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Se l’ex coniuge si licenzia dal lavoro perde il diritto all’assegno divorzile

 


Lo ha ribadito una recente sentenza della Corte di Cassazione: se l’ex coniuge si licenzia perde il diritto all’assegno divorzile.

 

 

Chi è causa del suo mal pianga se stesso”.

 


Vale anche per la vita matrimoniale.

Vale anche dopo il matrimonio.


Nello statuire circa le condizioni divorzili, il Tribunale deve verificare se vi sia l’obbligo di un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno.


La valutazione del giudicante deve concentrarsi su alcune precise considerazioni:


– il coniuge richiedente l’assegno ha mezzi adeguati?


– Se non li ha, può oggettivamente procurarseli?


Qualora entrambe le risposte fossero negative, potrà essere statuito un contributo, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutando tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

 

assegno divorzile: quando/quanto?


Ipotesi


La giovane Tizia, moglie di Caio, dopo la separazione cambia vita: si trasferisce nel paese ove vivono i suoi genitori, abbandonando il proprio lavoro e rimanendo priva di occupazione.


In sede di divorzio chiede un contributo mensile al marito, sulla scorta di non aver di che vivere.


Quest’ultimo si costituisce, chiedendo il rigetto delle istanze dell’ex coniuge.

Il tribunale, in prima battuta, accoglie la domanda di Tizia, disponendo un assegno divorzile in suo favore.


La Corte d’appello, in sede di impugnazione, riforma la sentenza di primo grado e revoca tale contribuzione, rilevando che la richiedente sia ancora in giovane età, con piena capacità lavorativa e ritenendo conseguentemente che uno stato di bisogno che giustifichi il contributo al mantenimento da parte dell’ex coniuge non sussista perchè, semmai esistente, esso è stato causato da una precisa volontà di Tizia che ben avrebbe potuto continuare a svolgere la sua attività lavorativa ed eventualmente cercarne nel frattempo una più redditizia o consona alle sue esigenze personali.


Tesi


La Corte di Cassazione ha posto l’accento sulla circostanza secondo cui la legge riconosce l’assegno divorzile al coniuge che non abbia mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive.


Nel caso di specie, era stato correttamente rilevato che l’impossibilità, semmai esistente, di procurarsi i mezzi adeguati non dipendesse da incapacità lavorativa o da fattori esterni alla volontà della coniuge richiedente l’assegno ma dalla libera scelta di Tizia, che aveva deciso di abbandonare l’occupazione lavorativa che le assicurava un reddito fisso.

 

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se l’ex coniuge si licenzia perde il diritto all’assegno divorzile

 

Conclusione


La decisione di revocare l’assegno divorzile deve ritenersi conforme alle prescrizioni di legge, tenuto anche conto che Tizia non aveva nemmeno dato prova di aver dato un particolare contributo alla formazione del patrimonio familiare e alla cura della famiglia ovvero un sacrificio delle sue aspettative lavorative in funzione delle esigenze familiari.

 

Se l’ex coniuge si licenzia perde il diritto all’assegno divorzile: chi è causa del suo mal, pianga se stesso, per l’appunto.

 

La sentenza: Corte di Cassazione, n. 26594/2019 

 

 

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Controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli

 

 

Controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli

 

I miei genitori hanno avuto una sola discussione in quarantacinque anni. È durata quarantatré anni.
(Cathy Ladman)

 

Le discussioni, diciamolo, sono all’ordine del giorno (di ogni giorno?) in ogni benedetto matrimonio.

Figuriamoci se non ci possano essere durante la crisi del rapporto matrimoniale o dopo il suo epilogo.

Le decisioni intorno ai figli possono costituire terreno fertile non solo per costruttivi scambi di opinioni, ma anche per epiche battaglie, dettate, talora, da disincantata buona fede, talaltra dal più pervicace puntiglio e ottusa rappresaglia.

Dopo percorsi più o meno aspri nelle aule di tribunale, i genitori si sono separati, convenendo sulle condizioni di affidamento della prole, o subendo le disposizioni dettate dal giudice per dirimere contrasti non risolti.

Oggi partiamo da qui: da una separazione o un divorzio pronunciati, oppure dall’esito di una causa attinente l’affidamento di figli di coppie non sposate.

Da una pronuncia, insomma, da statuizioni attinenti ai figli che facciano stato tra le parti.

 

conflitto genitori separati

 

Quale rimedio nel caso in cui sorgano controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli?

Il nostro legislatore ha disposto una norma ad hoc: l’art. 709 ter cpc.  “Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni.”.

Innanzitutto, il codice si sofferma a disciplinare come possano essere risolte questioni insorte tra genitori sull’esercizio della potestà o sulle modalità di affidamento della prole.

Lo avevamo evidenziato, post,  quando ci eravamo soffermati ad analizzare l’istituto dell’affidamento condiviso: la responsabilita’ genitoriale e’ esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacita’, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice puo’ stabilire che i genitori esercitino la responsabilita’ genitoriale separatamente. Art. 337 ter cc.

Autonomia dei genitori per quanto riguarda le questioni routinarie, per cui essi potranno decidere anche disgiuntamente.

Per quanto attiene le scelte davvero importanti per la prole dovrà esserci l’accordo tra padre e madre.

Ci riferiamo alle scelte che riguardano, ad esempio, l’istruzione (a quale scuola iscrivere il figlio? Pubblica o privata? Presso quale istituto? In quale sede? Con quale orario?), l’educazione (quale religione dovrà praticare? Lo iscriviamo a catechismo? Ma anche, quale dieta fargli seguire? Onnivora, vegetariana, vegana (vedi post  apposito)? Quali compagnie fargli frequentare? Quali sport? Quali viaggi? Il telefonino?), la salute (quale medico di base scegliere? Quale tipo di medicina seguire, omeopatica o tradizionale? Presso quale clinica effettuare un eventuale intervento chirurgico? Acconsentire o negare il consenso ad eventuali trattamenti sanitari? Se dovesse avere dei problemi personali, gli facciamo frequentare uno psicologo? E se sì, quale? E dei tatuaggi, vogliamo parlarne?).

