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Nascondere o falsificare un testamento? Indegnità a succedere

Nascondere o falsificare un testamento può comportare la perdita dei diritti successori in capo all’autore.

Il pianto dell’erede sotto la maschera è riso.
(Publilio Siro)


Ride bene chi ride ultimo.

Indegno.


persona che, per le sue colpe o la sua condotta, non possa esercitare certi diritti o assumere determinati uffici” (Treccani)


L’apertura di un testamento, al netto dell’evento luttuoso di cui è conseguenza, crea sempre un po’ di suspence.


Talvolta, le disposizioni del de cuius destano sorpresa per il loro contenuto o per i destinatari che coinvolgono.

Il pensiero dei “delusi” corre subito ad indagini sulla capacità mentale del disponente al momento del confezionamento delle ultime volontà, (“se fosse stato in sé non avrebbe scritto così..”) oppure a possibili manipolazioni intercorse nella stesura del testamento (“lo ha scritto lui? È la sua firma? È la sua grafia?”).


Bene. Mettiamo caso che venga scoperto l’arcano e, udite udite, si apprenda che effettivamente sì, un terzo ci ha messo lo zampino: ha scritto di pugno suo il testamento, spacciandolo per originale, oppure ha effettuato delle modifiche a quello già esistente, sperando che nessuno se ne sarebbe accorto.


Sui possibili rimedi in caso di testamento alterato, ci siamo soffermati in questo articolo.


Oggi concentriamo la nostra attenzione su un’ulteriore conseguenza relativa alla scoperta dell’intervento di un terzo nella redazione del testamento.

Nascondere o falsificare un testamento

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Se, infatti, la sanzione di nullità dell’atto di ultime volontà fosse il solo risvolto causato dall’apocrifia, talora l’autore del falso potrebbe essere comunque beneficiato dalla successione.


Mettiamo caso, per esempio, all’ipotesi in cui il responsabile dell’adulterazione fosse il figlio, o il coniuge del de cuius.
Questi sarebbero comunque eredi legittimi in caso di annullamento del testamento, riconosciuto in tutto o in parte contaminato dal loro intervento.


A questo risultato perverso mette una pezza la legge, contemplando l’ipotesi di indegnità a succedere.


E’ escluso dalla successione chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l’ha impedita; chi ha soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata ; chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso .


Esclusione dalla successione.

Una forma di incapacità successoria, che priva il soggetto chiamato all’eredità della possibilità di acquisire o mantenere la qualifica di erede.


Parte degli studiosi ritiene che l’esclusione operi ipso facto, senza che debba essere pronunciata da una sentenza, la quale – tutt’al più – potrà avere effetto dichiarativo, ossia di accertare qualcosa che si è già consolidato di per sé.

Larga parte degli interpreti, tuttavia, e così anche la giurisprudenza, attribuisce all’intervento del giudice il potere di precludere la conservazione dei diritti successori acquistati dall’indegno a seguito dell’accettazione.


Conseguentemente, la possibilità di privare l’indegno della propria qualifica di erede sarebbe sottoposta ad apposita iniziativa giudiziaria, esercitabile da chiunque vi abbia interesse (anche non di natura patrimoniale), e azionabile nel termine di prescrizione ordinario di dieci anni, decorrente dall’apertura della successione.


La causa può essere intrapresa anche nei confronti degli eredi dell’indegno.


Il provvedimento potrà disporre anche la restituzione dei beni conseguiti dall’indegno in forza del fenomeno successorio, nonché dei frutti nel frattempo percepiti.


I casi di indegnità – tassativi – sono contemplati dall’art. 463 cc

Tra questi, come abbiamo visto, vi è anche la fattispecie del sopprimere, nascondere o falsificare un testamento.


Ipotesi, tutte, nelle quali l’autore abbia inteso impedire l’attuazione della volontà espressa dal de cuius in ordine alla successione, oppure confezionarne una ex novo.


Si noti, deve essere un atto volontario – altrimenti la sanzione non avrebbe ragione d’essere – ma gli interpreti non ritengono sufficiente il semplice tentativo (ad esempio, l’ occultamento provvisorio del testamento, oppure l’inerzia momentanea dal presentarlo al notaio da parte del possessore), bensì la concreta attuazione di un proposito volto a regolare la successione in modo diverso da quello altrimenti predisposto dal de cuius.


Diversamente, non potrà essere statuita l’indegnità.


Ad esempio, la suprema corte ha avuto modo – più volte – di affermare che “la formazione o l’uso consapevole di un testamento falso è causa di indegnità a succedere se colui che viene a trovarsi nella posizione di indegno non provi di non aver inteso offendere la volontà del “de cuius”, perché il contenuto della disposizione corrisponde a tale volontà e il “de cuius” aveva acconsentito alla compilazione della scheda da parte dello stesso nell’eventualità che non fosse riuscito a farlo di persona ovvero che il “de cuius” aveva la ferma intenzione di provvedervi per evitare la successione “ab intestato”. (cass. 1905/2020)

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Va precisato che la legge contempli la possibilità – per il testatore – di riabilitare l’indegno. Ciò potrà avvenire ovviamente qualora il disponente abbia avuto conoscenza della condotta reproba e del suo autore e abbia nonostante questo inteso espressamente affrancarlo dalle conseguenze altrimenti gravanti su di esso.


La legge, al riguardo, contempla due ipotesi.

Una di riabilitazione espressa, nel testamento o in atto pubblico ad hoc, con cui il testatore esplicitamente menziona la propria volontà di reintegrare il soggetto altrimenti indegno.


Un’altra si ha quando il disponente non faccia cenno di riabilitazione, ma – pur conoscendo la realtà dei fatti incriminati – abbia, ciò nonostante, incluso nelle proprie ultime volontà l’indegno.


In tal caso, tuttavia, potrà essere ammesso a succedere nei limiti della disposizione testamentaria: non potrà reclamare nulla di più quando, ad esempio, dovesse essere leso nei propri diritti di legittimario e intendesse agire in riduzione. Oppure, se dovesse venir meno l’accettazione di qualche altro coerede, non potrà beneficiare dell’accrescimento di tale quota.

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in merito alle conseguenze di

Nascondere o falsificare un testamento

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E’ possibile pattuire la restituzione del bene donato?

 

E’ possibile pattuire la restituzione del bene donato?

 

 

“Limitare il dono in anticipo dicendo: arriverò fin lì, ma non oltre, significa non dare assolutamente nulla.”
SAN FRANCESCO D’ASSISI

 

 

Apriamo il libro delle fiabe e leggiamo una storiellina triste triste: c’era una volta un padre molto buono, dai capelli bianchi bianchi. Un giorno, suo figlio gli chiese un aiuto perchè voleva sposarsi, ma non aveva un tetto dove andare a vivere con la giovane mogliettina. Il canuto genitore pensò, magnanimamente, di donare una casetta al discendente impiegando ogni denaro che aveva risparmiato. Dopo qualche mese dalle nozze, il figlio morì, la moglie, affranta ma nemmeno tanto, si fece una nuova vita e rimase a vivere nella casa ereditata dal marito col suo nuovo compagno, interrompendo ogni rapporto con l’anziano – ed ormai squattrinato – ex suocero.


Fine della storia. Lacrime. Fazzoletti.


Continuiamo noi avvocati la favoletta e cerchiamo di darle un finale diverso.


… il magnanime vegliardo, prima di compiere un atto così importante come la donazione, ben messo in guardia sui rischi  d’ambito successorio che un simile contratto avrebbe potuto comportare, si era informato se fosse possibile, eventualmente, revocare una donazione.


Aveva trovato un articolo su interessante sito internet  dove si affermava che i casi di revoca sono tassativi e limitati ad ipotesi molto remote (sopravvenienza di figli, ingratitudine).


Naaa, difficile potessero verificarsi simili eventualità.


Non si perse d’animo, si rivolse ad un avvocato, il quale consultò un enorme libro polveroso,il codice civile, girò qualche pagina e …. tac! Art. 791,  “condizione di reversibilità”.

