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Autore: Studio Legale Berto

La revoca del porto d’armi deve essere motivata e ragionevole

 

La revoca del porto d’armi deve essere motivata.

 

 

L’art 43 della Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) prevede che non può essere concessa la licenza di portare armi a coloro che abbiamo riportato condanne penali alla reclusione per determinati delitti “violenti” (rapina, furto, resistenza all’autorità ecc…) e a coloro che non danno affidamento di “non abusare delle armi”.

 

In una recente sentenza, il Consiglio di Stato ( la numero 924 del 23 gennaio 2020) ha statuito che l’applicazione del principio di ragionevolezza comporta che, in alcuni casi peculiari, deve essere privilegiata un’interpretazione dell’art. 43 T.U.L.P.S. conforme ai principi costituzionali.

 

Ciò implica che l’Amministrazione, nel compiere la propria complessiva valutazione in ordine alla affidabilità nel possesso di armi, deve tener conto, oltre alla commissione dei reati da parte del soggetto che chiede la possibilità di detenere armi, anche della sussistenza di altri elementi, che denotano favorevolmente la personalità dell’interessato alla licenza di polizia con carattere di attualità.

 

revoca del porto d'armi
revoca del porto d’armi: la motivazione in base ad un concreto giudizio di affidabilità

 

Secondo il Giudice, il potere di valutare in concreto la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di revoca del porto d’armi, “alla luce di un giudizio di affidabilità dell’interessato, in relazione all’uso delle armi, deve muovere sì dalla condanna, ma deve altresì abbracciare l’intero spettro di elementi, anche sopravvenuti, suscettibili di valutazione al suddetto fine (ovvero, esemplificativamente, la concreta entità del fatto criminoso, il lasso temporale trascorso dopo la condanna, la condotta successivamente tenuta dall’interessato, sia sotto un profilo generale che in relazione all’uso delle armi”.

In particolare, il Consiglio di Stato ha rilevato che la Questura, nell’emettere il giudizio prognostico di inaffidabilità all’uso lecito delle armi, non avesse tenuto” in debito conto di circostanze in grado di deporre a favore di un ripristino dei requisiti richiesti dalla normativa vigente ai fini della detenzione delle armi, quali, in particolare, il carattere risalente della condanna, la buona condotta tenuta successivamente dall’interessato, la riabilitazione ottenuta con pronuncia del Tribunale di Sorveglianza, i plurimi rinnovi della licenza di porto di fucile per uso caccia, nonostante i precedenti“.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ammontare mantenimento figli maggiorenni in sede di divorzio. Quanto?

Ammontare mantenimento figli maggiorenni in sede di divorzio. Quantifichiamolo.

 

 

 


Sul “fino a quando i genitori debbono contribuire al mantenimento dei figli” ci eravamo già soffermati. (link 1, link 2, link 3)     

 

Oggi citiamo una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione che compendia efficacemente la risposta al quesito “di che misura deve essere l’ammontare del mantenimento dei figli maggiorenne in sede di divorzio”.


Ci riferiamo al divorzio, perchè potrebbe comportare dei risvolti differenti rispetto al giudizio effettuato in sede di separazione. Lì, magari, i figli erano più piccoli, meno autosufficienti, con meno necessità, oggi sono cresciuti, hanno esigenze maggiori ma anche più autonomia.


Ebbene, la Suprema Corte esordisce con una sottolineatura: nella sua valutazione il giudice del divorzio non può ritenersi vincolato dalle statuizioni del giudizio di separazione nè da un criterio di adeguamento automatico dipendente dall’età e dal miglioramento delle condizioni economiche dei genitori.


In buona sostanza: il divorzio è un giudizio nuovo e differente rispetto a quello separativo e, in quanto tale, non può comportare alcun automatismo nel traslare i provvedimenti precedenti alla situazione attuale, ma deve rieffettuare – daccapo – le valutazioni conferenti al caso concreto, come rappresentato dalla situazione di fatto al momento del procedimento.

 

assegno di mantenimento in caso di separazione

 

Ammontare mantenimento figli maggiorenni in sede di divorzio.Quanto?

