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Preliminare di acquisto di un immobile durante la comunione dei beni

Preliminare di acquisto di un immobile durante la comunione dei beni: che ne sarà se i coniugi si separano?

La differenza tra il divorzio e la separazione legale è che la separazione legale dà al marito il tempo di nascondere il proprio denaro.
(Johnny Carson)

C’eravamo tanto amati.


Avevamo anche progettato di comprare una casa nuova, e poi…

Con la separazione i sogni si infrangono, ma i problemi restano.


Che ne sarà del preliminare di acquisto di un immobile stipulato durante la comunione dei beni se poi la comunione si scioglie a seguito della separazione?


Tralasciamo l’ipotesi più semplice: quella in cui entrambi i coniugi abbiano sottoscritto il compromesso. Pare fin troppo ovvio affermare che tutt’e due saranno tenuti ad onorare l’impegno che si erano assunti durante il matrimonio, partecipando al definitivo e versando il prezzo convenuto. Poi, eventualmente, si spartiranno il bene acquistato, oppure lo venderanno, o se lo terrà solo uno di essi, che comprerà la quota dell’altro.
.. oppure se lo terranno così com’è: sai mai che non intervenga una benedetta riconciliazione.


E se il preliminare lo avesse sottoscritto solo uno dei coniugi?


Qui le cose si complicano, ma le risolviamo subito andando ad esaminare la parola della legge ed alcune nozioni base in ambito contrattuale.


Cosa rientra in comunione dei beni?
Art. 177 cc:

-gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;

-i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
– i proventi dell’attivita’ separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;


Bene.

Rientrano gli acquisti, siano effettuati insieme o separatamente, purchè vigente il regime patrimoniale.

Preliminare un solo coniuge
Preliminare di acquisto di un immobile durante la comunione dei beni


Il contratto preliminare comporta l’acquisto del bene che ne è oggetto?

No. Con tale negozio le parti si impegnano a stipulare, in futuro, un altro contratto che, questo sì, comporterà il trasferimento della proprietà.
Il contratto preliminare ha efficacia obbligatoria, non reale.


Ergo?

Solamente il coniuge che abbia stipulato il preliminare sarà obbligato ad addivenire al rogito per il definitivo: se sarà ancora in comunione dei beni, l’acquisto rientrerà nella titolarità di entrambi i consorti, altrimenti solamente in quella dell’obbligato.


Facciamo un passo avanti.

Mettiamo che solo un consorte abbia stipulato il preliminare, versando anche quota parte del prezzo. Dopo la separazione addiviene al rogito, corrispondendo il saldo.

L’altro coniuge potrà avanzare qualche pretesa in relazione all’acquisto?


Abbiamo visto prima: non potrà essere reclamata la proprietà del bene, che è stata trasferita dopo lo scioglimento della comunione.

Ma per le somme versate prima della separazione?


Se siano importi appartenenti ad entrambi i coniugi non ci piove: ciascuno dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall’adempimento delle obbligazioni gravanti sulla comunione stessa. (art. 192 cc)


Ma se il versamento dell’acconto fosse stato fatto con i risparmi derivanti dall’attività lavorativa del coniuge promissario acquirente?


Leggiamo attentamente l’art. 177 cc che abbiamo sopra richiamato: rientrano nella comunione i proventi dell’attivita’ separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati.


Ne avevamo già parlato in altro post, si tratta di comunione de residuo: i soldi dello stipendio appartengono solo a chi li guadagna.

Se li impiegherà in acquisti, questi ricadranno nella comunione. Se residueranno allo scioglimento della stessa, rientreranno nel patrimonio comune.


Ebbene, il versamento effettuato con i propri denari da un coniuge in sede di preliminare di vendita non rientreranno nella comunione de residuo.


Sono stati spesi. Non sussistono più.

Non potranno, pertanto, essere oggetto di recriminazioni da parte dell’altro coniuge, dopo la separazione.


Lo ha avuto modo di affermare anche una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (3767/2021), che ha disciplinato un caso identico a quello appena esaminato, affermando che “la comunione de residuo si realizza al momento dello scioglimento della comunione, limitatamente a quanto effettivamente sussista nel patrimonio del singolo coniuge e non a quanto avrebbe potuto ivi rinvenirsi”, conseguentemente “sono esclusi dalla comunione legale “i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi e consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione”.
Se, pertanto, dovesse essere “ incontestato che in vigenza del regime di comunione legale” un coniuge “ebbe a disporre di risorse proprie e se, come detto, la comunione de residuo è ravvisabile solo in relazione ai proventi non consumati sussistenti al momento dello scioglimento della comunione, l’uno e l’altro elemento escludono che possa applicarsi l’art. 177, lett. c), c.c. Da un lato, infatti, i proventi realizzati da ciascuno dei coniugi in vigenza del predetto regime non confluiscono immediatamente in comunione ed il percettore, assolti i doveri di contribuzione, è perciò libero di disporne, dall’altro, essendone avvenuta la consumazione, essi non sono più sussistenti al momento dello scioglimento della comunione e dunque nessun diritto de residuo può accampare su di essi l’altro coniuge

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Comunione dei beni

Se i genitori litigano possono perdere l’affidamento dei figli?

Se i genitori litigano possono perdere l’affidamento dei figli?

“Se il padre e la madre si litigano un uovo, il bambino non avrà mai una gallina.”
PROVERBIO AFRICANO

Ci siamo passati tutti e tutti ricordiamo le sensazioni spiacevoli provate nell’assistere a qualche litigio tra mamma e papà.

Le discussioni, tuttavia, fanno parte del matrimonio e di qualsiasi forma di convivenza.

San Girolamo affermava: chi vive senza discussioni è uno scapolo.

Oggi ci soffermiamo al caso in cui le discussioni, i litigi, vadano oltre la soglia delle normali dinamiche di vita familiare, ma sfocino in situazioni di aperto conflitto, con manifestazioni violente, tanto verbali financo fisiche.

Come si è avuto modo di accennare in un precedente articolo litigare davanti ai figli può costituire reato. In particolare, in casi di cd “violenza assistita”, nei quali i figli appunto assistono ad episodi ripetuti di aggressività fisica e psicologica, con condotte vessatorie e continui litigi, minacce e danneggiamenti tra genitori, la Corte di Cassazione ha statuito si ricorra nella fattispecie di maltrattamenti, severamente punita dall’art. 572 del codice penale, essendo pacifico che i maltrattamenti possano essere effettuati anche tramite un coinvolgimento indiretto, passivo, della prole alla conflittualità esacerbata dei genitori.

litigi genitori figli

Se i genitori litigano possono perdere l’affidamento dei figli?

L’asprezza dei rapporti tra genitori può, anche, avere significativi riflessi nell’ambito dell’affidamento dei figli.