 


Il donante può stipulare la riversibilità delle cose donate, sia per il caso di premorienza del solo donatario, sia per il caso di premorienza del donatario e dei suoi discendenti ”.


Vale a dire, chi dona può pattuire che se il donatario morirà prima di lui, il bene gli verrà restituito.

 

 

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è possibile pattuire la restituzione del bene donato

 


Andiamo con ordine.


Il patto di riversibilità è volto a valorizzare il carattere personale della donazione: il donante vuole beneficiare quello specifico soggetto, ed eventualmente i suoi discendenti, ma non altri.

Cosicchè, se il destinatario della donazione dovesse morire, il bene donato rientrerà nella sfera del donante superstite piuttosto che cadere nel patrimonio ereditario del donatario defunto da spartire tra i suoi eredi.

Innanzitutto vi deve essere un esplicito accordo per la riversibilità, pattuito al momento della stipula della donazione, o in epoca successiva, purchè comunque sia accettato da entrambi i contraenti: donante e donatario.


Tale clausola può avere ad oggetto tanto l’intero bene donato, quanto solo una parte di esso.


Il patto di reversibilità può comportare, a seconda delle previsioni, l’automatico rientro nella disponibilità del donante alla morte del donatario – senza che sia necessaria la cooperazione di alcuno per tale operazione – oppure il semplice obbligo per gli eredi di quest’ultimo a restituire il bene oggetto della liberalità.


La differenza non è di poco conto.


Se, infatti, si verte nella prima ipotesi – si parla di reversibilità reale – l’automatico recupero della titolarità del bene in capo al donante ha effetto verso chiunque, anche contro eventuali soggetti, terzi, che avessero acquistato il bene dal donatario.

 

“Il patto di riversibilità produce l’effetto di risolvere tutte le alienazioni dei beni donati e di farli ritornare al donante liberi da ogni peso o ipoteca”. Art 792 cc 


Il donante, pertanto, sarà perfettamente legittimato ad agire in rivendica per conseguire il possesso di ciò che è già ritornato di sua proprietà con la morte del donatario.

 

 

 

 


Nel caso in cui fosse stato pattuito il semplice impegno in capo agli eredi del beneficiario della liberalità a restituire il bene al donante in caso di morte del donatario, non si avrebbe alcun reintegro automatico della titolarità ma, per l’appunto, un semplice obbligo di restituzione del bene donato.


E gli obblighi, lo sappiamo, possono essere rispettati oppure disattesi.


Conseguentemente, in caso di vendita del bene donato, oggetto di patto di riversibilità “obbligatoria”, il donante sarebbe legittimato ad agire solamente contro gli eredi, affinchè gli procurino l’acquisto del bene, e non contro il terzo acquirente.


Se il reintegro non avvenisse, sarebbe dovuto un semplice risarcimento del danno al donante in capo agli eredi del donatario.


Come si è detto, il patto di riversibilità può contemplare la restituzione in caso di morte del donatario, ma anche procrastinarla alla morte dei suoi discendenti.


Anzi. La legge stabilisce che, nel caso in cui fosse stata convenuta una generica indicazione della riversibilità, questa riguarda la premorienza, non solo del donatario, ma anche dei suoi discendenti.


Nulla sembra vietare che i contraenti possano limitare la pattuizione alla premorienza di solo alcuni dei discendenti del donatario e neppure circoscriverla alla loro quota.


Da ultimo, per dare comunque una tutela al coniuge superstite del beneficiario di una donazione condizionata dal patto di riversibilità, potrà essere convenuto dalle parti – quindi sempre di accordo si discute – che il bene donato possa rientrare nella successione del donatario, per coprire almeno la quota di riserva che la legge contempla per il coniuge superstite.


E vissero tutti felici e contenti.

 

 

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Chi eredita la casa eredita anche i mobili che vi sono contenuti?

Chi eredita la casa eredita anche i mobili che vi sono contenuti?

Per vivere vendevo mobili. Il guaio è che erano i miei
(Les Dawson)

Ma lasciane un po’ anche a chi verrà dopo di te, non essere egoista.


Precisa bene, però, a chi spetta cosa, altrimenti….

Partiamo con una battuta, per smorzare l’aria resa incandescente da un quesito che frequentemente anima l’ambito successorio: chi eredita la casa, eredita anche i mobili che contiene?


Piglia tutto il cuccuzzaro?


Andiamo con ordine.


Nel nostro ordinamento la successione ereditaria può essere legittima – la legge stabilisce chi siano gli eredi e quanto a loro spetti – testamentaria – il de cuius istituisce eredi chi vuole, conferendo loro quanto e cosa voglia – o mista, in parte l’una e in parte l’altra.


Soffermiamoci su quest’ultima fattispecie: il testatore, col proprio atto di ultime volontà, oltre ad indicare i propri eredi, può anche dividere tra di essi i propri beni. Può stabilire, cioè, quali beni specifici compongano le singole quote.


Tale divisione può essere totale, ossia comprendere tutti i beni rientranti nel patrimonio del disponente, o parziale, ossia riguardare solo parte di esso.


Ebbene, la legge dispone che se nella divisione fatta dal testatore non reductil sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni in essa non compresi sono attribuiti conformemente alla legge, se non risulta una diversa volontà del testatore.


Tradotto: i beni non menzionati nella divisione saranno attribuiti secondo le regole della successione legittima, a meno che il de cuius non abbia disposto che debbano essere ripartiti fra gli eredi secondo le quote fissate dallo stesso testamento.


Facciamo un esempio: nomino miei eredi Tizio e Caia.

Dispongo che la quota di Tizio sia costituita dalla casa al mare, mentre quella di Caia dalla casa in città.

Ora, se le due case attribuite ai suddetti esauriscono il patrimonio del de cuius, tutto a posto, nessun problema. Se vi fossero altri beni, questi saranno attribuiti secondo le regole della successione legittima, ove si dovranno individuare i successibili come stabilito dal codice civile (coniuge, discendenti, ascendenti, parenti prossimi che escludono i remoti, etc…).

A meno che il testatore abbia statuito che a Tizio e a Caia, o anche all’uno piuttosto che l’altra, siano attribuiti eventuali beni rimanenti nel patrimonio.

Ergo… per ritornare al tema che oggi ci occupa: chi eredita la casa non eredita necessariamente i beni mobili che vi siano contenuti, a meno che il testatore così non abbia espressamente statuito.


In difetto, sempre che non siano stati attribuiti ad altri soggetti, tali beni cadranno in successione legittima, oppure saranno devoluti agli eredi che il de cuius abbia nominato ed espressamente indicato con riferimento al residuo patrimonio, non menzionato nel testamento.

chi eredita la casa eredita anche i mobili?


Qualcuno dei lettori si chiederà: ma cosa rientra nel concetto di beni mobili?


Non è una domanda da profani, anzi.


Ci si sono accapigliati anche gli addetti ai lavori, dovendo sottoporre contrapposte argomentazioni alle pronunce dei giudici.

Il busillis più eclatante era nato dall’interpretazione di una disposizione testamentaria nella quale il de cuius lasciava l’immobile x e i beni mobili che vi erano contenuti all’erede Tizio.


La battaglia riguardava la possibilità di far rientrare o meno nel lascito anche i quadri di assoluto pregio che erano collocati nell’abitazione assegnata.

In prima battuta, tale eventualità era stata esclusa, ritenendosi i quadri come “arredi”, come tali non compresi tra i “mobili” oggetto del lascito.

La Suprema Corte ha censurato tale valutazione, facendo riferimento alla parola della legge.


L’art. 812 c.c., infatti, dà una precisa definizione di beni immobili, (il suolo, gli edifici, le costruzioni, a e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo) disponendo che “tutti gli altri beni” siano da considerarsi mobili.


Conseguentemente, l’espressione “mobili”, riferita ai beni che corredano un’abitazione, non autorizza di per sè ad escludere parte di essi, qualunque ne sia il valore, essendo comprensiva, anche nel lessico comune, di quadri, oggetti e arredi in genere.

