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Autore: Studio Legale Berto

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Fotocopia del testamento olografo: vale tanto/quanto l’originale?

 

Quale valore ha la fotocopia del testamento olografo?

 


Segretezza, rapidità di esecuzione, economicità.


Questi sono i vantaggi più significativi del testamento olografo.


Non comporta alcun costo, può essere redatto in qualsiasi momento senza impiego di materiale particolare (bastano carta e penna) e, se ben nascosto, può rimanere sconosciuto al mondo fino …. al momento opportuno. Basta che poi qualcuno, possibilmente il soggetto più affidabile, lo rinvenga dopo la morte del testatore.


Limiti di tale tipologia dispositiva?


Redigere l’atto di ultime volontà senza l’ausilio di un professionista – un notaio, un avvocato – potrebbe esporre a possibili incongruenze su contenuto e forma, con riflessi sulla validità dello scritto e sulla tenuta delle prescrizioni indicate.

Non solo.


Passi che sia segreto, ma il rischio è che possa rimanere tale anche dopo la morte del disponente, senza che alcuno mai lo rinvenga. Oppure potrebbe essere oggetto di sofisticazioni da parte di eventuali malintenzionati, financo passibile di agile distruzione, se non conforme ai desiderata di chi lo abbia per le mani (si ricorda essere un reato che, tra l’altro, comporterebbe l’indegnità a succedere del suo autore).


Ed ancora.


Proprio per l’agilità con cui può essere confezionato un testamento olografo, potrebbe altrettanto facilmente essere oggetto di modifiche, revoche, integrazioni da parte del suo autore, determinando così possibili fraintendimenti circa l’esatta portata- a conti fatti – delle volontà del de cuius.


Per ovviare a queste problematiche capita di frequente che il testatore affidi a persone di propria fiducia una fotocopia del proprio testamento, di modo che sia per esse agile risalire all’esistenza ed alla consistenza di tali disposizioni dopo la sua morte.


E’ altrettanto consueta la circostanza che, possibili eredi, a dispetto della segretezza del testamento, intendano cristallizzare le proprie pretese fotocopiando un testamento rinvenuto con modi più o meno plausibili, agitandone il contenuto allorquando, in sede successoria, le disposizioni siano difforme rispetti alle proprie aspettative.


E qui viene il bello, o meglio, il tema dell’odierno spunto di riflessione.

 

fotocopia-testamento

 


Che valore ha la fotocopia del testamento olografo?


Di primo acchito, verrebbe da dire: nessuna, se vi sia l’originale del testamento; in mancanza, sostituirebbe il testamento stesso.


Non è proprio così.


A monte, infatti, è necessario operare una valutazione: perchè non esiste più l’originale del testamento?
Tra le varie possibilità, deve essere primariamente considerata quella per cui il testatore stesso abbia inteso sbarazzarsene, con ciò revocando tale atto di ultime volontà.


E’ la legge stessa a contemplare e disciplinare tale eventualità: il testamento olografo distrutto, lacerato o cancellato, in tutto o in parte, si considera in tutto o in parte revocato, a meno che si provi che fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore, ovvero si provi che il testatore non ebbe l’intenzione di revocarlo. Art 684 cc.


Vi è, pertanto, una sorta di presunzione legale: la distruzione del testamento si presume essere avvenuta ad opera del testatore, con la volontà – anch’essa presunta – di revocarlo. Chi abbia interesse (e possibilità) a dimostrare il contrario deve – lui – provarlo.


Conseguentemente, approdiamo ad un primo risultato: nessun valore avrà la fotocopia del testamento distrutto dal de cuius stesso o di cui non si abbia prova sia stato eliminato da altri.


Si noti, il testatore potrebbe aver tolto dalla circolazione il proprio scritto inavvertitamente: potrebbe averlo perso o eliminato senza volerlo (per caso fortuito o forza maggiore). In tal caso non sussisterà la revoca tacita disposta dalla legge, tuttavia sarà necessario dimostrare la circostanza volta a superare la presunzione che ne sta alla base, ossia che tale attività non sia corrisposta ad intenti revocatori.


Bene, passaggio successivo: si ha la prova dell’esistenza del testamento alla morte del testatore – che, conseguentemente, non potrà essere considerato l’autore della sua eliminazione o sparizione, ma gioco forza sarà da attribuire a terzi o a circostanze ulteriori e sopravvenute.


Che valore avrà la fotocopia del testamento olografo?


Innanzitutto, partiamo dal fatto che la fotocopia non potrà assumere il medesimo valore e ruolo del testamento. Solo quest’ultimo potrà essere oggetto di pubblicazione da parte del Notaio, che può procedervi unicamente in caso di allegazione della “carta su cui è stato redatto” (art. 620 cc) e non già sulla base di un documento che ne potrebbe costituire semmai la prova, ma non è l’originale.

 
Giocoforza, chi vorrà avvalersi della fotocopia del testamento olografo, dovrà agire in giudizio.


Diciamo subito che il percorso giudiziale non sarà agile: la legge, infatti, stabilisce che “le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta

 

ritrovamento di un nuovo testamento
Fotocopia testamento olografo: perchè l’originale non esiste più?


In buona sostanza, o la fotocopia del testamento prodotta in causa sarà stata autenticata da pubblico ufficiale – circostanza ascrivibile a possibilità microscopiche – oppure, come 99 volte su 100 accade, i convenuti contro i quali sia stata fatta valere la copia dello scritto potranno disconoscerla, vuoi perchè non ammettono sia stata redatta a mani del de cuius,(Art. 214 cpc), vuoi perchè non la ritengono conforme all’originale (art. 2719 cc) , ponendo l’attore in un tutt’altro che agevole onere probatorio.


