisti e la completa autonomia di gestione da parte di ognuno dei coniugi.

Ciò che si compra con i propri soldi appartiene a sè stessi e si potrà essere liberi di disporne come si crede.

Anche i soldi, i risparmi, i proventi dell’attività lavorativa, i frutti di beni personali etc, rimarranno nella sfera esclusiva del titolare, senza dover essere spartiti in un qualche momento.


Con una precisione: in ogni caso, dovranno essere assolti gli obblighi nascenti dal matrimonio e genitoriali. Vale a dire che – seppur i beni che si abbia acquistato ed i soldi personali non ricadano nel dominio e gestione dell’altro consorte – dovranno, comunque, almeno in parte, essere impiegati per l’assistenza materiale del coniuge, per i bisogni della famiglia, per il mantenimento, educazione, istruzione dei figli.


Sapevate che, fino alla riforma del 1975, la separazione dei beni costituiva la regola, vale a dire il regime che la legge imponeva se i coniugi non avessero optato per altri diversi.

Poi la bomba atomica: a seguito dell’entrata in vigore della legge 151/1975, si è stravolto tale assetto. La comunione è diventata la norma, la separazione il regime sussidiario, che si assume solo se prescelto o a seguito di determinati accadimenti.

 

separazione dei beni

 

Come si adotta il regime di separazione dei beni?

 

La scelta del regime di separazione può, innanzitutto, essere dichiarata nell’atto di celebrazione del matrimonio. Avete presente quando il prete, terminata la messa, oppure il sindaco alla fine della cerimonia, porta i neo sposini a firmare delle carte in un apposito tavolino, appositamente apparecchiato? Ecco, solitamente è quello il momento in cui i nubendi comunicano quale regime patrimoniale prescelgano.


In difetto, si potrà adottare la separazione tanto prima che dopo il matrimonio- in ogni tempo, art 162 cc, tramite apposita convenzione.


Anche quando sia stata, inizialmente, instaurata la comunione dei beni.


La convenzione dovrà essere consacrata in un atto pubblico alla presenza di due testimoni, sotto pena di nullità, e per essere opponibile a terzi dovrà essere annotata a margine dell’atto di matrimonio.


Sembrerà ridondante sottolinearlo, ma per compiere la modifica del regime patrimoniale della comunione ed adottare la separazione dei beni, dovranno essere d’accordo entrambi i coniugi, continuando a sussistere, in difetto, la comunione previgente.


La legge, infatti, stabilisce che le modifiche delle convenzioni matrimoniali, anteriori o successive al matrimonio, non hanno effetto se l’atto pubblico non è stipulato col consenso di tutte le persone che sono state parti nelle convenzioni medesime, o dei loro eredi. art 164 cc.

 

Instaurazione della separazione dei beni per cause previste dalla legge.

 


Il regime patrimoniale che stiamo commentando si realizza anche prescindendo da eventuali convenzioni stipulate dai coniugi, col semplice ricorrere di alcune circostanze previste dalla legge.


In particolare, il previgente regime di comunione legale si scioglie nel caso di separazione personale, a partire dal momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purchè omologato.


La separazione dei beni si instaura anche a seguito di un procedimento di separazione giudiziale dei beni, art. 193 cc, vale a dire in caso di interdizione o di inabilitazione di uno dei coniugi o di cattiva amministrazione della comunione.

Può altresì essere pronunziata quando il disordine degli affari di uno dei coniugi o la condotta da questi tenuta nell’amministrazione dei beni metta in pericolo gli interessi dell’altro o della comunione o della famiglia, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro.
La separazione può essere chiesta da uno dei coniugi o dal suo legale rappresentante.


Altre cause dell’instaurarsi della separazione dei beni sono la dichiarazione di assenza o di morte presunta di un coniuge, o il suo fallimento.

 

amministrazione beni in separazione
Acquisti dei coniugi in separazione dei beni

 

Titolarità degli acquisti in separazione dei beni.

 

Con la separazione dei beni i coniugi convengono che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio. art 215 cc.


Il bene che ho comprato con i miei soldini resta mio e solo mio e lo stesso vale per te, cara/o consorte.

Come fare per dimostrarlo?

Beh per gli immobili è abbastanza semplice. Per i beni mobili – un divano, il televisore, la credenza …- faranno fede gli scontrini, le fatture, le pezze giustificative.


Il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell’altro la proprietà esclusiva di un bene.


E quando non è possibile dimostrarlo?

Chi conserva tutti gli scontrini?(c’è chi lo fa, ve lo assicuro).


Per questa evenienza vi è un’apposita disposizione di legge.

I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi. art. 219 cc.


Vi è una sorta di inversione dell’onere della prova. Normalmente, se mi dichiaro proprietario di un bene, debbo dimostrarlo. Qui è il contrario: si presume che ne sia (con) titolare, salva diversa prova.


Questo vale senz’altro nei rapporti fra i coniugi. Ma fra i terzi? Voglio dire, mettiamo che un creditore del marito voglia aggredire un bene mobile esistente presso la sua abitazione, potrà soddisfarsi sull’intero o solo sulla sua quota, in forza della presunzione che abbiamo richiamato?


La Cassazione, con sparute sentenze, è rigida nell’escludere la possibilità di estendere gli effetti della presunzione in parola anche ai rapporti di ciascun coniuge con i terzi, che pertanto potranno beneficiare dell’intera quota del bene pignorato.


La giurisprudenza di merito è più aperta, estendendo la portata della presunzione di comproprietà anche nei confronti dei terzi; di conseguenza l’azione esecutiva avente ad oggetto i beni mobili esistenti nella casa coniugale resta circoscritta alla quota ideale (50%) di proprietà del coniuge esecutato, con conseguente illegittimità del pignoramento limitatamente a quella parte dei beni che eccedono detta quota.

 

Conto corrente e comunione dei beni

 

Gestione dei beni in separazione


La legge dispone che ciascun coniuge abbia il godimento e l’amministrazione dei beni di cui sia titolare esclusivo. (art 217 cc)


Significa che il coniuge che, ad esempio, sia proprietario di una casa, potrà disporre di essa come crede, affittandola, concedendola in comodato, vendendola al prezzo che ritiene.


L’altro coniuge non avrà ingerenza, fatto salvo il caso in cui gli sia stato attribuito specifico mandato dal consorte titolare ad amministrare alcuni beni: in tal caso dovrà rendere conto del suo operato, dei frutti che avrà conseguito, (se previsto nella procura) ,essendo responsabile della sua gestione.


Se un coniuge amministri i beni dell’altro senza il suo consenso, o nonostante la sua opposizione, sarà tenuto al risarcimento dei danni ed al ristoro della mancata percezione dei frutti che si sarebbero potuti conseguire.

 

 

 

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Come si divide un’eredità? Il percorso della divisione ereditaria

 

 

Abc su come si divide un’eredità

 

 

Uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità»

 


La divisione ereditaria costituisce da millenni uno degli ambiti più accidentati in seno al menage familiare, già scombussolato ed afflitto dalla perdita di una persona cara.


Come si divide un’eredità...


Bene, partiamo dalla constatazione che – se c’è qualcosa da spartire – a monte ci deve essere qualcosa in comune.


La comunione ereditaria.


Parliamo di comunione ereditaria come di quel fenomeno per cui, a seguito dell’evento morte di una persona, alcuni soggetti, gli eredi, diventano contitolari – per quote anche differenti tra loro – di un patrimonio. Questo a prescindere che a monte ci sia stato oppure no un testamento.


Dei beni in comunione ciascun coerede potrà servirsene, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne pari uso secondo il loro diritto.

In virtù di ciò, è frequente che un erede effettui un godimento separato di alcuni beni, li utilizzi e li goda solo lui, con il consenso, con il disinteresse o con l’opposizione degli altri eredi.

Di qui nascono liti, a fronte della reclamata usucapione da parte di colui che li abbia posseduti a lungo nei tempi e nei modi prescritti dalla legge. 

Calma. La giurisprudenza è molto rigorosa e costante nell’affermare che tale possesso non sia di per sé solo sufficiente.