Di regola, la giurisprudenza ritiene che la conflittualità esistente tra due coniugi non precluda il ricorso al regime preferenziale dell’affidamento condiviso, che risulta il più idoneo a riequilibrare il rispettivo ruolo genitoriale nell’interesse della prole.

Ciò, purchè si rimanga nei limiti di una dialettica che non intacchi la serenità e la possibilità di sviluppo psicofisico equilibrato del figlio minore.

In tal caso, a fronte dell’estrema difficoltà ad intraprendere di comune accordo scelte significative per i figli, potrà essere disposto l’affidamento esclusivo in capo ad un solo genitore, quello che appaia più adeguato nel caso concreto con riferimento ai bisogni affettivo-educativi della prole.

Ma c’è di più.

Nelle situazioni più complesse – vedasi ad esempio i casi di totale conflittualità esistente tra i genitori, di tentativi per ciascuno di essi di delegittimare la figura dell’altro, di rifiuto persistente di sottoporsi ad un percorso di mediazione, di sofferenza ingenerata nel minore – ove entrambi i genitori si rivelino palesemente immaturi ed incapaci di elaborare il fallimento del proprio progetto di coppia e dunque di rapportarsi responsabilmente alla genitorialità, il giudice potrà disporre l’affidamento dei figli ai servizi sociali.

Questi ultimi prenderanno le decisioni più importanti per i minori e vigileranno sulla frequenza dei figli con i genitori, segnalando eventuali rigurgiti di asperità al Tribunale, affinchè eventualmente restringa i regime di visita o disponga le misure che si renderanno di volta in volta necessarie.

perdita affidamento figli
Se i genitori litigano possono perdere l’affidamento dei figli

Recentissime pronunce, tuttavia, vedasi ad es. tribunale di Milano 27 gennaio 2021, sono andate ben oltre, statuendo addirittura la perdita (decadenza) o l’affievolimento della responsabilità genitoriale.

Tale drastica misura, contemplata dall’art. 330 cc, può essere adottata nel caso in cui il genitore violi o trascuri i doveri ad essa inerenti o abusi dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.

In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratti o abusi del minore.

L’effetto della pronuncia è dirompente, giacchè determina la privazione di qualsivoglia potere decisionale del genitore verso la prole, a cui, gioco forza, dovrà essere nominato un tutore che ne curi gli interessi, avendo cura della persona, prendendo le determinazioni del caso (vedasi ad esempio scelte sanitarie, scolastiche ..) e amministri i beni: art 357 cc  

Nel caso posto all’esame della recente pronuncia del Tribunale meneghino, era in atto tra i coniugi una conflittualità asperrima, che sfociava nell’impossibilità di preservare le figlie dal conflitto, ormai troppo esacerbato, con un rischio di grave pregiudizio per le minori.

Il Tribunale disponeva, dapprima, l’affidamento ai servizi sociali e la collocazione dei minori presso la madre, statuendo anche il regime di visite col padre.

Le relazioni dei servizi, tuttavia, evidenziavano l’ulteriore acuirsi del disagio familiare, con costante attività di svilimento della figura dell’un genitore verso l’altro e determinava, nell’esasperazione, l’impossibilità di elementari decisioni nell’interesse della prole.

I percorsi di mediazione familiare e di supporto genitoriale intrapresi, si erano rivelati “terreno di recriminazioni reciproche” e di ingravescenza della conflittualità in atto, tanto da dover essere sospesi.

Inevitabile, conseguentemente, la decisione di affievolimento della responsabilità genitori per i coniugi in lotta, con limitazione attinente alle decisioni di maggior interesse per la prole e relative all’istruzione, all’educazione e alla salute e alla residenza delle minori.

Tali scelte, sentiti i genitori, sarebbero spettate all’ente affidatario delle figlie, in questo caso il comune, e gli eventuali relativi oneri economici sarebbero gravati a carico di entrambi i genitori nella misura del 50% ciascuno.

Significativo l’auspico conclusivo del Tribunale: che, una volta terminato il procedimento giudiziale, i genitori ripongano finalmente da parte il conflitto coniugale e si mettano seriamente in discussione come genitori, facendosi aiutare e supportare, proseguendo/avviando seriamente un percorso di supporto alla genitorialità e interventi di supporto psicologico in una concreta e reale consapevolezza circa la nocività delle loro dinamiche disfunzionali, partendo dalle proprie criticità e fragilità e non già da quelle dell’altro genitore, assumendo finalmente un ruolo genitoriale più maturo e responsabile nei confronti delle figlie, venendo incontro alle loro istanze e comprendendo le loro richieste e i bisogni effettivi”.

Pena “ulteriori limitazioni della responsabilità genitoriale e/o necessità di dover disporre un collocamento anche eterofamiliare”.

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affidamento figli

Revoca assegno mantenimento in caso di nuova relazione: non è indispensabile la coabitazione.

 

 

Alcune recenti pronunce ci aiutano a fare il punto sulla richiesta di revoca assegno mantenimento in caso di nuova relazione del coniuge beneficiario.

 

Mia moglie si è presa la casa, la macchina, il conto in banca, e se mi sposerò di nuovo e avrò dei figli si prenderà anche loro.
(Woody Allen)

 

Fino a quando?


Dico, fino a quando…sarò tenuto a corrispondere il mantenimento alla mia ex moglie?


Domanda tipo che viene sciorinata all’avvocato divorzista dopo qualche anno dallo scioglimento del matrimonio.


Noi ce ne siamo già occupati in passato, per cui siamo molto preparati (ah no? ecco i link 1, 2, 3, )

In buona sostanza, dobbiamo fare riferimento a “giustificati motivi sopravvenuti”: fatti, cioè, non considerati al momento della pronuncia separativa o divorzile, il cui sopraggiungere stravolge o modifica sensibilmente l’attualità e la congruità dei provvedimenti che sono stati assunti e la cui sussistenza giustifica un cambiamento delle statuizioni o di parte di esse.


Per citare alcuni esempi, casi frequenti sono la perdita o la contrazione del lavoro del coniuge onerato dell’assegno, il reperimento di occupazione da parte di quello che ne è beneficiario, la nascita di un figlio.

 

 

Revoca assegno mantenimento in caso di nuova relazione
Revoca assegno mantenimento in caso di nuova relazione

 

 


E una nuova relazione intrapresa dall’ex coniuge, può giustificare la modifica delle condizioni di separazione o divorzio e la revoca assegno di mantenimento?


Attenzione, già la legge sul divorzio statuisce che l’obbligo di corresponsione dell’assegno cessi se il coniuge a cui debba essere corrisposto passi a nuove nozze.