In tribunale, infatti, si dovrà provare: che il testatore aveva redatto il documento prodotto in fotocopia; che il medesimo non sia stato distrutto o disperso ad opera del de cuius, ma bensì per mano di terzi o per circostanze non ascrivibili alla volontà di revoca del disponente; che l’originale del testamento esisteva al momento dell’apertura della successione, che la fotocopia sia conforme al testamento originale ed ascrivibile alla mano del defunto (art. 216 cc).

 

 

 

 

 

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Fotocopia del testamento olografo

Guida agli aspetti legali della crisi nel matrimonio e nella coppia

Avvocato separazione Vicenza

Questo contributo non è un manuale di diritto.

Di quelli ce ne sono parecchi, alcuni preziosissimi, forse troppo elaborati e tecnici per chi, come te, si trova coinvolto nel marasma di un matrimonio in difficoltà e vuole conoscere alcune informazioni base sui passi da intraprendere, sui percorsi da esplorare, sui propri diritti e i propri doveri, verso il coniuge, verso i figli.

Ho frequentato il liceo classico da giovane. A chi, come molti, mi chiede a cosa sia servito studiare lingue “morte”, storia di culture passate e remote, materie non immediatamente spendibili per un lavoro, io rispondo che ho imparato a voler conoscere, ad andare alla ricerca di risposte, a desiderare di informarmi sempre di più, a scoprire chi sono, dove mi trovo e dove voglio andare.

Bene, sono convinto che da qualche nozione fondamentale si possa ottenere una prima risposta ai quesiti che passano per la testa durante la crisi matrimoniale.

A te, che cerchi una strada, sta il compito di approfondirle o di farti accompagnare.

Avv. Paolo Giovanni Berto

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La crisi nel matrimonio e nella coppia

Guida semplice agli aspetti legali da conoscere per affrontarla

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Conto corrente e comunione dei beni

 

Conto corrente e comunione dei beni: a chi appartiene il denaro che vi confluisce?

 

 

“Nella vita ci sono cose ben più importanti del denaro. Il guaio è che ci vogliono i soldi per comprarle!”
GROUCHO MARX


ma se le cose si comprano, poi cadono in regime di comunione dei beni immediato, mentre il denaro no.

 

 

 

Avevamo creato scalpore.


Quando avevamo pubblicato l’articolo “Comunione dei beni: i soldi dello stipendio appartengono solo a chi li guadagna.” eravamo ben consci che non a tutti tornavano i conti.


Eppure la legge parla chiaro: “i proventi oggetto dell’attività separata di ciascuno dei coniugi” costituiscono oggetto di comunione solo se “non consumati allo scioglimento della comunione” (art. 177 cc).


Avevamo operato una distinzione: vi sono beni che entrano immediatamente a far parte della comunione: gli acquisti. Marito o mia moglie vanno ognuno per i fatti propri a comprare un divano ed una televisione. Entrambi i beni apparterranno al dominio comune dei consorti, anche se conseguiti con denaro del proprio stipendio.


Determinati beni entreranno a far parte della comunione solo se “non consumati allo scioglimento” della stessa. Si tratta della comunione de residuo. Il denaro che guadagno con la mia attività professionale appartiene soltanto a me. Se mi compro un divano, quello apparterrà anche a mia moglie, perchè è un acquisto. I soldi che residueranno al termine della comunione entreranno, ahime’, nell’orbita della (con)titolarità di entrambi.

 


Oggi facciamo un passo avanti.


E se il denaro, anziché impiegarlo in acquisti, o nasconderlo sotto al letto, lo depositassi in banca? La liquidità contenuta nel conto corrente apparterrebbe soltanto a me oppure entrerebbe a far parte della comunione?


Si tratta di appurare se l’apertura di conto corrente con conseguente movimentazione bancaria costituisce oppure no “acquisto”, soggetto al regime patrimoniale che oggi analizziamo.


Vediamo: quando si deposita del denaro in un c/c cosa  ne si consegue? La possibilità di poterlo chiedere indietro quando si vuole. E’ un diritto di credito, quindi. E ciò che ne deriverà sarà sempre e comunque la somma che si è versata.


E poiché il diritto di credito fa parte del novero delle obbligazioni e queste sono escluse dall’orbita della comunione dei beni, il denaro sussistente nel conto corrente derivante dalla propria attività separata, apparterrà solo al titolare che lo abbia conseguito, fino al termine del regime di comunione, allorquando dovrà essere spartita la porzione che ne sarà residuata.


Assistiamo spesso, al culmine delle crisi matrimoniali, ad improvvisi sussulti in ordine alla movimentazione dei conti correnti. Somme rimaste giacenti da tempo sparite in un soffio. Accantonamenti, frutto di risparmi e sacrifici, repentinamente volatilizzati.


L’intento, senza voler peccare di eccessiva malizia, è quello di lasciare meno possibile liquidità sul conto da spartire al termine della comunione.

 

Conto corrente e comunione dei beni
Conto corrente e comunione dei beni


Si faccia attenzione: costituiscono oggetto della comunione de residuo tutti i redditi, percetti o percipiendi rispetto ai quali il titolare dei redditi stessi non riesca a dare prova o che sono stati consumati per il soddisfacimento di bisogni della famiglia (anche suoi personali) o per investimenti già caduti in comunione.