Se, infatti, la possibilità di utilizzare i beni in comunione ereditaria, anche separatamente (art. 714 cc) è una facoltà attribuita al singolo coerede, perchè si possa verificare l’acquisto della proprietà a titolo esclusivo è necessario che egli abbia esercitato un possesso non già come “con-domino”, ma come “dominus”, come unico proprietario, in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e volta ad estromettere gli altri aventi diritto.

 

comunione ereditaria

 


Chi può chiedere la divisione?


Innanzitutto il testatore stesso, nel proprio atto di ultime volontà, potrà disporre dei propri beni ripartendoli in porzioni corrispondenti alle relative quote (art 734 cc).

Ne deriverà un’attribuzione diretta ai coeredi dei beni dal momento dell’apertura della successione senza che si instauri una comunione ereditaria.

La ripartizione operata dal testatore potrà essere parziale, relativa cioè a solo alcuni beni, sussistendo, per i rimanenti, la comunione.

Il de cuius potrà, eventualmente, in luogo di una disposizione diretta, stabilire le regole con le quali verranno divisi tutti o parte i beni ereditari.

Queste norme sono vincolanti per gli eredi, salvo che l’effettivo valore dei beni non corrisponda alle quote stabilite dal testatore.


Egli può disporre che la divisione si effettui secondo un progetto predisposto da una persona designata, terza, che non sia erede o legatario: la divisione proposta da questa persona non vincola gli eredi, se l’autorità giudiziaria, su istanza di taluno di essi, la riconosce contraria alla volontà del testatore o manifestamente iniqua (art 733 cc).

Attenzione, la divisione nella quale il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti è nulla e si ripristinerà la comunione ereditaria.

Più in particolare, nel caso di lesione parziale, al legittimario che abbia esercitato azione di riduzione  spetterà il diritto di ottenere una correzione dell’attribuzione, attraverso un’integrazione della porzione, con beni attribuiti agli altri coeredi.


Se il legittimario fosse stato escluso dall’ambito successorio, potrà agire in giudizio per far dichiarare nulla la divisione e sostituire alla divisione operata dal testatore un’altra, che ricomprenda i suoi diritti di erede.

 

come si divide un’eredità?

 

Accordo divisionale

La divisione ereditaria potrà essere concordata tra i coeredi, in via convenzionale.


Si tratta di un vero e proprio contratto, al quale dovranno partecipare inderogabilmente tutti i comunisti, sicchè il mancato intervento di uno solo comporterà la nullità dell’accordo.

Se tra i beni da spartire dovessero esservi degli immobili, sarà imprescindibile la forma scritta: poi si dovrà procedere alla trascrizione.


Possono esserci delle limitazioni alla divisione? Solamente temporali e tassative.

Ad esempio il testatore stesso potrebbe aver disposto il divieto di procedere alla divisione per un determinato periodo, non superiore a 5 anni. Oppure che si debba attendere un anno dal compimento della maggiore età dell’ultimo nato dei coeredi minorenni.

In ogni caso, qualora detto termine dovesse comportare incongruo al manifestarsi di “gravi circostanze”, l’autorità giudiziaria potrà pronunciarne la riduzione o l’eliminazione.

 

 

divisione giudiziale

 


Divisione giudiziale.

La divisione ereditaria potrà essere chiesta da ciascuno dei partecipanti alla comunione. Si noti, anche se gli altri non fossero d’accordo e volessero permanere nello stato indiviso.

Ciò detto, in caso di richiesta di divisione le ipotesi potranno essere due e solamente due: o ci sarà l’accordo dei coeredi sul come ripartire i beni della comunione, oppure, in difetto, ci si dovrà rivolgere al giudice affinchè ci pensi lui con una sua pronuncia.


La divisione giudiziale consegue al giudizio di accertamento del diritto di ciascun comunista ad una quota del patrimonio del defunto e la trasformazione di tale diritto in un diritto alla proprietà esclusiva su una porzione definita di beni.


Ovviamente in tale giudizio dovranno essere citati tutti i coeredi comunisti, nessuno escluso: altrimenti la pronuncia sarebbe data inutilmente.


Come si divide l’eredità?


1. Innanzitutto, il giudice dovrà verificare se sia possibile l’attribuzione in natura a ciascuno dei condividenti della sua porzione dei beni, siano essi mobili o immobili.


Ovviamente, è impensabile che tale procedura contempli l’assegnazione ad ogni erede di una quota identica dei singoli beni, ma si risolve nella proporzionale suddivisione di mobili ed immobili.


Dopo aver proceduto alla stima dei beni, in base al loro valore di mercato, si procederà alla formazione di tante porzioni quanti sono gli eredi condividenti.

 

vendita asta divisione giudiziale


Quali beni assegnare a chi?

L’assegnazione delle porzioni uguali (es quattro quote di un quarto ciascuna) è fatta mediante estrazione a sorte, per le porzioni diseguali (es ad un condividente spetta ½ mentre gli altri ¼ ciascuno) si procede mediante attribuzione, ossia formando tante porzioni (di valore diseguale) quante sono le quote ed attribuendo a ciascuno la corrispondente.

 


2. Se nell’eredità vi dovessero essere immobili non comodamente divisibili, o il cui frazionamento ne potrebbe compromettere sensibilmente il valore o la funzione, il giudice potrà procedere all’assegnazione per l’intero al coerede che abbia la quota maggiore o a più coeredi che ne abbiano fatto richiesta congiunta.

Gli altri comunisti verranno soddisfatti mediante attribuzione del corrispondente valore in denaro (conguaglio) della propria quota a carico dei soggetti assegnatari del bene immobile, eventualmente ponendo a in capo allo stesso una garanzia ipotecaria.


Attenzione, il criterio dell’assegnazione del bene immobile indivisibile al coerede con la maggiore quota è definito dalla stessa legge (art. 720 cc) “preferenziale”, non già obbligatorio, in quanto il giudice potrà discostarsene, allegando motivate ragioni, vuoi nell’interesse comune dei coeredi, oppure alla luce dell’interesse personale prevalente dell’assegnatario, ad es. privo di un’unità immobiliare da destinare a casa familiare, a differenza del titolare della quota maggiore, oppure valutando anche la concreta ricorrenza di interessi familiari o morali di un condividente.


Si noti: la scelta dell’assegnatario non è un’asta tra coeredi, per cui non può dipendere dalla maggiore offerta, che uno di essi faccia, rispetto al prezzo di stima.


Qualora la richiesta di attribuzione del bene provenga da un solo coerede, il bene dovrà essere assegnato a questi.

 

3. Se nessuno dei coeredi in comunione manifesti la volontà di vedersi assegnato il bene immobile indivisibile, il giudice ne prenderà atto e disporrà che venga venduto all’asta.


Pare consentito al condividente, comunque, una volta disposta dal Tribunale la vendita all’incanto. chiedere l’assegnazione del bene.

 

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Dopo la vendita dei beni, mobili o immobili, come si divide l’eredità?


Si deve procedere alla formazione dei conti: ogni condividente indica le entrate (ad esempio, canoni di locazioni percepiti) e le uscite (es. spese di manutenzione dei beni, imposte pagate, miglioramenti effettuati) sostenute durante la gestione dei beni comuni.

Quindi, stimati gli altri beni della massa – si noti, in base al valore venale che avevano al momento dell’apertura della successione, ossia alla morte del de cuius – si effettuerà la formazione delle porzioni, in misura proporzionale alle quote.

Rescissione per lesione


Il condividente che, a seguito di divisione, abbia ottenuto, proporzionalmente a quanto ricevuto dagli altri condividenti, beni di valore inferiore almeno di un quarto rispetto al valore della propria quota potrà esercitare l’azione di rescissione ( art 763 cc), entro il termine di due anni dalla divisione.


Tale rimedio è operativo sia nell’ambito della divisione effettuata dal testatore, quanto in quello della divisione contrattuale.