 

provvedimenti opportuni controversie genitori
Controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli

Rispetto a tutte queste eventualità, ma tante altre ce ne sarebbero da menzionare, non potrà essere dato che che un genitore sia messo spalle al muro a dover prendere mero atto che l’altro abbia deciso anche per lui, al posto suo, o nonostante il suo parere contrario.

Tali controversie dovranno essere decise dal giudice, il quale, dopo che i coniugi saranno comparsi davanti a lui, prenderà i provvedimenti opportuni.

Il tribunale dovrà sciogliere il conflitto, si noti, privilegiando la posizione dell’un genitore rispetto all’altro, ma senza effettuare invasioni di campo, individuando ulteriori accorgimenti o soluzioni rispetto a quelle valutate e proposte dai coniugi confliggenti. Ciò nel rispetto al diritto all’autonomia della famiglia che la Costituzione espressamente sancisce all’art. 29  (Società naturale).

Per quanto attiene le questioni che vertano sulle “modalità dell’affidamento”, normalmente si discute sulla misura e ripartizione delle spese straordinarie, oppure sulla difficoltà di visita dei figli da parte del genitore non collocatario, vuoi per gli ostacoli frapposti dall’altro coniuge, vuoi per il rifiuto all’incontro rammostrato dai figli stessi.

Si badi: il giudice non sarà chiamato a pronunciare nuove condizioni di affidamento, ma semplicemente ad interpretare quelle già istituite, o a calarle nel caso concreto  che gli viene prospettato dalle parti.

Le controversie tra genitori separati possono riguardare anche inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli da parte di uno di essi.

Anche in questo caso ci soccorre l’art. 709 ter cpc, già esaminato nella sua prima parte, che continua statuendo “in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.”

A fronte di gravi inadempienze o violazioni il Giudice ha due rimedi, tra di loro alternativi, ma anche passibili di utilizzo congiunto: la modifica delle condizioni di affidamento e le sanzioni.

Lo scopo è quello di garantire l’attuazione e l’osservanza delle statuizioni già disposte con precedente pronuncia, ma anche il diritto del minore alla bigenitorialità ed alla crescita serena, altrimenti compromesse da comportamenti incongruenti e pregiudizievoli.

Tra le gravi inadempienze, sono spesso ricorrenti l’omesso versamento degli assegni statuiti a titolo di contributo al mantenimento dei figli, la loro unilaterale riduzione, la mancata corresponsione del rimborso spese straordinarie e, più in generale, l’inosservanza delle statuizioni di carattere economico e patrimoniale concernenti la prole, rispetto alle quali, si ricorda, vi è anche una sanzione di carattere penale (post) .

 

genitore cambia residenza

 

Non vanno tralasciate le questioni attinenti il mancato rispetto delle condizioni riguardanti i tempi di visita e frequenza dei figli, vuoi da parte del genitore non collocatario, che se ne disinteressa, in tal caso incorrendo anche nella sanzione penale disciplinata dall’art. 388 cp per la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, vuoi per il comportamento ostruzionistico, se non alienante, del genitore collocatario, volto ad incutere nei figli disistima e spregio dell’opposta figura genitoriale, conseguendone il rifiuto di frequentarla.

Un’altra fattispecie di violazione consiste anche nella scelta unilaterale di un coniuge di trasferirsi altrove, portando con sé i figli, magari in altra città, regione o stato, (post )e privando così la prole della possibilità di frequentare l’altro genitore e quest’ultimo, oltre che degli affetti, della concreta facoltà di esercitare la responsabilità genitoriale.

A fronte di tutta questa serie di circostanze, riportate a titolo meramente esemplificativo e non certo esaustivo, il giudice potrà modificare i provvedimenti già pronunciati circa i figli, a titolo non già sanzionatorio, quanto volto a tutelare il preminente interesse di questi ultimi contro i pregiudizi altrimenti conseguenti, oppure disponendo misure sanzionatorie, a contrappunto dei comportamenti incongruenti mantenuti dal genitore passibile di censura e volti a prevenirne e disincentivarne altri di simili.

Tra queste misure vi è l’ammonimento, ossia il richiamo del genitore contravventore al rispetto delle condizioni di affidamento o all’astensione da comportamenti pregiudizievoli, pena, in difetto, l’applicazione di altra e più gravosa sanzione oppure della modifica delle condizioni stesse.

Il giudice potrà, anche, applicare una pena pecuniaria, vuoi a favore della Cassa ammende, in misura discrezionale, ma potenzialmente soggetta a progressivi aumenti in caso di nuova violazione, vuoi a favore dei figli o dell’altro genitore.

A tale ultimo riguardo, è discusso se l’onere economico a vantaggio di tali familiari abbia carattere sanzionatorio tout court o bensì natura risarcitoria.

Se si dovesse propendere per tale ipotesi, il coniuge richiedente la corresponsione della somma pecuniaria sarà gravato di dover dimostrare oltre che la violazione, il danno patito, in base alle generali regole dell’onere della prova.

 

 

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Tempi di visita figli minori: la compressione non limita l’affido condiviso

La restrizione dei tempi di visita figli minori per il genitore non collocatario non intacca la sostanza dell’affidamento condiviso.

Re Salomone, per risolvere la causa pendente tra due madri che reclamavano come proprio lo stesso figlio, si fece portare una spada, paventando che avrebbe diviso in due il piccolo e dato metà a ciascuna delle reclamanti. La prima delle due supplicò di non uccidere il bimbo, ma di risparmiarlo, pur dandolo all’altra. Ad essa il saggio sovrano fece consegnare l’infante, riconoscendola – dall’amore incondizionato – la vera madre.


Sono frequenti i casi nei nostri tribunali in cui i giudici siano chiamati a risolvere contrasti dei genitori riguardanti i rispettivi tempi di visita e frequenza dei figli.


Non si può certo affermare che si debba ricorrere al rimedio della “spada” adottato da Salomone per risolvere i conflitti sui tempi di permanenza; certo è che spesso si tratta di decisioni sofferte, che si insinuano tra legami profondi, che toccano, lacerano, incidono il sentimento più ancestrale e radicato: l’amor filiale.


In questo caso, l’agire del giudicante deve essere orientato da un unico obiettivo: il preminente interesse dei figli. Anche a scapito dei sentimenti e delle prerogative genitoriali.