La legge, tuttavia, non pone obblighi di destinazione sui beni oggetto della comunione “de residuo” né limiti o controlli alla facoltà di “consumazione”.

L’esercizio di quest’ultima, ovvero l’impiego nei più vari modi, ma senza che l’operazione comporti nuovi, durevoli acquisti, sottrae “lecitamente” cespiti a quella che, al momento dello scioglimento della comunione, diverrà esattamente la comunione “de residuo”.


Quali rimedi potranno essere accordati al coniuge che si sente defraudato di somme che potrebbero appartenergli di lì a poco, allo scioglimento della comunione?


Potrà, ad esempio, chiedere l’anticipata separazione dei beni: art. 193 c.c.,  il quale, in caso di cattiva gestione di uno dei coniugi nei propri affari o di mala amministrazione dei beni, riconosce l'”interesse” dell’altro coniuge, esprimendo un concetto che può comprendere l’aspettativa inerente la comunione residuale.


Potrebbe anche avvalersi di strumenti di tutela di carattere generale spettanti ad ogni creditore, del genere delle azioni revocatoria e surrogatoria nonché del risarcimento dei danni, sia, infine, in via di estremo subordine, invocare il principio di buona fede ed il divieto dell’abuso del diritto, fermo l’obbligo, per il coniuge “dissipatore”, di rendere il conto delle sue entrate e di come sono state spese (così Cass. Civ. 13441/2003).

 

 

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Conto corrente e comunione dei beni

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Rinunciare all’eredità perchè si è indebitati?

 

E’ conveniente rinunciare all’eredità perchè si è indebitati?

 

Confusione.

 

L’accettazione pura e semplice dell’eredità comporta la cd confusione dei patrimoni: quello del defunto con quello dell’erede.

I debitori del defunto potranno aggredire anche i beni dell’erede e viceversa, quelli dell’erede troveranno una massa maggiore di attività su cui soddisfarsi.

Per evitare la confusione, l’erede può valutare di accettare l’eredità col beneficio di inventario: in questo modo sarà tenuto a rispondere dei debiti del defunto nei limiti di quanto ricevuto con la successione e con i beni stessi che gli siano pervenuti.

Tale rimedio, tuttavia, non lo copre dall’aggressione dei propri creditori personali, che si fregheranno le mani nel constatare l’aumento della consistenza patrimoniale del debitore.

Una scelta che da molti valutata è quella di non provvedere ad alcuna accettazione o, addirittura, di rinunciare all’eredità perchè si è indebitati.

Cada Sansone e tutti i filistei. Se non si può ereditare perchè i beni saranno pignorati dai creditori, almeno si salva il salvabile, lasciando ad altri eredi della compagine familiare la possibilità di incamerare la propria quota, magari con un patto di retrocessione quando le acque saranno più calme o con la possibilità se non di disporre, almeno di utilizzare (usufrutto, comodato, locazione a prezzo vile) taluni beni relitti.

 

Risarcimento danni per mancato pagamento assegno di mantenimento

 

Siamo salvi?

Taaaaac, sbagliato, e il motivo è presto detto.

Impugnazione della rinuncia/ Surrogatoria

I creditori dell’erede rinunciante potrebbero utilizzare uno di questi due rimedi previsti dalla legge per la tutela delle proprie pretese.

Prima strada.

Il debitore chiamato all’eredità mantiene un atteggiamento ostinatamente dilatorio nell’accettazione – ricordiamo che vi sono 10 anni di tempo per farlo, se non si sia in possesso dei beni ereditari – allo scopo di far passare acqua sotto il mulino e scoraggiare immediate azioni esecutive, confidando che il tempo aiuti all’oblio.

In questo caso i creditori potrebbero, in primo luogo, agire in giudizio affinchè venga assegnato un termine al debitore entro cui accettare l’eredità.

Trascorso inutilmente questo termine, la legge stabilisce che il chiamato decada dal diritto di accettare, per cui non diventerebbe erede e non acquisirebbe i beni caduti in successione.

Bene, una disposizione di legge – art. 524 cc – prevede che “Se taluno rinunzia, benché senza frode, a un’eredità con danno dei suoi creditori , questi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti”.

Capito? I creditori potranno accettare l’eredità al posto del debitore, conseguendone le utilità necessarie per rientrare delle proprie ragioni.

In maniera analoga, il rimedio sopra indicato potrà essere esperito quando il debitore non abbia indugiato, nel tentativo di approfittare del tempo che passa, ma abbia espressamente provveduto a rinunciare all’eredità.

 

rinuncia ad eredità del debitore
Rinunciare all’eredità perchè si è indebitati? potrebbe non bastare per sottrarsi alle ragioni dei creditori.

 

Seconda strada.

Ogni scarrafone è bello a mamma soja, cantava il grande Pino Daniele.

Ben potrebbe accadere che il defunto, in vita, conoscendo l’esposizione debitoria del proprio caro, intenda preservare i beni che cadranno in successione, attribuendoli, in tutto o in parte, ad altri eredi, accrescendo da subito le loro quote con la porzione che sarebbe spettata all’indebitato.

Questi, conseguentemente, sarà o pretermesso dall’eredità, oppure i suoi diritti di legittimario saranno compressi, con attribuzioni che non tengono conto della quota ad esso riservata.

Ovviamente, anche in questo caso i creditori dell’erede/debitore leso nella sua quota saranno danneggiati dal mancato introito della giusta porzione patrimoniale.

Essi potranno esercitare un’azione surrogatoria.