Al riguardo di tale ultima ipotesi, è interessante evidenziare l’orientamento giurisprudenziale che ritiene insufficiente in un accordo transattivo divisionale la semplice consapevolezza del condividente di percepire meno di quanto gli spetterebbe ai fini di decadere dal diritto di chiedere la rescissione, essendo necessario accertare che la transazione, regolando ogni controversia, anche potenziale, in ordine alla determinazione delle porzioni corrispondenti alle quote, abbia riguardato proprio le questioni costituenti il presupposto e l’oggetto dell’azione di rescissione (Cass. Civ. 8240/2019 )

 

 

 

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come si divide un’eredità

Nella stessa classe possono esserci più alunni con disabilità?

 

 

 

Il tribunale di Milano risponde al quesito se nella stessa classe possono esserci più alunni con disabilità con una sentenza degna di nota.

 

 

Grazie alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

 

La vicenda ha inizio nel dicembre 2017 quando i genitori di un bambino con disabilità (in particolare si parla di disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, disturbo del linguaggio e livello cognitivo borderline), decidono di presentare domanda di pre-iscrizione alla prima elementare presso lo stesso istituto della scuola materna proprio per garantire al piccolo la possibilità di un percorso continuo e integrato tra la scuola d’infanzia e la scuola primaria.


A dicembre dello stesso anno ai genitori viene comunicato che l’iscrizione non poteva essere accolta.


Secondo la cooperativa sociale che gestiva la scuola paritaria (con classi della scuola d’infanzia e della primaria), non era possibile “accogliere più di un alunno disabile per ciascuna sezione” di prima elementare, in ragione “delle difficoltà dei minori accertate in sede di pre-iscrizione”.

 

Circostanza che, sempre a detta della cooperativa, avrebbe “messo a rischio la garanzia di un percorso formativo efficace per tutti gli alunni”.


La famiglia si è trovata quindi costretta ad iscrivere il bambino presso altra scuola, fatto che ha determinato, come è ovvio, grave disagio al piccolo che si è trovato costretto a ricostruire il rapporto relazionale con nuovi compagni.


Disagio patito anche dai genitori che, per far fronte alle difficoltà del figlio, hanno dovuto nei primi tempi assentarsi con frequenza dal lavoro, andando incontro ad un’inevitabile contrazione di reddito.


La famiglia ha quindi deciso di presentare ricorso in Tribunale al fine di vedere accertata la condotta discriminatoria della scuola per aver precluso al figlio la possibilità di iscriversi alla scuola primaria.

 

 

numero-alunni-disabili-stessa-classe
nella stessa classe possono esserci più alunni con disabilità?

 


Il Tribunale, con l’ordinanza del 20.02.2020, ha in primo luogo chiarito che l’obbligo di accoglienza degli studenti con disabilità nelle scuole statali (e in quelle paritarie) non è soggetto ad alcun limite numerico rigidamente prestabilito.


Se è vero che di norma le classi che accolgono alunni con disabilità sono costituite – di norma –  da un numero di non più di 20 alunni, è anche vero che tale previsione non impedisce l’inserimento di più alunni disabili nella stessa classe, né preclude il superamento del limite di 20 (cfr. art. 5 del D.P.R. 81/09).


Del resto, la stessa scuola ha dichiarato di aver composto classi anche di 26 alunni ospitanti alunni con disabilità e di aver accolto 13 bambini con disabilità certificata su 10 classi.


Perché non derogare, se di deroga si deve parlare, anche nella fattispecie in esame?


Secondo i giudici non è possibile comprendere, neanche a titolo comparativo, cosa abbia fatto prediligere come scelta quella di escludere dalla frequenza della scuola il minore che, quindi, risulta essere stato escluso, di fatto, per la sua condizione di disabilità.


Tale rifiuto all’iscrizione si prospetta pertanto come illegittimo e il Tribunale di Milano riconosce la discriminazione in quanto “il rifiuto di iscrizione risulta direttamente connesso alla condizione di disabilità del minore e dunque contraria all’obbligo di parità di trattamento degli alunni disabili e normodotati”.

 

 

inclusione-scolastica

 


Del resto la normativa nazionale e non, è chiarissima nell’affermare che l’inclusione scolastica non è soggetta a limitazioni.


Si leggano ad esempio:


Non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità” (Legge n. 67/2006, art. 2);


E’ garantito il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie” (Legge n. 104/1992, art. 12);


Le persone con disabilità possano accedere su base di uguaglianza con gli altri, all’interno delle comunità in cui vivono, ad un’istruzione primaria di qualità e libera ed all’istruzione secondaria.” (Convenzione Onu del 13.12.2006, art. 24).

 

Tali normative, si noti bene, sono pienamente applicabili anche alle scuole  paritarie, le quali sono tenute ad accogliere chiunque, comprese gli studenti con handicap, e sono soggette all’applicazione delle norme di legge vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap.

 

Conseguentemente  il Tribunale ha dichiarato che il rifiuto all’iscrizione effettuato dalla scuola fosse pienamente discriminatorio, in quanto direttamente legato alla condizione di disabilità del richiedente, comportandone un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai  compagni “normo dotati”.  

 

 

 

 

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Pubblica o privata? il contrasto sulla scelta della scuola dei figli

 

 

Contrasto sulla scelta della scuola dei figli: come va risolto?

 

 

Se pensate che l’istruzione sia costosa, provate l’ignoranza.
(Anonimo)

 

 


In sede di separazione o divorzio l’affidamento condiviso è la regola, salvo eccezioni, nel caso ciò non fosse corrispondente al prevalente interesse dei figli.


Tale regime implica che i genitori abbiano la medesima dignità decisionale in merito alle scelte più importanti da compiere per i figli: le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli (art 337 ter cc) .


Avete letto? Anche le scelte relative all’istruzione debbono avvenire congiuntamente.


In caso di contrasto sulla scelta della scuola dei figli tra genitori non prevarrà la posizione dell’uno sull’altro; si andrà dal giudice che dirimerà il conflitto e, nel caso, assumerà la decisione.


Una delle più frequenti divergenze tra padre e madre riguarda non già e non tanto l’ubicazione della scuola che frequenterà il figlio (vicino a me o a te?), quanto la tipologia: pubblica o privata?


Chi scrive non vuole aprire dibattiti su quale sia migliore. Non basterebbero fiumi di pagine per venirne a capo o per fare un bilancio tra i rispettivi pro e contro.


Certo è che il giudice dovrà risolvere il contrasto sulla scelta della scuola dei figli con una decisione, a favore della pubblica o di quella paritaria.

 

 

contrasto genitori scuola pubblica o privata

 


Una recente pronuncia del tribunale di Modena (19 agosto 2020) è paradigmatica.


I genitori litigano sulla scuola media alla quale iscrivere la figlia.

Mamma vorrebbe continuare il percorso alla privata, già intrapreso alle elementari. Il papà opterebbe per quella pubblica, asserendo sia più adeguata per una “una socializzazione normale e ingresso nel mondo ordinario”, evitando quindi “situazioni di vita selettive”.


Al giudice è arrivata la patata bollente.


Il Tribunale emiliano ha optato per dare ragione al padre: scuola pubblica, quindi.


E’ questa la destinazione naturale che lo stato mette a disposizione di tutti i minori e della quale si presume la capacità di fornire idonea istruzione.


Vi è dell’altro: la scuola paritaria ha un costo che quella pubblica non ha.


Inoltre, il tipo di disciplina e di orientamento che viene impartito – vuoi a livello didattico, vuoi relativamente all’inclinazione religiosa, culturale ed educativa – è particolare e, conseguentemente, per essere perseguito deve essere oggetto di convergenza decisionale dei genitori, in difetto della quale non sarà dato al giudice sostituirsi, optando per una scelta diversa dall’offerta istituzionale.


Interessanti anche le ulteriori motivazioni indicate dal Tribunale modenese a sostegno della propria decisione.


La mamma sostiene che la figlia abbia diritto a continuare il percorso educativo presso la paritaria, intrapreso alle elementari? Un’impostazione didattica può essere reputata consona per una determinata età dei figli e non necessariamente per altra.


