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Se i genitori litigano possono perdere l’affidamento dei figli?

Se i genitori litigano possono perdere l’affidamento dei figli?

“Se il padre e la madre si litigano un uovo, il bambino non avrà mai una gallina.”
PROVERBIO AFRICANO

Ci siamo passati tutti e tutti ricordiamo le sensazioni spiacevoli provate nell’assistere a qualche litigio tra mamma e papà.

Le discussioni, tuttavia, fanno parte del matrimonio e di qualsiasi forma di convivenza.

San Girolamo affermava: chi vive senza discussioni è uno scapolo.

Oggi ci soffermiamo al caso in cui le discussioni, i litigi, vadano oltre la soglia delle normali dinamiche di vita familiare, ma sfocino in situazioni di aperto conflitto, con manifestazioni violente, tanto verbali financo fisiche.

Come si è avuto modo di accennare in un precedente articolo litigare davanti ai figli può costituire reato. In particolare, in casi di cd “violenza assistita”, nei quali i figli appunto assistono ad episodi ripetuti di aggressività fisica e psicologica, con condotte vessatorie e continui litigi, minacce e danneggiamenti tra genitori, la Corte di Cassazione ha statuito si ricorra nella fattispecie di maltrattamenti, severamente punita dall’art. 572 del codice penale, essendo pacifico che i maltrattamenti possano essere effettuati anche tramite un coinvolgimento indiretto, passivo, della prole alla conflittualità esacerbata dei genitori.

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Se i genitori litigano possono perdere l’affidamento dei figli?

L’asprezza dei rapporti tra genitori può, anche, avere significativi riflessi nell’ambito dell’affidamento dei figli.

Di regola, la giurisprudenza ritiene che la conflittualità esistente tra due coniugi non precluda il ricorso al regime preferenziale dell’affidamento condiviso, che risulta il più idoneo a riequilibrare il rispettivo ruolo genitoriale nell’interesse della prole.

Ciò, purchè si rimanga nei limiti di una dialettica che non intacchi la serenità e la possibilità di sviluppo psicofisico equilibrato del figlio minore.

In tal caso, a fronte dell’estrema difficoltà ad intraprendere di comune accordo scelte significative per i figli, potrà essere disposto l’affidamento esclusivo in capo ad un solo genitore, quello che appaia più adeguato nel caso concreto con riferimento ai bisogni affettivo-educativi della prole.

Ma c’è di più.

Nelle situazioni più complesse – vedasi ad esempio i casi di totale conflittualità esistente tra i genitori, di tentativi per ciascuno di essi di delegittimare la figura dell’altro, di rifiuto persistente di sottoporsi ad un percorso di mediazione, di sofferenza ingenerata nel minore – ove entrambi i genitori si rivelino palesemente immaturi ed incapaci di elaborare il fallimento del proprio progetto di coppia e dunque di rapportarsi responsabilmente alla genitorialità, il giudice potrà disporre l’affidamento dei figli ai servizi sociali.

Questi ultimi prenderanno le decisioni più importanti per i minori e vigileranno sulla frequenza dei figli con i genitori, segnalando eventuali rigurgiti di asperità al Tribunale, affinchè eventualmente restringa i regime di visita o disponga le misure che si renderanno di volta in volta necessarie.

perdita affidamento figli
Se i genitori litigano possono perdere l’affidamento dei figli

Recentissime pronunce, tuttavia, vedasi ad es. tribunale di Milano 27 gennaio 2021, sono andate ben oltre, statuendo addirittura la perdita (decadenza) o l’affievolimento della responsabilità genitoriale.

Tale drastica misura, contemplata dall’art. 330 cc, può essere adottata nel caso in cui il genitore violi o trascuri i doveri ad essa inerenti o abusi dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.

In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratti o abusi del minore.

L’effetto della pronuncia è dirompente, giacchè determina la privazione di qualsivoglia potere decisionale del genitore verso la prole, a cui, gioco forza, dovrà essere nominato un tutore che ne curi gli interessi, avendo cura della persona, prendendo le determinazioni del caso (vedasi ad esempio scelte sanitarie, scolastiche ..) e amministri i beni: art 357 cc  

Nel caso posto all’esame della recente pronuncia del Tribunale meneghino, era in atto tra i coniugi una conflittualità asperrima, che sfociava nell’impossibilità di preservare le figlie dal conflitto, ormai troppo esacerbato, con un rischio di grave pregiudizio per le minori.

Il Tribunale disponeva, dapprima, l’affidamento ai servizi sociali e la collocazione dei minori presso la madre, statuendo anche il regime di visite col padre.

Le relazioni dei servizi, tuttavia, evidenziavano l’ulteriore acuirsi del disagio familiare, con costante attività di svilimento della figura dell’un genitore verso l’altro e determinava, nell’esasperazione, l’impossibilità di elementari decisioni nell’interesse della prole.

