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Cosa fare in caso di mancato pagamento dell’assegno di separazione o divorzio?

Rimedi in caso di mancato pagamento assegno di separazione o divorzio

Tra dire e il fare c’è di mezzo il mare.


Ce lo dicevano le nostre mamme, ma il concetto è attualissimo in ambito giuridico: è inutile che la sentenza del giudice riconosca i nostri diritti se poi ad essi non sia possibile dare attuazione.


Ed in effetti, si sprecano i casi in cui provvedimenti di separazione o divorzio statuiscano obblighi economici a carico di una parte e poi questa non li rispetti, mettendo in ambasce l’altra (e i suoi figli).


Della problematica ce ne eravamo occupati in precedenza, ma oggi poniamo l’attenzione su alcuni rimedi che la legge assicura al coniuge titolare del diritto al mantenimento o dell’assegno divorzile in caso di inadempienza dell’obbligato.

garanzie e sequestro

Sia nel caso di separazione che di divorzio, il legislatore ha inteso scongiurare il pericolo che il coniuge debitore possa sottrarsi all’ adempimento delle obbligazioni economiche – anche quelle riguardanti i figli – statuendo la possibilità che il giudice gli imponga di prestare “idonee garanzie, reali o personali”.
Tra di esse, segnaliamo il pegno – che potrà avere ad oggetto cose mobili, (es la macchina), o crediti dell’obbligato (ad esempio un titolo, delle azioni), oppure altri suoi diritti (brevetti, marchi, diritti di autore) – e la fideiussione (sia bancaria che assicurativa).

Ipoteca immobiliare

Sia la sentenza separativa, quanto quella divorzile costituiscono titolo che legittima l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
In realtà, vi è una norma generale del codice civile che assicura la possibilità di avvalersi di tale garanzia in forza di ogni sentenza – o altro provvedimento giudiziale al quale la legge attribuisce tale effetto – che porta condanna al pagamento di una somma di denaro o all’adempimento di altra obbligazione (2818 cc).

Va da sé che identico portato è stato ribadito dalla Legge sul divorzio (art. 8) e da quella codicistica in ambito della separazione (art. 156 cc).

Scontato che possa iscriversi ipoteca anche su beni pervenuti al debitore anche successivamente al provvedimento di scioglimento del matrimonio o di separazione, (art. 2828 cc), si deve rilevare che il giudice potrà valutare se sia fondato il pericolo di inadempimento del coniuge tenuto a corrispondere le somme di denaro, cosicchè – a seguito di sindacato negativo – potrà ordinare la cancellazione dell’ipoteca.

Pare, invece, non consentita l’iscrizione in forza di sola ordinanza presidenziale che abbia statuito i provvedimenti provvisori ed urgenti, ordinando la corresponsione di un assegno in favore di una parte.

Versamento diretto da parte del terzo

Cosa fare in caso di mancato pagamento dell’assegno di separazione o divorzio? Voglio dire, il coniuge obbligato i soldi li prende, o dovrebbe prenderli, ma dopo? sai tu dove li fa confluire? E se li spendesse tutti quanti senza onorare il proprio debito familiare?

Ritenuta alla fonte, ecco il rimedio, per usare un termine d’ambito fiscale.

In caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può… ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto.

Tale possibilità è statuita sia in ambito della separazione, che in quello divorzile.

In quest’ultimo caso, tuttavia, senza scomodare il giudice, si potrà procedere tramite una via stragiudiziale: dopo aver richiesto gli importi dovuti (costituzione in mora) a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento al coniuge obbligato e inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, si potrà notificare il provvedimento in cui è stabilita la misura dell’assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato, con l’invito a versare direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al coniuge inadempiente.

In caso di inadempimento del terzo a cui è stata indirizzata detta intimazione, il coniuge creditore avrà azione diretta esecutiva nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovutegli quale assegno di mantenimento

mancato pagamento dell’assegno di separazione o divorzio



La maggior parte delle volte i “terzi” tenuti al versamento diretto delle somme dovute all’obbligato sono i datori di lavoro, i quali verseranno parte dello stipendio direttamente nelle mani del coniuge titolare dell’assegno. Si può tuttavia procedere ugualmente anche per gli importi dovuti a titolo di canone di locazione da parte dell’inquilino che abbia affittato un immobile di proprietà del coniuge obbligato.

La giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare che tale tutela è riconosciuta anche per gli importi dovuti a titolo di mantenimento dei figli, non soltanto per quello del coniuge.

E’ pacifico che si possa procedere ugualmente anche in caso di separazione consensuale, non solamente per quella giudiziale.



In quale misura il terzo sarà tenuto al versamento diretto in favore del coniuge?


Non ci sono limiti
.


Infatti, a differenza di quanto concerne l’ipotesi di pignoramento presso terzi, ove il salario del coniuge inadempiente può essere sottoposto al soddisfacimento del (coniuge) creditore entro un limite non superiore ad un mezzo, tale “soglia” non è vincolante per le misure che stiamo prendendo in esame.


La Corte di Cassazione ha avuto modo di sottolinearlo in una recente sentenza (n 24051/2021).