Il padre precedentemente aveva aderito alla scuola privata primaria? Non deve essere vincolato a tale orientamento per il proseguo della crescita della figlia fino alla conclusione degli studi universitari.


La bimba ha manifestato preferenza ad andare alla paritaria? Se ha meno di 12 anni potrebbe non avere le necessarie conoscenze per prescegliere una offerta formativa in luogo di un’altra.


La scuola pubblica avrebbe un numero di alunni superiore a quella privata? Le classi, di media, sarebbero formate da circa 25 alunni, un numero più che gestibile dal personale scolastico.


Le amichette delle elementari si sono iscritte (quasi) tutte alla scuola paritaria? Se sono amiche, rimarranno tali anche al di fuori del contesto scolastico; anzi: la bimba potrà fare nuove conoscenze, spronandosi a superare le “fisiologiche timidezze” legate all’età.


Alla privata si studia una lingua in più rispetto alla scuola pubblica? Se alla madre interessa far studiare alla figlia anche lo spagnolo, o il francese, o tedesco oltre all’inglese, può benissimo iscriverla ad un corso nel dopo scuola.


Sono convinto che i fautori della scuola paritaria potranno addurre ragioni di ordine opposto a quelle scandite nella sentenza che abbiamo riportato.

 

il contrasto sulla scelta della scuola dei figli. In assenza di accordo tra genitori, decide il giudice

 

 


Per completezza, rilevo come siano intervenute anche statuizioni di segno opposto, tutte volte a sottolineare come non sia possibile, a priori, stabilire la prevalenza di una scelta didattica sull’altra, ma, piuttosto, vada posto in risalto quale orientamento possa essere più corrispondente alle inclinazioni ed alle aspirazioni dei figli, nella loro cornice assolutamente specifica ed individuale.

 

 

E’ interessante annotare anche le conseguenze che possono derivare al genitore che, volendo giocare di forza, iscriva il figliolo ad una scuola, dichiarando in tale sede, con una bugia, che anche l’altro genitore sia d’accordo.

Si tratta di un reato vero e proprio, sanzionato dall’art. 483 cp, alla rubrica “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”.

Anche l’art 76 del dpr 445/2000 punisce “chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico”.

Ebbene, venendo a statuire proprio su un caso che riguarda questa fattispecie, la Corte di Cassazione ha ritenuto non ricorrere i presupposti per attribuire alla dichiarazione mendace di un genitore la valutazione di “particolare tenuità del fatto”, che avrebbe potuto portarne all’assoluzione, se effettuata in un contesto di elevata conflittualità dei coniugi, tale da  aumentare ancor di più l’intensità del dolo del soggetto che ha confezionato e utilizzato la falsa attestazione, anche a discapito dell’interesse di un minore.

 

 

 

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Donazione di denaro per acquisto casa: che forma e quali conseguenze sulla successiva eredità?

 

La donazione di denaro per acquisto casa: alcune cose da sapere per una scelta consapevole.

 

Non nobis solum nati sumus – Non solo per noi stessi stiamo nati.
(Marco Tullio Cicerone)

 

 

 

Ecco, appunto, lo dice anche Cicerone: bisogna darsi una mano.


Per i figli, manco bisognerebbe dirlo: viene spontaneo dare tutto e di più.

Vogliono spiccare il volo? Sposarsi ? Uscire di casa? Il pensiero corre subito a dove andranno a vivere, quale sarà la loro nuova abitazione.

Di norma, i figli – più o meno giovani – non hanno disponibilità economica per comprare casa, per cui si valuta la possibilità di aiutarli, per l’appunto, cercando le modalità per farlo più sicure.


Lo abbiamo detto in passato, (link 1 e 2 ): una donazione diretta di un immobile potrebbe essere un atto potenzialmente pericoloso: qualificandosi come una sorta di anticipo di eredità, se tale operazione dovesse ledere i diritti di soggetti interessati (legittimari), sarebbe un trasferimento attaccabile da più fronti.

 

 

donazione soldi casa
donazione di denaro per acquisto casa: se ne tiene conto al momento dell’eredità?

 


E se, anziché donare la casa, venisse eseguita una donazione di denaro per acquisto casa?


Siamo di fronte ad un bivio.


Ipotesi A. Viene effettuato un versamento da genitore a figlio; quest’ultimo decide successivamente di impiegarlo in un acquisto immobiliare.

La donazione, per essere valida, deve essere consacrata con forme prestabilite dalla legge: atto pubblico alla presenza di due testimoni.

Alla stregua delle donazioni di immobili, su cui sopra ci siamo soffermati, anche di essa se ne terrà conto al momento della futura successione.

Tuttavia, ciò che potrà essere “rivendicata” in un’azione di riduzione o di collazione, sarà una somma di denaro e non già il bene – casa che con essa è stato conseguito.


Ipotesi B. Il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione.

Siamo nell’ambito di una cd “donazione indiretta”, ossia quella effettuata con modalità diverse rispetto a quelle normali stabilite dalla legge, ma producono, tuttavia, gli stessi effetti (art 809 cc).


In questo caso, oggetto di donazione dovrà considerarsi non tanto il denaro impiegato per l’acquisto dell’immobile, quanto la casa stessa, di cui il beneficiario della donazione, d’intesa col donante, andrà ad arricchirsi, essendo immediato il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio.


Si noti “per integrare la fattispecie di donazione indiretta è necessario che la dazione della somma di denaro sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto dell’immobile: deve cioè sussistere incontrovertibilmente un collegamento teleologico tra elargizione del denaro e acquisto dell’immobile” (Cass. Civile, n 18541/2014 ).


Morale? Per la donazione indiretta non saranno necessari i rigidi formalismi dettati dalla legge per la donazione tradizionale.

Sarà sufficiente che il negozio-mezzo, ossia l’atto di acquisto del bene immobile, avvenga mediante le forme prescritte dalla legge, mentre per l’attribuzione della provvista di denaro da parte del donante potrà avvenire liberamente.

Ovviamente, per configurarla tale, la donazione indiretta deve avere alcuni requisiti tipici di tutte le donazioni, vale a dire l’animus donandi, ossia la volontà di attribuire un vantaggio patrimoniale a terzi, e l’obiettivo incremento del patrimonio altrui con il corrispondente impauperimento di quello del disponente.

 

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Tutto bene? Tutti felici? Attenzione.


La legge stabilisce che anche per la donazione indiretta valgano alcuni principi di tutela stabiliti per ogni tipo di donazione: fra questi, la possibilità di essere “ridotta” in caso di lesione dei diritti dei legittimari, ossia di quei parenti più stretti del donante (poi defunto), che abbiano diritto ad una quota minima del patrimonio complessivo del disponente.


Del pari, anche le donazioni indirette rientreranno nel calderone della “collazione”, l’istituto che obbliga taluni soggetti che abbiano accettato l’eredità e abbiano ricevuto donazioni in vita dal de cuius a conferire nell’asse ereditario quanto ricevuto, al fine di formare le porzioni da dividere.


Tanto in caso di riduzione che in quello di collazione, ciò che dovrà essere conferito non sarà il bene in natura – come normalmente avrebbe potuto avvenire per le donazioni tradizionali – quanto il relativo valore.


Se fosse diversamente, non sarebbe assicurata alcuna tutela a terzi, inconsapevoli (le donazioni indirette non risultano dall’atto pubblico della compravendita) che acquistino la proprietà degli immobili oggetto di donazione indiretta e si ritroverebbero privati di tale bene, a seguito dell’azione di riduzione.

 

 

 

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Donazione di denaro per acquisto casa

Si tiene conto dell’indennità di accompagnamento per la compartecipazione alla retta della casa di riposo?

 

 

Si tiene conto dell’indennità di accompagnamento per la compartecipazione alla retta della casa di riposo? 

 

 

Un grazie alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo

 

 

 

Con la sentenza n. 682 del 24.06.2020, il Tar Veneto ha accolto il ricorso presentato dall’amministratore di sostegno di una persona in condizioni di handicap grave ed avente ad oggetto il ricalcolo effettuato dal Comune della quota a carico dell’utente della retta di residenzialità della struttura in cui lo stesso era accolto.