 


In base al chiaro paradigma degli ermellini, “la fissazione dell’assegno destinato al mantenimento del figlio, operata dal giudice della cessazione degli effetti civili del matrimonio, deve essere parametrata sulle effettive e attuali esigenze del figlio alla luce delle circostanze che attengono in primo luogo alla condizione economica dei genitori ma non sulla base di una mera corrispondenza proporzionale e che prescinda dall’effettiva valutazione delle concrete esigenze di vita del minore”.


Quindi:


1. attualità e concretezza delle esigenze dei figli: sono occupati, sia pur senza raggiungere l’indipendenza economica? Seguono un ciclo di studi? Che attività ricreativa svolgono? Dove vogliono andare? A cosa ambiscono? Dove vogliono vivere?


2. come se la passano i genitori dal punto di vista economico.
Lavorano ancora entrambi? Il loro reddito è aumentato o diminuito? La loro compagine familiare post separazione è rimasta inalterata? Il loro patrimonio complessivo?


Effettuate tali valutazioni, occorre obbligo anche considerare il tenore di vita goduto dai figli in costanza di matrimonio.


Infatti, “a seguito della separazione personale tra coniugi, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo per quanto possibile a quello goduto in precedenza, continuando a trovare applicazione l’art. 147 c.c. che, imponendo il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l’età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione”.

 

 mantenimento figli maggiorenni divorzio
Ammontare mantenimento figli maggiorenni in sede di divorzio: vale ancora il tenore di vita

 


Tale considerazione deve essere ben ponderata non solo con riferimento al contributo al mantenimento “ordinario” dei figli, ma anche per quanto concerne le spese “straordinarie”, quelle cioè “che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli”.


E’ possibile contemplare la corresponsione di un unico assegno che comprenda mantenimento ordinario e spese straordinarie?

 

Per la Cassazione, l’eventualità di includere le spese straordinarie in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno, posto a carico di uno dei genitori, potrebbe rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità e con quello dell’adeguatezza del mantenimento, nonchè recare grave nocumento alla prole, che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell’assegno “cumulativo”, di cure necessarie o di altri indispensabili apporti.

 

 

 

 

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Ammontare mantenimento figli maggiorenni

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Separazione e divorzi a Vicenza: i dati del 2019

 

Separazione e divorzi a Vicenza: i dati del 2019

 

 

Sono stati recentemente pubblicati sul sito del Comune di Vicenza i dati relativi alla nuzialità che ha riguardato la nostra città.


Risulta confermato un trend complessivamente negativo per ciò che concerne il numero di matrimoni.


Nel 2019, infatti, si è attestato il calo di cerimonie nuziali, tanto religiose quanto civili.


Si sono celebrati complessivamente 243 matrimoni, a fronte dei 279 dell’anno precedente.


Di questi 62 con rito religioso e 181 civile.


A fronte di un precedente consolidato primato religioso rispetto a quello civile, dal 2005 si assiste al progressivo, ma irreversibile mutamento di preferenza da parte dei concittadini circa la tipologia di cerimonia prescelta.

 

avvocato separazione divorzio vicenza
separazione e divorzi a Vicenza: il trend è in costante aumento.

 


Non smette mai di stupire – almeno per chi è digiuno da approfondite valutazioni sociologiche –l’età media con la quale i nubendi decidono di convolare: 37,3 anni per le donne e, udite udite, 41 anni per gli uomini.

Il trend vede complessivamente, nell’ultimo decennio, un innalzamento di quasi dieci anni dell’età prescelta per le nozze.


E veniamo alle separazioni e divorzi a Vicenza.


Nei dati offerti dal sito comunale non sono rilevabili quante separazioni e divorzi siano stati pronunciati nel nostro comune.


Il dato appurabile è il numero dei cittadini divorziati residenti in città.


Ben 4.829, dei quali 3.017 donne e 1812 uomini.


Anche in questo caso l’indice è in costante crescita: più 200 rispetto all’anno precedente. 1400 in più rispetto a 10 anni fa.