La decisione è vieppiù tormentata e delicata laddove i genitori vivano a distanza e si debbano giostrare e gestire le visite dei figli, anche sottoponendoli a lunghe e debilitanti trasferte.


Ciliegina della torta, come spesso accade, potrebbe essere la scelta della mamma o del papà di cambiare città, per esigenze lavorative, sentimentali, di vita.


Della questione ce ne eravamo occupati già in passato, in questo post Affidamento figli. Se un genitore separato va a lavorare altrove, che ne sarà dei figli?


In buona sostanza, si era sottolineato che la scelta di un genitore di stabilire e trasferire la propria residenza e sede lavorativa costituiscono oggetto di libera e non conculcabile opzione dell’individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale, senza che egli perda per ciò l’idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario, sicché il giudice, ove il primo aspetto non sia in discussione, deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all’interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario.


La domanda a questo punto è la seguente: la compressione dei tempi di visita figli minori con il genitore non collocatario è compatibile con l’istituto dell’affidamento condiviso?


La risposta la possiamo trarre da una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione.


Il casus belli verteva sulla scelta della madre, collocataria, di trasferirsi in altra città, portando con sé i figli e cambiando loro scuola.

Conseguentemente il Tribunale disponeva tempi più ridotti per la frequentazione con il padre.


Questi ricorreva dapprima in appello, quindi alla Suprema Corte, chiedendo un ampliamento del diritto di visita, con pernottamenti anche infrasettimanali.


La considerazione del padre verteva sul fatto che la contrazione del periodo di visita violasse l’istituto dell’affidamento condiviso, mascherando in realtà un affido esclusivo di fatto, potendo egli trascorrere con i figli pochi giorni al mese, ledendo così il loro diritto a ricevere cure, educazione e istruzione con paritaria presenza di entrambi i genitori.

tempo di visita figli minori


Gli ermellini, statuendo sul punto, hanno verificato la correttezza del giudizio del Tribunale allorquando aveva considerato come impraticabile l’ampliamento dell’esercizio del diritto di visita proposto dal padre, in quanto avrebbe dato luogo ad un regime estremamente articolato e frammentato, non funzionale alle esigenze di stabilità e serenità che devono necessariamente connotare la quotidianità dei figli.

Attiene al potere del giudice stabilire le concrete modalità di esercizio del diritto di visita che devono essere ispirate, nel disciplinare le frequentazioni del genitore non convivente con il minore, a criteri tutti improntati all’esclusivo interesse del minore.


La riduzione dei tempi di visita dei figli col genitore non collocatario non altera, pertanto, l’istituto dell’affidamento condiviso, in quanto proprio tale sistema non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l’altro genitore.


In buona sostanza: la collocazione prevalente dei minori presso l’un genitore, anche a discapito della paritetica prerogativa dell’altro, è disciplina compatibile con l’affidamento condiviso. Il giudice, nel deliberare le modalità di frequenza con il genitore non collocatario dispone discrezionalmente ed insindacabilmente, purchè la propria pronuncia sia improntata unicamente all’esclusivo interesse dei figli.

Ecco allora che laddove l’estensione dei tempi di visita potrebbe comportare disagio ai minori, costringendoli a continui va e vieni da una casa all’altra, pure situate a distanza, ben può essere considerato congruo al loro miglior interesse porre dei limiti temporali, concentrando la frequenza in precisi, seppur più contenuti, periodi della settimana.


Va ben evidenziato, ad ogni buon conto, come in precedenza proprio la Suprema Corte ( Cassazione civile sez. I, 08/04/2019, n.9764 ) aveva avuto modo di rilevare che nell’interesse superiore del minore vada assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione.


Tale principio ammette modulazioni se confacenti con il miglior interesse dei figli ad una crescita sana ed equilibrata.


L’autorità giudiziaria dovrà ben ponderare eventuali “restrizioni supplementari” al diritto di visita dei genitori, attentamente vagliare le garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita famigliare.

In difetto vi sarebbe il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età e uno dei genitori o entrambi, pregiudicando il preminente interesse del minore.



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Modifica assegno di separazione o divorzio? Gli importi già percepiti non vanno restituiti

 

 

Gli importi già percepiti non debbono essere restituiti in caso di modifica assegno di separazione o divorzio

 

 

 

È meglio aver amato e perso
che non aver amato mai.
(Alfred Tennyson)

 

 

Non è una bella consolazione per chi, dopo aver amato, abbia perso la possibilità di conseguire la restituzione dei maggiori importi versati, anche a seguito di una pronuncia che abbia ridotto consistentemente il proprio obbligo contributivo nei confronti del (ex) coniuge.

Ma è così.


Ce lo dice la Cassazione con una pronuncia slim and smooth.

Il caso.

A seguito della presentazione dei coniugi davanti il Presidente del Tribunale, questi disponeva l’obbligo del marito di versare alla moglie l’importo di 700 euro al mese.


Il provvedimento presidenziale è temporaneo ed urgente, va a regolare cioè le condizioni della separazione nelle more del procedimento, fino alla sentenza conclusiva, che potrà – per dirla alla Alessandro Borghese – confermare o ribaltare la statuizione iniziale.


Bene, nel caso in esame il Tribunale, con la decisione finale, aveva ridotto l’ammontare dell’assegno a 400 euro mensili.

 

assegno divorzile: quando/quanto?
Modifica assegno di separazione o divorzio Gli importi già percepiti non vanno restituiti

 


Domandina: se il provvedimento più importante, la sentenza, che viene a statuire (più o meno) definitivamente la lite tra le parti, stabilisce che la somma congrua e corretta, anche alla luce delle prove che sono state conseguite nel corso del processo, sia un importo minore di quello provvisorio fissato all’inizio del procedimento, i 300 euro in più corrisposti ogni mese dal marito fino alla pronuncia possono essere chiesti indietro alla moglie?


La risposta è negativa.


Normalmente, gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda se a tale momento esistevano le condizioni richieste per l’emanazione del provvedimento  .

Chiedo qualcosa, se ottengo vittoria, gli effetti della pronuncia decorrono da quando ho proposto la mia domanda, altrimenti il decorso del tempo mi pregiudicherebbe.


La giurisprudenza tuttavia, a più riprese, si è pronunciata nell’attenuare la retroattività della sentenza nei processi di separazione e divorzio.


