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Prova della relazione extraconiugale? Non dal computer in uso comune a moglie e marito

 

Non è ammissibile la prova della relazione extraconiugale tramite l’esibizione di file, foto, documenti contenuti in un computer personale, senza l’autorizzazione del Garante, nemmeno se l’apparecchio è  utilizzato da entrambi i coniugi.

Amo il tradimento, ma odio il traditore.”
                                                         GIULIO CESARE

 

Tra gli obblighi che nascono dal matrimonio un ruolo fondamentale assume quello della fedeltà (art. 143 c.c.).

Checchessenedica – anche se qualche disegno di legge, più o meno estemporaneo, ha provato a promuovere l’abolizione di questo precetto – è difficile immaginare come un qualsiasi consorzio sociale possa trovare minima disciplina senza poggiare sulla fiducia.

Sta di fatto che la violazione della fedeltà coniugale può comportare la pronuncia di addebito in un eventuale procedimento di separazione giudiziale.

A patto che ne sia data la prova. E qui viene il bello. O il brutto, nel senso che talora potrebbe risultare davvero arduo.

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In un’epoca segnata dalla evoluzione tecnologica e dalla comunicazione digitale è sempre via via più frequente che i tradimenti siano scoperti su mezzi informatici.

Bene. Oggi ci occupiamo di un caso sottoposto alla pronuncia del Tribunale di Larino, nell’ambito del quale la moglie lamentava di aver scoperto dal computer, in uso ad entrambi i coniugi, che il marito non solo era solito collezionare file e foto di marcato contenuto pornografico, ma anche che tra questi vi fossero una “serie infinita di immagini a colori di natura pornografica, di donne e uomini travestiti/e da streghe, donne con frustini, donne vestite da infermiere, immagini inequivocabili dove compariva tra i protagonisti anche” il marito.

In base all’allegazione di tali prove, la signora chiedeva il conseguente addebito della separazione per infedeltà, oltre alla “condanna del marito al pagamento, in suo favore, di una somma pari ad Euro 300.000,00 a titolo di risarcimento del danno di natura endofamiliare, patito a causa della indecorosa condotta”.

Tale istanza è stata rigettata.

La considerazione del Tribunale, in buona sostanza, si è concentrata nel risolvere preliminarmente il quesito della legittimità – e conseguente ammissibilità – delle prove offerte dalla ricorrente.

Non doveva, infatti, essere sottaciuto che tali documenti – di natura assolutamente sensibile e riservata – fossero stati espunti dal computer utilizzato anche dal marito.

La moglie vi poteva accedere, certo, e prenderne visione, ma l’utilizzo promiscuo non la legittimava alla diffusione a terze persone senza il di lui consenso.

E a poco rilevava che l’utilizzo effettuato dalla ricorrente era unicamente teso a far valere un proprio diritto in sede giudiziale – diritto alla difesa da tutelare alla stregua di quello alla riservatezza del marito – in quanto il codice della privacy subordina espressamente l’eventuale trattamento di dati così personali, tra l’altro idonei a rappresentare la salute e la vita sessuale della persona, all’autorizzazione del Garante della privacy, che dovrà effettuare un bilanciamento tra i rispettivi diritti e valutare se quello alla riservatezza possa cedere il passo al diritto di difesa in giudizio di chi, i dati riservati altrui, voglia utilizzare.

Era, infatti, già stato osservato dalla Corte di Cassazione che “il codice della privacy (d.lgs. 196 del 2003) disciplina in modo diversificato in relazione al tipo di dato il trattamento di dati personali necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, e, ove si tratti di dati sensibili, ossia inerenti la salute e la vita sessuale, richiede, oltre al consenso dell’interessato, la previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, il quale valuta comparativamente il rango del diritto azionato e di quello protetto dalla disciplina” (Cass. civ. n.18584/2008).

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Nel caso di specie, la moglie tradita non aveva provveduto a richiedere alcuna autorizzazione al Garante al fine di essere abilitata all’effettuata produzione documentale che, pertanto, doveva qualificarsi illegittima e conseguentemente inammissibile.

Non poteva, nemmeno, valere la circostanza che il computer comunque non fosse stato utilizzato solo dal marito ma anche dalla moglie e, pertanto, i documenti ivi contenuti erano messi dal primo nella disponibilità della seconda.

Il giudice ha, infatti, rilevato che un conto è se il diretto interessato intenda autorizzare espressamente l’utilizzo dei propri dati personali, mettendoli coscientemente e volontariamente a disposizione di terzi, altro è la semplice circostanza che quelle informazioni sulla sua persona fossero dissimulate in un un apparecchio in dote anche alla consorte che, pertanto, non potrà essere considerata nemmeno indirettamente destinataria di una implicita o esplicita autorizzazione alla loro divulgazione.

In difetto di prova del tradimento non potevano, conseguentemente, trovare ingresso al favore del giudice nè la pronuncia di addebito nè quella di risarcimento del danno, quest’ultima anche perchè incompatibile col rito della separazione.

Possa trovare favorevoli o perplessi, la recente decisione del Tribunale di Larino  è stata pronunciata allorquando doveva ancora entrare in vigore il Regolamento (UE) 2016/679.

Staremo a vedere se vi saranno differenti interpretazioni alla luce della nuova normativa.

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