I percorsi di mediazione familiare e di supporto genitoriale intrapresi, si erano rivelati “terreno di recriminazioni reciproche” e di ingravescenza della conflittualità in atto, tanto da dover essere sospesi.

Inevitabile, conseguentemente, la decisione di affievolimento della responsabilità genitori per i coniugi in lotta, con limitazione attinente alle decisioni di maggior interesse per la prole e relative all’istruzione, all’educazione e alla salute e alla residenza delle minori.

Tali scelte, sentiti i genitori, sarebbero spettate all’ente affidatario delle figlie, in questo caso il comune, e gli eventuali relativi oneri economici sarebbero gravati a carico di entrambi i genitori nella misura del 50% ciascuno.

Significativo l’auspico conclusivo del Tribunale: che, una volta terminato il procedimento giudiziale, i genitori ripongano finalmente da parte il conflitto coniugale e si mettano seriamente in discussione come genitori, facendosi aiutare e supportare, proseguendo/avviando seriamente un percorso di supporto alla genitorialità e interventi di supporto psicologico in una concreta e reale consapevolezza circa la nocività delle loro dinamiche disfunzionali, partendo dalle proprie criticità e fragilità e non già da quelle dell’altro genitore, assumendo finalmente un ruolo genitoriale più maturo e responsabile nei confronti delle figlie, venendo incontro alle loro istanze e comprendendo le loro richieste e i bisogni effettivi”.

Pena “ulteriori limitazioni della responsabilità genitoriale e/o necessità di dover disporre un collocamento anche eterofamiliare”.

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Il diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti.

Diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti: sono i medesimi di quelli “biologici”?

 


Quando tutti hanno detto di no, tu chiedilo ai nonni.
Anonimo

 

 

Quante frasi belle si riescono a trovare riguardo ai nonni.


Il motivo risiede nel fatto che il loro rapporto con i nipoti è rivestito di connotati particolari: i nonni potrebbero educare – oh se ne hanno di cose da insegnare sulla vita – ma cedono gran parte di questa prerogativa ai genitori, mantenendo per loro la parte più bella, ossia il legame puro, nudo, spogliato di oneri, di compiti istituzionali.

Si godono i nipoti e basta.

Sia chiaro. Non è sempre così.

Oggi giorno ai nonni è attribuito un ruolo di autentico soggetto attivo nel welfare: se non ci fossero, chi potrebbe attendere i nipoti quando i genitori lavorano? Chi subentrerebbe nelle quotidiane emergenze di collocamento dei ragazzi, chi li andrebbe a prendere a scuola,chi li accompagnerebbe alle attività, chi farebbe fare loro i compiti?


Tutto bello? Tutto buono? Tutto magnifico?

Purtroppo no.


Spesso le cose non vanno come dovrebbero/potrebbero e nascono incomprensioni.

No, non tra nonni e nipoti. Tra genitori e (loro) genitori.

Vuoi per difficoltà nei loro rapporti. Vuoi perchè, con la crisi familiare tra i genitori spesso i rapporti con gli ascendenti (chiamiamo i nonni così) potrebbero avere serie conseguenze.

Quel senso di mal celata insofferenza tra suocera e nuora, (per esempio!) potrebbe esplodere in autentica contrapposizione all’esito del rapporto coniugale/sentimentale.

Il fuoco, covato sotto la cenere, potrebbe esplodere per dar luogo a reciproco ostracismo, coinvolgendo anche i minori, incolpevoli ed ancor più disorientati dai repentini cambiamenti familiari.

Ne avevamo già parlato, circa circa la prerogativa, attribuita ai nonni, di frequentare i nipoti (link) .


Il nostro legislatore ha una norma ad hoc, volta a consacrare il diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.


Il nonno cui sia impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinchè siano adottati i provvedimenti più idonei.

Come sottolineato più volte, il provvedimento di tutela verrà emesso “nell’esclusivo interesse del minore”.

Vale a dire: il diritto alla frequenza nonni/nipoti è espressamente riconosciuto quale interesse strumentale alla piena realizzazione della personalità del nipote, poiché facendo valere questo diritto, i nonni, fanno valere il diritto dei nipoti, che in tal modo risulta più fortemente tutelato.

I nonni esercitano un loro diritto, nell’interesse dei nipoti.

πάντα ῥεῖ, Panta rei. Tutto scorre. Le cose cambiano.

 

 nonni acquisiti nipoti

 

Anche per i nonni, che possono tutto d’un tratto restare da soli, perchè si separano o divengono vedovi.

E se decidessero di rifarsi una vita, con un nuovo compagno/a?

Buon per loro.