Il motivo è dettato dalla natura alimentare degli importi corrisposti a tale titolo, che la legge considera irripetibili, non pignorabili e non compensabili con altri crediti vantati da chi debba versarli.

 


La conseguenza: il provvedimento finale è retroattivo ma … la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni, non più dovute in base alla sentenza di modificazione delle condizioni di separazione, non sarà più tenuto a corrisponderle, con la conseguenza che contro di lui non potrà agirsi esecutivamente.


In buona sostanza, se la moglie ha percepito 300 euro al mese in più rispetto alla decisione finale del Tribunale, il marito non potrà chiederne la restituzione.

Se tuttavia egli non abbia versato tale maggiore importo, allora non sarà tenuto a corrisponderlo, perchè gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda.

 

 

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Modifica assegno di separazione o divorzio

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Assegno divorzile: quando/quanto?

 


Assegno divorzile: quando/quanto? Non basta la semplice disparità dei redditi.

 

 


“Il divorzio è un sistema per mezzo del quale, se due persone commettono un errore, una sola delle due deve pagare per questo.”
LEN DEIGHTON (scrittore)

 

 

Ci permettiamo di dissentire: è circostanza assodata che separazione e divorzio costituiscano un lusso per molti, dato che la coperta (economica) è corta per entrambi i coniugi e tutti e due rischino di andar via con le ossa rotte dalla soluzione del vincolo.


Oggi, grazie ad una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione – che ha mirabilmente compendiato la nuova prassi giurisprudenziale venutasi a creare, a seguito di orientamenti significativamente divergenti – facciamo il punto della situazione in merito al quesito “assegno divorzile: quando/quanto?

 

assegno divorzile vicenza


Partiamo da ciò che dice la legge.


Art. 5 L. 898/1970  : Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

 

Bene, il Tribunale – tenuto conto di una serie di circostanze compiutamente enunciate – dispone l’obbligo di versare un assegno divorzile a favore dell’ex coniuge che non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni obiettive.


La parola della legge è chiara, difficile interpretarla.


Quando il beneficiario non ha mezzi adeguati? Ed a quanto deve ammontare l’assegno?


Assegno divorzile: quando/quanto?


Dal 1970 ad oggi sono intervenute diverse interpretazioni della norma citata.

Gli orientamenti significativi sono tre.


– Il più risalente, anno 1990 , affermava che il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile “di modo che deve essere negato se richiesto solo sulla base di premesse diverse, quale il contributo personale ed economico dato da un coniuge al patrimonio dell’altro, atteso che la sua concessione trova presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di ‘bisogno’, e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio”.


In buona sostanza, l’assegno andava concesso laddove sussistesse un insanabile squilibrio tra le posizioni patrimoniali dei coniugi ed era volto a garantire al beneficiario un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.


Carattere assistenziale, pertanto: va aiutato l’ex coniuge che non abbia mezzi adeguati per vivere come prima.

 

 

ammontare assegno divorzile
assegno divorzile: quando/quanto?


– Un secondo orientamento , che ha fatto molto discutere anche perchè d’epoca recente, (ne avevamo parlato in questi post 1, 2), sconfessava la consolidata interpretazione precedente e poneva l’attenzione sulla circostanza che il divorzio risolvesse la condizione matrimoniale e non fosse  possibile prendere a riferimento elementi – quali il tenore di vita goduto in costanza di vincolo coniugale – non più esistenti e non più attuali per il nuovo stato delle parti.


Quindi? L’esclusivo parametro per il giudizio d’inadeguatezza dei redditi o dell’impossibilità oggettiva di procurarseli doveva essere quello dell’indipendenza economica del richiedente.

L’autosufficienza poteva essere desunta dal possesso di redditi di qualsiasi specie, di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, della disponibilità di una casa di abitazione e della capacità e possibilità effettive di lavoro personale.


Bastava, in sostanza, che il coniuge richiedente avesse qualcosa di cui campare, anche minimo, che non gli sarebbe spettato alcunchè. Un eventuale aiuto dall’ex consorte sarebbe consistito in una contribuzione del tutto slegata da tenore di vita precedente e volta a costituire un sussidio base per poter vivere.


– Il terzo orientamento, quello attualmente vigente, prende le mosse da una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite  che ribalta ancora le precedenti interpretazioni: l’assegno divorzile ha valenza sia assistenziale che compensativa e perequativa.


Ehhh?


Tranquilli, ci spiega bene il concetto la sentenza della Cassazione cui facevo riferimento all’inizio di questo contributo.


Il caso da dirimere verteva sulla richiesta dell’ex moglie di vedersi riconosciuto dal facoltoso marito un cospicuo contributo a titolo di assegno divorzile sul presupposto che, dopo vent’anni di matrimonio, essa aveva perso e deteriorato le proprie capacità lavorative e reddituali. Aveva ricevuto, in verità, una casa al mare di consistente valore, ma era, per l’appunto, solo un’abitazione per la vacanza, non già fonte di reddito.

 

quando è dovuto assegno divorzio


La pronuncia degli ermellini, sapientemente riassume l’attuale orientamento giurisprudenziale.


L’assegno divorzile ha natura variegata:

– una finalità assistenziale: è un aiuto al (ex) coniuge che non abbia mezzi adeguati. Si badi, il parametro della conservazione del tenore di vita non ha più cittadinanza nel nostro sistema, per cui nulla sarà dovuto in caso di autosufficienza economica delle parti, se abbiano, cioè, la possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente.


E’ opportuno precisare che l’assegno nonbsarà comunque dovuto qualora entrambi i coniugi non abbiano mezzi propri adeguati per vivere dignitosamente, pure in presenza di un relativo squilibrio delle rispettive condizioni reddituali e patrimoniali.


– una finalità compensativa/perequativa, ossia volta a rimediare ad uno squilibrio patrimoniale venutosi a creare a causa delle scelte di vita concordate degli ex coniugi, per effetto delle quali uno di essi abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune.


La suddetta valutazione andrà operata con riferimento ai criteri indicati dalla norma divorzile sopra citata, tra i quali la durata del matrimonio, che incideranno sulla quantificazione dell’assegno.


Nell’ambito di questo accertamento – precisa la Corte – lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono, da soli, elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno.