Ed il trend Veneto ?


A mente del rapporto statistico 2019 operato per la nostra regione 
Ci si sposa sempre meno e più tardi: se all’inizio degli anni ‘80 si celebravano quasi 24mila matrimoni all’anno in Veneto, circa 5,4 ogni 1.000 abitanti, nel 2017 si scende a 14.270, appena 2,9 ogni 1.000 residenti. Anche quando si sceglie di sposarsi, si opta sempre di più per il rito civile, tanto che i matrimoni civili hanno sorpassato quelli religiosi e sono oggi quasi il 60% di tutte le unioni coniugali, più che a livello medio nazionale (49,5%). La progressiva diffusione di comportamenti più secolarizzati è confermata anche dall’aumento delle convivenze more uxorio e delle nascite dei figli al di fuori o prima del matrimonio. Nello specifico, nel 2017 il 10% delle coppie venete risulta non sposata, quando 10 anni prima erano il 6% e nemmeno il 2% nel 1997, e la maggioranza delle coppie non sposate ha figli (56%, erano il 27% nel 2007)


Interessante rilevare, in base a tale documento, che “sono aumentate le famiglie uni­personali, che nel 1971 costituivano il 10% delle famiglie, mentre oggi sono quasi il 31%, e si sono ridotte quelle numero­se, con cinque o più componenti (dal 26% al 6%). Ciò è la conseguenza di una serie di processi so­cio-demografici che hanno investito il nostro Paese negli ultimi decenni. In primis la persistente bassa fecondità e la crisi delle nascite, .. il pro­gressivo invecchiamento della popolazione e l’insta­bilità coniugale

 

 

 

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Separazioni e divorzi a Vicenza

Isee familiari casa di riposo: no, se si sono persi i contatti con chi chiede l’inserimento in Rsa

 

Isee familiari casa di riposo: di quali soggetti si deve tener conto?

di Stefania Cerasoli

 

Come abbiamo già avuto modo di chiarire (LINK 1), l’Isee ha l’obiettivo di determinare la quota di compartecipazione dell’utente alla retta alberghiera senza incidere in alcun modo sul diritto alla prestazione di cura e alla presa in carico da parte della sanità.


Quindi, in parole povere, l’ISEE non inciderà sull’ottenimento dell’impegnativa di residenzialità e, quindi, del posto letto in casa di riposo in regime convenzionato.


Sarà, pertanto, obbligatorio, presentare l’ISEE solo nel caso in cui l’anziano intenda presentare richiesta di integrazione retta data l’insufficienza delle proprie disponibilità economiche rispetto all’importo della stessa.


In questo caso, la riforma dell’ISEE, intervenuta con il Decreto n. 159 del 05.12.2013, prevede che, in presenza di figli del beneficiario non inclusi nel nucleo familiare, l’ISEE sia integrato di una “componente aggiuntiva per ciascun figlio, calcolata sulla base della situazione economica dei figli medesimi, avuto riguardo alle necessità del nucleo familiare di appartenenza” (cfr. Decreto n. 159 del 05.12.2013, art. 6, comma III, lett. b).

 familiari casa di riposo


Tale componente aggiuntiva non sarà calcolata, tra gli altri casi, qualora “risulti accertata in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali, la estraneità del figlio in termini di rapporti affettivi ed economici” (cfr. Decreto n. 159 del 05.12.2013, art. 6, comma III, lett. b).


Quindi, il figlio che ritenga di trovarsi in tale situazione, potrà richiedere alla “pubblica autorità competente in materia di servizi sociali” di accertare la sua estraneità, in termini di rapporti affettivi ed economici, nei confronti del genitore che richieda prestazioni erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo.

 

 

isee familiare
Isee familiari casa di riposo: non si tiene conto di chi non abbia avuto contatti con il richiedente l’inserimento

 


In particolare, l’istanza dovrà essere presentata al Dirigente/Responsabile dei Servizi Sociali del Comune avendo cura di allegare tutta la documentazione in grado di dimostrare tale situazione di “estraneità” quali, ad esempio, la denuncia/querela per il reato di cui all’art. 570 C.P. (Violazione degli obblighi di assistenza familiare) o per maltrattamenti e/o violenze perpetrati dal genitore richiedente nei confronti del figlio.