 

Il Comune aveva, infatti, rideterminato la quota “alberghiera” di residenzialità a carico della persona con disabilità  in base ai criteri fissati dal regolamento comunale impugnato, senza attenersi all’ISEE presentato dal ricorrente per gli anni in questione.

 

In particolare, il Tar Veneto ha evidenziato l’illegittimità del regolamento comunale nella parte in cui prevede, valutando la condizione economica dell’assistito in modo del tutto avulso dall’ISEE, che “ l’utente compartecipi al costo della retta utilizzando le proprie “risorse economiche a qualsiasi titolo percepite al netto delle ritenute (pensioni, rendite…), ivi compresa l’indennità di accompagnamento”.

 

 

Più precisamente, l’art. 9 del Regolamento comunale, nella parte in cui disciplina l’entità della prestazione economica “per le persone con disabilità” venendo a conteggiare nelle sue disponibilità “le risorse economiche a qualsiasi titolo percepite al netto delle ritenute (pensioni, rendite…), ivi compresa l’indennità di accompagnamento”, è da considerare illegittimo “per evidente contrasto” con la vigente normativa in materia di ISEE e deve essere, di conseguenza, annullato.

 

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Si tiene conto dell’indennità di accompagnamento per la compartecipazione alla retta della casa di riposo?

 

Del resto, la giurisprudenza è ormai unanime nell’affermare che l’ISEE “resta l’indefettibile strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati in conformità alle prescrizioni delle indicate norme costituzionali e dei trattati internazionali sottoscritti dall’Italia per la tutela delle persone con disabilità gravi, e deve pertanto scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate”.

 

 

In particolare, il TAR Veneto, con la sentenza n. 303/2019 (poi confermata dal Consiglio di Stato, Sezione III, con la sentenza n. 1505/2020), aveva già ribadito il principio “secondo cui non può essere riconosciuta ai Comuni una potestà di deroga alla legislazione statale e regionale, nell’adozione del regolamento comunale, in violazione della disciplina statale dell’ISEE, così come prevista dal DPCM n. 159/2013”.

 

 

 

 

 

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Consulenza super bonus 110% a Vicenza ed in tutto il territorio nazionale: la mini guida

 

 

Lo studio Legale Berto presta servizi di consulenza superbonus 110% a Vicenza ed in tutto il territorio nazionale, avvalendosi anche di professionisti esterni per gli ambiti tecnici.

 

Ecco una guida breve sui concetti fondamentali da sapere in materia di superbonus 110%

 

Cos’è il superbonus 110%

Il Superbonus è un’agevolazione prevista dal Decreto Rilancio che eleva al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021, per specifici interventi in ambito di efficienza energetica, di interventi antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.


In particolare, l’articolo 119 del citato Decreto Rilancio, nell’incrementare al 110 per cento l’aliquota di detrazione spettante, individua le tipologie e i requisiti tecnici degli interventi oggetto di beneficio, l’ambito soggettivo di applicazione dell’agevolazione nonché gli adempimenti da porre in essere ai fini della spettanza della stessa.

Le nuove misure si affiancano a quelle già vigenti che disciplinano le detrazioni previste per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, compresi quelli per la riduzione del rischio sismico (c.d. Sismabonus) e di riqualificazione energetica degli edifici (cd. Ecobonus).


Un’importante novità, introdotta dal Decreto Rilancio, è rappresentata, come vedremo meglio più avanti,dalla possibilità di optare, in luogo della fruizione diretta della detrazione, per un contributo anticipato sotto forma di sconto dal fornitore dei beni o servizi (cd. “sconto in fattura”) o, in alternativa, per la cessione del credito corrispondente alla detrazione spettante.

La normativa sul superbonus è completata dal Decreto Requisiti, che concerne l’aggiornamento dei requisiti tecnici minimi per gli interventi che accedono al beneficio delle detrazioni dal Decreto Asseverazioni relativo alla modulistica e alle modalità di trasmissione delle asseverazioni agli organi competenti.

 

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A chi spetta il superbonus

Le agevolazioni previste dal Decreto rilancio si applicano alle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021 per gli interventi effettuati:


a) dai condomini.

In proposito l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il Superbonus non si applica agli interventi realizzati sulle parti comuni a due o più unità immobiliari distintamente accatastate di un edificio interamente posseduto da un unico proprietario o in comproprietà fra più soggetti.

b) dalle persone fisiche


sono quindi esclusi coloro che esercitano su unità immobiliari attività di impresa, arti e professioni, a meno che non si tratti di partecipazione alle spese per interventi effettuati dal condominio sulle parti comuni.

Le persone fisiche possono beneficiare del Superbonus relativamente alle spese sostenute per interventi realizzati su massimo due unità immobiliari. Tale limitazione non si applica, invece, alle spese sostenute per gli interventi effettuati sulle parti comuni dell’edificio.

Ai fini della detrazione, le persone fisiche che sostengono le spese devono possedere o detenere l’immobile oggetto dell’intervento in base ad un titolo idoneo, al momento di avvio dei lavori o al momento del sostenimento delle spese, se antecedente il predetto avvio.

In particolare, i soggetti beneficiari devono:

  • possedere l’immobile in qualità di proprietario, nudo proprietario o di titolare di altro diritto reale di godimento (usufrutto, uso, abitazione o superficie);
  • detenere l’immobile in base ad un contratto di locazione, anche finanziaria o di comodato, regolarmente registrato ed essere in possesso del consenso all’esecuzione dei lavori da parte del proprietario

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la mancanza di un titolo di detenzione dell’immobile risultante da un atto registrato, al momento dell’inizio dei lavori o al momento del sostenimento delle spese se antecedente, preclude il diritto alla detrazione anche se si provvede alla successiva regolarizzazione.

Sono ammessi a fruire della detrazione anche i familiari del possessore o del detentore dell’immobile, (coniuge, componente dell’unione civile, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado) nonché i conviventi di fatto ai sensi della legge n. 76 del 2016, sempreché sostengano le spese per la realizzazione dei lavori.

Per fruire del Superbonus non è necessario che i familiari abbiano sottoscritto un contratto di comodato essendo sufficiente che attestino, mediante una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di essere familiari conviventi.

Ha diritto alla detrazione anche il promissario acquirente dell’immobile oggetto di intervento immesso nel possesso, a condizione che sia stato stipulato un contratto preliminare di vendita dell’immobile regolarmente registrato.

c) dagli Istituti autonomi case popolari (IACP)


d) dalle cooperative di abitazione a proprietà indivisa


e) dalle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale,  dalle organizzazioni di volontariato e dalle associazioni di promozione sociale


f) dalle associazioni e società sportive dilettantistiche

 

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Quali interventi sono “coperti”?


Gli interventi coperti dal superbonus, previsto dal Decreto Rilancio, si distinguono in “interventi trainanti” che sono necessari ed indispensabili per ottenere il beneficio fiscale, ed “interventi trainati” che beneficiano della detrazione solo se compiuti in abbinamento ai primi.


In entrambi i casi gli interventi devono essere realizzati:

  • su parti comuni di edifici residenziali in “condominio
  •  su edifici residenziali unifamiliari e relative pertinenze.
    Per edificio unifamiliare si intende un’unica unità immobiliare di proprietà esclusiva, funzionalmente indipendente, che disponga di uno o più accessi autonomi dall’esterno e destinato all’abitazione di un singolo nucleo familiare.
  • su unità immobiliari residenziali funzionalmente indipendenti e con uno o più accessi autonomi dall’esterno site all’interno di edifici plurifamiliari e relative pertinenze
    Una unità immobiliare può ritenersi «funzionalmente indipendente» qualora sia dotata di installazioni o manufatti di qualunque genere, quali impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento di proprietà esclusiva.
    La presenza, inoltre, di un «accesso autonomo dall’esterno», presuppone, ad esempio, che «l’unità immobiliare disponga di un accesso indipendente non comune ad altre unità immobiliari chiuso da cancello o portone d’ingresso che consenta l’accesso dalla strada.