Il mero dato della differenza reddituale tra i coniugi è coessenziale alla ricostituzione del tenore di vita matrimoniale, che è però estranea alle finalità dell’assegno nel mutato contesto.

L’attribuzione e la quantificazione dello stesso non sono variabili dipendenti soltanto dall’alto (o dal più alto) livello reddituale di uno degli ex coniugi, non trovando alcuna giustificazione l’idea che quest’ultimo sia comunque tenuto a corrispondere all’altro tutto quanto sia per lui “sostenibile” o “sopportabile”, quasi ad evocare un prelievo forzoso in misura proporzionale ai suoi redditi.

Un esito interpretativo di questo genere si risolverebbe in una imposizione patrimoniale priva di causa, che sarebbe arduo giustificare in nome della solidarietà post-coniugale”.

E’ interessante l’inciso finale del provvedimento in esame, che toglie spazio a qualsiasi possibilità di quantificare l’assegno in base ad una semplice percentuale dei redditi del coniuge più abbiente: se è vero che l’assegno può essere attribuito anche solo per finalità di tipo compensativo … dovrà essere parametrato unicamente al contributo personale dato alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge e alle esigenze di vita dignitosa del coniuge richiedente


La Sentenza: Cassazione Civile n. 21234 /2019 

 

 

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Pubblicare foto dei figli minori sui social: deve esserci il consenso dei genitori.

 


Non è possibile pubblicare foto dei figli minori sui social se i genitori siano dissenzienti.


I bambini sono senza passato ed è questo tutto il mistero dell’innocenza magica del loro sorriso.
(Milan Kundera)

 


I bambini sono senza passato, sono fogli bianchi, immacolati, senza malizia, senza pregiudizi, senza ambiguità.


Proprio tale loro caratteristica crea un fascino particolare, che si cerca di fissare, cristallizzare nella memoria, anche tramite immagini, foto che lascino traccia di qualcosa che è stato e che mai più sarà.

Il problema – definiamolo tale, ma per alcuni è tutt’altro – è che ai giorni d’oggi si è portati a condividere le proprie emozioni, i propri orgogli, gli attimi significativi della vita quotidiana su portali telematici, forum d’incontri, social network, affinchè una moltitudine di persone possa cogliere ed apprezzare attimi che, una volta, erano riservati alla nostra intimità ed erano confinati nelle cerchia ristretta dell’ambito familiare.

Veniamo al dunque.

 

 

foto minorenni social

 

E’ possibile pubblicare foto dei figli minori sui social senza alcuna accortezza specifica, o è necessario che vi sia l’accordo dei genitori su tale iniziativa?

 

Ce lo chiediamo partendo da un esempio, che– guarda caso – è stato oggetto di una recentissima pronuncia del Tribunale di Rieti.

Moglie e marito separati, con figli.


Lui si fa una nuova vita, ma la compagna – forse colta da eccessivo zelo, forse da rancore e dissapore verso la moglie del suo amore – pubblica continuamente foto dei figli del partner, accompagnati da commenti non proprio lusinghieri sulla loro madre.


In sede divorzile, gli ex coniugi concordano che la pubblicazione delle foto dei figli minori sia consentita solo dai genitori e non da terze persone.


Circostanza puntualmente disattesa in seguito dalla nuova fiamma del marito che continua a pubblicare foto e commenti.


La madre ricorre in Tribunale per chiedere un provvedimento d’urgenza e far cessare la condotta asseritamente lesiva della donna.


Il Giudice Rietino fa il punto della situazione con la pronuncia che ha accolto le istanze materne.

 

foto minori sui social

 


Innanzitutto, occorrerà fare riferimento ad una disposizione del codice civile – art. 10 cc. – che stabilisce che “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”.


Tale disposizione va ragguagliata ed integrata con quelle rinvenibili in materia di privacy e trattamento dati personali.


In particolare, il nuovo Regolamento UE n. 679/2016 – Regolamento generale per la protezione dei dati personali, entrato in vigore il 25.05.2018 – stabilisce che “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali”.

In forza di tale considerazione, è stabilito che “per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni”.


Quindi per poter trattare i dati personali – e le immagini dei figli sono tali – di un minore è necessario il suo consenso, purchè abbia almeno 16 anni. Se ne abbia di meno, il consenso dovrà essere prestato dal genitore che ne eserciti la relativa responsabilità.


Il nostro legislatore ha fissato il limite di età da applicare in Italia a 14 anni, espressamente prevedendo che, con riguardo ai servizi della società dell’informazione, il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a quattordici anni è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale.


Il più delle volte, la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, per cui il loro consenso è indifferibile rispetto l’eventuale pubblicazione delle foto dei figli sui social.


Va notato, al riguardo, che la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente (art. 337 ter cc).


Sul punto, andrà valutato se l’inserzione di immagini della prole su internet costituisca questione di ordinaria amministrazione oppure “di maggiore interesse” per i figli.


Certo è che, nel caso di specie, i genitori avevano inteso sciogliere anticipatamente il dilemma, espressamente convenendo di precludere il consenso alla pubblicazione delle foto da parte di terzi.

 

foto social network
pubblicare foto dei figli minori sui social: ci vuole il consenso dei genitori

 


Il Tribunale di Rieti ha concluso la propria pronuncia con un’ulteriore considerazione.


La pubblicazione delle foto dei figli sui social può essere pericolosa in ragione delle caratteristiche proprie della rete internet.


“Il web, infatti, consente la diffusione dati personali e di immagini ad alta rapidità, rendendo difficoltose ed inefficaci le forme di controllo dei flussi informativi ex post”.


Come annotato in precedente giurisprudenza, infatti, “l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che “taggano” le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia […] il pregiudizio per il minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network

 

 

 

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pubblicare foto dei figli minori sui social

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Cessione della casa familiare in sede di separazione per sottrarsi ai debiti? Là dove l’ingegno non sfugge alla legge.

 


Fraudolenta cessione della casa familiare in sede di separazione per sottrarsi ai debiti: quali rimedi di legge?

 

Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

 

 

La crisi aguzza l’ingegno.


Laddove soffi il vento della necessità, quasi per atavico istinto di sopravvivenza, l’uomo è spinto a difendersi e ad attuare quanto possibile per procacciarsi ciò che è necessario alla sussistenza.