La surrogatoria è una tutela che il codice civile (art. 2900) attribuisce al creditore per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni e consiste nella possibilità di esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare.

I creditori, pertanto, potranno agire, sostituendosi al debitore leso o escluso nella quota di legittima ed esercitare l’azione di riduzione, volta ad appurare la sua qualifica di erede legittimario, la lesione dei diritti a lui riservati, la riduzione delle disposizioni successorie (ma anche donative) effettuate dal de cuius, la restituzione delle eccedenze attribuite ad altri, la soddisfazione su queste ultime delle proprie ragioni creditorie.

Dubbi?

Fino a qualche tempo fa, qualcuno ve ne era.

Come si può leggere dalla norma richiamata, la surrogatoria non può riguardare diritti o azioni che per la loro natura o disposizione di legge non possano essere esercitati se non dal loro titolare.

In questo senso, vi è una disposizione codicistica (art. 557 cc) che attribuisce il diritto di esercitare l’azione di riduzione solamente al legittimario, ai suoi eredi o aventi causa e, pertanto, sembrerebbe essere un rimedio personale non sostituibile.

Una significativa apertura, tuttavia, la apprendiamo da una sentenza recente recente della Suprema Corte, che espressamente viene a stabilire che “È ammissibile l’esercizio in via diretta dell’azione surrogatoria – prevista dall’art. 2900 c.c. – nella proposizione della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima da parte dei creditori dei legittimari totalmente pretermessi che siano rimasti del tutto inerti, realizzandosi un’interferenza di natura eccezionale – ma legittima – nella sfera giuridica del debitore; infatti, l’azione surrogatoria non è altro che lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad alimentare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori”.

 

 

 

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Rinunciare all’eredità perchè si è indebitati

Visita ai figli di genitori separati durante l’emergenza Coronavirus.

 

Visita ai figli di genitori separati durante l’emergenza Coronavirus.

 

Dalla crisi sanitaria, a quella economica, alla crisi degli affetti.


Coronavirus appare essere un’emergenza che coinvolge tutti i segmenti della vita delle persone, tant’è che gli studiosi – ma non ci vuole una laurea per predirlo – ipotizzano ripercussioni sulla salute psicologica per un italiano su due.


I DPCM si sono susseguiti ed hanno via via ristretto il campo della libera circolazione dei cittadini.

 

 

Restare a casa”: un obbligo di civiltà, prima ancora che un’ordine dell’autorità da rispettare.


Come per tutti i provvedimenti improvvisati dall’urgenza, molte sono le zone grigie, rispetto alle quali vi sono margini di dubbio sull’applicazione del divieto.


Oggi ci occupiamo del diritto alla visita ai figli dei genitori separati durante l’emergenza Coronavirus.

 

Riduzione assegno mantenimento per emergenza coronavirus

 


Il Decreto Del Presidente Del Consiglio Dei Ministri 22 marzo 2020  proibisce “a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”.


Non solo. A differenza di quanto statuito nel precedente Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, ora non è nemmeno più consentito “il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.

Conosciamo, quindi, le motivazioni per cui il divieto contempli una deroga e, di primo acchito, non sembrerebbero consentiti spostamenti per far visita a parenti.


Ci sono  un “ma” e due “però”.


Un’apertura la rinveniamo dal sito del Governo, laddove alle FAQ, in risposta ai quesiti interpretativi sul decreto, ve ne è uno apposito, concernente il diritto di visita dei genitori separati.


Domanda: Sono separato/divorziato, posso andare a trovare i miei figli?
, gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio.


Tutto bene? Tutti d’accordo?


No, e il motivo è presto detto.


Logica vuole che se è rischioso il contatto tra nuclei di persone diverse, quali – purtroppo – sono quelli composti da due genitori separati, propugnare la spola ai figli, da una casa all’altra, oppure sottoporli alla frequenza, pur familiare, di soggetti con ulteriore esposizione contaminosa, potrebbe costituire un rischio non da poco.


Ed ecco i due “però”.


Due pronunce giudiziali, venute a pronunciarsi proprio sulla possibilità di visita e di spostamento dei figli durante il periodo di emergenza.


Il Tribunale di Napoli, con provvedimento recante data 26 marzo scorso, ha disposto che la disciplina delle visite non preveda più lo spostamento dei minori ritenuta la “inopportunità di tale spostamento” atteso il delicato momento in essere e “l’esposizione al rischio”.


Dello stesso avviso la Corte di Appello di Bari, Sezioni Minori e famiglia, che ha ritenuto non sicuri e prudenti gli incontri dei minori con genitori dimoranti in comune diverso da quello di residenza.


Per la corte pugliese, infatti, lo scopo primario della normativa che ha limitato il libero movimento sul territorio è il contenimento del contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori, rispetto ai quali, tra l’altro, “non è verificabile” se nel corso del rientro presso il genitore collocatario siano stati esposti a rischio sanitario con conseguente rischio per coloro che ritroveranno al rientro presso la propria abitazione.

 

Diritto di visita figli separati coronavirus
Visita ai figli di genitori separati durante l’emergenza Coronavirus: per la corte d’appello una telefonata allunga la vita

 


Conseguentemente, si è ritenuto di limitare il diritto di visita, da esercitare attraverso lo strumento delle videochiamate per periodi di tempo uguali a quelli fissati e secondo il medesimo calendario.