Dà ultimo, deve essere necessariamente ricordato – ci eravamo soffermati già in precedenza – che in sede successoria al coniuge superstite, abbia o meno accettato la qualifica di erede, è attribuito ex lege un legato: il diritto di abitazione adibita a residenza familiare.


Ebbene, tale beneficio comprende anche l’uso dei beni mobili che ne facciano corredo se di proprietà del defunto o comuni.


Tali diritti spettano al coniuge superstite non solo nei casi di successione necessaria, ma anche ove si apra una successione legittima, in aggiunta alla quota per essi stabilita dalla legge.


Un’eventuale disposizione testamentaria in deroga, che attribuisca tali prerogative a soggetti diversi sarebbe priva di valenza.


Conseguentemente, se il testatore abbia lasciato la casa familiare e i beni mobili in essa contenuti ad un soggetto diverso dal coniuge, tale attribuzione dovrebbe essere intesa come limitata alla proprietà di detti beni, non già all’immediato diritto di poterne disporre, che sarà rimandato a quando il coniuge superstite avrà cessato di usufruirne.

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in materia ereditaria

testamento

Come si divide un’eredità? Il percorso della divisione ereditaria

 

 

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Uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità»

 


La divisione ereditaria costituisce da millenni uno degli ambiti più accidentati in seno al menage familiare, già scombussolato ed afflitto dalla perdita di una persona cara.


Come si divide un’eredità...


Bene, partiamo dalla constatazione che – se c’è qualcosa da spartire – a monte ci deve essere qualcosa in comune.


La comunione ereditaria.


Parliamo di comunione ereditaria come di quel fenomeno per cui, a seguito dell’evento morte di una persona, alcuni soggetti, gli eredi, diventano contitolari – per quote anche differenti tra loro – di un patrimonio. Questo a prescindere che a monte ci sia stato oppure no un testamento.


Dei beni in comunione ciascun coerede potrà servirsene, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne pari uso secondo il loro diritto.

In virtù di ciò, è frequente che un erede effettui un godimento separato di alcuni beni, li utilizzi e li goda solo lui, con il consenso, con il disinteresse o con l’opposizione degli altri eredi.

Di qui nascono liti, a fronte della reclamata usucapione da parte di colui che li abbia posseduti a lungo nei tempi e nei modi prescritti dalla legge. 

Calma. La giurisprudenza è molto rigorosa e costante nell’affermare che tale possesso non sia di per sé solo sufficiente.

Se, infatti, la possibilità di utilizzare i beni in comunione ereditaria, anche separatamente (art. 714 cc) è una facoltà attribuita al singolo coerede, perchè si possa verificare l’acquisto della proprietà a titolo esclusivo è necessario che egli abbia esercitato un possesso non già come “con-domino”, ma come “dominus”, come unico proprietario, in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e volta ad estromettere gli altri aventi diritto.

 

comunione ereditaria

 


Chi può chiedere la divisione?


Innanzitutto il testatore stesso, nel proprio atto di ultime volontà, potrà disporre dei propri beni ripartendoli in porzioni corrispondenti alle relative quote (art 734 cc).

Ne deriverà un’attribuzione diretta ai coeredi dei beni dal momento dell’apertura della successione senza che si instauri una comunione ereditaria.

La ripartizione operata dal testatore potrà essere parziale, relativa cioè a solo alcuni beni, sussistendo, per i rimanenti, la comunione.

Il de cuius potrà, eventualmente, in luogo di una disposizione diretta, stabilire le regole con le quali verranno divisi tutti o parte i beni ereditari.

Queste norme sono vincolanti per gli eredi, salvo che l’effettivo valore dei beni non corrisponda alle quote stabilite dal testatore.


Egli può disporre che la divisione si effettui secondo un progetto predisposto da una persona designata, terza, che non sia erede o legatario: la divisione proposta da questa persona non vincola gli eredi, se l’autorità giudiziaria, su istanza di taluno di essi, la riconosce contraria alla volontà del testatore o manifestamente iniqua (art 733 cc).

Attenzione, la divisione nella quale il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti è nulla e si ripristinerà la comunione ereditaria.

Più in particolare, nel caso di lesione parziale, al legittimario che abbia esercitato azione di riduzione  spetterà il diritto di ottenere una correzione dell’attribuzione, attraverso un’integrazione della porzione, con beni attribuiti agli altri coeredi.


Se il legittimario fosse stato escluso dall’ambito successorio, potrà agire in giudizio per far dichiarare nulla la divisione e sostituire alla divisione operata dal testatore un’altra, che ricomprenda i suoi diritti di erede.

 

come si divide un’eredità?

 

Accordo divisionale

La divisione ereditaria potrà essere concordata tra i coeredi, in via convenzionale.


Si tratta di un vero e proprio contratto, al quale dovranno partecipare inderogabilmente tutti i comunisti, sicchè il mancato intervento di uno solo comporterà la nullità dell’accordo.

Se tra i beni da spartire dovessero esservi degli immobili, sarà imprescindibile la forma scritta: poi si dovrà procedere alla trascrizione.


Possono esserci delle limitazioni alla divisione? Solamente temporali e tassative.

Ad esempio il testatore stesso potrebbe aver disposto il divieto di procedere alla divisione per un determinato periodo, non superiore a 5 anni. Oppure che si debba attendere un anno dal compimento della maggiore età dell’ultimo nato dei coeredi minorenni.

In ogni caso, qualora detto termine dovesse comportare incongruo al manifestarsi di “gravi circostanze”, l’autorità giudiziaria potrà pronunciarne la riduzione o l’eliminazione.

 

 

divisione giudiziale

 


Divisione giudiziale.

La divisione ereditaria potrà essere chiesta da ciascuno dei partecipanti alla comunione. Si noti, anche se gli altri non fossero d’accordo e volessero permanere nello stato indiviso.

Ciò detto, in caso di richiesta di divisione le ipotesi potranno essere due e solamente due: o ci sarà l’accordo dei coeredi sul come ripartire i beni della comunione, oppure, in difetto, ci si dovrà rivolgere al giudice affinchè ci pensi lui con una sua pronuncia.


La divisione giudiziale consegue al giudizio di accertamento del diritto di ciascun comunista ad una quota del patrimonio del defunto e la trasformazione di tale diritto in un diritto alla proprietà esclusiva su una porzione definita di beni.


Ovviamente in tale giudizio dovranno essere citati tutti i coeredi comunisti, nessuno escluso: altrimenti la pronuncia sarebbe data inutilmente.


Come si divide l’eredità?


1. Innanzitutto, il giudice dovrà verificare se sia possibile l’attribuzione in natura a ciascuno dei condividenti della sua porzione dei beni, siano essi mobili o immobili.


Ovviamente, è impensabile che tale procedura contempli l’assegnazione ad ogni erede di una quota identica dei singoli beni, ma si risolve nella proporzionale suddivisione di mobili ed immobili.


Dopo aver proceduto alla stima dei beni, in base al loro valore di mercato, si procederà alla formazione di tante porzioni quanti sono gli eredi condividenti.

 

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Quali beni assegnare a chi?

L’assegnazione delle porzioni uguali (es quattro quote di un quarto ciascuna) è fatta mediante estrazione a sorte, per le porzioni diseguali (es ad un condividente spetta ½ mentre gli altri ¼ ciascuno) si procede mediante attribuzione, ossia formando tante porzioni (di valore diseguale) quante sono le quote ed attribuendo a ciascuno la corrispondente.

 


2. Se nell’eredità vi dovessero essere immobili non comodamente divisibili, o il cui frazionamento ne potrebbe compromettere sensibilmente il valore o la funzione, il giudice potrà procedere all’assegnazione per l’intero al coerede che abbia la quota maggiore o a più coeredi che ne abbiano fatto richiesta congiunta.

Gli altri comunisti verranno soddisfatti mediante attribuzione del corrispondente valore in denaro (conguaglio) della propria quota a carico dei soggetti assegnatari del bene immobile, eventualmente ponendo a in capo allo stesso una garanzia ipotecaria.