Tale previsione poggia sul fatto secondo cui – con l’instaurarsi di una nuova famiglia – venga meno qualsivoglia solidarietà post coniugale derivante dal precedente matrimonio. Adesso ci sarà un nuovo coniuge obbligato all’assistenza materiale di quello, già precedentemente divorziato.


La giurisprudenza, oramai assestata, riconosce equivalente trattamento anche all’ipotesi di stabile convivenza more uxorio intrattenuta dal coniuge separato o divorziato.


L’instaurazione di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, facendo venir meno i presupposti per l’erogazione dell’assegno contributivo.


Il fondamento della cessazione dell’obbligo di contribuzione deve essere individuato nel principio di autoresponsabilità, ossia nel compimento di una scelta consapevole e chiara, manifestata con il compimento di fatti inequivoci, per aver dato luogo ad una unione personale stabile e continuativa, che si è sovrapposta al matrimonio.


La ricerca, la scelta e il concreto perseguimento di un diverso assetto di vita familiare, da parte del coniuge che pur abbia conseguito il riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento o di divorzio, fa venir meno il diritto alla contribuzione periodica, essendo la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole.


Si noti, deve trattarsi di una relazione caratterizzata dalla stabilità: non è necessario che si traduca in nuovo sposalizio, o che debba durare per anni annorum, ma che si riveli come legame connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti.
Non basta tuttavia la prova di una relazione amorosa, ancorché stabile, dell’ex coniuge ma, come detto, l’instaurazione di una famiglia di fatto basata su di una scelta esistenziale implicante una reale progettualità di vita, qual è quella propria della convivenza con altra persona, che fa sorgere obblighi di “reciproca assistenza morale e materiale”.

 

 

assegno divorzile nuova convivenza

 

Convivenza non significa coabitazione.


Un’interessante, quanto recentissima, sentenza della Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare come – ai fini di rinvenire una stabile convivenza, sufficiente a far venir meno l’obbligo di versare l’assegno da parte dell’ex coniuge, non sia necessaria una permanente coabitazione, potendosi la relazione concretizzare anche in una comunione di vita, con spontanea e volontaria assunzione di reciproci impegni di assistenza morale e materiale, a prescindere dal fatto che la coppia viva sotto lo stesso tetto.
Anzi.


Ai giorni d’oggi occorre prendere atto del cambiamento sociale che stiamo vivendo, ove si instaurano e si mantengono rapporti affettivi stabili a distanza con frequenza molto maggiore che in passato (anche nelle famiglie fondate sul matrimonio) ed è indice sintomatico del fatto che l’elemento della coabitazione è destinato ad assumere un rilievo sempre più recessivo rispetto ai tempi precedenti.


Appiattire il concetto di convivenza con quello della coabitazione significherebbe svilire una fetta considerevole dei rapporti di fatto intrattenuti dalle odierne coppie e trascurare che una famiglia può sussistere anche in luoghi diversi rispetto a quelli in cui uno dei due conviventi lavori, o debba trascorrere gran parte della settimana o del mese, vuoi per motivi personali o patrimoniali, vuoi per impegni di cura o assistenza, senza che per ciò venga meno la famiglia.


La Cassazione nota, altresì, che sussistono anche realtà in cui le famiglie si formano senza avere neppure, per un periodo di tempo più o meno lungo, una casa comune, intesa come casa dove si svolge la vita della famiglia ,in quanto ognuno dei due partners è tenuto per i propri impegni professionali o per particolari esigenze personali, a vivere o a trascorrere gran parte del proprio tempo in un luogo diverso dall’altro.


Non può essere sottaciuto come la recente legge sulle unioni civili n. 76/2016 abbia considerato la nozione di convivenza di fatto come relazione tra due persone maggiorenni unite da stabili legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, senza che sia richiesta una perdurante coabitazione.


Quest’ultima, semmai, potrà essere sintomatico indice dell’esistenza di una convivenza di fatto, senza per ciò assurgere a requisito imprescindibile.

 

 

Risarcimento danni per mancato pagamento assegno di mantenimento

 

E se, anche a seguito della nuova relazione, l’ex coniuge non abbia adeguati mezzi economici? E se poi anche la nuova convivenza terminasse? Può essere disposta la revoca della revoca assegno di mantenimento’ 

 

Au – to – re – spon – sa – bi – li- tà


Lo abbiamo detto.

La formazione di una nuova famiglia di fatto è espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole, che si caratterizza anche per l’assunzione del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua responsabilità post matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo. (cass. Civ. 6855/2015).

Con la nuova relazione, si è rescissa ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, poichè la nuova comunità familiare ha fatto venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, cosicchè il relativo diritto ne resta definitivamente escluso (cass. Civ. 32871/2018).

 

 

 

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Revoca assegno mantenimento in caso di nuova relazione

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Acquisti dei coniugi in separazione dei beni: a chi appartengono?

 

 

Acquisti dei coniugi in separazione dei beni: alcuni concetti da conoscere per una scelta consapevole del regime patrimoniale

 

 

An, pan, fiol d’un can, fiol d’un beco, mori seco, con le gambe destirà…


Una filastrocca, di quelle vicentine, di una volta.


Mi pare di vederli, i due fidanzatini, pochi giorni prima delle nozze. Hanno pensato a tutto, buffet, abito, preparativi, invitati, cerimonia, biglietti del viaggio. Manca una riflessione, una piccola scelta: comunione o separazione dei beni? Quale regime patrimoniale è meglio? Dobbiamo dirlo al prete. Boh, che ne so… Tiriamo a sorte: passa paperino, con la pipa in bocca, guai a chi la tocca, l’hai toc – ca- ta pro—prio tuuu…


Questo articolo vuole essere di aiuto tanto ai disperati – che stanno leggendolo, magari il giorno prima del matrimonio, magari alle ore piccole (andate a letto, sennò sai che occhiaie nelle foto?), e si sono presi all’ultimo con le decisioni – tanto ai più diligenti che vogliano operare una scelta consapevole.

Comunione o separazione dei beni?


Sulla comunione ne abbiamo detto di ogni. Vi agevoliamo i contributi essenziali a questi link 1, 2, 3, 4, 5, 6.

 

debiti dei coniugi in comunione dei beni

 


In cosa consiste la separazione dei beni?

 

E’ il regime patrimoniale che comporta la titolarità esclusiva degli acquisti e la completa autonomia di gestione da parte di ognuno dei coniugi.

Ciò che si compra con i propri soldi appartiene a sè stessi e si potrà essere liberi di disporne come si crede.

Anche i soldi, i risparmi, i proventi dell’attività lavorativa, i frutti di beni personali etc, rimarranno nella sfera esclusiva del titolare, senza dover essere spartiti in un qualche momento.