Una statuizione, peraltro, in linea con le stesse interpretazioni governative che, proprio nelle medesime FAQ cui abbiamo accennato, sconsigliava la visita dei nipoti ai nonni, seppur motivata dalle esigenze lavorative dei genitori, giustificandola “solo in caso di estrema necessità, se entrambi i genitori sono impossibilitati a tenere i figli con sé per ragioni di forza maggiore. In tale caso i genitori possono accompagnare i bambini dai nonni, percorrendo il tragitto strettamente necessario per raggiungerli e recarsi sul luogo di lavoro, oppure per andare a riprendere i bambini al ritorno. Ma si sottolinea che ciò è fortemente sconsigliato, perché gli anziani sono tra le categorie più esposte al contagio da COVID-19 e devono quindi evitare il più possibile i contatti con altre persone. È quindi assolutamente da preferire che i figli rimangano a casa con uno dei due genitori che usufruiscono di modalità di lavoro agile o di congedi”.

 

 

 

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Come si interpreta un testamento?

 

 

Come si interpreta un testamento?

 

 


Può capitare con un contratto, sfidiamo a non trovare qualcuno che non sia incappato in qualche clausola dubbia, più o meno volutamente ambigua.


Succede talvolta con la legge: vai a capire la portata di questa o quella disposizione ed il suo esatto significato (scriviamo questo articolo in piena quarantena da coronavirus, quando non è ancora ben chiaro quando e come ci si possa muovere da casa).


Vuoi che all’apertura di un testamento non possano sorgere dubbi su quale fosse la reale intenzione del disponente, quali i suoi desideri, la portata delle sue attribuzioni?


Il problema è che in tal caso non possono essere effettuati atti ricognitivi di volontà, come per i contratti, oppure diramate circolari e faq come per le disposizioni di legge.


In buona sostanza, è venuto a mancare l’unico soggetto al quale si sarebbe potuto chiedere di dar conto delle sue determinazioni.


Ed allora, come si interpreta un testamento?


Non vi sono disposizioni di legge particolari, proprio perchè non è concepibile determinare preventivamente criteri plausibili di ricostruzione della volontà testamentaria.


La giurisprudenza, tuttavia, è consolidata nell’estendere l’applicazione di alcune norme ad hoc, statuite per l’ambito contrattuale, a quello che oggi ci occupa.

 

come si interpreta un testamento

 


L’articolo 1362 del codice civile, infatti, riguarda proprio la disciplina dell’interpetazione dei contratti e dispone che “Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto” .


Il rigore della forma, in buona sostanza non deve intrappolare la ricostruzione della reale determinazione dei contraenti, che dovrà essere sondata anche tenendo conto di elementi ulteriori, estendendo il campo anche alla ricostruzione logica, ricavata – ad esempio – dal contegno assunto dalle parti, prima e dopo la conclusione dell’accordo.


Si noti.


Il dato letterale sarà pur sempre l’imprescindibile base di partenza: la norma, infatti, pur imponendo agli interpreti del contratto di non limitarsi all’analisi fredda del significato letterale delle parole, lo mantiene come via privilegiata per la corretta ricostruzione della comune intenzione dei contraenti.


Il giudice, eventualmente chiamato a dirimere una controversia in merito, dovrà in primo luogo appurare scrupolosamente la ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale prima di accedere ad altri, diversi parametri di interpretazione, specie quando la comune volontà delle parti emerga in maniera certa ed immediata dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.


In buona sostanza, laddove il testo utilizzato sia chiaro e non ambiguo, sarà precluso l‘accesso ad altri criteri interpretativi.

Ben potrebbe essere, tuttavia, che – pur di fronte ad un testo chiaro dell’accordo – ci si possa trovare di fronte ad un risultato incoerente con altri elementi che rivelino una diversa volontà dei contraenti.


In tal caso, sarà possibile andare oltre, estendendo il campo a criteri ulteriori, di tipo logico, sistematico, ossia improntati a desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi conto, se del caso, anche del comportamento successivo delle parti.

 

ritrovamento di un nuovo testamento
Come si interpreta un testamento?

 

Come si interpreta un testamento?


Torniamo al nostro quesito iniziale.


Anche per il testamento il dato di partenza è pur sempre la parola utilizzata dal disponente: laddove questa non dia margini di dubbi, non si potrà ricorrere a criteri sussidiari, rimanendo preclusa all’interprete la possibilità di avvalersi di dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento.


In buona sostanza, la chiara volontà del testatore, emergente dal non equivoco dato letterale della scheda testamentaria, esclude la necessità del ricorso, quale criterio interpretativo ulteriore, a dati e circostanze estranei al testamento medesimo.


Laddove, tuttavia, dalle espressioni utilizzate non fosse possibile ricostruire l’effettiva intenzione del loro autore si potrà ricorrere ad elementi estrinseci per risolvere parole o espressioni dubbie.


L’interpretazione del testamento, infatti, è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca – al di là della mera dichiarazione – della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., che abbiamo poco fa analizzato, va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, e non di ciascuna singola disposizione.


Al fine di superare eventuali dubbi sull’effettivo significato di parole ed espressioni usate dal testatore si potrà fare riferimento anche ad elementi estrinseci alla scheda stessa, come la cultura. la mentalità, le abitudini espressive e l’ambiente di vita del testatore medesimo, di modo che il giudice nella ricostruzione della volontà, potrà attribuire alle parole usate dal de cuius un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purchè non contrastante e antitetico, e si prestino ad esprimere in modo più adeguato e coerente la reale intenzione del disponente.

 

 

 

 

 

 

 

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Riduzione assegno mantenimento per emergenza coronavirus?