Talvolta, tale scelta è così felice da generare autentiche primizie nel rapporto tra il nonno “acquisito” ed i nipoti.

Eh però…. le cose possono compromettersi (purtroppo statisticamente più facilmente) anche tra nuovi compagni dei genitori e i figli.

In tal caso ci si deve chiedere se la tutela approntata dalla legge per i nonni biologici rimanga valida anche per quelli acquisiti.

Diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti: ci danno risposta, come sempre, i giudici della Cassazione, i quali, con una recentissima pronuncia (n 9144/2020), hanno sciolto positivamente il quesito che siamo posti.


Gli ermellini, dapprima, hanno sottolineato come le principali carte dei diritti della persona e del fanciullo siano unanimi nello sancire la fondamentale rilevanza del rispetto della vita privata e familiare della persona (art. 8 Convenzione Europea Diritti dell’Uomo) e la prevalenza, in tutti gli atti relativi ai bambini, dell’interesse superiore del fanciullo (art. 24 Carta di Nizza ).

 

Diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti


Senza dimenticare che la nostra Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

Tra queste “formazioni sociali” un ruolo fondamentale ricopre la famiglia, sia essa fondata sul matrimonio oppure no.

 

Ebbene, alla luce di questi principi, il diritto dei nonni di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, riconosciuto dalla legge, cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, non va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di parentela “sanguineo”, ma anche ad ogni altra persona che affianchi il “nonno biologico” del minore, sia esso il coniuge o convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore stesso una relazione affettiva stabile, dalla quale il “nipote acquisito” possa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psico-fisico.

 

 

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Eredità in favore di minorenni: come procedere?


Cautele ed autorizzazioni per accettare l’eredità in favore di minorenni.

 

 

Accettare un’eredità non è come bere un bicchiere d’acqua.

Può comportare significative conseguenze sulle condizioni del soggetto in favore del quale sia stata devoluta.

Pensiamo all’ipotesi in cui – a seguito della successione – oltre alle attività, vengano trasferite considerevoli passività, in grado di rendere sbilanciato ed oltre modo gravoso il conseguimento del lascito.

Una persona maggiorenne e vaccinata è in grado non solo di assumere le proprie determinazioni in ordine alla possibilità o meno di accettare un’eredità, ma anche di farsi carico delle conseguenze e responsabilità di una successione più o meno gravosa.

Le persone deboli, tra cui i minorenni, ma anche agli incapaci, no. Per essi deve decidere qualcun altro e deve farlo con scrupolo e cautela, per non far pesare sulle spalle di un innocente le conseguenze di una scelta poco ponderata.

Come procedere, quindi, in caso di eredità in favore di minorenni?


Innanzitutto – non è scontato dirlo – è necessario che i genitori siano d’accordo sul fatto di accettare o meno il lascito.


La legge, infatti, stabilisce che per alcuni atti – quelli di ordinaria amministrazione – i genitori possano agire disgiuntamente, senza che sia necessaria – per la validità dell’atto – il consenso di entrambi.


Le decisioni più importanti – quelle cioè che possono comportare significative conseguenze per il bene dei figli – è necessario che vengano assunte congiuntamente.


In caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei (art 316 cc ).

Il giudice, “sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio”.

 

eredità figlio minorenne

 


Bene.  La legge, per alcune determinazioni da parte dei genitori, non solo richiede il consenso di entrambi, ma anche l’autorizzazione del giudice, che vagli e statuisca la congruità e la conformità all’interesse del minore della scelta assunta dagli ascendenti.


Gli atti compiuti in difetto di tale autorizzazione saranno annullabili, senza che possano essere sanati da provvedimento successivo.


Parliamo degli atti di straordinaria amministrazione avente contenuto patrimoniale, come la vendita dei beni dei figli, oppure la locazione dei loro beni immobili per un tempo considerevole, o la riscossione di capitali: l’art. 320 cc ce ne dà un dettagliato elenco.


Tra questi atti per cui è necessaria la preventiva autorizzazione del Giudice Tutelare vi è l‘accettazione di eredità in favore di minorenni.

Ci siamo?

 

Passaggio primo: i genitori dovranno effettuare un ricorso al giudice tutelare per farsi autorizzare ad accettare l’eredità per conto dei figli, di cui hanno la rappresentanza, esponendo le ragioni per cui il lascito possa considerarsi vantaggioso per la prole.


Per inciso, è opportuno rilevare che tale modalità dovrà essere seguita anche nel caso in cui i genitori considerino opportuno rinunciare all’eredità: sarà sempre necessario adire il tribunale ed ottenere l’autorizzazione alla rinuncia.


Ovviamente, sappiamo bene che un’eredità così accettata potrebbe comunque comportare brutte sorprese: debiti non dichiarati, non conosciuti, sopravvenuti, che espongano l’erede minorenne a conseguenze nefaste e compromettenti.