Attenzione, il criterio dell’assegnazione del bene immobile indivisibile al coerede con la maggiore quota è definito dalla stessa legge (art. 720 cc) “preferenziale”, non già obbligatorio, in quanto il giudice potrà discostarsene, allegando motivate ragioni, vuoi nell’interesse comune dei coeredi, oppure alla luce dell’interesse personale prevalente dell’assegnatario, ad es. privo di un’unità immobiliare da destinare a casa familiare, a differenza del titolare della quota maggiore, oppure valutando anche la concreta ricorrenza di interessi familiari o morali di un condividente.


Si noti: la scelta dell’assegnatario non è un’asta tra coeredi, per cui non può dipendere dalla maggiore offerta, che uno di essi faccia, rispetto al prezzo di stima.


Qualora la richiesta di attribuzione del bene provenga da un solo coerede, il bene dovrà essere assegnato a questi.

 

3. Se nessuno dei coeredi in comunione manifesti la volontà di vedersi assegnato il bene immobile indivisibile, il giudice ne prenderà atto e disporrà che venga venduto all’asta.


Pare consentito al condividente, comunque, una volta disposta dal Tribunale la vendita all’incanto. chiedere l’assegnazione del bene.

 

debiti dei coniugi in comunione dei beni

 

Dopo la vendita dei beni, mobili o immobili, come si divide l’eredità?


Si deve procedere alla formazione dei conti: ogni condividente indica le entrate (ad esempio, canoni di locazioni percepiti) e le uscite (es. spese di manutenzione dei beni, imposte pagate, miglioramenti effettuati) sostenute durante la gestione dei beni comuni.

Quindi, stimati gli altri beni della massa – si noti, in base al valore venale che avevano al momento dell’apertura della successione, ossia alla morte del de cuius – si effettuerà la formazione delle porzioni, in misura proporzionale alle quote.

Rescissione per lesione


Il condividente che, a seguito di divisione, abbia ottenuto, proporzionalmente a quanto ricevuto dagli altri condividenti, beni di valore inferiore almeno di un quarto rispetto al valore della propria quota potrà esercitare l’azione di rescissione ( art 763 cc), entro il termine di due anni dalla divisione.


Tale rimedio è operativo sia nell’ambito della divisione effettuata dal testatore, quanto in quello della divisione contrattuale.


Al riguardo di tale ultima ipotesi, è interessante evidenziare l’orientamento giurisprudenziale che ritiene insufficiente in un accordo transattivo divisionale la semplice consapevolezza del condividente di percepire meno di quanto gli spetterebbe ai fini di decadere dal diritto di chiedere la rescissione, essendo necessario accertare che la transazione, regolando ogni controversia, anche potenziale, in ordine alla determinazione delle porzioni corrispondenti alle quote, abbia riguardato proprio le questioni costituenti il presupposto e l’oggetto dell’azione di rescissione (Cass. Civ. 8240/2019 )

 

 

 

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come si divide un’eredità

Donazione di denaro per acquisto casa: che forma e quali conseguenze sulla successiva eredità?

 

La donazione di denaro per acquisto casa: alcune cose da sapere per una scelta consapevole.

 

Non nobis solum nati sumus – Non solo per noi stessi stiamo nati.
(Marco Tullio Cicerone)

 

 

 

Ecco, appunto, lo dice anche Cicerone: bisogna darsi una mano.


Per i figli, manco bisognerebbe dirlo: viene spontaneo dare tutto e di più.

Vogliono spiccare il volo? Sposarsi ? Uscire di casa? Il pensiero corre subito a dove andranno a vivere, quale sarà la loro nuova abitazione.

Di norma, i figli – più o meno giovani – non hanno disponibilità economica per comprare casa, per cui si valuta la possibilità di aiutarli, per l’appunto, cercando le modalità per farlo più sicure.


Lo abbiamo detto in passato, (link 1 e 2 ): una donazione diretta di un immobile potrebbe essere un atto potenzialmente pericoloso: qualificandosi come una sorta di anticipo di eredità, se tale operazione dovesse ledere i diritti di soggetti interessati (legittimari), sarebbe un trasferimento attaccabile da più fronti.

 

 

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donazione di denaro per acquisto casa: se ne tiene conto al momento dell’eredità?

 


E se, anziché donare la casa, venisse eseguita una donazione di denaro per acquisto casa?


Siamo di fronte ad un bivio.


Ipotesi A. Viene effettuato un versamento da genitore a figlio; quest’ultimo decide successivamente di impiegarlo in un acquisto immobiliare.

La donazione, per essere valida, deve essere consacrata con forme prestabilite dalla legge: atto pubblico alla presenza di due testimoni.

Alla stregua delle donazioni di immobili, su cui sopra ci siamo soffermati, anche di essa se ne terrà conto al momento della futura successione.

Tuttavia, ciò che potrà essere “rivendicata” in un’azione di riduzione o di collazione, sarà una somma di denaro e non già il bene – casa che con essa è stato conseguito.


Ipotesi B. Il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione.

Siamo nell’ambito di una cd “donazione indiretta”, ossia quella effettuata con modalità diverse rispetto a quelle normali stabilite dalla legge, ma producono, tuttavia, gli stessi effetti (art 809 cc).


In questo caso, oggetto di donazione dovrà considerarsi non tanto il denaro impiegato per l’acquisto dell’immobile, quanto la casa stessa, di cui il beneficiario della donazione, d’intesa col donante, andrà ad arricchirsi, essendo immediato il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio.


Si noti “per integrare la fattispecie di donazione indiretta è necessario che la dazione della somma di denaro sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto dell’immobile: deve cioè sussistere incontrovertibilmente un collegamento teleologico tra elargizione del denaro e acquisto dell’immobile” (Cass. Civile, n 18541/2014 ).


Morale? Per la donazione indiretta non saranno necessari i rigidi formalismi dettati dalla legge per la donazione tradizionale.

Sarà sufficiente che il negozio-mezzo, ossia l’atto di acquisto del bene immobile, avvenga mediante le forme prescritte dalla legge, mentre per l’attribuzione della provvista di denaro da parte del donante potrà avvenire liberamente.

Ovviamente, per configurarla tale, la donazione indiretta deve avere alcuni requisiti tipici di tutte le donazioni, vale a dire l’animus donandi, ossia la volontà di attribuire un vantaggio patrimoniale a terzi, e l’obiettivo incremento del patrimonio altrui con il corrispondente impauperimento di quello del disponente.

 

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Tutto bene? Tutti felici? Attenzione.


La legge stabilisce che anche per la donazione indiretta valgano alcuni principi di tutela stabiliti per ogni tipo di donazione: fra questi, la possibilità di essere “ridotta” in caso di lesione dei diritti dei legittimari, ossia di quei parenti più stretti del donante (poi defunto), che abbiano diritto ad una quota minima del patrimonio complessivo del disponente.


Del pari, anche le donazioni indirette rientreranno nel calderone della “collazione”, l’istituto che obbliga taluni soggetti che abbiano accettato l’eredità e abbiano ricevuto donazioni in vita dal de cuius a conferire nell’asse ereditario quanto ricevuto, al fine di formare le porzioni da dividere.


Tanto in caso di riduzione che in quello di collazione, ciò che dovrà essere conferito non sarà il bene in natura – come normalmente avrebbe potuto avvenire per le donazioni tradizionali – quanto il relativo valore.


Se fosse diversamente, non sarebbe assicurata alcuna tutela a terzi, inconsapevoli (le donazioni indirette non risultano dall’atto pubblico della compravendita) che acquistino la proprietà degli immobili oggetto di donazione indiretta e si ritroverebbero privati di tale bene, a seguito dell’azione di riduzione.

 

 

 

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L’erede può conoscere chi sia il beneficiario di una polizza vita del defunto?

 

 

L’erede può conoscere chi sia il beneficiario di una polizza vita del defunto? L’insidioso percorso tra privacy e diritto di difesa.

