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Guida agli aspetti legali della crisi nel matrimonio e nella coppia

Avvocato separazione Vicenza

Questo contributo non è un manuale di diritto.

Di quelli ce ne sono parecchi, alcuni preziosissimi, forse troppo elaborati e tecnici per chi, come te, si trova coinvolto nel marasma di un matrimonio in difficoltà e vuole conoscere alcune informazioni base sui passi da intraprendere, sui percorsi da esplorare, sui propri diritti e i propri doveri, verso il coniuge, verso i figli.

Ho frequentato il liceo classico da giovane. A chi, come molti, mi chiede a cosa sia servito studiare lingue “morte”, storia di culture passate e remote, materie non immediatamente spendibili per un lavoro, io rispondo che ho imparato a voler conoscere, ad andare alla ricerca di risposte, a desiderare di informarmi sempre di più, a scoprire chi sono, dove mi trovo e dove voglio andare.

Bene, sono convinto che da qualche nozione fondamentale si possa ottenere una prima risposta ai quesiti che passano per la testa durante la crisi matrimoniale.

A te, che cerchi una strada, sta il compito di approfondirle o di farti accompagnare.

Avv. Paolo Giovanni Berto

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La crisi nel matrimonio e nella coppia

Guida semplice agli aspetti legali da conoscere per affrontarla

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Mentire al partner dicendo di essere divorziato è reato di sostituzione di persona

 

Le conseguenze della condotta consistente nel mentire al partner dicendo di essere divorziato.

 


I mariti sono ottimi amanti, soprattutto quando tradiscono le mogli.
Marilyn Monroe

 

 

Partiamo da una premessa: non condividiamo assolutamente il paradigma della meravigliosa Marilyn, ma…


… ma effettivamente un quid pluris rispetto alla media lo doveva pur avere il malcapitato protagonista del caso giudiziario che oggi ci occupa.


Non parliamo di promesse da marinaio, del tipo “vedrai, mollerò mia moglie e poi ci sposeremo”.

No.


Ci riferiamo a dichiarazioni con cui si rassicura il nuovo amante, chiamiamolo partner per bon ton, sul fatto di essere divorziati, di non aver più niente a che fare con la (ex) moglie, che, anzi, si sarebbe proceduto quanto prima a chiedere addirittura la nullità del matrimonio innanzi alla Sacra Rota.


Mettiamoci, pure, che nel frattempo l’asserente (ex) marito abbia avuto anche un figlio dalla nuova compagna e che le abbia promesso nozze a breve termine, legittimando l’inizio dei relativi preparativi.

 

 

Purtroppo, a fronte dell’esitare del compagno, la donna ed i familiari scoprivano, a seguito di accurate indagini, che non solo questi abbia mentito sul fatto di essere divorziato, ma anche che non era nemmeno separato e che, ciliegina, addirittura aspettava un figlio dalla moglie.


Apriti cielo.


Della questione è stata prontamente investita la magistratura che, di primo acchito, procedeva per il reato di tentata bigamia. (art. 556 cp, da uno a cinque anni di reclusione, mica bruscolini )


Instauratosi il processo penale, si addiveniva ad una sentenza di condanna. Non già per il reato contestato, quanto per quello di sostituzione di persona, previsto e punito dall’art. 494 cp  


Decisione appellata e poi oggetto della pronuncia della Corte di Cassazione.


Cosa hanno stabilito gli ermellini?


In primis, rispetto alla doglianza dell’imputato di essere stato tratto a giudizio per un reato e di essere stato condannato per un altro, la Suprema Corte ha sottolineato che i fatti attribuiti al prevenuto siano i medesimi, ma che sia semplicemente e legittimamente stata modificata la qualificazione giuridica, senza ampliarne la portata.


Nel merito è stata confermata pienamente la ricorrenza del reato di sostituzione di persona in luogo di quello di tentata bigamia.

 

mentire al partner dicendo di essere divorziato: è reato di sostituzione di persona


Quest’ultima sarebbe stata configurabile se l’asserito ex marito avesse avuto serie intenzioni di convolare a nuove nozze mentre era ancora legato da vincolo coniugale. Circostanza giammai rientrata nell’orbita della volontà dell’imputato.


In realtà il signore aveva inteso illudere la nuova compagna, millantando una libera condizione in cui non si trovava ed addirittura partecipando a corsi prematrimoniali e preparativi per le nozze alle quali aveva manifestato il proprio pieno consenso, concordandone la data.