Di conseguenza la legge chiede un’ altra attività obbligatoria in caso di eredità in favore di minorenni.

 

accettazione eredità figli minorenni
eredità in favore di figli minorenni: autorizzazione del giudice e beneficio di inventario

 

 


Secondo passaggio: accettazione di eredità con beneficio di inventario.


Ci siamo soffermati più volte (link 1 e 2) su quest’argomento: per evitare le conseguenze di una damnosa hereditas, in cui il patrimonio (attivo e passivo) del defunto si confonde con quello dell’erede, esponendolo anche a debiti più grandi di quanto conseguito, la legge disciplina il rimedio dell’accettazione beneficiata.


Si tratta di istituto obbligatorio nel caso in cui chiamati all’eredità fossero minorenni, incapaci (interdetti, inabilitati) o persone giuridiche e associazioni -proprio per evitare il pericolo di eredità dannose – ma estensibile a quanti volessero tutelarsi da tale rischio.

Il risultato di tale procedura è che l’erede non sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni pervenuti.

 

Come procedere?

In due modi.

– Facendo eseguire, da un cancelliere del Tribunale o da un notaio, l’inventario di tutti i beni del defunto, in cui verranno indicate attività e passività.
Redatto l’inventario, si avranno 40 giorni di tempo per deliberare se accettare o rinunciare all’eredità. Trascorso questo termine senza aver deliberato, si perderà il diritto di accettare l’eredità.

– Altrimenti, si potrà manifestare fin da subito l’accettazione con beneficio di inventario, per poi eseguire l’inventario stesso entro il termine di tre mesi, pena la decadenza del beneficio.

 

è possibile obbligare un padre a vedere un figlio


E se i genitori, autorizzati ad accettare l’eredità in favore di minorenni, tardassero a compiere le attività precedenti?

 

L’ipotesi, proprio perchè tutt’altro che infrequente, ha spinto la legge ad attribuire un’ulteriore tutela in favore dei minorenni e degli incapaci.


Questi non saranno decaduti dal beneficio d’inventario se non al compimento di un anno dalla maggiore età o dal cessare dello stato di incapacità (art 489 cc).


Entro tale termine, quindi, una volta entrati in possesso della libera autodeterminazione e capacità di agire, potranno compiere l’atto riconosciuto dalla legge per proteggersi da eredità dannose.

Attenzione. Attenzione.

La legge non attribuisce al minore, il cui genitore non abbia rinunciato all’eredità, il diritto di rinunciarvi al compimento della maggiore età, ma soltanto la facoltà di redigere l’ inventario nel termine di un anno dal suo compimento, così da renderlo esente dalle conseguenze di un’eredità eccessivamente onerosa.


Lo ha specificato una recente Sentenza della Cassazione, in cui si è considerato il caso di un’eredità accettata con beneficio da parte dei genitori senza, tuttavia, che fossero state eseguite le formalità successive; nello specifico l’esecuzione dell’inventario.


Divenuta maggiorenne la figliola, questa veniva citata in giudizio da una banca che – è proprio il caso di dirlo – batteva cassa per riscuotere crediti vantati nei confronti del defunto.


La ragazza eccepiva di voler rinunciare all’eredità, sostenendo di poter beneficiare del termine annuale decorrente dal compimento della maggiore età, asseritamente concesso dalla legge.

La Suprema Corte ha rilevato che, in assenza di accettazione dell’eredità, il minore rimane nella posizione di chiamato alla eredità e, nel termine di prescrizione decennale, il suo rappresentante legale potrà accettare l’eredità con il beneficio d’inventario, mentre, lo stesso minore, una volta divenuto maggiorenne, potrà accettare senza il detto beneficio ovvero rinunciare alla eredità.

Qualora il genitore opti per l’accettazione dopo essere stato autorizzato dal Giudice Tutelare, ne deriva l’acquisto da parte del minore della qualità di erede.

Se – accettata l’eredità –  non fosse compiuto l’inventario, necessario per poter fruire della limitazione della responsabilità,  si porrebbe per il minore una particolare ulteriore tutela: l’inapplicabilità della decadenza dal beneficio di inventario fino al compimento dell’anno dalla maggiore età.

Se anche entro tale termine non si provveda, l’accettante – divenuto maggiorenne – sarà considerato erede puro e semplice, senza possibilità di rinuncia.


Citando un brocardo latino “semel heres, semper heres”.


Una volta che si sia divenuti eredi, lo si rimarrà per sempre, non essendo consentita la rinuncia successiva all’accettazione.

 

 

 

 

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E’ possibile obbligare un padre a vedere il figlio?

E’ possibile obbligare il padre a vedere il figlio?