Parigi val bene una messa.
( Enrico di Navarra)


I diritti dell’erede a conoscere chi siano i beneficiari di polizze vita stipulate dal defunto prevalgono sulla riservatezza di costoro?

Un percorso davvero accidentato.

Preambolo.


Le somme incassate da chi sia beneficiario di una polizza vita stipulata dal defunto non costituiscono provento ereditario.

Il loro importo, pertanto, non cade in successione e non se ne deve tener conto nella stima del compendio della massa ereditaria, in quanto traggono il loro titolo da un contratto stipulato in vita dal de cuius e costituiscono quindi l’adempimento di un’obbligazione contrattuale, che dall’evento morte trae solo la decorrenza per la loro esigibilità.

I premi di polizza, tuttavia, ossia le somme che il defunto aveva versato periodicamente alla compagnia assicurativa a seguito della stipula del contratto, sono considerati come “donazioni” in favore della persona che beneficerà della polizza e, pertanto, di tali importi si dovrà tenere considerazione al fine di valutare se, con tali versamenti liberali, siano stati lesi i diritti degli eredi legittimari, le cui quote, come è noto, si debbono calcolare sul relictum (ciò che è stato lasciato al momento dell’apertura della successione) e donatum (ossia le donazioni effettuate in vita dal de cuius).


Senza contare che di tali somme potrebbe essere chiesta la collazione da parte dei soggetti interessati.


Bene.


Direte voi: se io fossi legittimario e dovessi apprendere che il de cuius abbia destinato notevoli importi in polizze vita a favore di terzi, tali da ledere la mia quota di riserva, avrei ben diritto di conoscere chi siano i beneficiari, per eventualmente trarli a giudizio chiedendo la riduzione/collazione di quanto versato per i premi di polizza.


La risposta è sì, ma arrivarci è stata una battaglia e permane ancora un buon margine di incertezza.

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L’erede può conoscere chi sia il beneficiario di una polizza vita del defunto?

Proviamo a seguire il percorso di Tizia, erede di Caio, che ha visto concludersi il proprio percorso giudiziario – di primo grado – con una recentissima sentenza del Tribunale di Treviso (27.02.2020).


L’assicurazione non voleva fornire i nominativi dei beneficiari delle polizze, ma limitarsi ad allegare i dati dei contratti assicurativi e gli importi in ballo, invocando il diritto alla riservatezza di tali soggetti.


Tizia ricorre al Garante della Privacy, al fine di veder riconosciuto che il proprio diritto di erede – azionabile in giudizio – fosse prevalente rispetto alla privacy dei ben capitati beneficiari delle polizze.


Il Garante, tuttavia, ha disposto in senso negativo alla richiesta.


Il motivo di tale diniego, in buona sostanza, risiede in una distinzione: Tizia, come erede di Caio, subentra nel mondo giuridico di quest’ultimo ed, in quanto tale, ha diritto di ottenere la comunicazione in forma intelligibile dei soli dati riferiti al defunto, detenuti dalla Compagnia assicurativa, ma non dei dati che si riferiscono a terzi, estranei a tale fenomeno stilnox successorio e tutelati nel proprio diritto alla riservatezza.


Il provvedimento del Garante era, tra l’altro, suffragato da pronunce della Corte di Cassazione,la quale aveva avuto modo di precisare che il diritto di accesso ai dati personali concernenti persone decedute riconosciuto dal codice della Privacy ha ad oggetto i soli dati della persona deceduta “ma non autorizza l’accesso ai dati personali non riferiti al de cuius, come i terzi beneficiari dei contratti stipulati dal primo, i quali, nel caso di assicurazione sulla vita, acquistano un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione (art. 1920, terzo comma, c.c.)”.

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Come ha fatto la nostra Tizia a sfangare tale barriera?


Ha agito in giudizio davanti al tribunale ordinario, citando la compagnia assicurativa ed il Garante e suggerendo una lettura della questione alla luce dei recenti interventi normativi introdotti col Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati.


Tale disposizione, infatti, stabilisce la prevalenza del diritto di difesa rispetto a quello concernente la riservatezza dei dati personali (art. 6, lettera f, par 1).


Il trattamento dei dati – per tale intendendosi “qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione” – può avvenire anche in assenza del consenso del titolare quando sia “ necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali”.


La prevalenza del diritto alla difesa sulla riservatezza sarebbe altresì ribadita, in materia, dalla legge di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento UE (Dlgs 101/2018), secondo cui i diritti riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualita’ di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione e non possono incontrare ostacolo nemmeno nel divieto apposto al trattamento da parte del de cuius, qualora possa “produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonche’ del diritto di difendere in giudizio i propri interessi”.

Il Tribunale di Treviso ha accolto la prospettazione di Tizia, accertando i il suo diritto di accesso ai dati personali e ingiungendo alla compagnia assicurativa l’ostensione dei nominativi dei beneficiari delle polizze incriminate.


Stiamo a vedere se la pronuncia troverà conferma nella “giurisprudenza” del Garante della Privacy e delle Corti superiori.

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto su

diritto dell’erede a conoscere chi sia il beneficiario di una polizza vita del defunto

L’intervento di un terzo nella redazione di un testamento

 

L’intervento di un terzo nella redazione di un testamento: quali conseguenze sulla validità dell’atto?

 


La libertà non consiste tanto nel fare la propria volontà quanto nel non essere sottomessi a quella altrui.
JEAN-JACQUES ROUSSEAU

 

Libertà – testamento: un connubio, per legge, inscindibile.


Il testatore deve essere libero di disporre dei propri beni come crede per il tempo in cui avrà cessato di vivere: senza condizionamenti.


Per agevolare la libertà testamentaria il codice civile ha individuato vari accorgimenti, ma anche alcune limitazioni formali.


Come è noto, il testamento olografo deve avere tre requisiti di forma, in assenza dei quali l’atto di ultime volontà sarebbe irrimediabilmente inficiato:


– data
– sottoscrizione;
– olografia, vale a dire redatto interamente di pugno del testatore.


Si noti, non ha importanza su quale materiale sia stato scritto – carta, pergamena, pietra, legno …. – né il mezzo impiegato per redigerlo – penna, pennarello, matita, incisore.. – e nemmeno il tipo di materiale utilizzato per stendere la grafia – inchiostro, vernice, colore, financo il sangue.


Ciò che rileva è l’indiscussa riconducibilità alla mano del de cuius.

 

ritrovamento di un nuovo testamento

 


Olos grafos: scritto tutto di pugno, in tutti i suoi componenti, nessuno escluso e – si noti – nessuno aggiunto da altri.


Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore” (art. 602 cc) . Pena la nullità (art. 606 cc).


La perentorietà delle previsioni di legge esclude l’utilizzabilità del documento quando le disposizioni, nello stesso contenute, non siano state scritte dallo stesso testatore.


L‘intervento del terzo, infatti, ne elimina il carattere di stretta personalità, interferendo sulla volontà di disporre del testatore.


Andiamo con ordine.


Intervento di un terzo nella redazione del testamento: c’è un limite di integrazione, al di sotto del quale l’atto di ultime volontà rimane valido?


Normalmente in materia testamentaria è applicabile la regoletta latina che recita “utile per inutile non vitiatur”, ossia ciò che è valido non è viziato da ciò che è invalido. Se un “peccato” affligge non tutto ma una parte sola del testamento, sarà questa ad essere inficiata, rimanendo efficace il resto.


Bene, tale regola non si applica allorquando sia intervenuto un terzo nella stesura del testamento.


Quando nel corpo della disposizione di ultima volontà anche una sola parola sia di mano altrui e risulti scritta dal terzo durante la confezione del testamento, ancorché su incarico o col consenso del testatore, l’intero documento sarà nullo.


La validità del testamento olografo esige l’autografia della sottoscrizione, della data e del testo del documento, essendo sufficiente ad escluderla ogni intervento di terzi, indipendentemente dal tipo e dall’entità, anche se il terzo abbia scritto una sola parola durante la confezione del testamento, senza che assuma rilievo, peraltro, l’importanza sostanziale della parte eterografa ai fini della nullità dell’intero testamento.

