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Convivenza more uxorio: se l’ex chiede il rimborso degli importi corrisposti durante la coabitazione

Quando finisce un amore… i problemi più rilevanti, oltre a rimettere a posto i cocci del cuore, sono quelli attinenti alla gestione/spartizione/rimborso di quanto gli ex partner si siano attribuiti durante la convivenza.

Mentre, da un lato, è pacifico che se un acquisto è stato eseguito da entrambi i compagni, il bene che ne ha formato oggetto apparterrà ad entrambi e per esso varranno le regole contemplate in materia di comunione, in particolare quelle attinenti l’amministrazione e lo scioglimento della comunione, altrettanta certezza non v’è con riferimento a quei beni, in particolar modo il denaro, reciprocamente elargiti nell’ambito del menage familiare.

Quando la coppia “scoppia”, la tendenza è quella di dimenticare ciò che è stato, ossia che a monte vi era un’unione, un progetto familiare, in virtù del quale chi dava qualcosa non lo faceva per vederselo ritornare, ma per fornire il proprio apporto ad un percorso da compiere assieme al proprio compagno.

Ecco allora che le elargizioni, anche se significative, possono essere lette ed inquadrate nel dovere di solidarietà che presiede qualsiasi consorzio familiare e, in quanto tali, non possono essere oggetto di restituzione.

Non solo.

Per poter arguire che un qualcosa è stato dato per essere restituito è imprescindibile che chi rivendichi di essere creditore dimostri il titolo, il motivo, il contratto per cui si considera tale.

A tale approdo è giunta la Corte di Cassazione, in una recente pronuncia (n. 9864/2014) che ha esaminato il caso in cui “lei” aveva consegnato a “lui” delle somme di denaro, nel mentre era in corso la loro convivenza.
Ebbene, anche a fronte della pacifica ricorrenza della prova di tale erogazione, i giudici supremi hanno ritenuto che incombesse sull’asserita creditrice l’onere di dimostrare – tipico di chi evochi una pretesa in giudizio – che quella somma fosse stata corrisposta a titolo di mutuo, sì da giustificare l’obbligo della restituzione.

“L’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo” per gli ermellini “è, ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 1, tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione; l’esistenza di un contratto di mutuo, infatti, non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro…

In altre parole, la circostanza che il convenuto ammetta di aver ricevuto una somma di denaro dall’attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce una eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova; con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo a carico dell’attore l’onere di dimostrare che la consegna del denaro è avvenuta in base ad un titolo (mutuo) che ne imponga la restituzione”.
In difetto, ben potrà essere argomentato che la corresponsione sia stata effettuata quale adempimento spontaneo di un’obbligazione naturale, scaturente dal vincolo affettivo, ed in quanto tale irripetibile.

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