Partendo dal dato di legge – l’art. 156 c.c. prevede che il tribunale possa ordinare a terzi, obbligati nei confronti del coniuge debitore, di pagare direttamente al coniuge (avente diritto all’assegno), quanto a questi è dovuto – se ne deduce che “il giudice possa legittimamente disporre il pagamento diretto dell’intera somma dovuta dal terzo, quando questa non ecceda, ma anzi realizzi pienamente, l’assetto economico determinato in sede di separazione con la statuizione che, in concreto, ha quantificato il diritto del coniuge beneficiario”.
In buona sostanza, a monte – in sede separativa – c’era già stata una valutazione del giudice sulla congruità ed equità della somma dovuta dal coniuge a titolo di mantenimento, valutazione che – si noti – potrebbe essere molto dettagliata e tener conto non solo dello stipendio dell’obbligato ma dell’intera sua capacità patrimoniale (cespiti immobiliari, rendite, titoli, partecipazioni…). Conseguentemente, allorquando il Tribunale statuisca sull’ammontare dell’importo che il datore di lavoro dovrà corrispondere al coniuge beneficiario dell’assegno, potrà operare tenendo conto di tutti questi dati e, proprio alla stregua di essi, disporre il versamento diretto dell’intera somma dovuta, senza limiti o tetti massimi.


Quella di cui all’art. 156” – concludono gli ermellini – “è, in definitiva, una disciplina speciale, orientata dall’esigenza di assicurare un bilanciamento di interessi il più possibile aderente alla specificità del caso e governata da una propria autosufficienza”.

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Avvocato col gratuito patrocinio: cosa bisogna sapere?

Alcune informazioni utili per poter farsi assistere da un avvocato col gratuito patrocinio.

Cosa significa gratuito patrocinio?

La nostra Costituzione identifica la difesa come “diritto inviolabile“. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (art 24 Cost).

Anche chi è povero? Sissignore! E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno godimento dei diritti (art. 3 Cost).

Per coloro ai quali la limitatezza di risorse precluda la possibilità di partecipare ad un giudizio con l’assistenza di un avvocato, la legge ha introdotto l’istituto del patrocinio a spese dello stato (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115).

Il beneficiario non dovrà sostenere le spese dell’assistenza legale in una causa, che saranno sostenute dallo Stato.

Il cd “gratuito patrocinio”, pertanto,  serve a garantire anche ai meno abbienti la difesa con avvocati che altrimenti non si potrebbero permettere.

Cosa comprende e cosa copre il gratuito patrocinio?

Il gratuito patrocinio assicura l’assistenza di un legale (scelto dal beneficiario stesso tra gli avvocati iscritti ad apposito elenco), nell’ambito di un processo civile, penale, amministrativo, contabile, tributario o negli affari di volontaria giurisdizione.

Il beneficio è assicurato al cittadino non abbiente tanto che voglia intraprendere una causa, quanto che sia stato citato a giudizio e debba conseguentemente resistervi.

Attenzione Attenzione! Come abbiamo rilevato, il gratuito patrocinio copre le spese di assistenza in un giudizio: sono, pertanto, escluse quelle relative a vertenze che non siano sfociate nella causa (cd stragiudiziali).

L’assistenza di un avvocato per una semplice consulenza, oppure in un percorso che si risolva (o meno) con diffide, transazioni, telefonate, lettere, appuntamenti o altro, senza che sia adita la giustizia, sarà interamente a carico del cliente.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha avuto infatti modo di statuire che “L’attività professionale di natura stragiudiziale che l’avvocato si trova a svolgere nell’interesse del proprio assistito non è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, in quanto si esplica al di fuori del processo, con la conseguenza che il relativo compenso si pone a carico del cliente

Va, comunque, rilevato che “ove di tratti di attività professionale svolta in vista della successiva azione giudiziaria, essa deve essere ricompresa nell’azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato, sicché in relazione alla stessa il professionista non può chiedere il compenso al cliente ammesso al patrocino a spese dello Stato”.

Chi ha diritto al gratuito patrocinio paga il contributo unificato?

Sono comprese nel beneficio, e quindi il cliente non deve corrisponderle o anticiparle, le spese di notifica, dei diritti di copia, di contributo unificato, quelle dovute al consulente tecnico d’ufficio (CTU) nominato dal tribunale, nonchè  del proprio consulente tecnico di parte,  l’imposta di registro della Sentenza: in una parola, le spese accessorie e strumentali al procedimento giudiziario.

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Il gratuito patrocinio vale anche in appello?

La legge stabilisce, dapprima,  che “l ’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse”. Poi, però, vi è una precisazione: “La parte ammessa rimasta soccombente  non può giovarsi dell’ammissione per proporre impugnazione”.

Dalla lettura combinata dei due articoli deriviamo che il beneficio permanga nel caso in cui la parte che l’abbia conseguito abbia coltivato vittoriosamente il giudizio di primo grado. In tal caso potrà goderne anche se convenuta in appello.

Diversa è la conclusione per la parte soccombente: non potrà più contare sull’originaria ammissione e dovrà presentare una nuova domanda, il cui fondamento sarà oggetto di apposita valutazione.

Chi ha diritto al gratuito patrocinio? 

La legge che abbiamo indicato stabilisce chi può richiedere ed ottenere il gratuito patrocinio:  colui il quale sia titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.746,68. Quest’ultima è una somma che sarà aggiornata via via col passare del tempo, ogni due anni.

Non è un importo elevatissimo.

Il problema è che vi sono ulteriori limitazioni.

Innanzitutto, non si tiene conto soltanto del reddito del beneficiario, bensì dell’intero suo nucleo familiare convivente:  “se l’interessato convive con il coniuge  o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante”.

In buona sostanza, la somma dei redditi dei familiari conviventi deve essere inferiore all’importo che abbiamo indicato.

A meno che…. l’azione per cui viene chiesto il beneficio sia rivolta verso un soggetto rientrante nel nucleo familiare, ad esempio il coniuge nel giudizio di separazione: si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.