Con una precisione: in ogni caso, dovranno essere assolti gli obblighi nascenti dal matrimonio e genitoriali. Vale a dire che – seppur i beni che si abbia acquistato ed i soldi personali non ricadano nel dominio e gestione dell’altro consorte – dovranno, comunque, almeno in parte, essere impiegati per l’assistenza materiale del coniuge, per i bisogni della famiglia, per il mantenimento, educazione, istruzione dei figli.


Sapevate che, fino alla riforma del 1975, la separazione dei beni costituiva la regola, vale a dire il regime che la legge imponeva se i coniugi non avessero optato per altri diversi.

Poi la bomba atomica: a seguito dell’entrata in vigore della legge 151/1975, si è stravolto tale assetto. La comunione è diventata la norma, la separazione il regime sussidiario, che si assume solo se prescelto o a seguito di determinati accadimenti.

 

separazione dei beni

 

Come si adotta il regime di separazione dei beni?

 

La scelta del regime di separazione può, innanzitutto, essere dichiarata nell’atto di celebrazione del matrimonio. Avete presente quando il prete, terminata la messa, oppure il sindaco alla fine della cerimonia, porta i neo sposini a firmare delle carte in un apposito tavolino, appositamente apparecchiato? Ecco, solitamente è quello il momento in cui i nubendi comunicano quale regime patrimoniale prescelgano.


In difetto, si potrà adottare la separazione tanto prima che dopo il matrimonio- in ogni tempo, art 162 cc, tramite apposita convenzione.


Anche quando sia stata, inizialmente, instaurata la comunione dei beni.


La convenzione dovrà essere consacrata in un atto pubblico alla presenza di due testimoni, sotto pena di nullità, e per essere opponibile a terzi dovrà essere annotata a margine dell’atto di matrimonio.


Sembrerà ridondante sottolinearlo, ma per compiere la modifica del regime patrimoniale della comunione ed adottare la separazione dei beni, dovranno essere d’accordo entrambi i coniugi, continuando a sussistere, in difetto, la comunione previgente.


La legge, infatti, stabilisce che le modifiche delle convenzioni matrimoniali, anteriori o successive al matrimonio, non hanno effetto se l’atto pubblico non è stipulato col consenso di tutte le persone che sono state parti nelle convenzioni medesime, o dei loro eredi. art 164 cc.

 

Instaurazione della separazione dei beni per cause previste dalla legge.

 


Il regime patrimoniale che stiamo commentando si realizza anche prescindendo da eventuali convenzioni stipulate dai coniugi, col semplice ricorrere di alcune circostanze previste dalla legge.


In particolare, il previgente regime di comunione legale si scioglie nel caso di separazione personale, a partire dal momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purchè omologato.


La separazione dei beni si instaura anche a seguito di un procedimento di separazione giudiziale dei beni, art. 193 cc, vale a dire in caso di interdizione o di inabilitazione di uno dei coniugi o di cattiva amministrazione della comunione.

Può altresì essere pronunziata quando il disordine degli affari di uno dei coniugi o la condotta da questi tenuta nell’amministrazione dei beni metta in pericolo gli interessi dell’altro o della comunione o della famiglia, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro.
La separazione può essere chiesta da uno dei coniugi o dal suo legale rappresentante.


Altre cause dell’instaurarsi della separazione dei beni sono la dichiarazione di assenza o di morte presunta di un coniuge, o il suo fallimento.

 

amministrazione beni in separazione
Acquisti dei coniugi in separazione dei beni

 

Titolarità degli acquisti in separazione dei beni.

 

Con la separazione dei beni i coniugi convengono che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio. art 215 cc.


Il bene che ho comprato con i miei soldini resta mio e solo mio e lo stesso vale per te, cara/o consorte.

Come fare per dimostrarlo?

Beh per gli immobili è abbastanza semplice. Per i beni mobili – un divano, il televisore, la credenza …- faranno fede gli scontrini, le fatture, le pezze giustificative.


Il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell’altro la proprietà esclusiva di un bene.


E quando non è possibile dimostrarlo?

Chi conserva tutti gli scontrini?(c’è chi lo fa, ve lo assicuro).


Per questa evenienza vi è un’apposita disposizione di legge.

I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi. art. 219 cc.


Vi è una sorta di inversione dell’onere della prova. Normalmente, se mi dichiaro proprietario di un bene, debbo dimostrarlo. Qui è il contrario: si presume che ne sia (con) titolare, salva diversa prova.


Questo vale senz’altro nei rapporti fra i coniugi. Ma fra i terzi? Voglio dire, mettiamo che un creditore del marito voglia aggredire un bene mobile esistente presso la sua abitazione, potrà soddisfarsi sull’intero o solo sulla sua quota, in forza della presunzione che abbiamo richiamato?


La Cassazione, con sparute sentenze, è rigida nell’escludere la possibilità di estendere gli effetti della presunzione in parola anche ai rapporti di ciascun coniuge con i terzi, che pertanto potranno beneficiare dell’intera quota del bene pignorato.


La giurisprudenza di merito è più aperta, estendendo la portata della presunzione di comproprietà anche nei confronti dei terzi; di conseguenza l’azione esecutiva avente ad oggetto i beni mobili esistenti nella casa coniugale resta circoscritta alla quota ideale (50%) di proprietà del coniuge esecutato, con conseguente illegittimità del pignoramento limitatamente a quella parte dei beni che eccedono detta quota.

 

Conto corrente e comunione dei beni

 

Gestione dei beni in separazione


La legge dispone che ciascun coniuge abbia il godimento e l’amministrazione dei beni di cui sia titolare esclusivo. (art 217 cc)


Significa che il coniuge che, ad esempio, sia proprietario di una casa, potrà disporre di essa come crede, affittandola, concedendola in comodato, vendendola al prezzo che ritiene.


L’altro coniuge non avrà ingerenza, fatto salvo il caso in cui gli sia stato attribuito specifico mandato dal consorte titolare ad amministrare alcuni beni: in tal caso dovrà rendere conto del suo operato, dei frutti che avrà conseguito, (se previsto nella procura) ,essendo responsabile della sua gestione.


Se un coniuge amministri i beni dell’altro senza il suo consenso, o nonostante la sua opposizione, sarà tenuto al risarcimento dei danni ed al ristoro della mancata percezione dei frutti che si sarebbero potuti conseguire.

 

 

 

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I debiti dei coniugi in comunione dei beni.

 

 

Chi risponde dei debiti dei coniugi in comunione dei beni?

 

 

 

Alcune persone usano metà della loro ingegnosità per mettersi nei debiti, e l’altra metà per evitare di pagarli.”
GEORGE DENNISON PRENTICE

 

 

 

Gioco del “chi buttiamo giù dalla torre”.


Rispondere in 3 secondi alle seguenti domande:


Giorno o notte?
Auto o moto?
Juve o Inter? (Inter!)
Comunione dei beni o separazione dei beni?