Vogliamo leggere così, in un’ottica interpretativa, la sempre più diffusa prassi di escogitare nuove (ma neanche tanto) vie per sottrarsi alle azioni esecutive dei creditori da parte di soggetti indebitati sino al collo.


Siamo in difficoltà? Separiamoci.


Ecco un percorso alternativo: non per crisi coniugale, ma per crisi economica.


Analizziamo due casi tipo.


1. Marito e moglie, due cuori e tanti debiti.


Per impedire ai creditori di attingere al loro bene principale, la casa, procedono alla separazione, chiedendo che il giudice disponga l’assegnazione dell’abitazione ad uno di essi, verosimilmente a colui presso il quale i figli saranno prevalentemente collocati.


Tutto a posto?


Anche no.

Ci eravamo soffermati sulla questione un paio d’anni fa, (questo è il post).

Se antecedentemente all’assegnazione della casa i creditori avevano iscritto ipoteca su tale bene, il successivo pignoramento potrà prevalere sul provvedimento separativo, in quanto l’antecedente trascrizione della garanzia è sufficiente per conseguire il diritto di precedenza delle ragioni creditorie.


Diversamente, se i creditori non fossero stati celeri a tutelare i loro diritti e i coniugi avessero trascritto il provvedimento di assegnazione prima di ipoteche e pignoramenti, dovranno mettersi in coda ed attendere che si esaurisca il (lungo) periodo di compimento della disposizione effettuata in sede di separazione.

 

 


2 Marito e moglie: il primo naviga in cattive acque e sente il fiato dei creditori sul collo.


In sede di separazione, per regolamentare i rispettivi rapporti patrimoniali, cede la propria quota di immobile, (potrebbe trasferirlo anche tutto), alla consorte.


Ipotesi frequente nei procedimenti in materia di famiglia.


Come la mettiamo in questo caso? I creditori dovranno “attaccarsi al tram” o potranno invocare qualche tutela?


Dipende.


La spiegazione potrebbe essere un po’ impegnativa, ma vediamo di sintetizzare.


Generalmente, al creditore che si veda sottrarre dal proprio debitore possibili beni – mobili o immobili – su cui soddisfarsi per poter esercitare l’azione esecutiva – leggi pignoramento – è riconosciuta la possibilità di invocare l‘azione “revocatoria” di cui agli art. 2901 e ss. cc.


In buona sostanza, potrà chiedere che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento ;
2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.


Cosa?


Se l’atto con cui il debitore si è spossessato del bene (da pignorare) era a titolo gratuito, basterà dimostrare il pregiudizio che ne è conseguito al creditore e la conoscenza di ciò da parte del soggetto indebitato.


Se, al contrario, il bene fosse stato ceduto verso la corresponsione di un corrispettivo, andranno tutelate anche le ragioni di chi i soldini per acquistarlo li ha impiegati: in questo caso il creditore dovrà dimostrare che il terzo acquirente fosse a conoscenza del pregiudizio che il trasferimento del bene avrebbe arrecato ad altri.

E qui campa cavallo, talvolta la prova è davvero ardua.

 

Bene, perchè questo panegirico?


Dobbiamo verificare se i creditori di quel marito che ha trasferito alla moglie la casa potrà essere riconosciuto il rimedio dell’azione revocatoria.


Dipende, abbiamo detto.


Dipende da come si potrà considerare detto trasferimento.

 

Cessione della casa familiare in sede di separazione per sottrarsi ai debiti: i presupposti per l’azione revocatoria

 


Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione fa il punto preciso della questione.


Gli ermellini considerano la cessione patrimoniale tra coniugi in ambito separativo come un evento che si sottrae alle classiche connotazioni dell’atto di donazione (gratuito) e dell’atto di compravendita (oneroso).


Tali attribuzioni possono assumere i colori di obiettiva onerosità, se volti a compensare una situazione di squilibrio patrimoniale venutasi a creare con la crisi coniugale oppure per adempiere ad obblighi (vedasi il mantenimento) che emergono in rilievo proprio con la separazione.


L’onerosità dell’attribuzione patrimoniale non può farsi discendere tout court dall’astratta sussistenza di un obbligo legale di mantenimento, ma può emergere dall’esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo apportato da un coniuge al mènage familiare e non adeguatamente rappresentato dalla situazione patrimoniale formalmente in essere fino al momento della separazione.


Talvolta, in difetto di tali presupposti e giustificazioni, l’attribuzione patrimoniale può assumere il grado di liberalità ed erogazione gratuita.


Se ne trae la conseguenza – deduce la Suprema Corte – che la qualificazione dell’atto dispositivo per cui è causa come atto a titolo oneroso dipende dalla possibilità di ricondurlo, in concreto, ad una causa che, trovando titolo nei pregressi rapporti anche di natura economica delle parti e nella necessità di darvi sistemazione nel momento della dissoluzione del vincolo, giustifichi lo spostamento patrimoniale fra i coniugi”.


Vale a dire: tu marito che sostieni che la cessione della casa alla moglie in sede di separazione fosse stata fatta a titolo oneroso, per assolvere gli obblighi di mantenimento connaturati al nuovo regime venutosi a creare, mi devi dimostrare che ci fossero i presupposti per tale attribuzione, la quale – diversamente – potrà essere considerata a titolo gratuito, e quindi assoggettabile ad azione revocatoria senza la probatio diabolica della conoscenza, da parte del terzo cessionario, del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori con il trasferimento del bene.

 

Risarcimento danni per mancato pagamento assegno di mantenimento

 


Nel caso di specie, il marito si era privato della propria quota di comproprietà della casa adibita a residenza familiare, assegnandola alla moglie a titolo di mantenimento una tantum; si era impegnato a corrisponderle un assegno mensile per il mantenimento del figlio minore; aveva trasferivo titoli obbligazionari ed azionari per Euro 53.022,22 alla moglie per il suo mantenimento e per quello del figlio minore; aveva trasferito alla consorte 2.750,00 in contanti, in quanto denaro personale di quest’ultima: in buona sostanza, si era di fatto spossessato di ogni suo bene, senza che ciò fosse necessario per assolvere ad i propri obblighi di padre e marito. Circostanza, vieppiù, anomala nell’ambito delle separazioni personali, spesso caratterizzate da aspra rivalità tra coniugi.