Una seconda precisazione riguarda come calcolare il reddito di riferimento per il gratuito patrocinio. Sarà indicativa senz’altro la denuncia dei redditi (nota bene, non l’isee, in quanto redatta sulla base di criteri difformi da quelli prescritti per il calcolo del reddito ), ma dovranno essere compresi anche  i redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche  (ad esempio, la pensione di guerra o l’indennità di mobilità) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (es interessi su conti correnti), ovvero ad imposta sostitutiva (ad esempio gli interessi sui titoli di stato). Dovranno essere indicate anche le entrate che di fatto non hanno subito alcuna imposizione (ad esempio i redditi da attività illecite e da lavoro in nero).

In caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta, , questa potrà essere sostituita da una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato.

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Chi non può ottenere il gratuito patrocinio?

Chi abbia conseguito sentenze di condanna per alcuni tipi di reato (segnatamente, quelli caratterizzati da matrice mafiosa oppure attinenti l’evasione fiscale) non potrà fruire del beneficio, in quanto per esso vi è la presunzione di reddito superiore ai limiti previsti.

Chi può ottenere il gratuito patrocinio anche se ha reddito superiore ai limiti previsti?

Al contrario, chi sia stato vittima di alcune tipologie di crimini, (quelli attinenti il femminicidio, ad esempio, oppure commessi in danno di minori) potrà conseguire il beneficio anche se abbia un reddito superiore al tetto massimo  statuito.

Come richiedere il gratuito patrocinio?

Premessa, il beneficio si ottiene solo se si richiede: non potrà essere concesso d’ufficio dal Giudice.

Chi abbia i requisiti che abbiamo esaminato, può presentare istanza per essere ammesso al beneficio in ogni stato e grado del procedimento. Pertanto, se dovesse intraprendere un giudizio senza avvalersi del patrocinio a spese dello stato e poi, nel corso della causa, dovesse rientrare nella fascia dei soggetti che lo potrebbero conseguire, potrà presentare istanza che, ovviamente, coprirà l’attività da svolgere e non quella già effettuata.

L’istanza dovrà essere firmata dall’interessato stesso, a pena di inammissibilità: il suo difensore dovrà certificarne l’autografia.

In molti Tribunali è diffusa la pratica di deposito telematico: l’assistito sottoscrive la documentazione e l’avvocato la inoltra in formato elettronico.

L’istanza deve avere alcuni requisiti imprescindibili:

a) specificare la richiesta di ammissione al patrocinio e l’indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente;

b) le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali;

c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fin;

d) l’impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell’istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione.

e) le enunciazioni in fatto ed in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere, con la specifica indicazione delle prove di cui si intende chiedere l’ammissione.

Gratuito patrocinio: dove rivolgersi? 

L’istanza potrà essere presentata direttamente dall’interessato o dal suo difensore al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente, vale a dire quello del luogo in cui ha sede il magistrato davanti al quale pende il processo, ovvero, se il processo non pende, quello del luogo in cui ha sede il magistrato competente a conoscere del merito.

Il Consiglio dell’Ordine avrà dieci giorni di tempo per esprimersi in ordine all’istanza.

Se la riterrà fondata e coerente con i requisiti di legge, ammetterà l’interessato in via anticipata e provvisoria al patrocinio.

Sarà poi il magistrato al termine della causa, a stabilire definitivamente sussistente il diritto al beneficio, disponendone conseguentemente la liquidazione.

Se il consiglio dell’ordine dovesse respingere  l’istanza, questa potrà essere proposta al magistrato competente per il giudizio, che deciderà con decreto.

come funziona il gratuito patrocinio?
Avvocato gratuito patrocinio a Vicenza

Quando scade il gratuito patrocinio?

Il beneficio permane fintanto che i presupposti per i quali lo si è conseguito sussistano.

Fino a quando il processo non sarà terminato, l’interessato dovrà comunicare –  entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell’istanza o della eventuale precedente comunicazione  – le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente.

Cosa significa: se il beneficiario per tutta la durata del procedimento non conoscerà variazioni di reddito rilevanti, non sarà tenuto ad effettuare alcuna comunicazione, continuando a permanere il gratuito patrocinio, che coprirà, quindi, tutta l’attività svolta dall’inizio del processo.

Se, al contrario, dovesse percepire somme che aumentino i redditi da considerare ai fini dell’istituto, dovrà darne comunicazione al Giudice procedente. Al termine del processo, questi liquiderà la parcella dell’avvocato patrocinante, escludendo dall’importo a carico dello Stato le somme riferite al periodo di tempo per cui non sussistevano i presupposti per il beneficio.

Attenzione Attenzione!

Il beneficiario che ometta di effettuare le comunicazioni indicate, al fine di mantenere, senza diritto, il gratuito patrocinio, è passibile di sanzione penale  con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37. 

Identica sanzione per l’istanza originaria di ammissione che abbia contenuto falsità o omissioni volte a conseguire il beneficio, altrimenti non ottenibile.

Si noti che copia dell’istanza dell’interessato, delle dichiarazioni e della documentazione allegate, nonché del decreto di ammissione al patrocinio sono trasmesse, a cura dell’ufficio del magistrato che procede, all’Agenzia delle Entrate – che potrà avvalersi anche della collaborazione della Guardia di Finanza –  al fine della verifica dell’esattezza dell’ammontare del reddito attestato dall’interessato, nonché della compatibilità dei dati indicati con le risultanze dell’anagrafe tributaria.