Alt, per questa domanda – obbligatoria per ogni nubendo (anche se molti se la pongono solamente il giorno prima delle nozze) – ci vuole un po’ di tempo e conoscere l’Abc delle conseguenze che la scelta del regime patrimoniale comporterà sulle sostanze della famiglia e del singolo coniuge.


Non ci soffermiamo ancora una volta su quali beni entrino in comunione e quali no. (chi ha pazienza e voglia legga questi articoli precedenti 1  2  3  4 ).


Oggi partiamo dal presupposto di una scelta già fatta – quella della comunione dei beni – e ci concentriamo su quali effetti possano determinare eventuali esposizioni debitorie dei coniugi che vi abbiano optato.


Una prima macro distinzione:

di chi sono i debiti? Della comunione o del singolo coniuge? 


a) Creditori della comunione legale.


Sono titolari di diritti di obbligazione gravanti sui beni della comunione. Il nostro codice ne dà un elenco tassativo (art. 186 cc).


Più precisamente, il loro credito deriva da:


– pesi ed oneri gravanti sui beni della comunione al momento dell’acquisto (es ipoteche, pegni etc..);

– tutti i carichi dell’amministrazione dei beni comuni (ad es. manutenzione ordinaria e straordinaria);

– spese per il mantenimento della famiglia e per l’istruzione e l’educazione dei figli e di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente nell’interesse della famiglia;

– ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi.

Come si potrà notare, l’elenco è basato su due criteri di massima, uno funzionale – l’interesse comune della famiglia – l’altro soggettivo – l’assunzione congiunta della spesa da parte dei coniugi – a prescindere dal motivo per cui l’obbligazione sia stata contratta.

Per tali spese i coniugi i coniugi saranno tenuti a rispondere innanzitutto con i beni della comunione stessa.

 

debiti dei coniugi in comunione dei beni
debiti dei coniugi in comunione dei beni: chi paga e con cosa?

 

 

Qualora questi dovessero rivelarsi insufficienti, dei debiti della comunione risponderanno i singoli coniugi col proprio patrimonio personale, nel limite della metà di quanto complessivamente dovuto (190 cc).

In buona sostanza, al creditore dei coniugi che abbiano contratto il debito della tipologia indicata nell’elenco che abbiamo sopra riportato, sarà data soddisfazione con l’intero patrimonio della comunione e, se non bastasse, con quello di ogni singolo coniuge, in questo caso nei limiti della metà del credito.

Una precisazione:se il debito fosse contratto da un solo coniuge, nell’interesse della famiglia, la limitazione della responsabilità alla metà del credito varrà solo per l’altro coniuge, mentre colui che abbia assunto l’obbligazione risponderà per tutto l’importo dovuto (una volta appurata la non sufficienza del patrimonio comune).

Al contrario, se l’obbligazione fosse stata assunta congiuntamente dai coniugi, ciascuno di essi ne risponderà per l’intero, una volta escussi i beni della comunione, secondo il principio generale a mente del quale i condebitori sono tenuti in solido ( e per l’intero), se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente.


b) creditori particolari del singolo coniuge.


In relazione ai debiti contratti per le obbligazioni personali del singolo consorte per motivi estranei all’interesse familiare, è agevole dedurre che costui risponda, innanzitutto, col proprio patrimonio.

Qualora questo non bastasse, ai creditori sarà offerta, in via sussidiaria, la possibilità di attingere il patrimonio comune, nei limiti della metà, ossia la quota di spettanza del debitore.

Di quali debiti si può trattare?

Ad esempio quelli relativi all’attività professionale del coniuge, oppure quelli contratti per una propria esigenza personale, o per l’amministrazione di beni che solo a lui appartengano ed ancora per far fronte a obblighi risarcitori (ad esempio un sinistro) pendenti solamente nei suoi confronti.

 

 

Modifica assegno di separazione o divorzio Gli importi già percepiti non vanno restituiti

 


Attenzione, un’interessante precisazione.


Il nostro codice impone che l’amministrazione dei beni della comunione spetti disgiuntamente ad entrambi i coniugi se si tratti di ordinaria amministrazione, mentre congiuntamente ad entrambi i coniugi se si tratti di straordinaria amministrazione.

L’atto di straordinaria amministrazione compiuto da un solo coniuge senza il consenso dell’altro può essere da questi annullato.

Ebbene, per le obbligazioni contratte per finalità di straordinaria amministrazione da un solo coniuge senza il necessario consenso dell’altro è riconosciuta la possibilità ai creditori di aggredire, in primis, l’intero patrimonio del coniuge che abbia assunto l’obbligazione, mentre i beni della comunione saranno sottoposti, in via sussidiaria, al soddisfacimento del creditore nei limiti della metà, ossia della quota del coniuge debitore (art. 189 cc).

Volete una chicca?


Il nostro codice civile, nella materia di cui oggi ci occupiamo, contempla una lampante contraddizione tra norme, allorquando dapprima stabilisce che i beni della comunione, non rispondano delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima del matrimonio (art 187 cc), mentre all’art. 189 cc è stabilito che “i creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”.

Opinioni per risolvere il dilemma?

Graditissime.

 

 

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debiti dei coniugi in comunione dei beni

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E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità?

 

 

E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità?

 

 

“Ho ereditato un milione da mia nonna ma me lo voglio tenere per ricordo!”
MACARIO

 

 

Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere” (art. 9, L 898/1970)


Non ricordo il numero di articoli (1, 2, 3,…) con i quali ci siamo soffermati su questa disposizione della legge sul divorzio.

 


Facciamo una statistica? Quali sono le domande più ricorrenti che i clienti rivolgono all’avvocato in sede di revisione delle condizioni divorzili?

 


I dati precisi precisi non li abbiamo, ma possiamo senz’altro inserire sul podio: “E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità?”.


Certo, lo scettro del vincitore lo contendono anche domande del tipo “e se uno dei due ex perde il lavoro?” “ e se lei/lui si risposasse?” “e se dovesse avere figli da un’altra relazione?”.


E’ un dato di fatto, comunque, sempre per citare la statistica, che spesso l’evento “divorzio” frequentemente avviene in un periodo della vita in cui i coniugi sono abbastanza maturi, ma non di età avanzatissima, tanto da avere ancora i genitori in vita, per cui al trauma dello scioglimento del matrimonio si potrebbe accompagnare, di lì a poco, quello della perdita di un ascendente, con conseguente passaggio ereditario.


Ebbene, riteniamo che la risposta alla domanda che ci siamo posti oggi potrebbe essere interessante da un duplice punto di vista, a seconda che il fenomeno successorio coinvolga (l’ex) coniuge beneficiario dell’assegno divorzile, o quello che ne sia onerato.