Ebbene, l’art. 494 cp punisce la condotta di chi “al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona , o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici”.


Per la Corte di Cassazione “la condizione di uomo libero o sposato o divorziato o non più legato da un matrimonio religioso annullato dalla Sacra Rota rappresenta certamente uno status dell’individuo, a cui, fra l’altro, la legge attribuisce effetti giuridici (senza volere, con ciò, confondere i termini della norma, in quanto, ai fini di integrazione del reato, ha rilevanza l’attribuzione di un falso stato tout court mentre è soltanto in relazione alla falsa qualità che viene richiesto l’ulteriore requisito per cui deve trattarsi di una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici)”.


Maggiore attenzione rivestiva la questione attinente al “vantaggio” che la legge impone come scopo al soggetto che ponga in essere la sostituzione di persona, circostanza negata come sussistente dalla difesa dell’imputato.


La Corte ha disatteso tale contestazione: la nozione di vantaggio implica “un miglioramento che non necessariamente deve essere quantificabile in termini economici ma, in senso lato, deve corrispondere ad un mutamento esistenziale percepito come positivo dall’agente o ad un accrescimento delle opportunità… Non si vede per quale motivo possa essere escluso dalla nozione di vantaggio, in questi termini delineata, l’avere instaurato o comunque mantenuto, per un apprezzabile lasso di tempo, una relazione affettiva e di convivenza. ”, con lo scopo di continuare la relazione sentimentale con la nuova compagna.

 

La Sentenza: Corte di Cassazione Penale n. 34800/2016

 

 

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Mentire al partner dicendo di essere divorziato

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Litigare davanti ai figli può costituire reato?

Litigare davanti ai figli: la violenza assistita, se ripetuta ed idonea a ledere la stabilità emotiva della prole, può realizzare il reato di maltrattamenti in famiglia.

Ne stanno parlando pure Di Maio e Salvini, in questo periodo così tumultuoso per le sorti del nostro paese: gli effetti negativi delle crisi familiari debbono essere arginati, soprattutto a tutela dei figli, specie minori, tanto è che nel loro “contratto di governo” i due esponenti politici stanno “valutando l’introduzione di norme volte al contrasto del grave fenomeno dell’alienazione parentale”. 

In attesa di capire quali possano essere gli interventi legislativi promessi e, soprattutto, di appurarne la loro eventuale – ma auspicabile – efficacia, ci soffermiamo a riflettere su un altro fenomeno, purtroppo, assai diffuso: quello delle liti accese tra genitori cui sono testimoni inermi i figli.

Litigi davanti ai figli: è reato?

Arriva l’estate, la bella stagione. Col caldo si aprono le finestre, anche a notte inoltrata. Capita di sovente che la brezza della sera si accompagni al rumore di urla, insulti, pianti e frastuoni provenienti da abitazioni vicine, che prima non si udivano, perché col freddo ci si rinchiudeva in casa, ma ora non si riescono ad ignorare.

Il pensiero degli astanti correrà, allora, ai figli dei litiganti, spettatori inermi di un spettacolo a cui chiunque vorrebbe essere esentato ad assistere.

Può essere ammessa una condotta simile? E’ giuridicamente lecito mantenere comportamenti che potrebbero ledere la stabilità emotiva di bambini o adolescenti in età evolutiva, con gravi ripercussioni, appurabili anche in età adulta?

La risposta è, ovviamente, negativa, ma il percorso per arrivarci non è così agevole.

Non c’è, infatti, una norma che espressamente venga a punire – di per se stessa – la cd “violenza assistita”, che attualmente è una semplice circostanza aggravante di altri reati commessi in presenza o in danno di un minore di anni 18 (art. 61, n 11 quinquies cp). 

maltrattamenti in famiglia
Chiunque, maltratta una persona della famiglia … è punito con la reclusione da due a sei anni.

Maltrattamenti in famiglia

Un’interessante – quanto recentissima – Sentenza della Corte di Cassazione ha inserito la fattispecie nell’ambito del delitto di “maltrattamenti in famiglia” (Art. 572 cp)

Come accennato, l’approdo non è stato così scontato ed il motivo è presto detto.

Il reato di maltrattamenti riguarda colui che, appunto, maltratta una persona della famiglia.