Se risulta che il beneficio è stato erroneamente concesso, l’ufficio finanziario richiede il provvedimento di revoca.

Chi paga il gratuito patrocinio?

Il beneficiario non deve anticipare nulla.

Anzi, è fatto espresso divieto all’avvocato che lo assista di richiedere qualsivoglia somma.

La violazione costituisce illecito disciplinare.

L’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento, al termine del processo, una volta che saranno verificati – in via definitiva – i presupposti per l’ammissione e la permanenza del beneficio.

La parcella sarà liquidata osservando la tariffa professionale, tenuto conto dell’attività svolta in concreto.

Gli importi, tuttavia, saranno dimezzati se l’assistenza prestata concerneva l’ambito civile, mentre saranno ridotti di un terzo per le cause penali.

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Gratuito patrocinio per separazione o divorzio

Non saranno da computare nel reddito dell’istante le somme percepite a titolo di contributo al mantenimento dei figli.

Dovranno esserlo, invece, quelle conseguite a titolo di mantenimento personale del coniuge.

I redditi dei coniugi non si sommeranno, e andranno quindi considerati distintamente, se la separazione sia giudiziale, sussistendo una posizione di conflitto tra i componenti dello stesso nucleo familiare.

Identico discorso se la separazione sia consensuale: con una recente Sentenza, la Corte di Cassazione ha rilevato che ” la circostanza che i coniugi accedano al giudizio di omologazione sulla base di un accordo consensuale,  … non comporta l’assenza di interessi configgenti”.  

Gratuito patrocinio per negoziazione assistita e mediazione obbligatoria

Per tali forme alternative al percorso giudiziale, dobbiamo operare una distinzione.

E’ compreso nell’alveo del gratuito patrocinio l’assistenza nel procedimento di negoziazione assistita, qualora sia obbligatorio; vale a dire come percorso prodromico ed indefettibile per intraprendere il successivo giudizio.

Non è coperta, invece, la negoziazione d’ambito volontario.

Per quanto attiene la mediazione, purtroppo, allo stato non è possibile farla rientrare nel gratuito patrocinio, anche se dovesse essere obbligatoria, allorquando si concluda positivamente, ossia con la conciliazione.

Con una recente Sentenza, la Suprema Corte ha avuto modo di ribadirlo, sottolineando che la legge limita l’operatività del patrocinio a spese dello Stato all’ambito del procedimento, sia penale sia civile e postula, pertanto, l’intervenuto avvio della lite. 

Se, al contrario, dovesse essere intrapresa la causa, sarà il Giudice al termine del giudizio a dover liquidare anche tale fase di attività.

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Pubblica o privata? il contrasto sulla scelta della scuola dei figli

 

 

Contrasto sulla scelta della scuola dei figli: come va risolto?

 

 

Se pensate che l’istruzione sia costosa, provate l’ignoranza.
(Anonimo)

 

 


In sede di separazione o divorzio l’affidamento condiviso è la regola, salvo eccezioni, nel caso ciò non fosse corrispondente al prevalente interesse dei figli.


Tale regime implica che i genitori abbiano la medesima dignità decisionale in merito alle scelte più importanti da compiere per i figli: le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli (art 337 ter cc) .


Avete letto? Anche le scelte relative all’istruzione debbono avvenire congiuntamente.


In caso di contrasto sulla scelta della scuola dei figli tra genitori non prevarrà la posizione dell’uno sull’altro; si andrà dal giudice che dirimerà il conflitto e, nel caso, assumerà la decisione.


Una delle più frequenti divergenze tra padre e madre riguarda non già e non tanto l’ubicazione della scuola che frequenterà il figlio (vicino a me o a te?), quanto la tipologia: pubblica o privata?


Chi scrive non vuole aprire dibattiti su quale sia migliore. Non basterebbero fiumi di pagine per venirne a capo o per fare un bilancio tra i rispettivi pro e contro.


Certo è che il giudice dovrà risolvere il contrasto sulla scelta della scuola dei figli con una decisione, a favore della pubblica o di quella paritaria.

 

 

contrasto genitori scuola pubblica o privata

 


Una recente pronuncia del tribunale di Modena (19 agosto 2020) è paradigmatica.


I genitori litigano sulla scuola media alla quale iscrivere la figlia.

Mamma vorrebbe continuare il percorso alla privata, già intrapreso alle elementari. Il papà opterebbe per quella pubblica, asserendo sia più adeguata per una “una socializzazione normale e ingresso nel mondo ordinario”, evitando quindi “situazioni di vita selettive”.


Al giudice è arrivata la patata bollente.


Il Tribunale emiliano ha optato per dare ragione al padre: scuola pubblica, quindi.


E’ questa la destinazione naturale che lo stato mette a disposizione di tutti i minori e della quale si presume la capacità di fornire idonea istruzione.


Vi è dell’altro: la scuola paritaria ha un costo che quella pubblica non ha.


Inoltre, il tipo di disciplina e di orientamento che viene impartito – vuoi a livello didattico, vuoi relativamente all’inclinazione religiosa, culturale ed educativa – è particolare e, conseguentemente, per essere perseguito deve essere oggetto di convergenza decisionale dei genitori, in difetto della quale non sarà dato al giudice sostituirsi, optando per una scelta diversa dall’offerta istituzionale.


Interessanti anche le ulteriori motivazioni indicate dal Tribunale modenese a sostegno della propria decisione.


La mamma sostiene che la figlia abbia diritto a continuare il percorso educativo presso la paritaria, intrapreso alle elementari? Un’impostazione didattica può essere reputata consona per una determinata età dei figli e non necessariamente per altra.