 


Qualora il procedimento amministrativo si concluda con l’accertamento della sussistenza della cd. “estraneità” l’ISEE non sarà integrato della componente aggiuntiva di tale figlio.

 

 

 

 

 

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Determinazione della sanzione per interventi realizzati senza scia

 

Determinazione della sanzione per interventi realizzati senza scia

 

L’art. 37 del Testo unico in materia di edilizia (dpr 380/2001) stabilisce che “la realizzazione di interventi edilizi in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro”.

 

In un caso recentemente deciso dal TAR Veneto, con sentenza n. 41 del 2020, il giudice ha dato ragione ad un cittadino che aveva impugnato un atto comunale che gli aveva imposto il pagamento di 13.664,16 euro quale sanzione per la posa in opera di una pavimentazione in masselli di calcestruzzo autobloccante.

 

La disposizione dell’art. 37, secondo il TAR, è chiara nel presupporre che “un tanto può essere applicata una sanzione in misura maggiore del minimo, in quanto sia accertabile un aumento del valore venale dell’immobile“.

 

quale sanzione per interventi realizzati senza scia?

 

Nel caso preso in esame dal giudice è invece emerso che il Comune aveva ritenuto non sussistere un “aumento di valore” dell’immobile in relazione alle opere difformi ed ha così identificato l’aumento di valore con il costo di costruzione per la realizzazione delle opere.

 

Il giudice ha però rilevato che, in mancanza di una previsione normativa specifica che, in relazione ai fini perseguiti dall’art 37 citato, consenta, in modo espresso, di equiparare i costi di realizzazione dell’opera all’aumento di valore dell’immobile, laddove non sia accertato o accertabile un tale aumento anche solo minimo (perché di fatto le opere non apportano un valore aggiunto sotto il profilo del valore di mercato del bene), ma comunque superiore alla sanzione pecuniaria residuale stabilita dall’art. 37 citato, il Comune deve applicare l’importo minimo previsto dalla suddetta norma (pari ad Euro 516,00)”.

 

Il TAR ha così dato ragione al ricorrente ed ha annullato l’atto comunale.

 

 

 

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Abbandono del tetto coniugale senza motivo? Addebito della separazione

 

Abbandono del tetto coniugale senza motivo? Addebito della separazione.

 

 

Alzi la mano.


A chiunque si chieda quali obblighi nascano dal matrimonio e quale tra questi obblighi possa comportare l’addebito della separazione viene in mente l’obbligo di fedeltà.


Ci sta.


Quello che spesso sembra passare in sordina è che con le nozze due persone decidono di vivere sotto lo stesso tetto, formando una nuova famiglia.


E tra i diritti e i doveri reciproci dei coniugi, l’art. 143 cc contempla l’obbligo di coabitazione.


Un dovere la cui violazione può comportare severe conseguenze.


Innanzitutto, il diritto all’assistenza morale e materiale – nato dal matrimonio – è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare rifiuta di tornarvi. Art. 146 cc


In secondo luogo, è noto come la violazione degli obblighi matrimoniali possa comportare l’addebito della separazione per il coniuge colpevole.


E qui veniamo al tema della nostra riflessione odierna.

 

 abbandono della casa coniugale

 


Quando l’abbandono del tetto coniugale è sanzionabile?


Una recente sentenza della Corte di Cassazione ci aiuta a fare il punto, riprendendo l’articolo di legge che abbiamo indicato: vi deve essere una giusta causa.

E tale causa deve essere provata.


Vediamo il caso esaminato: il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, avevano addebitato la separazione alla moglie, ritenuta colpevole di aver abbandonato l’abitazione familiare.


Quest’ultima ricorre in Cassazione, lamentando che l’allontanamento sia stato solo temporaneo, prolungatosi per la sostituzione delle chiavi operata dal coniuge, e comunque fosse dovuto al clima di accesa conflittualità domestica.