 

figli casa di riposo

 

 


A) l’ex coniuge beneficiario del mantenimento riceve un’eredità.

 


Partiamo dal presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile: il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.


Conseguentemente, se il coniuge a cui sia stato riconosciuto l’assegno, grazie ai proventi di un’eredità favorevole, conseguisse “mezzi adeguati”, ossia idonei a renderlo autonomamente capace, senza necessità di integrazioni ad opera dell’obbligato, senza dubbio potrebbe perdere il contributo riconosciutogli in sede divorzile.


Qualora il lascito che abbia conseguito non sia così ingente, tale da poter campare per il resto della vita, potrebbe comunque legittimare una riduzione dell’onere cui sia tenuto l’ex consorte.


Secondo la giurisprudenza, anche recentissima ( Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 05/06/2020, n. 10647) l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, è presupposto fattuale (dei “giustificati motivi”) necessario per procedere al giudizio di revisione dell’assegno e potrebbe certamente risiedere nel conseguimento di congrui attivi ereditari.

 

 

cila in sanatoria
E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità

 

B) l’ex coniuge onerato del mantenimento riceve un’eredità.

 


Eh certo, il fenomeno successorio, al netto dei patimenti conseguenti al lutto, potrebbe riverberarsi positivamente sulle condizioni economiche del coniuge tenuto a versare l’assegno divorzile.


Quindi? Deve essere aumentata la contribuzione?


pian coe bombe” si dice qui in Veneto.


L’accertamento del diritto all’assegno di divorzio va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi (o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), raffrontati alle condizioni personali che potevano legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio.


Nella individuazione di tali aspettative, deve tenersi conto unicamente delle prospettive di miglioramenti economici maturate nel corso del matrimonio che trovino radice nell’attività all’epoca svolta e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale dell’onerato, e cioè solo di quegli incrementi delle condizioni patrimoniali dell’ex coniuge che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio.


E’ escluso, pertanto, che all’ex coniuge che già abbia mezzi adeguati – vuoi autonomamente, vuoi grazie al contributo riconosciutogli attraverso l’assegno divorzile – possa aspettare un’automatica revisione in melius delle condizioni di scioglimento del vincolo.

 

 

 

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Il diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti.

Diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti: sono i medesimi di quelli “biologici”?

 


Quando tutti hanno detto di no, tu chiedilo ai nonni.
Anonimo

 

 

Quante frasi belle si riescono a trovare riguardo ai nonni.


Il motivo risiede nel fatto che il loro rapporto con i nipoti è rivestito di connotati particolari: i nonni potrebbero educare – oh se ne hanno di cose da insegnare sulla vita – ma cedono gran parte di questa prerogativa ai genitori, mantenendo per loro la parte più bella, ossia il legame puro, nudo, spogliato di oneri, di compiti istituzionali.

Si godono i nipoti e basta.

Sia chiaro. Non è sempre così.

Oggi giorno ai nonni è attribuito un ruolo di autentico soggetto attivo nel welfare: se non ci fossero, chi potrebbe attendere i nipoti quando i genitori lavorano? Chi subentrerebbe nelle quotidiane emergenze di collocamento dei ragazzi, chi li andrebbe a prendere a scuola,chi li accompagnerebbe alle attività, chi farebbe fare loro i compiti?


Tutto bello? Tutto buono? Tutto magnifico?

Purtroppo no.


Spesso le cose non vanno come dovrebbero/potrebbero e nascono incomprensioni.

No, non tra nonni e nipoti. Tra genitori e (loro) genitori.

Vuoi per difficoltà nei loro rapporti. Vuoi perchè, con la crisi familiare tra i genitori spesso i rapporti con gli ascendenti (chiamiamo i nonni così) potrebbero avere serie conseguenze.

Quel senso di mal celata insofferenza tra suocera e nuora, (per esempio!) potrebbe esplodere in autentica contrapposizione all’esito del rapporto coniugale/sentimentale.

Il fuoco, covato sotto la cenere, potrebbe esplodere per dar luogo a reciproco ostracismo, coinvolgendo anche i minori, incolpevoli ed ancor più disorientati dai repentini cambiamenti familiari.

Ne avevamo già parlato, circa circa la prerogativa, attribuita ai nonni, di frequentare i nipoti (link) .


Il nostro legislatore ha una norma ad hoc, volta a consacrare il diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.


Il nonno cui sia impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinchè siano adottati i provvedimenti più idonei.

Come sottolineato più volte, il provvedimento di tutela verrà emesso “nell’esclusivo interesse del minore”.

Vale a dire: il diritto alla frequenza nonni/nipoti è espressamente riconosciuto quale interesse strumentale alla piena realizzazione della personalità del nipote, poiché facendo valere questo diritto, i nonni, fanno valere il diritto dei nipoti, che in tal modo risulta più fortemente tutelato.

I nonni esercitano un loro diritto, nell’interesse dei nipoti.

πάντα ῥεῖ, Panta rei. Tutto scorre. Le cose cambiano.

 

 nonni acquisiti nipoti

 

Anche per i nonni, che possono tutto d’un tratto restare da soli, perchè si separano o divengono vedovi.

E se decidessero di rifarsi una vita, con un nuovo compagno/a?

Buon per loro.

Talvolta, tale scelta è così felice da generare autentiche primizie nel rapporto tra il nonno “acquisito” ed i nipoti.

Eh però…. le cose possono compromettersi (purtroppo statisticamente più facilmente) anche tra nuovi compagni dei genitori e i figli.

In tal caso ci si deve chiedere se la tutela approntata dalla legge per i nonni biologici rimanga valida anche per quelli acquisiti.

Diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti: ci danno risposta, come sempre, i giudici della Cassazione, i quali, con una recentissima pronuncia (n 9144/2020), hanno sciolto positivamente il quesito che siamo posti.


Gli ermellini, dapprima, hanno sottolineato come le principali carte dei diritti della persona e del fanciullo siano unanimi nello sancire la fondamentale rilevanza del rispetto della vita privata e familiare della persona (art. 8 Convenzione Europea Diritti dell’Uomo) e la prevalenza, in tutti gli atti relativi ai bambini, dell’interesse superiore del fanciullo (art. 24 Carta di Nizza ).

 

Diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti


Senza dimenticare che la nostra Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

Tra queste “formazioni sociali” un ruolo fondamentale ricopre la famiglia, sia essa fondata sul matrimonio oppure no.

 

Ebbene, alla luce di questi principi, il diritto dei nonni di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, riconosciuto dalla legge, cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, non va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di parentela “sanguineo”, ma anche ad ogni altra persona che affianchi il “nonno biologico” del minore, sia esso il coniuge o convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore stesso una relazione affettiva stabile, dalla quale il “nipote acquisito” possa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psico-fisico.