In ragione della ritenuta natura gratuita della cessione immobiliare intercorsa, i creditori potranno agire agilmente in revocazione, semplicemente dimostrando che il loro debitore fosse a conoscenza del pregiudizio che essi avrebbero conseguito dal trasferimento, senza dover fare i conti con le insidiose maglie delle ulteriori e fastidiose prove circa la ricorrenza di identico contegno da parte del terzo cessionario.

La sentenza: Cassazione Civile: n. 17908 / 2019  

 

 

 

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Affidamento figli genitori non sposati: quali regole?

 

 

Affidamento figli genitori non sposati: facciamo il punto.

 

Quand’ero piccolo i miei genitori hanno cambiato casa una decina di volte. Ma io sono sempre riuscito a trovarli.
(Woody Allen)

 

 


13 996 986.


Sono le coppie conviventi non sposate risultanti dall’ultimo censimento 


Tra queste, almeno il 63% hanno figli.


Sono numeri notevoli ed in continua evoluzione, data la crisi, ormai consolidata, dell’istituto nuziale.


Qualcuno, con sagace arguzia o scetticismo impertinente, ha sostenuto che il matrimonio sia il primo passo per il divorzio; certo è che pure per le coppie “di fatto” si presentano, in identica misura e proporzione, problemi relazionali talora irreversibili, tali da dover pervenire ad uno sciogliete le righe, senza che vengano a mancare dolorosi strascichi e problemi, anche legali, da prendere per mano.


Per i conviventi non si pongono talune questioni concernenti la soluzione del rapporto coniugale: vedasi, ad esempio, l’obbligo di assistenza materiale tra consorti, la resipiscenza di diritti successori tra coniugi all’esito della separazione e poi del divorzio, nonché possibili beni da dividere a seguito dello scioglimento della comunione legale.


Ed i figli?


Affidamento figli genitori non sposati: cambia qualcosa rispetto a quanto statuito per le famiglie “tradizionali”?


No e sì, potremmo dire.


No, dal punto di vista sostanziale, delle norme pratiche da applicare in punto di diritto.


Sì, dal punto di vista “procedurale”, giacchè ci si muove in ambiti estranei alla separazione coniugale.


Per espresso richiamo effettuato dalla legge, le disposizioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione o divorzio si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio (art. 337 bis cc).


Tra tali disposizioni, va menzionato innanzitutto il diritto dei figli minori di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

 

affidamento figli genitori non sposati: identiche norme rispetto alla famiglia tradizionale

 


In caso di crisi, anche della coppia genitoriale non sposata, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.


Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli.


Si tratta del cd affidamento condiviso, (337 ter cc) sul quale ci siamo soffermati più volte in passato, che attribuisce identica dignità ad entrambi i genitori nel prendere le decisioni, anche quelle più rilevanti, concernenti i figli.


La responsabilità genitoriale, infatti, è esercitata da entrambi i genitori.

Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.

In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.

Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente.


Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. (337 quater cc)


Anche in caso di scioglimento dell’unione di fatto tra genitori non sposati, si dovrà considerare come padre e madre dovranno contribuire al mantenimento dei figli.


Dopo aver stabilito i tempi di permanenza presso l’uno e l’altro, si dovrà verificare il rispettivo onere economico nei confronti dei figli, in misura proporzionale al proprio reddito.


Al riguardo, potrà essere concordata – o fissata dal giudice – la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:


1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore


Anche per le coppie non sposate, con figli minori o non autosufficienti, si può statuire l’assegnazione della casa familiare, attribuita tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli ed a prescindere da quale genitore ne sia proprietario (337 sexies), occorrendo soddisfare l’esigenza di assicurare loro la conservazione dell’ “habitat” domestico, ambiente sicuro nella tempesta di eventi venutasi a creare con la crisi tra genitori.

 


Figli nati nel matrimonio e figli nati fuori dall’unione nuziale: identiche norme di merito, differente procedura giudiziale per le relative statuizioni.


Per i primi l’ambito naturale in cui dovrà intervenire la decisione sui provvedimenti attinenti la prole è il procedimento di separazione o divorzio.


Per i secondi si segue un ricorso ad hoc che, proprio sulla piattaforma giuridica appena accennata con riferimento agli art. 337 bis e seguenti del codice civile, statuirà sui provvedimenti concernenti i figli, con procedura più agile rispetto a quella separativa o divorzile.


Una volta depositato il ricorso, verrà fissato un termine per la notifica del ricorso alla parte resistente, che potrà depositare una memoria difensiva.


All’udienza, il giudice cercherà una composizione tra le rispettive posizioni, assumerà le opportune informazioni e si riserverà di riferire al collegio per la conseguente decisione.
Una circostanza rilevante è che, come nel giudizio di separazione o divorzio, anche nel procedimento indicato potranno essere ascoltati i figli di almeno dodici anni, o anche di meno, purchè capaci di discernimento.


I decreti del tribunale, reclamabili, potranno essere in ogni tempo essere revocati o modificati.

 

 

 

 

 

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Affidamento figli genitori non sposati

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Mentire al partner dicendo di essere divorziato è reato di sostituzione di persona

 

Le conseguenze della condotta consistente nel mentire al partner dicendo di essere divorziato.

 


I mariti sono ottimi amanti, soprattutto quando tradiscono le mogli.
Marilyn Monroe

 

 

Partiamo da una premessa: non condividiamo assolutamente il paradigma della meravigliosa Marilyn, ma…


… ma effettivamente un quid pluris rispetto alla media lo doveva pur avere il malcapitato protagonista del caso giudiziario che oggi ci occupa.


Non parliamo di promesse da marinaio, del tipo “vedrai, mollerò mia moglie e poi ci sposeremo”.

No.


Ci riferiamo a dichiarazioni con cui si rassicura il nuovo amante, chiamiamolo partner per bon ton, sul fatto di essere divorziati, di non aver più niente a che fare con la (ex) moglie, che, anzi, si sarebbe proceduto quanto prima a chiedere addirittura la nullità del matrimonio innanzi alla Sacra Rota.


Mettiamoci, pure, che nel frattempo l’asserente (ex) marito abbia avuto anche un figlio dalla nuova compagna e che le abbia promesso nozze a breve termine, legittimando l’inizio dei relativi preparativi.