Il padre precedentemente aveva aderito alla scuola privata primaria? Non deve essere vincolato a tale orientamento per il proseguo della crescita della figlia fino alla conclusione degli studi universitari.


La bimba ha manifestato preferenza ad andare alla paritaria? Se ha meno di 12 anni potrebbe non avere le necessarie conoscenze per prescegliere una offerta formativa in luogo di un’altra.


La scuola pubblica avrebbe un numero di alunni superiore a quella privata? Le classi, di media, sarebbero formate da circa 25 alunni, un numero più che gestibile dal personale scolastico.


Le amichette delle elementari si sono iscritte (quasi) tutte alla scuola paritaria? Se sono amiche, rimarranno tali anche al di fuori del contesto scolastico; anzi: la bimba potrà fare nuove conoscenze, spronandosi a superare le “fisiologiche timidezze” legate all’età.


Alla privata si studia una lingua in più rispetto alla scuola pubblica? Se alla madre interessa far studiare alla figlia anche lo spagnolo, o il francese, o tedesco oltre all’inglese, può benissimo iscriverla ad un corso nel dopo scuola.


Sono convinto che i fautori della scuola paritaria potranno addurre ragioni di ordine opposto a quelle scandite nella sentenza che abbiamo riportato.

 

il contrasto sulla scelta della scuola dei figli. In assenza di accordo tra genitori, decide il giudice

 

 


Per completezza, rilevo come siano intervenute anche statuizioni di segno opposto, tutte volte a sottolineare come non sia possibile, a priori, stabilire la prevalenza di una scelta didattica sull’altra, ma, piuttosto, vada posto in risalto quale orientamento possa essere più corrispondente alle inclinazioni ed alle aspirazioni dei figli, nella loro cornice assolutamente specifica ed individuale.

 

 

E’ interessante annotare anche le conseguenze che possono derivare al genitore che, volendo giocare di forza, iscriva il figliolo ad una scuola, dichiarando in tale sede, con una bugia, che anche l’altro genitore sia d’accordo.

Si tratta di un reato vero e proprio, sanzionato dall’art. 483 cp, alla rubrica “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”.

Anche l’art 76 del dpr 445/2000 punisce “chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico”.

Ebbene, venendo a statuire proprio su un caso che riguarda questa fattispecie, la Corte di Cassazione ha ritenuto non ricorrere i presupposti per attribuire alla dichiarazione mendace di un genitore la valutazione di “particolare tenuità del fatto”, che avrebbe potuto portarne all’assoluzione, se effettuata in un contesto di elevata conflittualità dei coniugi, tale da  aumentare ancor di più l’intensità del dolo del soggetto che ha confezionato e utilizzato la falsa attestazione, anche a discapito dell’interesse di un minore.

 

 

 

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Come si interpreta un testamento?

 

 

Come si interpreta un testamento?

 

 


Può capitare con un contratto, sfidiamo a non trovare qualcuno che non sia incappato in qualche clausola dubbia, più o meno volutamente ambigua.


Succede talvolta con la legge: vai a capire la portata di questa o quella disposizione ed il suo esatto significato (scriviamo questo articolo in piena quarantena da coronavirus, quando non è ancora ben chiaro quando e come ci si possa muovere da casa).


Vuoi che all’apertura di un testamento non possano sorgere dubbi su quale fosse la reale intenzione del disponente, quali i suoi desideri, la portata delle sue attribuzioni?


Il problema è che in tal caso non possono essere effettuati atti ricognitivi di volontà, come per i contratti, oppure diramate circolari e faq come per le disposizioni di legge.


In buona sostanza, è venuto a mancare l’unico soggetto al quale si sarebbe potuto chiedere di dar conto delle sue determinazioni.


Ed allora, come si interpreta un testamento?


Non vi sono disposizioni di legge particolari, proprio perchè non è concepibile determinare preventivamente criteri plausibili di ricostruzione della volontà testamentaria.


La giurisprudenza, tuttavia, è consolidata nell’estendere l’applicazione di alcune norme ad hoc, statuite per l’ambito contrattuale, a quello che oggi ci occupa.

 

come si interpreta un testamento

 


L’articolo 1362 del codice civile, infatti, riguarda proprio la disciplina dell’interpetazione dei contratti e dispone che “Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto” .


Il rigore della forma, in buona sostanza non deve intrappolare la ricostruzione della reale determinazione dei contraenti, che dovrà essere sondata anche tenendo conto di elementi ulteriori, estendendo il campo anche alla ricostruzione logica, ricavata – ad esempio – dal contegno assunto dalle parti, prima e dopo la conclusione dell’accordo.


Si noti.


Il dato letterale sarà pur sempre l’imprescindibile base di partenza: la norma, infatti, pur imponendo agli interpreti del contratto di non limitarsi all’analisi fredda del significato letterale delle parole, lo mantiene come via privilegiata per la corretta ricostruzione della comune intenzione dei contraenti.


Il giudice, eventualmente chiamato a dirimere una controversia in merito, dovrà in primo luogo appurare scrupolosamente la ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale prima di accedere ad altri, diversi parametri di interpretazione, specie quando la comune volontà delle parti emerga in maniera certa ed immediata dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.


In buona sostanza, laddove il testo utilizzato sia chiaro e non ambiguo, sarà precluso l‘accesso ad altri criteri interpretativi.