 


In che cosa deve consistere l’intervento del terzo nella redazione del testamento per causarne l’invalidità?


L’attività positiva di un soggetto diverso dal disponente nella redazione del testamento può consistere tanto nell’intervenire direttamente vergando, di proprio pugno, anche solo una parola o un tratto del documento, quanto nel condurre la mano esitante del testatore.


La nullità del testamento per difetto di olografia deve ritenersi  configurabile in ogni ipotesi di intervento del terzo che guidi la mano del testatore, trattandosi di condotta che appare in ogni caso idonea ad alterare la personalità e l’abitualità del gesto scrittorio, costituenti requisiti indispensabili perché possa parlarsi di autografia.

 

Ciò anche se il testo che ne sia scaturito coincida in tutto e per tutto con la reale volontà del de cuius.


La validità o meno del testamento, infatti, non può essere condizionata alla verifica di ulteriori circostanze, quali la effettiva finalità dell’aiuto del terzo, ovvero la verifica della corrispondenza effettiva del testo scritto alla volontà dell’adiuvato, che minerebbero in maniera evidente le finalità di chiarezza e semplificazione che sono alla base della disciplina del testamento olografo.

 

intervento di un terzo nella redazione del testamento
intervento di un terzo nella redazione del testamento


E’ rilevante il momento in cui risulti essere intervenuta la grafia di un terzo soggetto?


Hai voglia.


Tirando le fila di quanto abbiamo esposto finora, al legislatore interessa che il testatore sia assolutamente libero durante la redazione del proprio atto di ultime volontà.


Conseguentemente è proprio il momento della stesura di tale documento il termine temporale in cui la volontà del de cuius potrebbe subire alterazioni per l’ingerenza di altri.


Ne deriva che il testamento olografo alterato da terzi può conservare il suo valore quando l’alterazione non sia tale da impedire l’individuazione della originaria, genuina volontà che il testatore ha inteso manifestare nella relativa scheda.


L’annullamento per carenza dell’olografia opera – in presenza di un intervento di terzi – anche quando vi sia stata l’aggiunta di una sola parola, a condizione che l’azione del terzo si sia svolta durante la redazione del testamento stesso


L’intervento del terzo, se avvenuto in epoca successiva alla redazione, non impedisce al negozio “mortis causa” di conservare il suo valore tutte le volte in cui sia comunque possibile accertare la originaria e genuina volontà del “de cuius”.



Rileva anche l’area del testamento in cui è intervenuta la scrittura del terzo?


Sì.


In un testamento olografo, gli scritti apposti da un terzo in una parte del documento diversa da quella relativa alle disposizioni testamentarie, non comportano invalidità dello stesso, essendo tali scritti inidonei a pregiudicare la libertà di autodeterminazione del testatore.


In materia di testamento olografo, infatti, il rispetto del principio dell’autografia non impedisce che, nell’ambito dello stesso documento, siano enucleabili, da un lato, un testamento pienamente rispondente ai requisiti di legge e, dall’altro, scritti provenienti da una mano sicuramente diversa – apposti dopo la sottoscrizione da parte del testatore e, perciò, collocati in una parte diversa del documento – i quali, di per sé, non possono invalidare per intero la scheda testamentaria redatta dal testatore.


Il testamento olografo non perde il requisito dell’autografia nemmeno quando il testatore vi alleghi una planimetria redatta da terzi, per meglio descrivere gli immobili ereditari, già compiutamente indicati nella scheda testamentaria. Detto allegato, infatti, sottoscritto dal testatore, non integra la volontà del testatore ed è giustificato dall’esigenza di meglio individuare l’oggetto delle singole attribuzioni testamentarie tramite la rappresentazione grafica dei beni.


A risultato radicalmente diverso si deve approdare allorquando l’alterazione avvenga nel corpo della disposizione di ultima volontà e durante la confezione del testamento, ancorché su incarico o col consenso del testatore, giacchè ne elimina il carattere di stretta personalità, interferendo sulla volontà di disporre del de cuius.


E’ valido il testamento interamente redatto di pugno dal testatore che però ricopi fedelmente un altro scritto appartenente a terzi?


Il testamento redatto di proprio pugno dal testatore, ricopiando un testo predisposto da un terzo, non è privo del requisito dell’olografia, ed è pertanto perfettamente valido, a meno che non si deduca e dimostri che il testatore non si sia reso conto del contenuto dell’atto e che, quindi, la volontà apparente dal documento sia difforme da quella reale del disponente.

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

intervento di un terzo nella redazione di un testamento

Si può dare esecuzione ad un testamento falso se tutti gli interessati sono d’accordo?

 

Unanime esecuzione di testamento falso: può finire a tarrallucci e vino?

 

 

 

“La verità esiste, solo la falsità deve essere inventata.”
GEORGES BRAQUE

 

 

 

Tizia muore.


Viene chiesta la pubblicazione del suo testamento.

Si appura, però, che la grafia non appartenga al defunto e che l’intero documento sia falso, in quanto apocrifo.

I possibili eredi si mettono attorno ad un tavolo, convengono che il testamento – seppur falso – contenga disposizioni che corrispondono alla reale volontà di Tizia, manifestata più volte da quest’ultima prima di morire.

In forza di queste considerazioni, decidono di dare comunque esecuzione al testamento falso.


Sarà efficace tale determinazione?


Facciamo un passo indietro.


Ciascuno di noi, se dovesse compiere un atto giuridico difettoso di qualche requisito, potrebbe cercare di porvi rimedio: replicandolo correttamente, se nullo, convalidandolo, se annullabile.


L’atto di ultime volontà, tuttavia, non può trovare alcuna forma di convalida da parte del suo autore – in quanto passato a miglior vita (speriamo per lui), né ovviamente potrebbe essere da questi rinnovato, replicato validamente.

Per ovviare a tale inconveniente la legge ha escogitato un rimedio: la nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, ha, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione. (art 590 cc).


Vale a dire che i soggetti interessati dal testamento nullo possono compiere una sorta di ratifica personale, rinunciando a far valere le cause di nullità dando attuazione alla disposizione invalida.

E’ un po’ come se la volontà del testatore fosse assecondata da coloro i quali ne sarebbero stati i beneficiari se il testamento fosse stato valido.


Ecco, allora, che la conferma appare come una sorta di integrazione mancante ad un atto invalido, supplendo alla carenza che ha generato la nullità.


La giurisprudenza sul punto è divisa nel valutare se tale norma di legge consista in una vera e propria convalida di atto nullo da parte degli interessati oppure una semplice preclusione a far valere la nullità da parte di coloro i quali se ne siano avvalsi, lasciando impregiudicate le eccezioni e le iniziative di quelli che non l’abbiano confermato.

 

fotocopia-testamento-olografo


La conferma del testamento potrà essere espressa o tacita.

Per quella espressa non vi sono requisiti formali, anche se la forma scritta potrebbe essere necessaria ai fini della trascrizione.

La conferma tacità presuppone la conoscenza del vizio che ha causato l’invalidità e la contestuale volontà di rinunciare all’impugnazione, ponendo in essere un comportamento incompatibile con l’intenzione di agire in giudizio per l’accertamento della causa di nullità .


Ovviamente, non potrà trovare tutela la “conferma” di disposizioni testamentarie nulle in quanto contrarie al buon costume o all’ordine pubblico: in tal caso è escluso si possano recuperare attribuzioni comunque inidonee ad avere efficacia giuridica. Come gli effetti di tali disposizioni non potevano essere conseguiti dal testatore in vita, così non potranno essere raggiunti dai suoi successori attraverso il negozio di convalida.


Dottrina e giurisprudenza unanimemente convengono che – presupposto per l’applicazione dell’istituto in esame – sia quanto meno l’esistenza di un testamento attribuibile alla volontà del de cuius.


Non potranno essere compresi nella disciplina gli atti che elidano o annullino l’elemento volontaristico, come – per esempio – la violenza fisica, la predisposizione con riserva mentali (dichiaro di volere ma non voglio), oppure se fatta a titolo di scherzo o redatta docendi causa, a titolo esemplificativo, per illustrare un concetto.