 

Malgrado le disposizioni sull’affidamento del figlio, il padre non vuole frequentarlo. E’ possibile obbligarlo?

 


Colui che genera un figlio non è ancora un padre, un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno.
(Fëdor Dostoevskij)

 

 

Per cementare i legami profondi bisogna volerlo. Bisogna sentirlo. Non si possono imporre. Nemmeno forzare.


Ma i legami di sangue? Padre e figlio. Madre e figlio. E’ possibile pretendere che vengano coltivati, se non per i genitori, nell’interesse dei figli stessi?


E’ il quesito cui ha dato risposta la Corte di Cassazione.


Un uomo, dopo una causa giudiziaria che aveva accertato la sua paternità naturale del figlio minore, veniva citato in tribunale dall’ex compagna perchè non ottemperava alle condizioni di affidamento stabilite per il minore, rifiutandosi di fargli visita.


Il giudizio si concludeva con un provvedimento di condanna del padre a versare la somma di 100 euro per ogni futuro inadempimento del proprio obbligo genitoriale.


La questione era incentrata sull’applicazione o meno di una norma di legge – l’art. 614 bis cpc – che consente al giudice, su richiesta di parte, di fissare una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza da parte di un obbligato a prestazioni diverse dal pagamento di somme di denaro (ad esempio, un obbligo di fare o non fare).


In buona sostanza, se il giudice ammette tale possibilità, riconosce che il dovere di visita sia coercibile, possa cioè essere oggetto di imposizione ad un genitore che non voglia vedere il proprio figlio.


Chiariamoci.


Se un padre si disinteressa del figlio assume una condotta giuridicamente rilevante.


Potrebbe legittimare una pronuncia di ammonizione del genitore inadempiente, oppure una condanna al risarcimento dei danni, nei confronti del minore o dell’altro genitore, il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, financo la revisione delle condizioni di affidamento.


Si tratta, tuttavia, di provvedimenti consequenziali, successivi ad inadempimenti da parte del genitore, non già preventivi.

In buona sostanza si prendono in considerazione danni già integrati dalla condotta di un genitore, non già che si devono ancora verificare. Sono circoscritti al passato ed al presente, non al futuro.

 

 

E’ possibile obbligare un padre a vedere il figlio?


E’ possibile obbligare il padre a vedere il figlio?


La Suprema Corte ha osservato che l’ambito della materia familiare è del tutto particolare rispetto a quello tradizionale delle obbligazioni, ove chi non adempie può essere obbligato a farlo, direttamente – con esecuzione in forma specifica – o indirettamente – con mezzi di incentivo e sanzione per la violazione.


Non solo.


Il rapporto genitore / figlio è foriero di diritti e doveri.


Diritti: il diritto di un figlio a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori e di essere da questi mantenuto, educato, istruito..

.
Il diritto del genitore a frequentare il figlio, senza interferenze od ostacoli da parte dell’altro che, se verificatisi, possono essere sanzionati con i provvedimenti che abbiamo verificato.


Doveri. Ad un diritto si accompagna un dovere.


Attenzione. Il dovere di visitare e frequentare il figlio non è conculcabile, non è coercibile, non può essere imposto con la forza, ma è espressione della libera determinazione del genitore che vi è tenuto.


Ragionare al contrario sarebbe svilire tale rapporto e contrario all’interesse stesso del figlio: come potrebbe essere efficace, positivo – per il figlio e per il genitore – un rapporto nato dall’obbligo, perchè si deve, perchè altrimenti si pagano le conseguenze?

 


Stabilire preventivamente multe per il padre che non vuole vedere il figlio ogni infrazione commessa?


Sarebbe – ad avviso degli ermellini – “in evidente contrasto con l’interesse del minore, il quale viene a subire in tal modo una monetizzazione preventiva e una conseguente grave banalizzazione di un dovere essenziale del genitore nei suoi confronti, come quello della frequentazione”..


Senza sorvolare sul fatto – ma qui parliamo forse troppo in giuridichese – che un provvedimento come quello di cui all’art. 614 bis cpc consente al giudice di imporre le sanzioni per inadempimenti futuri relativamente a “provvedimenti di condanna”.
Ci mancherebbe che si possa configurare come “condanna” la visita che un genitore debba/voglia/possa riservare al figlio.

 

 

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Guida agli aspetti legali della crisi nel matrimonio e nella coppia

Avvocato separazione Vicenza

Questo contributo non è un manuale di diritto.

Di quelli ce ne sono parecchi, alcuni preziosissimi, forse troppo elaborati e tecnici per chi, come te, si trova coinvolto nel marasma di un matrimonio in difficoltà e vuole conoscere alcune informazioni base sui passi da intraprendere, sui percorsi da esplorare, sui propri diritti e i propri doveri, verso il coniuge, verso i figli.