Ben potrebbe essere, tuttavia, che – pur di fronte ad un testo chiaro dell’accordo – ci si possa trovare di fronte ad un risultato incoerente con altri elementi che rivelino una diversa volontà dei contraenti.


In tal caso, sarà possibile andare oltre, estendendo il campo a criteri ulteriori, di tipo logico, sistematico, ossia improntati a desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi conto, se del caso, anche del comportamento successivo delle parti.

 

ritrovamento di un nuovo testamento
Come si interpreta un testamento?

 

Come si interpreta un testamento?


Torniamo al nostro quesito iniziale.


Anche per il testamento il dato di partenza è pur sempre la parola utilizzata dal disponente: laddove questa non dia margini di dubbi, non si potrà ricorrere a criteri sussidiari, rimanendo preclusa all’interprete la possibilità di avvalersi di dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento.


In buona sostanza, la chiara volontà del testatore, emergente dal non equivoco dato letterale della scheda testamentaria, esclude la necessità del ricorso, quale criterio interpretativo ulteriore, a dati e circostanze estranei al testamento medesimo.


Laddove, tuttavia, dalle espressioni utilizzate non fosse possibile ricostruire l’effettiva intenzione del loro autore si potrà ricorrere ad elementi estrinseci per risolvere parole o espressioni dubbie.


L’interpretazione del testamento, infatti, è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca – al di là della mera dichiarazione – della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., che abbiamo poco fa analizzato, va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, e non di ciascuna singola disposizione.


Al fine di superare eventuali dubbi sull’effettivo significato di parole ed espressioni usate dal testatore si potrà fare riferimento anche ad elementi estrinseci alla scheda stessa, come la cultura. la mentalità, le abitudini espressive e l’ambiente di vita del testatore medesimo, di modo che il giudice nella ricostruzione della volontà, potrà attribuire alle parole usate dal de cuius un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purchè non contrastante e antitetico, e si prestino ad esprimere in modo più adeguato e coerente la reale intenzione del disponente.

 

 

 

 

 

 

 

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Nessuna lista d’attesa per l’assistenza a persona con disabilità

 

 

 

Lista d’attesa assistenza a persone con disabilità: nessuna graduatoria subordinata a vincoli di bilancio.

 

 

 

Ringraziamo la Collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1 del 02.01.2020 ) ha affermato che l’assistenza a persone con disabilità non può essere fatta dipendere né dalle risorse finanziarie disponibili, né dai posti presso le strutture semiresidenziali”.


Tale pronuncia segue la sentenza n. 8254/2011 con la quale la Corte di Cassazione  ha evidenziato che “a nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né diramare direttive che pongano in secondo piano le esigenze dell’ammalato”.


E ancora la sentenza n. 275/2016  con la quale la Corte Costituzionale ha stabilito che “è la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionare la doverosa erogazione”.


La sentenza riguarda un minore con disabilità che, a causa dell’aggravarsi delle proprie condizioni, non era più in grado di frequentare la scuola.


I genitori, quindi, hanno chiesto alla competente azienda sanitaria l’inserimento in un centro diurno, come suggerito del resto dagli specialisti che da tempo seguivano il ragazzo.


L’ULSS rispondeva che non era possibile procedere ad un inserimento a tempo pieno, in quanto non collocato in posizione utile nella graduatoria.


In particolare, secondo l’Azienda sanitaria, suo obbligo era quello di “garantire i livelli essenziali di assistenza socio sanitaria nel rispetto dei vincoli di bilancio assegnati annualmente dalla Regione e dalla Conferenza dei Sindaci”.

 

 

 

lista attesa assistenza disabili

 

 


Nell’attesa dello scorrimento della graduatoria il ragazzo veniva, quindi, inserito in un centro diurno a tempo parziale con spese pagate dalla famiglia e parzialmente rimborsate dall’ULSS con un voucher della Regione Veneto di 700,00 euro mensili.


I genitori presentavano un ricorso al TAR per il Veneto contro il mancato inserimento nel centro diurno, chiedendo altresì il risarcimento dei danni.


A seguito della presentazione del ricorso da parte dei genitori del ragazzo contro il mancato inserimento nel centro diurno,il ragazzo veniva inserito in un centro diurno a tempo pieno nel luglio del 2018.


Se in primo grado il TAR aveva accolto  le ragioni dell’azienda sanitaria sostenendo che anche il diritto alla salute debba essere bilanciato e contemperato con altri beni di rilevanza costituzionale (come in questo caso l’equilibrio del bilancio pubblico), in sede di appello la situazione  è stata stravolta.


Il Consiglio di Stato, infatti, in linea con quanto già affermato con la sentenza n. 842/2016, viene ad affermare l’illegittimità del provvedimento impugnato “poiché l’interessato è stato privato fino a luglio 2018 di quel grado di assistenza socio sanitaria a cui aveva diritto al fine di consentirne un adeguato sviluppo educativo, di socializzazione, di occupazione, di costruzione della sua condizione di autonomia, tenuto conto delle sue gravi condizioni”.

 

 

 lista d'attesa assistenza persona con disabilità
lista d’attesa assistenza persone con disabilità: i livelli essenziali di assistenza non sono subordinati a vincoli di bilancio

 

 


Le norme a tutela delle persone con disabilità, infatti, nell’ambito di un quadro costituzionale che impone alle Istituzioni di favorire lo sviluppo della personalità, risultano essenziali al sostegno delle famiglie e alla sicurezza e al benessere della società nel suo complesso, poiché evitano la solitudine, l’isolamento, nonché i costi che ne derivano, in termini umani ed economici, potenzialmente insostenibili per le famiglie.