I maltrattamenti sembrano presupporre una condotta attiva di atteggiamenti vessatori – fisici e/o psicologici – rivolti alla persona offesa. Ma se tali comportamenti non siano diretti verso i figli ma alla persona del coniuge e i minori si limitino ad essere spettatori passivi di tali condotte violente e offensive potrebbe sorgere qualche dubbio in ordine alla integrazione del reato nei confronti della prole.

La Cassazione non ha questi dubbi.

Il caso in esame riguardava due genitori, animati da un’accesissima ostilità e disaccordo, che – ben guardandosi dal simulare le loro liti ai figli minori – li costringevano “a presenziare alle reiterate manifestazioni di reciproca conflittualità realizzate nell’ambito del rapporto di convivenza (….) mediante ripetuti episodi di aggressività fisica e psicologica, con condotte vessatorie e continui litigi, minacce e danneggiamenti di suppellettili”.

Ebbene, non si trattava di verificare se tali comportamenti avrebbero potuto legittimare la configurazione del reato di maltrattamenti di un genitore nei confronti dell’altro – rispetto al quale ben si sarebbe potuta invocare l’aggravante della violenza assistita dai minori (per un reato, lo si ripete, avente come persona offesa il coniuge) – bensì si doveva vagliare se la fattispecie criminosa si sarebbe potuta richiamare nei confronti dei figli, nelle loro vesti di spettatori loro malgrado alle invettive di mamma e papà.

La Corte di Cassazione ha propeso per considerare integrato il reato di maltrattamenti nei confronti dei figli.

Maltrattattare è anche far assistere ai litigi

Litigare davanti ai figli
Litigare davanti ai figli può integrare il reato di maltrattamenti

Per gli ermellini “non è revocabile in dubbio che il delitto di maltrattamenti possa essere configurato anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano (solo) indirettamente quali involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri fra i genitori che si svolgano all’interno delle mura domestiche, cioè allorquando essi siano vittime di c.d. violenza assistita. La condotta di chi costringa minore, suo malgrado, a presenziare – quale mero testimone – alle manifestazioni di violenza, fisica o morale, è certamente suscettibile di realizzare un’offesa al bene tutelato dalla norma (la famiglia), potendo comportare gravi ripercussioni negative nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata”.

La Cassazione, ancora, rileva come costituisca “approdo ormai consolidato della scienza psicologica che anche bambini molto piccoli, persino i feti ancora nel grembo materno, siano in grado di percepire quanto avvenga nell’ambiente in cui si sviluppano e, dunque, di comprendere e di assorbire gli avvenimenti violenti che ivi si svolgano, in particolare le violenze subite dalla madre, con ferite psicologiche indelebili ed inevitabili riverberi negativi per lo sviluppo della loro personalità.”.

Da ultimo, e per precisione, va sottolineato come sia stato evidenziato dai Supremi Giudici come il reato di maltrattamenti imponga, per la sua realizzazione, non già un isolato od occasionale comportamento vessatorio, ma “una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo”.

La Sentenza: Cass., VI pen., sent. n. 18833/2018 

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Le migliorie del bene concesso in comodato alla coppia convivente non devono essere rimborsate

Una coppia decide di andare a convivere nell’appartamento di proprietà del padre di lei, concesso in comodato.
Il compagno, per rendere l’immobile più conforme alle loro esigenze e desideri, investe una cospicua somma di denaro per apportarvi le migliorie del caso.
Dopo qualche mese, a seguito di una crisi relazionale, l’uomo interrompe il rapporto e se ne va di casa. A quel punto vuole essere rimborsato per i soldi impiegati nelle opere di un appartamento non suo e, a fronte del diniego del mancato suocero, lo cita in giudizio.

Ebbene, la Cassazione (Sez. III, Sent. 30-06-2015, n. 13339) ha stabilito che nessuna somma debba essere restituita, in quanto il contratto di comodato – lo si ricorda, essenzialmente gratuito – impone il rimborso a favore del comodatario, ossia di colui il quale riceve in prestito il bene, delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, mentre sono escluse quelle impiegate per servirsene.

E’ stata esclusa, pertanto, la possibilità che possa spettare un qualche rimborso (neppure nella forma dell’indennità o dell’indennizzo) per esborsi che, ancorchè abbiano determinato un miglioramento, non siano risultati necessari per far fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione della cosa.

E’ stato, infatti, notato che “”il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante.

Ne consegue che, se un genitore concede un immobile in comodato per l’abitazione della costituenda famiglia, egli non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie nè urgenti, sostenute da uno dei coniugi comodatari durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell’abitazione coniugale”