Qui non c’è una volontà da salvare o tutelare proprio perchè la volontà è inesistente.

 

ritrovamento di un nuovo testamento
Unanime esecuzione di testamento falso: manca la volontà del testatore


E in caso di apocrifia? Si può dare esecuzione ad un testamento falso?


La risposta è negativa e ce ne dà conferma una recentissima Sentenza della Cassazione  che – guarda caso – ha risolto la controversia relativa proprio al testamento di Tizia.


I giudici della Suprema Corte – in punto applicazione della norma “salvifica” dell’art. 590 cc – hanno concentrato l’attenzione sulla possibilità di ricondurre il testamento apocrifo alla volontà della de cuius.


Tale normativa “nel prevedere la possibilità di conferma od esecuzione di una disposizione testamentaria nulla da parte degli eredi, presuppone, per la sua operatività, l’oggettiva esistenza di una disposizione testamentaria, che sia comunque frutto della volontà del de cuius, non trovando applicazione, invece, nell’ipotesi di accertata sottoscrizione apocrifa del testamento, la quale esclude in radice la riconducibilità di esso al testatore”.


“La riconosciuta non autenticità della scheda” infatti mette “fuori gioco il meccanismo di sanatoria contemplato dall’art. 590 c.c., senza che avesse a quel punto alcuna rilevanza né la consapevolezza dei dichiaranti che il testamento fosse falso, né l’indagine volta a stabilire se la scheda fosse conforme alla volontà espressa in vita dalla defunta”.


Per inciso, è utile evidenziare come dottrina e giurisprudenza siano attualmente accapigliate circa la valutazione della “confermabilità” – attraverso l’istituto oggi enunciato – di un testamento riconducibile alla mano del disponente ma contenente adulterazioni circa alcune sue componenti (ad esempio la firma, o la data).


Al momento pare prevalere l’orientamento volto ad attribuire efficacia alla conferma del testamento, purchè le alterazioni effettuate non abbiano eliminato o viziato la volontà dispositiva del testatore.


 

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esecuzione di testamento falso

Eredità in favore di minorenni: come procedere?


Cautele ed autorizzazioni per accettare l’eredità in favore di minorenni.

 

 

Accettare un’eredità non è come bere un bicchiere d’acqua.

Può comportare significative conseguenze sulle condizioni del soggetto in favore del quale sia stata devoluta.

Pensiamo all’ipotesi in cui – a seguito della successione – oltre alle attività, vengano trasferite considerevoli passività, in grado di rendere sbilanciato ed oltre modo gravoso il conseguimento del lascito.

Una persona maggiorenne e vaccinata è in grado non solo di assumere le proprie determinazioni in ordine alla possibilità o meno di accettare un’eredità, ma anche di farsi carico delle conseguenze e responsabilità di una successione più o meno gravosa.

Le persone deboli, tra cui i minorenni, ma anche agli incapaci, no. Per essi deve decidere qualcun altro e deve farlo con scrupolo e cautela, per non far pesare sulle spalle di un innocente le conseguenze di una scelta poco ponderata.

Come procedere, quindi, in caso di eredità in favore di minorenni?


Innanzitutto – non è scontato dirlo – è necessario che i genitori siano d’accordo sul fatto di accettare o meno il lascito.


La legge, infatti, stabilisce che per alcuni atti – quelli di ordinaria amministrazione – i genitori possano agire disgiuntamente, senza che sia necessaria – per la validità dell’atto – il consenso di entrambi.


Le decisioni più importanti – quelle cioè che possono comportare significative conseguenze per il bene dei figli – è necessario che vengano assunte congiuntamente.


In caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei (art 316 cc ).

Il giudice, “sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio”.

 

eredità figlio minorenne

 


Bene.  La legge, per alcune determinazioni da parte dei genitori, non solo richiede il consenso di entrambi, ma anche l’autorizzazione del giudice, che vagli e statuisca la congruità e la conformità all’interesse del minore della scelta assunta dagli ascendenti.


Gli atti compiuti in difetto di tale autorizzazione saranno annullabili, senza che possano essere sanati da provvedimento successivo.


Parliamo degli atti di straordinaria amministrazione avente contenuto patrimoniale, come la vendita dei beni dei figli, oppure la locazione dei loro beni immobili per un tempo considerevole, o la riscossione di capitali: l’art. 320 cc ce ne dà un dettagliato elenco.


Tra questi atti per cui è necessaria la preventiva autorizzazione del Giudice Tutelare vi è l‘accettazione di eredità in favore di minorenni.

Ci siamo?

 

Passaggio primo: i genitori dovranno effettuare un ricorso al giudice tutelare per farsi autorizzare ad accettare l’eredità per conto dei figli, di cui hanno la rappresentanza, esponendo le ragioni per cui il lascito possa considerarsi vantaggioso per la prole.


Per inciso, è opportuno rilevare che tale modalità dovrà essere seguita anche nel caso in cui i genitori considerino opportuno rinunciare all’eredità: sarà sempre necessario adire il tribunale ed ottenere l’autorizzazione alla rinuncia.


Ovviamente, sappiamo bene che un’eredità così accettata potrebbe comunque comportare brutte sorprese: debiti non dichiarati, non conosciuti, sopravvenuti, che espongano l’erede minorenne a conseguenze nefaste e compromettenti.


Di conseguenza la legge chiede un’ altra attività obbligatoria in caso di eredità in favore di minorenni.

 

accettazione eredità figli minorenni
eredità in favore di figli minorenni: autorizzazione del giudice e beneficio di inventario

 

 


Secondo passaggio: accettazione di eredità con beneficio di inventario.


Ci siamo soffermati più volte (link 1 e 2) su quest’argomento: per evitare le conseguenze di una damnosa hereditas, in cui il patrimonio (attivo e passivo) del defunto si confonde con quello dell’erede, esponendolo anche a debiti più grandi di quanto conseguito, la legge disciplina il rimedio dell’accettazione beneficiata.


Si tratta di istituto obbligatorio nel caso in cui chiamati all’eredità fossero minorenni, incapaci (interdetti, inabilitati) o persone giuridiche e associazioni -proprio per evitare il pericolo di eredità dannose – ma estensibile a quanti volessero tutelarsi da tale rischio.

Il risultato di tale procedura è che l’erede non sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni pervenuti.

 

Come procedere?

In due modi.

– Facendo eseguire, da un cancelliere del Tribunale o da un notaio, l’inventario di tutti i beni del defunto, in cui verranno indicate attività e passività.
Redatto l’inventario, si avranno 40 giorni di tempo per deliberare se accettare o rinunciare all’eredità. Trascorso questo termine senza aver deliberato, si perderà il diritto di accettare l’eredità.

– Altrimenti, si potrà manifestare fin da subito l’accettazione con beneficio di inventario, per poi eseguire l’inventario stesso entro il termine di tre mesi, pena la decadenza del beneficio.

 

è possibile obbligare un padre a vedere un figlio


E se i genitori, autorizzati ad accettare l’eredità in favore di minorenni, tardassero a compiere le attività precedenti?

 

L’ipotesi, proprio perchè tutt’altro che infrequente, ha spinto la legge ad attribuire un’ulteriore tutela in favore dei minorenni e degli incapaci.


Questi non saranno decaduti dal beneficio d’inventario se non al compimento di un anno dalla maggiore età o dal cessare dello stato di incapacità (art 489 cc).


Entro tale termine, quindi, una volta entrati in possesso della libera autodeterminazione e capacità di agire, potranno compiere l’atto riconosciuto dalla legge per proteggersi da eredità dannose.

Attenzione. Attenzione.

La legge non attribuisce al minore, il cui genitore non abbia rinunciato all’eredità, il diritto di rinunciarvi al compimento della maggiore età, ma soltanto la facoltà di redigere l’ inventario nel termine di un anno dal suo compimento, così da renderlo esente dalle conseguenze di un’eredità eccessivamente onerosa.