L’inserimento e l’integrazione sociale rivestono fondamentale importanza per la società nel suo complesso perché rendono possibili il recupero e la socializzazione.


Il principio dell’equilibrio di bilancio in materia sanitaria non può essere invocato in astratto dall’azienda sanitaria dovendo, invece, essere dimostrato concretamente come impeditivo, nel singolo caso, all’erogazione delle prestazioni e, comunque, nel caso in cui la disabilità dovesse comportare esigenze terapeutiche indifferibili, il nucleo essenziale del diritto alla salute deve essere salvaguardato (Corte costituzionale n. 304 del 15 luglio 1994)”


Nel caso in esame, preme evidenziare, che l’Azienda sanitaria non aveva concretamente dimostrato di non avere risorse disponibili “nel periodo ottobre 2017/luglio 2018 per l’assolvimento dell’obbligo di prestazione nei confronti del disabile né di essersi adoperato in ogni modo per trovarle o reperire ulteriori risorse finanziarie”. 

Secondo il Consiglio di Stato, quindi, una volta individuate le necessità delle persone con disabilità tramite il Piano individualizzato, “l’attuazione del dovere di rendere il servizio comporta l’attivazione dei poteri -doveri di elaborare tempestivamente le proposte relative all’individuazione delle risorse necessarie a coprire il fabbisogno e, comunque, l’attivazione di ogni possibile soluzione organizzativa”.


Per questo il diniego dell’Asl deve ritenersi illegittimo e fondata la domanda di risarcimento del danno derivato “sussistendo i profili di colpa evidenziati nella gestione dei poteri organizzativi per il reperimento delle risorse atte a dare adeguata assistenza al disabile nel periodo ottobre 2017/luglio 2018”.

 

 

 

 

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Addebito separazione e assegno divorzile

 


Addebito separazione e assegno divorzile: quali effetti e quali preclusioni?

 

Andiamo dritti al punto: quali sono i riflessi che la pronuncia separativa può comportare sull’assegno divorzile?


Diversi sono i presupposti tra le due pronunce, anche se vi è un comune denominatore: la mancanza di mezzi adeguati del coniuge richiedente.

In caso di separazione vi è ancora un vincolo coniugale che resta in piedi (e per tale motivo i “redditi adeguati” cui va rapportato l’assegno di mantenimento sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio).


Col divorzio è proprio lo scioglimento del rapporto che determina la possibilità per il giudice di disporre la corresponsione di un assegno.


Possiamo affermare che il diritto all’assegno di separazione viene a cessare con la pronuncia divorzile, che ha basi diverse.


La giurisprudenza è granitica nell’osservare come non vi sia alcun automatismo tra riconoscimento dell’assegno di mantenimento e quello divorzile.


La determinazione dell’assegno di divorzio, infatti, è “indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, atteso che l’assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti operanti nel regime di convivenza e di separazione e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio” (Trib. Monza 25.01.2010).

 

addebito separazione

 


L’approdo è meno certo e consolidato quando si faccia riferimento alle conseguenze che la pronuncia di addebito possa avere non già e non tanto sulle statuizioni patrimoniali in sede separativa, quanto sulle condizioni divorzili.


Cosa dice la legge?


Non vi è un’espressa disciplina al riguardo.


L’art. 5 della legge sul divorzio stabilisce che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento….del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto …delle ragioni della decisione… dispone l’obbligo per un coniuge” di somministrare all’altro un assegno.


Un paradigma piuttosto vago e di non univoca applicazione.


Qui si aprono due orizzonti interpretativi.


Uno più recente, ma meno autorevole, che viene a leggere l’inciso “ragioni della decisione” parafrasandolo come causa del fallimento matrimoniale e conseguente impossibilità al ripristino della comunione materiale e spirituale tra i coniugi.


Ecco, allora, che l’eventuale violazione degli obblighi matrimoniali, accertata in sede di separazione con pronuncia di addebito, può essere una chiave di lettura della menzione di legge alle “ragioni della decisione” per la statuizione o meno dell’obbligo contributivo.


Fermo infatti che non può tenersi conto delle vicende successive alla separazione …. le condotte anteriori, tenute nel corso della vita matrimoniale, possono essere valutate, quali “ragioni della decisione”:

a) se, in quanto integranti violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, siano alla base di una pronuncia di addebito della separazione, abbiano cioè costituito motivi di addebito

b) se tali motivi siano anche le cause che ostano alla ricostituzione della comunione tra i coniugi, ex art. 1 L. div., giustificando, quindi, la pronuncia di divorzio” (Corte d’Appello Napoli, 10/01/2019).


Di contro, va segnalato un diverso orientamento – più risalente ma fatto proprio dalla Suprema Corte – che non attribuisce alcuna efficacia preclusiva all’eventuale addebito della separazione per ciò che concerne la statuizione dell’assegno divorzile, bensì solamente lo ascrive a circostanza da tenere in considerazione per determinarne l’ammontare.

 

assegno divorzile addebito
Addebito separazione e assegno divorzile: l’incidenza sulle “ragioni della decisione”

 


“ Nel giudizio di divorzio il riconoscimento dell’assegno non è precluso … dall’addebito della separazione, che può incidere soltanto sulla misura dell’assegno, per effetto della valutazione demandata al giudice di merito in ordine alle cause del venir meno della comunione materiale e spirituale di vita tra i coniugi”. (Cass. Civ. 18539/13)


Infatti, una volta stabilita la spettanza in astratto dell’assegno divorzile, per non essere il coniuge richiedente in grado, per ragioni oggettive, di godere di mezzi adeguati, il giudice dovrebbe poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5 (ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno od a quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione – ma non di automatica esclusione – della somma considerabile in astratto.