 


Riduzione assegno mantenimento per emergenza coronavirus?

 

Uno dei quesiti più ricorrenti che vengono sottoposti agli avvocati in questi periodi così concitati e drammatici della crisi sanitaria in atto è se sia possibile procedere alla riduzione dell’assegno di mantenimento per l’emergenza legata al coronavirus.


La notizia è già finita sui giornali da qualche giorno: per i coniugi/genitori vi è il rischio di non riuscire a far fronte ai proprio obblighi statuiti nelle condizioni di separazione/divorzio, vuoi per quanto attiene l’assegno a favore del coniuge, vuoi per il contributo al mantenimento dei figli


Siamo ancora in mezzo al turbillon: impossibile fare precise previsioni su quando terminerà e su quali saranno le ripercussioni economiche che porterà con sé.


Un dato, per molti, è già palpabile: una contrazione lavorativa estrema, entrate nulle, spese immutate a cui far fronte attingendo i propri risparmi (per chi sia riuscito a metterne da parte).


Gli interventi di sostegno alle famiglie costituiscono un tampone striminzito che non fa cessare l’emorragia.


Non sono state previste, al momento, misure ad hoc di sussidio alle famiglie di separati e divorziati, le più penalizzate, se si tenga conto che debbono far fronte a doppie spese di casa, utenze, vitto eccetera.

 

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La situazione è drammatica per il coniuge/genitore che sia tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento, per il consorte o per i figli: egli potrebbe, infatti, avere difficoltà non solo per far fronte alle spese vive personali, detratto il contributo separativo o divorzile, ma anche ed addirittura a versare tutto o in parte l’importo mensile all’altro coniuge.


Procedere all’auto riduzione della contribuzione potrebbe comportare conseguenze spiacevoli al soggetto obbligato: un’esposizione ad azioni esecutive per il recupero degli arretrati, in sede civile, la possibilità di essere coinvolto in un procedimento penale, relativamente alle fattispeci di cui agli art. 570 e 570 bis cp, concernenti rispettivamente la violazione degli obblighi di assistenza familiare e violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio.


Rimedi?


La soluzione migliore sarebbe, senza dubbio, quella di perseguire la via del dialogo, cercando di trovare un accordo con il coniuge percipiente volto a convenire la riduzione dell’assegno di mantenimento per tutto il periodo di emergenza coronavirus ed anche per quello successivo, limitatamente alla fase in cui l’onda distruttiva della crisi avrà mietuto le risorse delle famiglie più esposte.


Con una precisazione ed una distinzione.


Se oggetto del contendere sia solamente la corresponsione dell’assegno separativo o divorzile in favore di un coniuge, nessun problema, sarà sufficiente darne contezza probatoria in un documento scritto, ricognitivo del sopraggiunto accordo.

 

 


La giurisprudenza ha da tempo affermato la validità degli accordi di natura patrimoniale successivi alla separazione o al divorzio, con i quali i coniugi contrattualmente modifichino le condizioni già oggetto di pronuncia giudiziale, sia sulla scorta di un loro ripensamento, sia alla stregua di circostanze sopravvenute e rilevanti, purché non siano volti a travolgere completamente gli obblighi ed i diritti nati col matrimonio. Nel rispetto di tali condizioni, le modificazioni acquistano efficacia indipendentemente dall’intervento del giudice (ex multis, vedasi Cass. civ. Sez. I, 10/10/2005, n. 20290).


Se, al contrario, si debba regolare la contribuzione mensile per i figli, questioni di opportunità giuridica suggeriscono alle parti concilianti di sigillare l’accordo col benestare del Tribunale, chiamato a verificarne la congruità, giacchè la giurisprudenza è oscillante nell’attribuire validità ad accordi a latere relativi alle condizioni di affidamento della prole, senza l’omologazione della pronuncia giudiziale a controllo della relativa adeguatezza.


Alternativo al percorso in Tribunale, potrà essere efficacemente esperito dai genitori – ognuno assistito dal proprio avvocato – quello alternativo della negoziazione assistita, il cui accordo conclusivo dovrà essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, se riterrà che l’accordo risponda all’interesse dei figli, lo autorizzerà.


Riduzione assegno mantenimento per emergenza coronavirus: se i coniugi/genitori non trovano un accordo, quali rimedi?

 


Il ricorso alla via giudiziale.


Le parti possono sempre chiedere, con le forme del procedimento in camera di consiglio, la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione”


Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere”

Tanto per la separazione quanto per il divorzio, il Tribunale, su istanza della parte interessata, può pronunciare la modifica del provvedimento concernente il mantenimento.


Presupposto comune ad entrambe le fattispecie è che ricorrano sopravvenuti e giustificati motivi.


Sopravvenuti, nel senso che debbono essere modificativi della situazione in relazione alla quale le condizioni di separazione o divorzio erano state disciplinate, essendosi verificato un mutamento delle circostanze di fatto esistenti al momento della pronuncia.


Per giustificati motivi si intendono quelli che legittimino una revisione delle condizioni patrimoniali, atteso il disequilibrio che si è venuto a creare col sopraggiungere di circostanze impreviste al momento della pronuncia (ad esempio la perdita/riduzione da parte dell’obbligato di un cespite o di un’attività produttiva di reddito che abbia generato un effettivo mutamento della situazione rispetto a quella valutata in sede di determinazione dell’assegno, la perdita del lavoro, la diminuzione dello stipendio).