Gli ermellini, nel respingere l’impugnativa avanzata dalla signora, hanno sottolineato come l’addebito della separazione fosse dovuto dalla decisione unilaterale della moglie di allontanarsi dalla residenza familiare senza che fosse dimostrata l’esistenza di precedenti pressioni, violenze o minacce del marito che l’avrebbero indotta a tale decisione.


In difetto di prova di un preteso comportamento del consorte che giustificasse l’allontanamento e di un immediato ripensamento della moglie in vista della ricostituzione del legame familiare, la scelta di questa risultava del tutto sguarnita di alcun valido supporto e pertanto doveva giustamente essere sanzionata con l’addebito.

 

lasciare casa familiare
Abbandono del tetto coniugale: quando comporta l’addebito?

 


E’ utile sottolineare come sia la legge stessa a pretendere che l’allontanamento dalla residenza familiare sia legittimo solo in presenza di giusta causa.

 

Nel novero di tale fattispecie ricorre – per espressa previsione del codice – la proposizione della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.


Per il resto, il novero delle “giuste cause di allontanamento” non è tassativo, proprio per dare al giudice la possibilità di valutare il caso in concreto.


In linea di massima, si deve trattare di fatti che rendano intollerabile la convivenza, o possano comportare grave pregiudizio per l’educazione della prole.


Tralasciando i casi di lapalissiana legittimità concernenti episodi di violenza o manifesto tradimento, la Corte di Cassazione ha ritenuto, ad esempio, “giusta causa” di abbandono del tetto coniugale la mancanza di intesa sessuale tra i coniugi, poiché, “in siffatto caso, mancando un rapporto sereno e appagante, l’abbandono non può sorreggere una pronuncia di addebito” Cass. civ. Sez. I Sent., n. 8773/2012  


Del pari, è stato considerato legittimo l’allontanamento operato per i frequenti litigi domestici con la suocera convivente e per il conseguente progressivo deterioramento dei rapporti tra gli stessi coniugi Cass. civ. n. 4540 / 2011


Il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi – e l’onere incombe su chi ha posto in essere l’abbandono- che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto.


Si è precisato che «tale prova è più rigorosa nell’ipotesi in cui l’allontanamento riguardi pure i figli, dovendosi specificamente ed adeguatamente dimostrare, anche riguardo ad essi, la situazione d’intollerabilità».

 

 

 

 

 

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Isee casa di riposo: se non viene presentato si perde l’accesso in regime convenzionato?

 

Isee casa di riposo: se non viene presentato si perde l’accesso in regime convenzionato?

 

Ringraziamo la collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

 

Come abbiamo già avuto modo di rilevare (Link 1), per poter essere accolti in una casa di riposo è necessario presentare richiesta di valutazione (tecnicamente si parla di UVMD) al competente distretto socio-sanitario, in modo tale che una commissione (composta da medici ed assistenti sociali) possa valutare il grado di non autosufficienza del nostro familiare.


Al termine di tale valutazione, l’anziano sarà inserito in una graduatoria unica per tutte le Ulss del territorio.

 


Nel momento in cui, presso una delle strutture indicate dall’utente tra quelle presenti nell’elenco sottoposto al momento della UVMD, dovesse rendersi disponibile un posto convenzionato, i familiari saranno contattati dalla casa di riposo al fine di valutare l’inserimento.

 

 casa di riposo regime convenzionato isee

 

Come noto, le prestazioni ricevute in una Residenza Sanitaria Assistenziale (d’ora in poi RSA) sono qualificate come socio-sanitarie integrate e sono disciplinate dall’art. 3 del Decr. Leg.ivo n. 502/1992 ss.mm.


La retta di ricovero, quindi, si compone di una quota sanitaria (generalmente corrispondente al 50% dell’intero ed a carico del Sistema sanitario regionale) e da una quota alberghiera a carico dei Comuni con la compartecipazione dell’utente e determinata in base all’Isee socio-sanitario.