Lo ha specificato una recente Sentenza della Cassazione, in cui si è considerato il caso di un’eredità accettata con beneficio da parte dei genitori senza, tuttavia, che fossero state eseguite le formalità successive; nello specifico l’esecuzione dell’inventario.


Divenuta maggiorenne la figliola, questa veniva citata in giudizio da una banca che – è proprio il caso di dirlo – batteva cassa per riscuotere crediti vantati nei confronti del defunto.


La ragazza eccepiva di voler rinunciare all’eredità, sostenendo di poter beneficiare del termine annuale decorrente dal compimento della maggiore età, asseritamente concesso dalla legge.

La Suprema Corte ha rilevato che, in assenza di accettazione dell’eredità, il minore rimane nella posizione di chiamato alla eredità e, nel termine di prescrizione decennale, il suo rappresentante legale potrà accettare l’eredità con il beneficio d’inventario, mentre, lo stesso minore, una volta divenuto maggiorenne, potrà accettare senza il detto beneficio ovvero rinunciare alla eredità.

Qualora il genitore opti per l’accettazione dopo essere stato autorizzato dal Giudice Tutelare, ne deriva l’acquisto da parte del minore della qualità di erede.

Se – accettata l’eredità –  non fosse compiuto l’inventario, necessario per poter fruire della limitazione della responsabilità,  si porrebbe per il minore una particolare ulteriore tutela: l’inapplicabilità della decadenza dal beneficio di inventario fino al compimento dell’anno dalla maggiore età.

Se anche entro tale termine non si provveda, l’accettante – divenuto maggiorenne – sarà considerato erede puro e semplice, senza possibilità di rinuncia.


Citando un brocardo latino “semel heres, semper heres”.


Una volta che si sia divenuti eredi, lo si rimarrà per sempre, non essendo consentita la rinuncia successiva all’accettazione.

 

 

 

 

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Eredità in favore di minorenni

Fotocopia del testamento olografo: vale tanto/quanto l’originale?

 

Quale valore ha la fotocopia del testamento olografo?

 


Segretezza, rapidità di esecuzione, economicità.


Questi sono i vantaggi più significativi del testamento olografo.


Non comporta alcun costo, può essere redatto in qualsiasi momento senza impiego di materiale particolare (bastano carta e penna) e, se ben nascosto, può rimanere sconosciuto al mondo fino …. al momento opportuno. Basta che poi qualcuno, possibilmente il soggetto più affidabile, lo rinvenga dopo la morte del testatore.


Limiti di tale tipologia dispositiva?


Redigere l’atto di ultime volontà senza l’ausilio di un professionista – un notaio, un avvocato – potrebbe esporre a possibili incongruenze su contenuto e forma, con riflessi sulla validità dello scritto e sulla tenuta delle prescrizioni indicate.

Non solo.


Passi che sia segreto, ma il rischio è che possa rimanere tale anche dopo la morte del disponente, senza che alcuno mai lo rinvenga. Oppure potrebbe essere oggetto di sofisticazioni da parte di eventuali malintenzionati, financo passibile di agile distruzione, se non conforme ai desiderata di chi lo abbia per le mani (si ricorda essere un reato che, tra l’altro, comporterebbe l’indegnità a succedere del suo autore).


Ed ancora.


Proprio per l’agilità con cui può essere confezionato un testamento olografo, potrebbe altrettanto facilmente essere oggetto di modifiche, revoche, integrazioni da parte del suo autore, determinando così possibili fraintendimenti circa l’esatta portata- a conti fatti – delle volontà del de cuius.


Per ovviare a queste problematiche capita di frequente che il testatore affidi a persone di propria fiducia una fotocopia del proprio testamento, di modo che sia per esse agile risalire all’esistenza ed alla consistenza di tali disposizioni dopo la sua morte.


E’ altrettanto consueta la circostanza che, possibili eredi, a dispetto della segretezza del testamento, intendano cristallizzare le proprie pretese fotocopiando un testamento rinvenuto con modi più o meno plausibili, agitandone il contenuto allorquando, in sede successoria, le disposizioni siano difforme rispetti alle proprie aspettative.


E qui viene il bello, o meglio, il tema dell’odierno spunto di riflessione.

 

fotocopia-testamento

 


Che valore ha la fotocopia del testamento olografo?


Di primo acchito, verrebbe da dire: nessuna, se vi sia l’originale del testamento; in mancanza, sostituirebbe il testamento stesso.


Non è proprio così.


A monte, infatti, è necessario operare una valutazione: perchè non esiste più l’originale del testamento?
Tra le varie possibilità, deve essere primariamente considerata quella per cui il testatore stesso abbia inteso sbarazzarsene, con ciò revocando tale atto di ultime volontà.


E’ la legge stessa a contemplare e disciplinare tale eventualità: il testamento olografo distrutto, lacerato o cancellato, in tutto o in parte, si considera in tutto o in parte revocato, a meno che si provi che fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore, ovvero si provi che il testatore non ebbe l’intenzione di revocarlo. Art 684 cc.


Vi è, pertanto, una sorta di presunzione legale: la distruzione del testamento si presume essere avvenuta ad opera del testatore, con la volontà – anch’essa presunta – di revocarlo. Chi abbia interesse (e possibilità) a dimostrare il contrario deve – lui – provarlo.


Conseguentemente, approdiamo ad un primo risultato: nessun valore avrà la fotocopia del testamento distrutto dal de cuius stesso o di cui non si abbia prova sia stato eliminato da altri.


Si noti, il testatore potrebbe aver tolto dalla circolazione il proprio scritto inavvertitamente: potrebbe averlo perso o eliminato senza volerlo (per caso fortuito o forza maggiore). In tal caso non sussisterà la revoca tacita disposta dalla legge, tuttavia sarà necessario dimostrare la circostanza volta a superare la presunzione che ne sta alla base, ossia che tale attività non sia corrisposta ad intenti revocatori.


Bene, passaggio successivo: si ha la prova dell’esistenza del testamento alla morte del testatore – che, conseguentemente, non potrà essere considerato l’autore della sua eliminazione o sparizione, ma gioco forza sarà da attribuire a terzi o a circostanze ulteriori e sopravvenute.


Che valore avrà la fotocopia del testamento olografo?


Innanzitutto, partiamo dal fatto che la fotocopia non potrà assumere il medesimo valore e ruolo del testamento. Solo quest’ultimo potrà essere oggetto di pubblicazione da parte del Notaio, che può procedervi unicamente in caso di allegazione della “carta su cui è stato redatto” (art. 620 cc) e non già sulla base di un documento che ne potrebbe costituire semmai la prova, ma non è l’originale.

 
Giocoforza, chi vorrà avvalersi della fotocopia del testamento olografo, dovrà agire in giudizio.


Diciamo subito che il percorso giudiziale non sarà agile: la legge, infatti, stabilisce che “le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta

 

ritrovamento di un nuovo testamento
Fotocopia testamento olografo: perchè l’originale non esiste più?


In buona sostanza, o la fotocopia del testamento prodotta in causa sarà stata autenticata da pubblico ufficiale – circostanza ascrivibile a possibilità microscopiche – oppure, come 99 volte su 100 accade, i convenuti contro i quali sia stata fatta valere la copia dello scritto potranno disconoscerla, vuoi perchè non ammettono sia stata redatta a mani del de cuius,(Art. 214 cpc), vuoi perchè non la ritengono conforme all’originale (art. 2719 cc) , ponendo l’attore in un tutt’altro che agevole onere probatorio.


In tribunale, infatti, si dovrà provare: che il testatore aveva redatto il documento prodotto in fotocopia; che il medesimo non sia stato distrutto o disperso ad opera del de cuius, ma bensì per mano di terzi o per circostanze non ascrivibili alla volontà di revoca del disponente; che l’originale del testamento esisteva al momento dell’apertura della successione, che la fotocopia sia conforme al testamento originale ed ascrivibile alla mano del defunto (art. 216 cc).

 

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli avvocati Berto in materia di

Fotocopia del testamento olografo