Ho frequentato il liceo classico da giovane. A chi, come molti, mi chiede a cosa sia servito studiare lingue “morte”, storia di culture passate e remote, materie non immediatamente spendibili per un lavoro, io rispondo che ho imparato a voler conoscere, ad andare alla ricerca di risposte, a desiderare di informarmi sempre di più, a scoprire chi sono, dove mi trovo e dove voglio andare.

Bene, sono convinto che da qualche nozione fondamentale si possa ottenere una prima risposta ai quesiti che passano per la testa durante la crisi matrimoniale.

A te, che cerchi una strada, sta il compito di approfondirle o di farti accompagnare.

Avv. Paolo Giovanni Berto

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La crisi nel matrimonio e nella coppia

Guida semplice agli aspetti legali da conoscere per affrontarla

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Visita ai figli di genitori separati durante l’emergenza Coronavirus.

 

Visita ai figli di genitori separati durante l’emergenza Coronavirus.

 

Dalla crisi sanitaria, a quella economica, alla crisi degli affetti.


Coronavirus appare essere un’emergenza che coinvolge tutti i segmenti della vita delle persone, tant’è che gli studiosi – ma non ci vuole una laurea per predirlo – ipotizzano ripercussioni sulla salute psicologica per un italiano su due.


I DPCM si sono susseguiti ed hanno via via ristretto il campo della libera circolazione dei cittadini.

 

 

Restare a casa”: un obbligo di civiltà, prima ancora che un’ordine dell’autorità da rispettare.


Come per tutti i provvedimenti improvvisati dall’urgenza, molte sono le zone grigie, rispetto alle quali vi sono margini di dubbio sull’applicazione del divieto.


Oggi ci occupiamo del diritto alla visita ai figli dei genitori separati durante l’emergenza Coronavirus.

 

Riduzione assegno mantenimento per emergenza coronavirus

 


Il Decreto Del Presidente Del Consiglio Dei Ministri 22 marzo 2020  proibisce “a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”.


Non solo. A differenza di quanto statuito nel precedente Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, ora non è nemmeno più consentito “il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.

Conosciamo, quindi, le motivazioni per cui il divieto contempli una deroga e, di primo acchito, non sembrerebbero consentiti spostamenti per far visita a parenti.


Ci sono  un “ma” e due “però”.


Un’apertura la rinveniamo dal sito del Governo, laddove alle FAQ, in risposta ai quesiti interpretativi sul decreto, ve ne è uno apposito, concernente il diritto di visita dei genitori separati.


Domanda: Sono separato/divorziato, posso andare a trovare i miei figli?
, gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio.


Tutto bene? Tutti d’accordo?


No, e il motivo è presto detto.


Logica vuole che se è rischioso il contatto tra nuclei di persone diverse, quali – purtroppo – sono quelli composti da due genitori separati, propugnare la spola ai figli, da una casa all’altra, oppure sottoporli alla frequenza, pur familiare, di soggetti con ulteriore esposizione contaminosa, potrebbe costituire un rischio non da poco.


Ed ecco i due “però”.


Due pronunce giudiziali, venute a pronunciarsi proprio sulla possibilità di visita e di spostamento dei figli durante il periodo di emergenza.


Il Tribunale di Napoli, con provvedimento recante data 26 marzo scorso, ha disposto che la disciplina delle visite non preveda più lo spostamento dei minori ritenuta la “inopportunità di tale spostamento” atteso il delicato momento in essere e “l’esposizione al rischio”.


Dello stesso avviso la Corte di Appello di Bari, Sezioni Minori e famiglia, che ha ritenuto non sicuri e prudenti gli incontri dei minori con genitori dimoranti in comune diverso da quello di residenza.


Per la corte pugliese, infatti, lo scopo primario della normativa che ha limitato il libero movimento sul territorio è il contenimento del contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori, rispetto ai quali, tra l’altro, “non è verificabile” se nel corso del rientro presso il genitore collocatario siano stati esposti a rischio sanitario con conseguente rischio per coloro che ritroveranno al rientro presso la propria abitazione.

 

Diritto di visita figli separati coronavirus
Visita ai figli di genitori separati durante l’emergenza Coronavirus: per la corte d’appello una telefonata allunga la vita

 


Conseguentemente, si è ritenuto di limitare il diritto di visita, da esercitare attraverso lo strumento delle videochiamate per periodi di tempo uguali a quelli fissati e secondo il medesimo calendario.