La percentuale di suddivisione economica fra la quota sanitaria/quota alberghiera segue la tipologia di prestazioni erogate (DPCM, 14 febbraio 2011).


Per quanto si ritenga che le liste di attesa relative al Registro unico della residenzialità siano illegittime (Link), è evidente che fino a quando il punteggio dell’anziano non permetterà di accedere all’accoglimento in regime convenzionato, tutta la retta (e non solo la parte alberghiera) sarà a carico dello stesso e della sua famiglia.


Quello che, invece, con questo articolo si vuole evidenziare è che l’ottenimento della quota sanitaria (e, quindi, del ricovero in regime convenzionato) non ha alcun legame con l’Isee presentato.

 

isee rsa
Isee casa di riposo: se non viene presentato si perde il diritto all’integrazione per la quota alberghiera, non per quella sanitaria.

 


Anzi a voler essere più precisi, l’Isee potrebbe anche non essere presentato avendo l’unico fine di stabilire in che modo suddividere la quota alberghiera fra Comune ed utente nel caso in cui quest’ultimo intenda avvalersi del beneficio dell’integrazione comunale.


Chi non presenta l’Isee, quindi, ha lo stesso diritto di essere ricoverato in una RSA di chi lo presenta con l’unica differenza che non godrà dell’integrazione comunale al pagamento della quota alberghiera.

 

 

 

 

 

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Isee casa di riposo

I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore? La rappresentazione

 

I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore? La rappresentazione

 


Non c’è bisogno di essere morto per lasciare un’eredità…..
(Onyi Anyado)

 

….Si può rinunziare alla propria. (art 467 cc)

 

Oggi ci soffermiamo ad analizzare il caso in cui chi sia potenziale erede, vuoi perchè sia stato indicato come tale in un testamento, vuoi perchè – in assenza di un atto di ultime volontà – lo sia per legge, non possa (ad esempio perchè premorto) o non voglia (rinunziando) accettare l’eredità.


In tali ipotesi il nostro codice civile contempla l’istituto della rappresentazione che comporta la facoltà per i discendenti del chiamato all’eredità di subentrargli nel luogo e nel grado ove, appunto, non ne avesse avuto accesso lui personalmente.


Si tratta di una chiamata “indiretta”, in quanto il soggetto “rappresentante”, altrimenti escluso dalla successione, vi accede in forza di un’accettazione altrui che non ha avuto luogo.


Andiamo con ordine.


Quando si verifica la rappresentazione?


L’istituto è applicabile tanto alla successione legittima quanto a quella testamentaria.

In quest’ultimo caso è necessario che il de cuius non abbia disposto altrimenti, ossia non abbia espressamente preveduto l’ipotesi della mancata accettazione del diretto chiamato, disponendo la sua sostituzione .

 

successione per rappresentazione

 


L’ipotesi per le quali il primo chiamato non effettui l’accettazione possono essere varie. Tra queste:


– la premorienza. Tizio, figlio di Caio, muore prima del padre e conseguentemente non potrà accettare l’eredità di costui.


Allorquando Tizio morisse dopo Caio, ma prima di aver accettato l’eredità di quest’ultimo, si determinerà la trasmissione ai suoi eredi (a tutti, e quindi anche ad eventuali non discendenti) della possibilità di succedere a Caio. (art 479 cc)  


rinuncia. Tizio manifesta formalmente la propria volontà di non accettare l’eredità di Caio.


Indegnità del rappresentato, che non potrà succedere per aver compiuto uno degli illeciti contemplati all’art. 463 cc


perdita del diritto di accettare del primo beneficiario, perchè, ad esempio, egli non vi abbia provveduto entro il termine  fissato dall’autorità giudiziaria su richiesta di chiunque vi abbia interesse.

 

rappresentazione ereditaria


Quali soggetti subentrano al primo beneficiario?


La rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli anche adottivi, del defunto, e, nella linea collaterale a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto.


Cosa significa: il primo chiamato “rappresentato”, che non accetta, deve essere figlio o fratello del defunto.