    Le «unità immobiliari funzionalmente indipendenti e con uno o più accessi autonomi dall’esterno, site all’interno di edifici plurifamiliari», alle quali la norma fa riferimento, vanno individuate verificando la contestuale sussistenza del requisito della «indipendenza funzionale» e dell’«accesso autonomo dall’esterno», a nulla rilevando, a tal fine, che l’edificio plurifamiliare di cui tali unità immobiliari fanno parte sia costituito o meno in condominio.

    Sono escluse le unità immobiliari appartenenti alle categorie catastali A1 (Abitazioni di tipo signorile ), A8 (Abitazioni in ville), e A9 (Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

 

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Quali sono gli interventi “trainanti”

Sono state individuate tre tipologie di interventi “trainanti”, che sono:

  1. l’isolamento termico delle superfici opache (cappotto) che interessi più del 25% dell’involucro dell’edificio;


    per tali interventi il superbonus è calcolato su un ammontare complessivo delle spese pari a :
    50.000 euro per gli edifici unifamiliari e per le unità immobiliari indipendenti.
    40.000 euro, moltiplicato il numero delle unità immobiliari, per gli edifici composti da 2 due a 8 unità immobiliari.
    30.000 per gli edifici composti da più di 8 unità immobiliari;

    L’agenzia delle entrate ha precisato che rientrano tra le spese ammissibili anche quelle per la coibentazione del tetto, a condizione che questo sia elemento di separarazione tra il volume riscaldato e l’esterno e che assieme ad altri elementi di coibentazione incida su più del 25% della superficie lorda complessiva disperdente e che gli interventi portino al miglioramento di due classi energetiche dell’edificio, anche congiuntamente agli altri interventi di efficentamento energetico e all’installazione di impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo.

  2. sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale sulle parti comuni degli edifici in condominio

    la detrazione è calcolata su un ammontare complessivo delle spese non superiore a

    – euro 20.000 moltiplicato il numero delle unità immobiliari per gli edifici composti fino ad 8 unità;

    – euro 15.000 per gli edifici composti da più di 8 unità

    La detrazione spetta anche per le spese relative allo smaltimento ed alla bonifica dell’impianto sostituito

    Al limite di spesa si aggiunge quello previsto nel caso di installazione di eventuale impianti fotovoltaici e relativi sistemi di accumulo (fino ad euro 48.000).

  3.  interventi di sostituzione sugli edifici unifamiliari di impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti per il riscaldamento, il raffrescamento o la fornitura di acqua calda sanitaria a pompa di calore, ivi inclusi gli impianti ibridi o geotermici, anche abbinati all’installazione di impianti fotovoltaici e relativi sistemi di accumulo, ovvero con impianti di microcogenerazione.

    La detrazione è calcolata su un ammontare complessivo delle spese non superiore ad euro 30.000 per singola unità immobiliare

  4. interventi antisismici principali

    permettono di accedere alla detrazione elevata fino al 110%, per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021.
    Il bonus maggiorato spetta anche per la realizzazione di sistemi di monitoraggio strutturale ai fini antisismici eseguiti congiuntamente con gli interventi antisismici e nel rispetto dei limiti di spesa previsti.

 

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Quali sono gli interventi “trainati”

 

Il Superbonus spetta anche per le seguenti ulteriori tipologie di interventi (dette “trainati”), a condizione che siano eseguiti congiuntamente con almeno uno degli interventi trainanti precedentemente elencati:

  1. lavori di  efficientamento energetico rientranti nell’ecobonus, nei limiti di spesa previsti dalla legislazione vigente per ciascun intervento (cfr. Tabella n. 1);

  2. l’installazione di infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici di cui all’art. 16-ter del citato decreto-legge n. 63 del 2013.


L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che gli interventi trainati si considerano effettuati congiuntamente agli interventi trainanti se “ le date delle spese sostenute per gli interventi trainati, sono ricomprese nell’intervallo di tempo individuato dalla data di inizio e dalla data di fine lavori per la realizzazione degli interventi trainanti”.

Ciò implica che, ai fini dell’applicazione del superbonus, le spese sostenute per gli interventi trainanti devono essere effettuate nell’arco temporale di vigenza dell’agevolazione, mentre le spese per gli interventi trainati devono essere sostenuti nel periodo di vigenza dell’agevolazione e nell’intervallo di tempo tra la data di inizio e la data di fine dei lavori per la realizzazione degli interventi trainanti.


Gli interventi trainati oltre ad essere eseguiti congiuntamente con quelli trainanti devono assicurare, nel loro complesso, il miglioramento di due classi energetiche oppure, ove non possibile, il conseguimento della classe energetica più alta a condizione che gli interventi siano effettivamente conclusi.


Gli interventi di efficentamento energetico sono agevolabili a condizione che gli edifici oggetto degli interventi siano dotati di impianti di riscaldamento funzionanti, presenti negli ambienti in cui si realizza l’intervento agevolabile.

Il Superbonus spetta, infine, anche per i seguenti interventi, a condizione che siano eseguiti congiuntamente con almeno uno degli interventi di isolamento termico o di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale o di riduzione del rischio sismico, precedentemente elencati:

  • l’installazione di impianti solari fotovoltaici connessi alla rete elettrica sugli edifici indicati all’articolo 1, comma 1, lettere a), b), c) e d), del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412;

  • l’installazione contestuale o successiva di sistemi di accumulo integrati negli impianti solari fotovoltaici agevolati.


L’applicazione del superbonus è subordinata alla
– installazione degli impianti eseguiti congiuntamente ad uno degli interventi trainanti;
cessione al Gestore dell’energia non auto-consumata in sito ovvero non condivisa per l’autoconsumo.

La detrazione è calcolata su un ammonatare complessivo delle spese non superiore ad euro 48.000 e, comunque, nel limite di spese di euro 2400 per ogni kw di potenza nominale dell’impianto solare fotovoltaico



Requisiti per l’accesso al Superbonus 


Un apposito  decreto  denominato “requisiti” definisce gli interventi che rientrano nelle agevolazioni Ecobonus, Bonus facciate e Superbonus al 110%, i costi massimali per singola tipologia di intervento e le procedure e le modalità di esecuzione dei controlli a campione.

Ciò che è opportuno evidenziate al riguardo è che gli interventi che andranno eseguiti dovranno assicurare nel loro complesso – quindi anche agli interventi di efficientamento energetico, all’installazione di impianti solari fotovoltaici ed, eventualmente, dei sistemi di accumulo –  il miglioramento di almeno due classi energetiche, ovvero, se non possibile, in quanto l’edificio o l’unità immobiliare è già nella penultima classe, il conseguimento della classe energetica più alta.

Ne consegue che qualora l’edificio si trova in classe energetica “A3” basterà salire alla classe successiva “A4” per vedere riconosciuta la detrazione nella misura del 110 per cento.

 

 

Come funziona la detrazione


Con il Superbonus gli interventi di efficientamento energetico (es. cappotto termico e sostituzione caldaia) e di messa in sicurezza antisismica degli edifici godranno di un’aliquota di detrazione pari al 110% del costo degli interventi effettuati.

Questa aliquota si applicherà alle spese sostenute dal primo luglio 2020 al 31 dicembre 2021.

Il beneficiario potrà scegliere se:


– utilizzare la detrazione spettante in cinque quote annuali di pari importo (questo nel caso in cui effettui direttamente la spesa pagando l’impresa o le imprese che eseguiranno gli interventi);

– optare per lo sconto in fattura applicato dall’impresa o dalle imprese;

 – oppure per la cessione del credito ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito con facoltà di successiva cessione.

L’opzione può essere effettuata in relazione a ciascuno stato di avanzamento dei lavori che, con riferimento agli interventi ammessi al Superbonus, non può superare il numero  di due per ciascun intervento complessivo.

Il primo stato di avanzamento, inoltre, deve riferirsi ad almeno il 30% e il secondo ad almeno il 60% dell’intervento medesimo.


I crediti d’imposta, che non sono oggetto di ulteriore cessione, sono utilizzati in compensazione attraverso il modello F24.