 

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Si ritiene che una crisi economica come quella che si sta delineando con l’emergenza sanitaria legata al Coronavirus rientri senza dubbio tra le cause che potrebbero legittimare la revisione delle disposizioni separative o divorzili.


Tale valutazione, tuttavia, deve essere attentamente vagliata e ponderata alla luce degli sviluppi che questa crisi porterà con sé.


Presupposto per l’istanza di revisione delle condizioni patrimoniali è la prova di un consistente e consacrato deperimento delle condizioni economiche del soggetto obbligato.


Non una difficoltà transeunte e passeggera, ma apprezzabile quanto ad effetti e durata.


Si ritiene, al riguardo, utile strumento per calibrare il provvedimento del Tribunale al caso concreto la possibilità da parte di quest’ultimo di adottare provvedimenti provvisori ove il procedimento non possa essere immediatamente definito, il cui contenuto sarà suscettibile di essere ulteriormente modificato nel corso della causa, anche alla luce dell’avvenuta attestazione del consolidamento o meno della crisi economica denunciata. 

 

 

 

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La scelta del luogo di sepoltura del defunto: a chi spetta?

 

 

A chi spetta la scelta del luogo di sepoltura del defunto.

 

 

Si narra che l’imperatrice Elisabetta d’Austria, a tutti nota come la principessa Sissi, dopo la morte – tragica – del figlio Rodolfo, si fosse data a viaggi e peregrinazioni, attraversando gran parte dell’Europa.


Tra le mete preferite vi era l’isola greca di Corfù, dalla quale era rimasta incantata per clima e paesaggio.


Qui addirittura acquistò una splendida villa  e manifestò il desiderio di esservi sepolta dopo la morte, (c’è chi sostiene lei volesse venissero disperse le proprie ceneri in mare, quello stesso mare la cui schiuma aveva dato i natali alla divina Venere).


La sua volontà, tuttavia, non fu rispettata, dovendo tale romantico proposito cedere il passo al rigido protocollo reale che la volle tumulata nell’attuale sistemazione, presso la cripta dei cappuccini, ultima residenza degli asburgo.

 


Tanta divagazione introduce il tema di oggi: a chi spetta la scelta del luogo di sepoltura del defunto.


Una recente pronuncia del Tribunale di Velletri (n 391/2019) ci aiuta a fare il punto, ricostruendo lo status giuridico venutosi a consolidare in tale (delicata) materia.


Il conflitto risolto dalla decisione del giudice laziale concerneva la richiesta di spostare la tomba di un defunto, non sposato e verosimilmente deceduto in giovane età, presso il cimitero dei nonni, attori, in luogo dell’attuale, dove era stato tumulato in un loculo appartenente alla zia, che resisteva per trattenerlo vicino a lei.


Il tribunale ha ripercorso i passaggi e gli arresti venutisi via via a consolidare in giurisprudenza in merito alla cd electio sepuchri, partendo da un dato fondamentale: la volontà del defunto prevale su tutto.


Se i parenti ed altri soggetti rientranti nella cerchia d’affetti del de cuius avessero diversa opinione o propositi in merito all’individuazione del luogo (e dei modi) di sepoltura, dovranno, gioco forza, soccombere rispetto alle determinazioni del titolare delle proprie spoglie, ossia colui che è morto.


Tale prerogativa, infatti, rientra nel novero dei “diritti della personalità”, specifici, individuali, assolutamente correlati al singolo individuo e non trasmissibili agli eredi con l’evento successorio.


A nessuno, conseguentemente, è dato disporre di tale scelta se non il solo titolare, mentre è in vita.


La disposizione incontrerà come unico limite la legge, il buon costume e gli elementari precetti che presiedono l’ordine pubblico.


Tra le limitazioni concernenti le modalità di sepoltura una volta vi era il divieto di disperdere le ceneri del defunto, addirittura punito con sanzione penale ad hoc dall’art. 411 cp.


Tale disposizione è stata, tuttavia, temperata da un intervento di legge (L. 130/2001), che disciplina la pratica funeraria della cremazione, nonché della dispersione delle ceneri, che diviene consentita, nel rispetto della volontà del defunto e purchè sia stata autorizzata dall’ufficiale dello stato civile.


Come è possibile manifestare la propria determinazione in ordina alla futura sepoltura?


Non vi è una disposizione di legge ad hoc.


Si può disporre senz’altro tramite testamento.
E’ noto, infatti, che l’atto di ultime volontà possa contenere disposizioni tanto patrimoniali quanto non patrimoniali: tra queste vi rientrano certamente quelle relative alla gestione delle proprie spoglie mortali.


Senza dubbio si potrà manifestare la propria scelta anche con atto scritto separato dal testamento.


Potrebbe essere, anzi, una eventualità addirittura consigliata, in quanto non tanto la pubblicazione ma la semplice apertura e lettura del testamento potrebbe avvenire anche a distanza di tempo dalle avvenute esequie, per cui parrebbe opportuno giocare d’anticipo, rendendo più facilmente acquisibile tale circostanza.

La maggior parte degli interpreti sostiene che non sia necessario gioco forza un atto scritto.

 

 

 

 

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Scelta del luogo di sepoltura


Il defunto potrà aver in vita manifestato verbalmente ai cari la propria volontà, attribuendo ad essi il compito di darne esecuzione.


Sarà necessario che la determinazione sia stata inequivocabile, volta cioè non tanto ad esprimere un semplice orientamento o desiderio, bensì a conferire ai destinatari precise indicazioni circa il luogo e le modalità di sepoltura.