In questo caso, i discendenti possono accettare l’eredità al posto del genitore.


Muore Caio. Tizio, suo figlio, non può accettare. Possono succedere per rappresentazione i figli di Tizio.

Alla stessa stregua se Tizio fosse il fratello di Caio.


Pare essere escluso che nella qualifica di “rappresentato” possano essere compresi soggetti diversi da quelli indicati, come ad esempio i nipoti.


La giurisprudenza, limitata, più recente opta – infatti – per un’ interpretazione restrittiva rilevando che “L’ambito di applicazione della rappresentazione, sia nella successione legittima che in quella testamentaria, è circoscritto dall’art. 468 c.c., nel senso che essa ha luogo a favore dei discendenti del chiamato che, nella linea retta, sia figlio e, in quella collaterale, fratello o sorella del defunto; ne consegue che sono esclusi dalla rappresentazione i discendenti del nipote ex sorore istituito erede testamentario”. Cass. civ. Sez. II Sent., 30/12/2011, n. 30551.


Fino a quale grado di parentela in linea retta opera la rappresentazione?


La rappresentazione ha luogo in infinito, siano uguali o disuguali il grado dei discendenti e il loro numero in ciascuna stirpe. non si segue quindi la regola generale che il grado più prossimo esclude quello più remoto.


La rappresentazione avviene per stirpi, vale a dire per gruppi di discendenti di ciascun chiamato, e non rileva per l’operare dell’istituto che siano uguali o disuguali il grado (di parentela con il defunto) dei discendenti e il loro numero;
conseguentemente, il discendente del figlio o del fratello o della sorella potrà succedere al de cuius anche se, per ipotesi, presenti un grado di parentela estremamente remoto.


Se uno stipite ha prodotto più rami, la suddivisione avviene per stirpi anche in ciascun ramo, e per capi tra i membri del medesimo ramo.


Facciamo un esempio.
Caio muore e lascia due figli, Tizio e Sempronio. Quest’ultimo ha a sua volta due figli, Mevio e Quinto. Se Sempronio dovesse rinunziare alla successione l’eredità di Caio si dividerebbe ugualmente in due parti, metà a Tizio, l’altra verrebbe divisa tra Mevio e Quinto.

 

 

rinuncia eredità discendenti
I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore che vi abbia rinunciato o non possa farlo

 

Si tengono in considerazione eventuali donazioni effettuate dal de cuius al rappresentato?


Come abbiamo visto in altri contributi (1, 2) le donazioni effettuate in vita dal de cuius costituiscono una sorta di anticipo di eredità. Esse possono rientrare in gioco al momento dell’apertura della successione vuoi in virtù dell’istituto della collazione, vuoi perchè hanno leso i diritti dei legittimari alla loro quota di riserva.


Ebbene, allorquando il soggetto chiamato all’eredità non intendesse o non potesse accettare, i discendenti che succedono per rappresentazione sono tenuti alla collazione  delle donazioni fatte al rappresentato dal de cuius, anche se abbiano rinunciato all’eredità di questo (art. 740 cc).


Dal par loro, ai rappresentanti sarà riservata la medesima iniziativa contemplata per il soggetto rappresentato per agire in riduzione contro le disposizioni lesive dei diritti della quota di legittima. (art 576 cc

 

 

 

 

 

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I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore

Veneto condono per abusi edilizi “mini” realizzati prima del 1977

Veneto  condono per abusi edilizi   “mini” realizzati prima del 1977

 

 

Capita di frequente che, al momento della vendita di un immobile, si scoprano delle difformità tra il progetto autorizzato e quanto effettivamente realizzato.

Difformità che poi ritardano o impediscono il rogito notarile.

E’ per questo che la Regione Veneto, con la LR 50 del 23 dicembre 2019, ha introdotto una sorta di condono, riferito però agli abusi più lievi.