 

 

Purtroppo, a fronte dell’esitare del compagno, la donna ed i familiari scoprivano, a seguito di accurate indagini, che non solo questi abbia mentito sul fatto di essere divorziato, ma anche che non era nemmeno separato e che, ciliegina, addirittura aspettava un figlio dalla moglie.


Apriti cielo.


Della questione è stata prontamente investita la magistratura che, di primo acchito, procedeva per il reato di tentata bigamia. (art. 556 cp, da uno a cinque anni di reclusione, mica bruscolini )


Instauratosi il processo penale, si addiveniva ad una sentenza di condanna. Non già per il reato contestato, quanto per quello di sostituzione di persona, previsto e punito dall’art. 494 cp  


Decisione appellata e poi oggetto della pronuncia della Corte di Cassazione.


Cosa hanno stabilito gli ermellini?


In primis, rispetto alla doglianza dell’imputato di essere stato tratto a giudizio per un reato e di essere stato condannato per un altro, la Suprema Corte ha sottolineato che i fatti attribuiti al prevenuto siano i medesimi, ma che sia semplicemente e legittimamente stata modificata la qualificazione giuridica, senza ampliarne la portata.


Nel merito è stata confermata pienamente la ricorrenza del reato di sostituzione di persona in luogo di quello di tentata bigamia.

 

mentire al partner dicendo di essere divorziato: è reato di sostituzione di persona


Quest’ultima sarebbe stata configurabile se l’asserito ex marito avesse avuto serie intenzioni di convolare a nuove nozze mentre era ancora legato da vincolo coniugale. Circostanza giammai rientrata nell’orbita della volontà dell’imputato.


In realtà il signore aveva inteso illudere la nuova compagna, millantando una libera condizione in cui non si trovava ed addirittura partecipando a corsi prematrimoniali e preparativi per le nozze alle quali aveva manifestato il proprio pieno consenso, concordandone la data.


Ebbene, l’art. 494 cp punisce la condotta di chi “al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona , o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici”.


Per la Corte di Cassazione “la condizione di uomo libero o sposato o divorziato o non più legato da un matrimonio religioso annullato dalla Sacra Rota rappresenta certamente uno status dell’individuo, a cui, fra l’altro, la legge attribuisce effetti giuridici (senza volere, con ciò, confondere i termini della norma, in quanto, ai fini di integrazione del reato, ha rilevanza l’attribuzione di un falso stato tout court mentre è soltanto in relazione alla falsa qualità che viene richiesto l’ulteriore requisito per cui deve trattarsi di una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici)”.


Maggiore attenzione rivestiva la questione attinente al “vantaggio” che la legge impone come scopo al soggetto che ponga in essere la sostituzione di persona, circostanza negata come sussistente dalla difesa dell’imputato.


La Corte ha disatteso tale contestazione: la nozione di vantaggio implica “un miglioramento che non necessariamente deve essere quantificabile in termini economici ma, in senso lato, deve corrispondere ad un mutamento esistenziale percepito come positivo dall’agente o ad un accrescimento delle opportunità… Non si vede per quale motivo possa essere escluso dalla nozione di vantaggio, in questi termini delineata, l’avere instaurato o comunque mantenuto, per un apprezzabile lasso di tempo, una relazione affettiva e di convivenza. ”, con lo scopo di continuare la relazione sentimentale con la nuova compagna.

 

La Sentenza: Corte di Cassazione Penale n. 34800/2016

 

 

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Tempi di frequenza dei figli in caso di separazione: al bando la matematica

Cassazione: no alla rigida suddivisione matematica dei tempi di frequenza dei figli in caso di separazione

È questione di qualità, piuttosto che di quantità”.
Lucio Anneo Seneca

Se ne è parlato molto negli ultimi tempi, quando agli onori delle cronache è balzato un disegno di legge (DDL 775, cd “Pillon”) che proponeva che i tempi di permanenza dei figli presso i genitori dovessero essere di regola (salvo eccezioni) paritetici.


Tale proposta si è arenata, essendo stata ritirata, ma la tematica è comunque di estrema attualità, poiché sono sempre più numerose le richieste di collocamento della prole secondo modalità che contemplino identica frequenza con entrambi i genitori.


A tali istanze hanno talora corrisposto sentenze di apertura da parte di alcuni tribunali di merito, che hanno sottolineato come possa corrispondere agli interessi dei figli godere in eguale misura della presenza di tutte e due le figure genitoriali, laddove, ovviamente, vi siano idonee condizioni, su tutte le reali possibilità di fattiva collaborazione tra genitori nell’ottica di una gestione più condivisa dei figli.

pari tempi di visita del padre


La Cassazione, con una pronuncia piuttosto recente, mette alcuni paletti. (Cassazione Civile, Sez. I, 10 dicembre 2018, n. 31902).


Un conto è, infatti, appurare e tutelare il diritto dei figli ad avere rapporti significativi con entrambi i genitori: quello, salvo casi di inopportunità o controindicazioni, andrà sempre riconosciuto e perseguito.


Altro è imporre, a priori, che tale diritto si debba risolvere in una aritmetica ed aprioristica suddivisione dei tempi di permanenza.


Argomentando in questa maniera si potrebbero conseguire risultati incompatibili con il miglior interesse proprio dei figli minori.


Il principio di bigenitorialità” sancisce la Suprema Corte “si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore”, giacché “in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione”.

tempi di visita dei figli in caso di separazione
tempi di frequenza dei figli in caso di separazione: va perseguito solamente il miglior interesse della prole


La Corte, in buona sostanza, pone l’accento sull’attenta verifica del reale best interest of child che si potrebbe conseguire in seno ad un evento, comunque doloroso, come è la separazione.


Parità di tempistiche statuite a priori cozzano contro la verifica attenta del caso concreto.


L’effettiva tutela dei rapporti tra genitori e figli deve tradursi in una qualità ottimale del rapporto nel tempo in cui è dato loro frequentarsi, piuttosto che nella quantità e durata della frequentazione che, se pedantemente perseguita, potrebbe essere controindicativa rispetto alle esigenze, sacrosante, di sicurezza e stabilità della prole che emergono nella crisi familiare.

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