 

 

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diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti

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Eredità in favore di minorenni: come procedere?


Cautele ed autorizzazioni per accettare l’eredità in favore di minorenni.

 

 

Accettare un’eredità non è come bere un bicchiere d’acqua.

Può comportare significative conseguenze sulle condizioni del soggetto in favore del quale sia stata devoluta.

Pensiamo all’ipotesi in cui – a seguito della successione – oltre alle attività, vengano trasferite considerevoli passività, in grado di rendere sbilanciato ed oltre modo gravoso il conseguimento del lascito.

Una persona maggiorenne e vaccinata è in grado non solo di assumere le proprie determinazioni in ordine alla possibilità o meno di accettare un’eredità, ma anche di farsi carico delle conseguenze e responsabilità di una successione più o meno gravosa.

Le persone deboli, tra cui i minorenni, ma anche agli incapaci, no. Per essi deve decidere qualcun altro e deve farlo con scrupolo e cautela, per non far pesare sulle spalle di un innocente le conseguenze di una scelta poco ponderata.

Come procedere, quindi, in caso di eredità in favore di minorenni?


Innanzitutto – non è scontato dirlo – è necessario che i genitori siano d’accordo sul fatto di accettare o meno il lascito.


La legge, infatti, stabilisce che per alcuni atti – quelli di ordinaria amministrazione – i genitori possano agire disgiuntamente, senza che sia necessaria – per la validità dell’atto – il consenso di entrambi.


Le decisioni più importanti – quelle cioè che possono comportare significative conseguenze per il bene dei figli – è necessario che vengano assunte congiuntamente.


In caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei (art 316 cc ).

Il giudice, “sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio”.

 

eredità figlio minorenne

 


Bene.  La legge, per alcune determinazioni da parte dei genitori, non solo richiede il consenso di entrambi, ma anche l’autorizzazione del giudice, che vagli e statuisca la congruità e la conformità all’interesse del minore della scelta assunta dagli ascendenti.


Gli atti compiuti in difetto di tale autorizzazione saranno annullabili, senza che possano essere sanati da provvedimento successivo.


Parliamo degli atti di straordinaria amministrazione avente contenuto patrimoniale, come la vendita dei beni dei figli, oppure la locazione dei loro beni immobili per un tempo considerevole, o la riscossione di capitali: l’art. 320 cc ce ne dà un dettagliato elenco.


Tra questi atti per cui è necessaria la preventiva autorizzazione del Giudice Tutelare vi è l‘accettazione di eredità in favore di minorenni.

Ci siamo?

 

Passaggio primo: i genitori dovranno effettuare un ricorso al giudice tutelare per farsi autorizzare ad accettare l’eredità per conto dei figli, di cui hanno la rappresentanza, esponendo le ragioni per cui il lascito possa considerarsi vantaggioso per la prole.


Per inciso, è opportuno rilevare che tale modalità dovrà essere seguita anche nel caso in cui i genitori considerino opportuno rinunciare all’eredità: sarà sempre necessario adire il tribunale ed ottenere l’autorizzazione alla rinuncia.


Ovviamente, sappiamo bene che un’eredità così accettata potrebbe comunque comportare brutte sorprese: debiti non dichiarati, non conosciuti, sopravvenuti, che espongano l’erede minorenne a conseguenze nefaste e compromettenti.


Di conseguenza la legge chiede un’ altra attività obbligatoria in caso di eredità in favore di minorenni.

 

accettazione eredità figli minorenni
eredità in favore di figli minorenni: autorizzazione del giudice e beneficio di inventario

 

 


Secondo passaggio: accettazione di eredità con beneficio di inventario.


Ci siamo soffermati più volte (link 1 e 2) su quest’argomento: per evitare le conseguenze di una damnosa hereditas, in cui il patrimonio (attivo e passivo) del defunto si confonde con quello dell’erede, esponendolo anche a debiti più grandi di quanto conseguito, la legge disciplina il rimedio dell’accettazione beneficiata.


Si tratta di istituto obbligatorio nel caso in cui chiamati all’eredità fossero minorenni, incapaci (interdetti, inabilitati) o persone giuridiche e associazioni -proprio per evitare il pericolo di eredità dannose – ma estensibile a quanti volessero tutelarsi da tale rischio.

Il risultato di tale procedura è che l’erede non sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni pervenuti.

 

Come procedere?

In due modi.

– Facendo eseguire, da un cancelliere del Tribunale o da un notaio, l’inventario di tutti i beni del defunto, in cui verranno indicate attività e passività.
Redatto l’inventario, si avranno 40 giorni di tempo per deliberare se accettare o rinunciare all’eredità. Trascorso questo termine senza aver deliberato, si perderà il diritto di accettare l’eredità.

– Altrimenti, si potrà manifestare fin da subito l’accettazione con beneficio di inventario, per poi eseguire l’inventario stesso entro il termine di tre mesi, pena la decadenza del beneficio.

 

è possibile obbligare un padre a vedere un figlio


E se i genitori, autorizzati ad accettare l’eredità in favore di minorenni, tardassero a compiere le attività precedenti?

 

L’ipotesi, proprio perchè tutt’altro che infrequente, ha spinto la legge ad attribuire un’ulteriore tutela in favore dei minorenni e degli incapaci.


Questi non saranno decaduti dal beneficio d’inventario se non al compimento di un anno dalla maggiore età o dal cessare dello stato di incapacità (art 489 cc).


Entro tale termine, quindi, una volta entrati in possesso della libera autodeterminazione e capacità di agire, potranno compiere l’atto riconosciuto dalla legge per proteggersi da eredità dannose.

Attenzione. Attenzione.

La legge non attribuisce al minore, il cui genitore non abbia rinunciato all’eredità, il diritto di rinunciarvi al compimento della maggiore età, ma soltanto la facoltà di redigere l’ inventario nel termine di un anno dal suo compimento, così da renderlo esente dalle conseguenze di un’eredità eccessivamente onerosa.


Lo ha specificato una recente Sentenza della Cassazione, in cui si è considerato il caso di un’eredità accettata con beneficio da parte dei genitori senza, tuttavia, che fossero state eseguite le formalità successive; nello specifico l’esecuzione dell’inventario.


Divenuta maggiorenne la figliola, questa veniva citata in giudizio da una banca che – è proprio il caso di dirlo – batteva cassa per riscuotere crediti vantati nei confronti del defunto.


La ragazza eccepiva di voler rinunciare all’eredità, sostenendo di poter beneficiare del termine annuale decorrente dal compimento della maggiore età, asseritamente concesso dalla legge.