Qualora dovessero sorgere dubbi o fraintendimenti, potrà essere valutata ed ammessa prova per testimoni di tale circostanza.


Talora si potrà ricorrere a presunzioni, risalendo da fatti che rivelino la volontà del caro estinto (ad esempio, l’aver fatto costruire la tomba di famiglia in un determinato luogo).


L’apprezzamento di tali rilievi sarà rimesso al prudente apprezzamento del giudice chiamato a risolvere eventuali contrasti.

E se il defunto non avesse lasciato alcuna indicazione circa la scelta del luogo e modalità della propria sepoltura?


La legge nulla dice in merito, non essendo mai intervenuta a disciplinare espressamente la questione.


Ci si appoggia a prassi, a consuetudini, le più vicine alla compiuta tutela della “pietas” per i defunti e dell’affetto dei cari che essi hanno lasciato.


La tendenza è quella di attribuire la scelta del luogo di sepoltura ai familiari più stretti del de cuius.


Si noti: familiari, non tanto eredi, in quanto sappiamo che questi ultimi possono essere anche soggetti estranei al compendio parentale e, come abbiamo precisato prima, non è possibile parlare di trasmissibilità del diritto di scelta per successione.


Quali familiari? I più stretti, verosimilmente è possibile prendere come riferimento il grado di parentela disciplinato dalle norme del codice civile agli art. 74 e ss. 


Tra i familiari va fatto senz’altro rientrare il coniuge.

Anzi.


L’orientamento maggioritario è di dare prevalente rilevanza alla volontà del coniuge rispetto a quella degli altri congiunti.


Si ritiene che il consorte possa essere il depositario delle convinzioni più intime del caro estinto, il più profondo conoscitore, in grado di ricostruire, in assenza di indicazioni, quelle che sarebbero state le disposizioni del defunto in proposito, nonchè il coniuge è il soggetto che più degli altri va tutelato in relazione al diritto di visitare e commemorare il luogo di sepoltura.


Più dei figli.

Questi si possono rifare una vita. Il coniuge superstite talvolta non può o non vuole, per cui ben potrà essergli accordato un occhio di riguardo nella determinazione del posto ove esercitare il culto e la devozione verso i morti.


In assenza di coniuge, la scala di considerazione rimane quella della contiguità parentale, sulla presunzione che maggiore è la vicinanza di sangue, più elevato è il grado di tutela che deve essere accordato ai parenti superstiti.


Su questa prospettiva, tra l’altro, si è mossa la legge (n 130/2001) allorquando ha disciplinato la pratica mortuaria della cremazione, che può essere richiesta “in mancanza della disposizione testamentaria, o di qualsiasi altra espressione di volontà da parte del defunto ” dal coniuge o, in difetto, dal parente più prossimo individuato ai sensi degli articoli 74, 75, 76 e 77 del codice civile e, in caso di concorrenza dai più parenti dello stesso grado, dalla maggioranza assoluta di essi, manifestata all’ufficiale dello stato civile del comune di decesso o di residenza.


Riassumendo: la volontà del defunto in merito alla propria sepoltura prevale su ogni altra diversa indicazione. Quando non risulta alcuna manifestazione espressa dal defunto,opera in via sussidiaria il diritto dei congiunti di provvedere alla destinazione della salma con prevalenza del coniuge sugli altri parenti e sugli eredi. Se non vi è coniuge, sarà attribuito maggior valore all’indicazione dei parenti più prossimi, nell’ordine di vicinanza stabilito dalla legge nella graduazione di parentela.


E se vi è conflitto sulla opportunità o meno di spostare la tomba del defunto da un cimitero all’altro?


Problematica attinente alla decisione del tribunale di Velletri, dalla quale abbiamo preso le mosse per il presente intervento.


Se il luogo di sepoltura era stato originariamente determinato dal titolare del relativo diritto” sarà necessario per il giudicante “valutare con oculata prudenza le giustificazioni addotte per pretendere di operare un trasferimento che comporta esumazione e ritumulazione del cadavere, posto che è avvertita dalla sensibilità degli uomini l’esigenza che le salme dei defunti non vengano, senza adeguate e gravi ragioni, trasferite da un luogo ad un altro”.

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Tale valutazione di opportunità andrà operata anche se il defunto non abbia dato alcuna indicazione in merito, ma in tal caso, qualora idonea motivazione sia stata addotta e la nuova sede di tumulazione sia considerata ragionevolmente più conveniente, la determinazione del soggetto idoneo e privilegiato nell’indicazione del luogo di sepoltura prevarrà sugli altri parenti, anche se questi abbiano espresso dissenso od opposizione.


Il diritto/potestà di scelta, infatti, comporta anche quello di variare in seguito la propria determinazione, purchè sorretta da adeguata giustificazione, rimessa all’eventuale valutazione del giudice.


Come è finita la causa decisa dal Tribunale di Velletri?


L’hanno vinta i nonni che chiedevano lo spostamento del luogo di sepoltura del nipote.


Sono stati giudicati i parenti più prossimi del defunto – che, in vita, non aveva dato indicazioni di sorta – e le motivazioni addotte per il trasferimento – garantire una tumulazione più dignitosa, nella tomba di famiglia, ove riposava la madre, vicina ai nonni – erano adeguatamente valide.


Ricorrendo simili circostanze, conclude il tribunale laziale, “non v’è dubbio che per i nonni (aventi diritto alla scelta del luogo di sepoltura) tale traslazione sia idonea a garantire in modo più adeguato la manifestazione del loro sentimento di devozione e pietà nei confronti del defunto”.