Il credito d’imposta è fruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione.

Attenzione: la quota di credito d’imposta non utilizzata nell’anno non può essere fruita negli anni successivi, e non può essere richiesta a rimborso.


L’Agenzia delle entrate ha pubblicato il modello per la comunicazione dell’opzione su cessione del credito o sconto in fattura.


In particolare, la Comunicazione per fruire dello sconto o della cessione può essere inviata all’Agenzia delle entrate a partire dal 15 ottobre 2020 ed entro il 16 marzo dell’anno successivo a quello in cui si sostiene la spesa, utilizzando il modello pubblicato.

La comunicazione deve essere inviata esclusivamente in via telematica, anche avvalendosi degli intermediari, dal beneficiario della detrazione (per quanto riguarda gli interventi eseguiti sulle unità immobiliari) o dall’amministratore di condominio (per gli interventi eseguiti sulle parti comuni degli edifici). Per gli interventi che danno diritto al Superbonus, la comunicazione deve essere inviata esclusivamente dal soggetto che rilascia il visto di conformità.


In aggiunta agli adempimenti ordinariamente previsti per le detrazioni, ai fini dell’opzione per la cessione o lo sconto riferiti al Superbonus prevista dall’articolo 121 del Decreto Rilancio, è necessario richiedere il visto di conformità dei dati relativi alla documentazione che attesta la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione d’imposta.


È necessario, inoltre, richiedere, sia ai fini dell’utilizzo diretto in dichiarazione del Superbonus che dell’opzione per la cessione o lo sconto:

  • per gli interventi di efficientamento energetico, duplice attestato di prestazione energetica (APE) ante e post intervento, rilasciato da tecnico abilitato nella forma della dichiarazione asseverata, che consente di dimostrare che l’intervento realizzato è conforme ai requisiti tecnici richiesti e la corrispondente congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico sono stabilite le modalità di trasmissione della suddetta asseverazione e le relative modalità attuative;

  • per gli interventi antisismici, l’asseverazione da parte dei professionisti incaricati della progettazione strutturale, direzione dei lavori delle strutture e collaudo statico secondo le rispettive competenze professionali, e iscritti ai relativi Ordini o Collegi professionali di appartenenza, dell’efficacia degli interventi, in base alle disposizioni di cui al decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti 28 febbraio 2017, n. 58.

    I professionisti incaricati devono attestare anche la corrispondente congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati.

 

 

 

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I debiti dei coniugi in comunione dei beni.

 

 

Chi risponde dei debiti dei coniugi in comunione dei beni?

 

 

 

Alcune persone usano metà della loro ingegnosità per mettersi nei debiti, e l’altra metà per evitare di pagarli.”
GEORGE DENNISON PRENTICE

 

 

 

Gioco del “chi buttiamo giù dalla torre”.


Rispondere in 3 secondi alle seguenti domande:


Giorno o notte?
Auto o moto?
Juve o Inter? (Inter!)
Comunione dei beni o separazione dei beni?


Alt, per questa domanda – obbligatoria per ogni nubendo (anche se molti se la pongono solamente il giorno prima delle nozze) – ci vuole un po’ di tempo e conoscere l’Abc delle conseguenze che la scelta del regime patrimoniale comporterà sulle sostanze della famiglia e del singolo coniuge.


Non ci soffermiamo ancora una volta su quali beni entrino in comunione e quali no. (chi ha pazienza e voglia legga questi articoli precedenti 1  2  3  4 ).


Oggi partiamo dal presupposto di una scelta già fatta – quella della comunione dei beni – e ci concentriamo su quali effetti possano determinare eventuali esposizioni debitorie dei coniugi che vi abbiano optato.


Una prima macro distinzione:

di chi sono i debiti? Della comunione o del singolo coniuge? 


a) Creditori della comunione legale.


Sono titolari di diritti di obbligazione gravanti sui beni della comunione. Il nostro codice ne dà un elenco tassativo (art. 186 cc).


Più precisamente, il loro credito deriva da:


– pesi ed oneri gravanti sui beni della comunione al momento dell’acquisto (es ipoteche, pegni etc..);

– tutti i carichi dell’amministrazione dei beni comuni (ad es. manutenzione ordinaria e straordinaria);

– spese per il mantenimento della famiglia e per l’istruzione e l’educazione dei figli e di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente nell’interesse della famiglia;

– ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi.

Come si potrà notare, l’elenco è basato su due criteri di massima, uno funzionale – l’interesse comune della famiglia – l’altro soggettivo – l’assunzione congiunta della spesa da parte dei coniugi – a prescindere dal motivo per cui l’obbligazione sia stata contratta.

Per tali spese i coniugi i coniugi saranno tenuti a rispondere innanzitutto con i beni della comunione stessa.

 

debiti dei coniugi in comunione dei beni
debiti dei coniugi in comunione dei beni: chi paga e con cosa?

 

 

Qualora questi dovessero rivelarsi insufficienti, dei debiti della comunione risponderanno i singoli coniugi col proprio patrimonio personale, nel limite della metà di quanto complessivamente dovuto (190 cc).

In buona sostanza, al creditore dei coniugi che abbiano contratto il debito della tipologia indicata nell’elenco che abbiamo sopra riportato, sarà data soddisfazione con l’intero patrimonio della comunione e, se non bastasse, con quello di ogni singolo coniuge, in questo caso nei limiti della metà del credito.

Una precisazione:se il debito fosse contratto da un solo coniuge, nell’interesse della famiglia, la limitazione della responsabilità alla metà del credito varrà solo per l’altro coniuge, mentre colui che abbia assunto l’obbligazione risponderà per tutto l’importo dovuto (una volta appurata la non sufficienza del patrimonio comune).

Al contrario, se l’obbligazione fosse stata assunta congiuntamente dai coniugi, ciascuno di essi ne risponderà per l’intero, una volta escussi i beni della comunione, secondo il principio generale a mente del quale i condebitori sono tenuti in solido ( e per l’intero), se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente.


b) creditori particolari del singolo coniuge.


In relazione ai debiti contratti per le obbligazioni personali del singolo consorte per motivi estranei all’interesse familiare, è agevole dedurre che costui risponda, innanzitutto, col proprio patrimonio.

Qualora questo non bastasse, ai creditori sarà offerta, in via sussidiaria, la possibilità di attingere il patrimonio comune, nei limiti della metà, ossia la quota di spettanza del debitore.

Di quali debiti si può trattare?

Ad esempio quelli relativi all’attività professionale del coniuge, oppure quelli contratti per una propria esigenza personale, o per l’amministrazione di beni che solo a lui appartengano ed ancora per far fronte a obblighi risarcitori (ad esempio un sinistro) pendenti solamente nei suoi confronti.

 

 

Modifica assegno di separazione o divorzio Gli importi già percepiti non vanno restituiti

 


Attenzione, un’interessante precisazione.


Il nostro codice impone che l’amministrazione dei beni della comunione spetti disgiuntamente ad entrambi i coniugi se si tratti di ordinaria amministrazione, mentre congiuntamente ad entrambi i coniugi se si tratti di straordinaria amministrazione.

L’atto di straordinaria amministrazione compiuto da un solo coniuge senza il consenso dell’altro può essere da questi annullato.

Ebbene, per le obbligazioni contratte per finalità di straordinaria amministrazione da un solo coniuge senza il necessario consenso dell’altro è riconosciuta la possibilità ai creditori di aggredire, in primis, l’intero patrimonio del coniuge che abbia assunto l’obbligazione, mentre i beni della comunione saranno sottoposti, in via sussidiaria, al soddisfacimento del creditore nei limiti della metà, ossia della quota del coniuge debitore (art. 189 cc).

Volete una chicca?


Il nostro codice civile, nella materia di cui oggi ci occupiamo, contempla una lampante contraddizione tra norme, allorquando dapprima stabilisce che i beni della comunione, non rispondano delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima del matrimonio (art 187 cc), mentre all’art. 189 cc è stabilito che “i creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”.

Opinioni per risolvere il dilemma?