La Suprema Corte ha rilevato che, in assenza di accettazione dell’eredità, il minore rimane nella posizione di chiamato alla eredità e, nel termine di prescrizione decennale, il suo rappresentante legale potrà accettare l’eredità con il beneficio d’inventario, mentre, lo stesso minore, una volta divenuto maggiorenne, potrà accettare senza il detto beneficio ovvero rinunciare alla eredità.

Qualora il genitore opti per l’accettazione dopo essere stato autorizzato dal Giudice Tutelare, ne deriva l’acquisto da parte del minore della qualità di erede.

Se – accettata l’eredità –  non fosse compiuto l’inventario, necessario per poter fruire della limitazione della responsabilità,  si porrebbe per il minore una particolare ulteriore tutela: l’inapplicabilità della decadenza dal beneficio di inventario fino al compimento dell’anno dalla maggiore età.

Se anche entro tale termine non si provveda, l’accettante – divenuto maggiorenne – sarà considerato erede puro e semplice, senza possibilità di rinuncia.


Citando un brocardo latino “semel heres, semper heres”.


Una volta che si sia divenuti eredi, lo si rimarrà per sempre, non essendo consentita la rinuncia successiva all’accettazione.

 

 

 

 

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E’ possibile obbligare un padre a vedere il figlio?

E’ possibile obbligare il padre a vedere il figlio?

 

Malgrado le disposizioni sull’affidamento del figlio, il padre non vuole frequentarlo. E’ possibile obbligarlo?

 


Colui che genera un figlio non è ancora un padre, un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno.
(Fëdor Dostoevskij)

 

 

Per cementare i legami profondi bisogna volerlo. Bisogna sentirlo. Non si possono imporre. Nemmeno forzare.


Ma i legami di sangue? Padre e figlio. Madre e figlio. E’ possibile pretendere che vengano coltivati, se non per i genitori, nell’interesse dei figli stessi?


E’ il quesito cui ha dato risposta la Corte di Cassazione.


Un uomo, dopo una causa giudiziaria che aveva accertato la sua paternità naturale del figlio minore, veniva citato in tribunale dall’ex compagna perchè non ottemperava alle condizioni di affidamento stabilite per il minore, rifiutandosi di fargli visita.


Il giudizio si concludeva con un provvedimento di condanna del padre a versare la somma di 100 euro per ogni futuro inadempimento del proprio obbligo genitoriale.


La questione era incentrata sull’applicazione o meno di una norma di legge – l’art. 614 bis cpc – che consente al giudice, su richiesta di parte, di fissare una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza da parte di un obbligato a prestazioni diverse dal pagamento di somme di denaro (ad esempio, un obbligo di fare o non fare).


In buona sostanza, se il giudice ammette tale possibilità, riconosce che il dovere di visita sia coercibile, possa cioè essere oggetto di imposizione ad un genitore che non voglia vedere il proprio figlio.


Chiariamoci.


Se un padre si disinteressa del figlio assume una condotta giuridicamente rilevante.


Potrebbe legittimare una pronuncia di ammonizione del genitore inadempiente, oppure una condanna al risarcimento dei danni, nei confronti del minore o dell’altro genitore, il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, financo la revisione delle condizioni di affidamento.


Si tratta, tuttavia, di provvedimenti consequenziali, successivi ad inadempimenti da parte del genitore, non già preventivi.

In buona sostanza si prendono in considerazione danni già integrati dalla condotta di un genitore, non già che si devono ancora verificare. Sono circoscritti al passato ed al presente, non al futuro.

 

 

E’ possibile obbligare un padre a vedere il figlio?


E’ possibile obbligare il padre a vedere il figlio?


La Suprema Corte ha osservato che l’ambito della materia familiare è del tutto particolare rispetto a quello tradizionale delle obbligazioni, ove chi non adempie può essere obbligato a farlo, direttamente – con esecuzione in forma specifica – o indirettamente – con mezzi di incentivo e sanzione per la violazione.


Non solo.


Il rapporto genitore / figlio è foriero di diritti e doveri.


Diritti: il diritto di un figlio a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori e di essere da questi mantenuto, educato, istruito..

.
Il diritto del genitore a frequentare il figlio, senza interferenze od ostacoli da parte dell’altro che, se verificatisi, possono essere sanzionati con i provvedimenti che abbiamo verificato.


Doveri. Ad un diritto si accompagna un dovere.


Attenzione. Il dovere di visitare e frequentare il figlio non è conculcabile, non è coercibile, non può essere imposto con la forza, ma è espressione della libera determinazione del genitore che vi è tenuto.


Ragionare al contrario sarebbe svilire tale rapporto e contrario all’interesse stesso del figlio: come potrebbe essere efficace, positivo – per il figlio e per il genitore – un rapporto nato dall’obbligo, perchè si deve, perchè altrimenti si pagano le conseguenze?

 


Stabilire preventivamente multe per il padre che non vuole vedere il figlio ogni infrazione commessa?


Sarebbe – ad avviso degli ermellini – “in evidente contrasto con l’interesse del minore, il quale viene a subire in tal modo una monetizzazione preventiva e una conseguente grave banalizzazione di un dovere essenziale del genitore nei suoi confronti, come quello della frequentazione”..


Senza sorvolare sul fatto – ma qui parliamo forse troppo in giuridichese – che un provvedimento come quello di cui all’art. 614 bis cpc consente al giudice di imporre le sanzioni per inadempimenti futuri relativamente a “provvedimenti di condanna”.
Ci mancherebbe che si possa configurare come “condanna” la visita che un genitore debba/voglia/possa riservare al figlio.

 

 

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“è possibile obbligare il padre a vedere il figlio”

Guida agli aspetti legali della crisi nel matrimonio e nella coppia

Avvocato separazione Vicenza

Questo contributo non è un manuale di diritto.

Di quelli ce ne sono parecchi, alcuni preziosissimi, forse troppo elaborati e tecnici per chi, come te, si trova coinvolto nel marasma di un matrimonio in difficoltà e vuole conoscere alcune informazioni base sui passi da intraprendere, sui percorsi da esplorare, sui propri diritti e i propri doveri, verso il coniuge, verso i figli.

Ho frequentato il liceo classico da giovane. A chi, come molti, mi chiede a cosa sia servito studiare lingue “morte”, storia di culture passate e remote, materie non immediatamente spendibili per un lavoro, io rispondo che ho imparato a voler conoscere, ad andare alla ricerca di risposte, a desiderare di informarmi sempre di più, a scoprire chi sono, dove mi trovo e dove voglio andare.

Bene, sono convinto che da qualche nozione fondamentale si possa ottenere una prima risposta ai quesiti che passano per la testa durante la crisi matrimoniale.

A te, che cerchi una strada, sta il compito di approfondirle o di farti accompagnare.

Avv. Paolo Giovanni Berto

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La crisi nel matrimonio e nella coppia

Guida semplice agli aspetti legali da conoscere per affrontarla

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