Una statuizione, peraltro, in linea con le stesse interpretazioni governative che, proprio nelle medesime FAQ cui abbiamo accennato, sconsigliava la visita dei nipoti ai nonni, seppur motivata dalle esigenze lavorative dei genitori, giustificandola “solo in caso di estrema necessità, se entrambi i genitori sono impossibilitati a tenere i figli con sé per ragioni di forza maggiore. In tale caso i genitori possono accompagnare i bambini dai nonni, percorrendo il tragitto strettamente necessario per raggiungerli e recarsi sul luogo di lavoro, oppure per andare a riprendere i bambini al ritorno. Ma si sottolinea che ciò è fortemente sconsigliato, perché gli anziani sono tra le categorie più esposte al contagio da COVID-19 e devono quindi evitare il più possibile i contatti con altre persone. È quindi assolutamente da preferire che i figli rimangano a casa con uno dei due genitori che usufruiscono di modalità di lavoro agile o di congedi”.

 

 

 

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Restituzione mantenimento figli maggiorenni divenuti indipendenti: sì se non ha funzione alimentare

 

La Cassazione si pronuncia sulla restituzione mantenimento figli maggiorenni divenuti indipendenti: sì, anche senza modifica delle condizioni di separazione o divorzio.

 

Calogero ed Assunta divorziano.


Hanno due figlie e per esse il Tribunale statuisce che il padre debba versare alla madre, presso la quale saranno collocate con prevalenza, un contributo al mantenimento di € 400 mensili, fino al compimento degli studi universitari.


Passano gli anni, le figlie non solo si laureano, ma anche convolano entrambe a giuste nozze.


A quel punto, Calogero cita in giudizio Assunta affinchè venga dichiarata non solo e non tanto la cessazione del suo obbligo di corrispondere all’ex moglie l’assegno di mantenimento delle figlie, ma anche che la stessa venga condannata alla restituzione degli importi nel frattempo percepiti dall’ex marito, in quanto non dovuti, almeno dal momento in cui le figlie si erano sposate, acquisendo pacificamente l’indipendenza economica.


Il tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, accogliendo l’istanza volta alla declaratoria di cessazione dell’obbligo contributivo, hanno entrambi rigettato quella di rimborso delle somme medio tempore corrisposte dal padre, sul presupposto che l’impegno economico di questi fosse venuto meno solamente con la relativa pronuncia che ne aveva statuito la conclusione e non, pertanto, retroattivamente, dal compimento degli studi o dalle nozze delle figlie, come richiesto da Calogero.


Per conseguire un tale risultato egli avrebbe dovuto muoversi allora, quando se ne erano verificati i presupposti, e non ad anni di distanza, in quanto gli importi corrisposti trovavano titolo in un provvedimento giudiziale che rimaneva valido fino ad altro che lo modificasse o lo facesse venir meno.

 

 

restituzione mantenimento figli maggiorenni

 


Cosa hanno statuito gli ermellini in ordine alla restituzione mantenimento figli maggiorenni divenuti indipendenti?


Per capirlo appieno occorre fare un passo indietro, rispolverando qualche informazione che avevamo avuto modo già in precedenza (link 1, 23, 4, 56) di analizzare ed introducendone altra, preziosa per il tema odierno.


Fino a quando debbono essere mantenuti i figli maggiorenni?


Il compimento della maggiore età non esenta l’obbligo che  hanno i genitori, in forza delle precise disposizioni di legge (art. 147 cc) di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.


Si dovrà mantener fede a tali obblighi fino a quando il figlio, sia pur divenuto maggiorenne, non abbia acquisito una stabile indipendenza economica (da intendersi quale reperimento di uno stabile lavoro che gli consenta un tenore di vita adeguato e dignitoso) ovvero sia stato posto nelle concrete condizioni per essere autosufficiente e, ciò nondimeno, pur potendo, non si sia attivato almeno per la ricerca seria e concreta di un lavoro.


I criteri da tenere in considerazione per imporre il mantenimento dei figli maggiorenni si sono via via elasticizzati nell’individuazione del limite di età adottato come d-day per la contribuzione.


Alcune recenti pronunce del Tribunale di Milano, ad esempio, hanno rinvenuto nei 34 anni il limite “tollerabile”, tenuto conto che “nell’attuale momento economico ed alla stregua dell’ “id quod plerumque accidit” si deve riconoscere una certa inerzia nella maturazione che porta all’indipendenza dei giovani ragazzi“.


Un’inerzia colpevole dei discendenti nel reperire una stabile e congrua occupazione che li affranchi dai genitori potrebbe comportare la perdita del diritto assistenziale da parte di questi ultimi.


Si sottolinea che, una volta divenuti autosufficienti, non vi sarà possibilità di ripristinare il diritto al mantenimento genitoriale per i figli che abbiano poi perso l’impiego, dovendosi contemperare le esigenze dei rampolli – tutelati fino al momento in cui spiccano il volo – e dei genitori, che non dovranno essere obbligati a far fronte per sempre alle vicissitudini della prole, divenuta ormai grande abbastanza per cavarsela autonomamente.


E fin qua ci siamo.