 

comunicazione inizio lavori in sanatoria

 

Recita infatti l’articolo 2 della LR 50 che i benefici si applicano soltanto alle opere edilizie che:

 

a)   comportino un aumento fino a un quinto del volume dell’edificio e comunque in misura non superiore a 90 metri cubi;


b)   comportino un aumento fino a un quinto della superficie dell’edificio e comunque in misura non superiore a 30 metri quadrati;


c)   comportino un diverso utilizzo dei vani, ferma restando la destinazione d’uso consentita per l’edificio;


d)   comportino modifiche non sostanziali della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza, rispetto a quella indicata nel progetto approvato, purché non in violazione delle normative in tema di distanze tra fabbricati, dai confini e dalle strade;


e)   non rilevino in termini di superfici o volume e non siano modificative della struttura e dell’aspetto complessivo dell’edificio.

 

Il mini condono non si applica a tutte le opere edilizie, ma soltanto a quelle che sono provviste di titolo edilizio abilitativo o di certificato di abitabilità od agibilità, eseguite in parziale difformità dai titoli edilizi rilasciati o dai progetti approvati prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10.

 

La legge pertanto non si applica agli immobili totalmente abusivi, cioè a quelli realizzati senza alcun titolo edilizio, ma soltanto a quelli realizzati in difformità.

 

Veneto condono per abusi edilizi di modesta entità anteriori al 1977

 

Cosa si deve fare per richiedere il condono

 

Ci si deve rivolgere ad un tecnico che predisponga una SCIA da presentare in Comune e si deve versare una sanzione, i cui importi sono previsti sempre dall’art. 2.

In particolare, si devono pagare:

a)   70 euro al metro cubo per aumento di volumi di cui alla lettera a);
b)   210 euro al metro quadrato per aumento delle superfici di cui alla lettera b);
c)   500 euro a vano nel caso di cui alla lettera c);
d)   1.000 euro per le modifiche di cui alla lettera d);
e)   750 euro per le opere di cui alla lettera e).

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Veneto condono per abusi edilizi “mini” realizzati prima del 1977

Recesso impegno di pagamento casa di riposo da parte dei familiari

 

Recesso impegno di pagamento casa di riposo da parte dei familiari

 

Un ringraziamento alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

Il tribunale di Biella è intervenuto sull’annoso tema relativo alla legittimità o meno del recesso unilaterale da parte del familiare relativamente all’impegno di pagamento sottoscritto al momento dell’inserimento dell’anziano parente in casa di riposo.

 

Del resto, l’impatto sociale ed economico della non autosufficienza sulla famiglia è a dir poco devastante.


Il Tribunale  piemontese, con la sentenza n. 118 del 01.03.2019, ha annullato un decreto ingiuntivo di circa 11.000 Euro notificato alla figlia di un’anziana ricoverata in una RSA e che non riusciva più a pagare la retta per il ricovero del genitore.

Questa signora, dopo aver comunicato alla RSA di voler recedere dall’impegno di pagamento sottoscritto al momento dell’inserimento della madre in struttura, si era vista notificare un decreto ingiuntivo al quale, ovviamente, si era opposta.

 

Recesso impegno di pagamento casa di riposo da parte dei familiari
Recesso impegno di pagamento casa di riposo da parte dei familiari

 


Il Tribunale di Biella, uniformandosi all’orientamento giurisprudenziale che ha avuto inizio con la sentenza n. 26863 del 10.11.2008 della Corte di Cassazione, III Sezione Civile, ha stabilito che nulla è dovuto da parte del parente che si era obbligato qualora questi abbia esercitato il diritto di recesso.

 

In primis, infatti, l’impegno assunto dai familiari con la sottoscrizione del contratto è qualificato come assunzione di un’obbligazione di garanzia per futuri possibili  debiti dell’obbligato, garanzia in relazione alla quale la facoltà di recesso è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza.

 

Secondo la Cassazione, inoltre, il parente che si è precedentemente vincolato avrà la “facoltà del recesso unilaterale, prevista ex art.1373 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, che rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, in sintonia con i principi di buona fede nell’esecuzione del contratto”.

 

 

 

 

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la GUIDA ALL’INGRESSO IN CASA DI RIPOSO

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Recesso impegno di pagamento casa di riposo da parte dei familiari