In buona sostanza, “le ragioni della decisione”, intese con riferimento ai comportamenti che hanno cagionato il fallimento dell’unione, costituiscono uno dei parametri per la liquidazione dell’importo dovuto.


La valutazione di tali elementi, da effettuarsi anche in rapporto alla durata del vincolo, rappresenta infatti una fase ulteriore rispetto a quella del riconoscimento del diritto all’assegno, ed agisce ordinariamente come fattore di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, potendo valere ad azzerarla soltanto in ipotesi estreme”.

 

 

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Addebito separazione e assegno divorzile

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Veneto condono per abusi edilizi “mini” realizzati prima del 1977

Veneto  condono per abusi edilizi   “mini” realizzati prima del 1977

 

 

Capita di frequente che, al momento della vendita di un immobile, si scoprano delle difformità tra il progetto autorizzato e quanto effettivamente realizzato.

Difformità che poi ritardano o impediscono il rogito notarile.

E’ per questo che la Regione Veneto, con la LR 50 del 23 dicembre 2019, ha introdotto una sorta di condono, riferito però agli abusi più lievi.

 

comunicazione inizio lavori in sanatoria

 

Recita infatti l’articolo 2 della LR 50 che i benefici si applicano soltanto alle opere edilizie che:

 

a)   comportino un aumento fino a un quinto del volume dell’edificio e comunque in misura non superiore a 90 metri cubi;


b)   comportino un aumento fino a un quinto della superficie dell’edificio e comunque in misura non superiore a 30 metri quadrati;


c)   comportino un diverso utilizzo dei vani, ferma restando la destinazione d’uso consentita per l’edificio;


d)   comportino modifiche non sostanziali della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza, rispetto a quella indicata nel progetto approvato, purché non in violazione delle normative in tema di distanze tra fabbricati, dai confini e dalle strade;


e)   non rilevino in termini di superfici o volume e non siano modificative della struttura e dell’aspetto complessivo dell’edificio.

 

Il mini condono non si applica a tutte le opere edilizie, ma soltanto a quelle che sono provviste di titolo edilizio abilitativo o di certificato di abitabilità od agibilità, eseguite in parziale difformità dai titoli edilizi rilasciati o dai progetti approvati prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10.

 

La legge pertanto non si applica agli immobili totalmente abusivi, cioè a quelli realizzati senza alcun titolo edilizio, ma soltanto a quelli realizzati in difformità.

 

Veneto condono per abusi edilizi di modesta entità anteriori al 1977

 

Cosa si deve fare per richiedere il condono

 

Ci si deve rivolgere ad un tecnico che predisponga una SCIA da presentare in Comune e si deve versare una sanzione, i cui importi sono previsti sempre dall’art. 2.

In particolare, si devono pagare:

a)   70 euro al metro cubo per aumento di volumi di cui alla lettera a);
b)   210 euro al metro quadrato per aumento delle superfici di cui alla lettera b);
c)   500 euro a vano nel caso di cui alla lettera c);
d)   1.000 euro per le modifiche di cui alla lettera d);
e)   750 euro per le opere di cui alla lettera e).

 

 

 

 

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CILA in sanatoria: è possibile e quanto costa?

 

CILA in sanatoria: è possibile e quanto costa?

 

La Legislazione nazionale permette di presentare la Comunicazione Inizio Lavori se gli interventi ricadono nella manutenzione straordinaria: sempre che non vi siano interventi strutturali o non vengano cambiati i parametri urbanistici.

 

Generalmente i lavori di manutenzione straordinaria sono quelli in cui si determina una nuova distribuzione degli spazi interni senza modifiche delle facciate o dei volumi.

 

Ai sensi dell’art. 6 bis del Testo Unico in materia di ediliziaL’interessato trasmette all’amministrazione comunale l’elaborato progettuale e la comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell’edilizia e che non vi è interessamento delle parti strutturali dell’edificio; la comunicazione contiene, altresì, i dati identificativi dell’impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori“.

 

Alla conclusione dei lavori, nel caso in cui ci sia stata una modifica della distribuzione interna, va predisposta la procedura DOCFA per la variazione catastale

 

comunicazione inizio lavori in sanatoria
Cila in sanatoria: quando e quanto?

 

Ma cosa accade se si fanno i lavori senza fare la comunicazione?

 

Sempre l’art. 6 bis, al 5° comma, prevede che “La mancata comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori comporta la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. Tale sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione“.

 

Oltre alla multa è necessario pagare un tecnico abilitato per la presentazione della pratica e per l’eventuale variazione catastale.

 

Piu che di CILA in sanatoria sarebbe più corretto parlare di CILA postuma o tardiva. Infatti, nei casi di mancata comunicazione tempestiva della CILA non viene sanzionato l’abuso edilizio, che non c’è, ma viene sanzionata la mancata presentazione della formalità.

 

A parte la multa, in caso di mancata presentazione della comunicazione, i problemi maggiori si avrebbero in caso di  compravendita dell’immobile.

 

Infatti, in caso di vendita dell’ immobile, per un rogito sicuro, è necessario garantire la conformità edilizia dell’immobile.

I  lavori effettuati all’interno dell’abitazione effettuati senza comunicazione e senza la successiva variazione catastale potrebbero comportare la mancanza di conformità e rendere difficoltoso il rogito ed anche l’accensione di mutui.

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

CILA in sanatoria