Graditissime.

 

 

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Discriminazioni misure urgenti di solidarietà alimentare: il bisogno primario non ammette subordinazioni

 

 

Discriminazioni misure urgenti di solidarietà alimentare: il bisogno primario non ammette subordinazioni

 

Grazie alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 


Con Ordinanza del 30.04.2020, il Tribunale di Ferrara ha dichiarato il carattere discriminatorio della delibera n. 113/2020 della Giunta del cittadina estense avente ad oggetto le linee di indirizzo per l’erogazione delle risorse da destinare a misura urgenti di solidarietà alimentare sotto forma di “buoni spesa” una tantum.


Il Tribunale ha, quindi, condannato il Comune di Ferrara alla riformulazione delle linee di indirizzo per l’erogazione delle risorse da destinarsi a misura urgente di solidarietà alimentare sotto forma di buoni spesa una tantum con eliminazione delle clausole discriminatorie che di seguito si evidenziano.

L’Associazione degli Studi Giuridici sulla Immigrazione, esercitando una azione di tutela collettiva, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 215/2003, ha proposto un ricorso ex art. 700 c.p.c. al fine di ottenere l’accertamento della natura discriminatoria di tale delibera nella parte in cui viene a subordinare l’accesso al predetto strumento assistenziale da parte dello straniero non appartenente alla Unione Europea al possesso di un permesso di lungo soggiorno, oltre che subordinare il contributo alla residenza anagrafica, stabilendo una gradazione interna per la ripartizione delle risorse (prima gli italiani, poi i cittadini comunitari ed infine gli stranieri extracomunitari con permesso di lungo soggiorno).

 

 

Come noto, le fonti che riconoscono il diritto alla assistenza sociale quale garanzia della dignità umana e di sostentamento minimo hanno carattere non solo interno (artt. 2,3 e 38 della Carta Costituzionale), ma anche internazionale (richiamate ex art. 10, II comma della Costituzione, artt. 1, 14 e 26 della CEDU) ed infine comunitario (art. 34 della Carta dei diritti dell’Unione Europea 2) .


È per questo motivo che l’assistenza e la solidarietà sociale devono essere riconosciute non solo al cittadino, ma anche allo Straniero.


Nei limiti in cui poi si riflette sul diritto alla alimentazione, quale bisogno primario di ogni essere umano, la disciplina normativa finisce per incidere su quel “nucleo irriducibile” di diritti fondamentali della persona che lo Stato deve riconoscere a tutti indipendentemente dalle norme che regolano il soggiorno nello Stato (cfr. Corte Costituzionale n. 252/2001)


Del resto non si sta discutendo dell’accesso a prestazioni assistenziali “ordinarie” “ma dell’accesso ad una misura emergenziale tesa a fronteggiare le difficoltà dei soggetti più vulnerabili a soddisfare i propri bisogni primari a causa della situazione eccezionale determinata dall’emergenza sanitaria in atto.

Si tratta del diritto all’alimentazione che costituisce il presupposto per poter condurre un’esistenza minimamente dignitosa e la base dello stesso diritto alla vita e alla salute. Non vi è dubbio, quindi, che si tratta di quel nucleo insopprimibile di diritti fondamentali che spettano necessariamente a tutte le persone in quanto tali (cfr. Tribunale Roma n. 12835/2020).

 

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Discriminazioni misure urgenti di solidarietà alimentare: il diritto all’alimentazione non ammette subordinazioni

 

Del resto, la stessa Ordinanza introduttiva di tali forme di assistenza (Ordinanza della Protezione Civile n. 658/2020), all’art. 2, VI comma, prevede che il solo criterio contenuto nel provvedimento di determinazione sulle modalità di riconoscimento del beneficio assistenziale è la condizione economica del richiedente, ovvero lo stato di bisogno per soddisfare le necessità più urgenti con priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico.


Nessun elemento ulteriore è ivi contenuto ad ulteriore conferma dell’illegittimità dell’atto amministrativo adottato dal Comune.


Del resto è evidente che l’ottenimento del permesso di soggiorno di lunga durata richieda requisiti minimi di reddito: imporre tale requisito determinerebbe l’esclusione dalla tutela proprio dei soggetti più deboli e fragili.

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Discriminazioni misure urgenti di solidarietà alimentare

la “nuova” ristrutturazione edilizia prevista dal decreto semplificazioni

 

 

 

La “nuova” ristrutturazione edilizia prevista dal decreto semplificazioni (DL 76 del 2020).

 

 

Il Dpr 380 del 2001 (Testo unico in materia di edilizia), all’art. 3, contiene le definizioni degli interventi edilizi e, alla lettera d), contempla quella della ristrutturazione che può essere di due distinti tipi:


– quella “conservativa” che comprende “il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”;

-quella “ricostruttiva” che comprende anche gli interventi consistenti “nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quella preesistente”.


Tali tipologie di ristrutturazione sono identiche quanto alla finale realizzazione di un “organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente” ma differiscono per la presenza (o meno) della demolizione (anche parziale) del fabbricato preesistente.


Va notato come il legislatore statale abbia progressivamente allargato nel tempo l’ambito degli interventi di ristrutturazione ricostruttiva.


A tale riguardo, si ricorda come, in origine, l’art. 3, comma 1, lettera d), del T.U. Edilizia (DPR 380 del 2001) disponesse che, in caso di demolizione, la ricostruzione per essere tale e non essere considerata una nuova “costruzione” doveva concludersi con la «fedele ricostruzione di un fabbricato identico», comportando, dunque, identità di sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche dei materiali.

 

 

Il successivo decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301 ha, poi, modificato la definizione di “ricostruzione”, eliminando sia lo specifico riferimento alla identità dell’area di sedime e alle caratteristiche dei materiali, sia il concetto di “fedele ricostruzione”.


Nel 2013, il cosiddetto “decreto del fare” ha quindi eliminato anche il riferimento alla sagoma, con il risultato che, per gli immobili non vincolati, l’unico parametro di riferimento è quello della volumetria.

La Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 70 del 2020, richiamando l’evoluzione del concetto di ristrutturazione aveva osservato che la tendenza ad un suo ampliamento si è arrestata nel 2019 con l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019 (cosiddetto decreto “sblocca cantieri”) che ha inserito il comma 1-ter all’art. 2-bis del DPR 380/2001.


Tale disposizione stabilisce (o, meglio, stabiliva) che “in ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo“.


Allo stato attuale quindi, sottolineava la Corte, la ristrutturazione ricostruttiva, autorizzabile mediante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), “è ammissibile purché siano rispettati i volumi, l’area di sedime del manufatto originario e, per gli immobili vincolati, la sagoma”.


Questa disposizione, osserva sempre il Giudice delle Leggi, “detta evidentemente una regola unitaria, valevole sull’intero territorio nazionale, diretta da un lato a favorire la rigenerazione urbana e, dall’altro, a rispettare l’assetto urbanistico impedendo ulteriore consumo di suolo”

 

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nuova ristrutturazione edilizia prevista dal decreto semplificazioni

 

Visto l’arresto della Corte Costituzionale, il legislatore con il recente Decreto Semplificazioni è intervenuto nuovamente modificando, anzi sostituendo, il comma 1 ter dell’art. 2 bis.

Ora il nuovo testo, introdotto dal  D.L 76/2020, stabilisce che “in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti. Nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione, sono consentite esclusivamente nell’ambito di piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatte salve le previsioni degli strumenti di pianificazione urbanistica vigenti.

 

 

Il Decreto semplificazioni ha pure modificato la definizione di ristrutturazione di cui all’art. 3 Testo unico edilizia. Ora, tale articolo stabilisce che “ nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria;

In sostanza, alla luce dei “nuovi” articoli del Testo Unico edilizia, si dovrà rispettare la sagoma e l’area di sedime solo per il rispetto delle distanze preesistenti. Qualora non vi sia un problema di distanze, si potrà modificare completamente l’edificio preesistente quanto a sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche e, qualora la normativa lo preveda, potranno essere inseriti incrementi di volumetria.

 

 

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