Ma una volta divenuti indipendenti, che ne sarà delle statuizioni economiche stabilite in sede di separazione o divorzio relative al mantenimento della prole?

 

assegno mantenimento figli autosufficienti

 


I genitori potranno senz’altro chiederne la modifica adendo il giudice competente per i provvedimenti del caso.


E se la richiesta dovesse essere avanzata dopo molto tempo dal verificarsi delle condizioni che la legittimano? Vuoi perchè i genitori sono restiii ad agitare iniziative giudiziarie o semplicemente dormono sul pero e rimangono inerti? È possibile chiedere la restituzione mantenimento figli maggiorenni divenuti indipendenti?


La Suprema Corte, (pronuncia 3659/2020) nel rispondere a tale quesito, richiama una norma di legge – l’art. 2033 cc – che riconosce il diritto per chi abbia eseguito un pagamento non dovuto di chiedere la restituzione di ciò che ha pagato.


Il percorso seguito dagli ermellini è stato il seguente: le somme versate dal padre Calogero per il mantenimento delle figlie erano dovute? La risposta è stata negativa, almeno a far data del compimento degli studi (termine finale convenuto in sede di divorzio per la cessazione dell’obbligo contributivo), ma anche dal giorno delle nozze, con le quali – ormai indipendenti – avevano instaurato una nuova famiglia e ad esse avrebbero dovuto provvedere i mariti, come obbligazione all’assistenza materiale nascente dal matrimonio.


Non coglieva nel segno l’obiezione dei giudicanti precedenti che sottolineavano come gli assegni di mantenimento non fossero “non dovuti”, in quanto trovavano pur legittimazione in un precedente provvedimento giudiziale che manteneva vigore fino alla sua modifica.


Il precetto di cui all’art. 2033 cc, infatti, ha portata generale e “si applica a tutte le ipotesi di inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo di pagamento, qualunque ne sia la causa”. “Spetta al giudice” -come nel caso di specie – “cui sia proposta la domanda restitutoria di indebito di valutarne la fondatezza, in relazione alla sopravvenienza di eventi successivi che hanno messo nel nulla la causa originaria giustificativa dell’obbligo di pagamento”.


Una precisazione, importante/importantissima.


E’ principio diffuso e consolidato in giurisprudenza quello che stabilisce l’irripetibilità delle somme alimentari, ossia di quanto sia stato corrisposto in ossequio ad un onere di non far mancare lo stretto necessario per vivere a chi si trovi in stato di bisogno e non sia in grado di rimediarvi.

 

 

mantenimento figli maggiorenni
Restituzione mantenimento figli maggiorenni divenuti indipendenti: sì se non ha avuto funzione alimentare

 


Sulla scorta di tale fondamento, numerosissime pronunce hanno rigettato la richiesta di restituzione di quanto versato, ad esempio, dal coniuge tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento all’altro consorte in base ad un provvedimento presidenziale (separativo o divorzile) poi modificato.


La motivazione risiedeva nella natura in buona parte alimentare dell’assegno e nella sua funzione: quella di assicurare i mezzi adeguati al sostentamento del beneficiario, il quale non è tenuto ad accantonarne una parte in previsione dell’eventuale riduzione ma possa normalmente consumarla per adempiere a tale loro destinazione.


Con la decisione in commento, la Suprema Corte effettua un’ulteriore considerazione.


L’irripetibilità delle somme versate dal genitore obbligato si giustifica solo “ove gli importi riscossi abbiano assunto una concreta funzione alimentare, che non ricorre ove ne abbiano beneficiato figli maggiorenni ormai indipendenti economicamente in un periodo in cui era noti il rischio restitutorio”.


I generali principi di irrepetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni alimentari, infatti, non operano indiscriminatamente, ma implicano che in concreto gli importi riscossi per questo titolo abbiano assunto o comunque abbiano potuto assumere analoga funzione alimentare, il che non può in linea di principio evincersi nel caso in cui la loro dazione comporti beneficio finale a favore di chi sia già economicamente autonomo ed in cui l’accertamento di tale sopravvenuta circostanza estintiva dell’obbligo di mantenimento di un genitore sia giudizialmente controverso nel procedimento di revisione pendente nei confronti dell’altro genitore abilitato a riscuotere la contribuzione e per il quale tale procedura comporta anche la conoscenza del correlato rischio restitutorio delle somme percepite dalla domanda introduttiva, se accolta.

 

 

 

 

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Ammontare mantenimento figli maggiorenni in sede di divorzio. Quanto?

Ammontare mantenimento figli maggiorenni in sede di divorzio. Quantifichiamolo.

 

 

 


Sul “fino a quando i genitori debbono contribuire al mantenimento dei figli” ci eravamo già soffermati. (link 1, link 2, link 3)     

 

Oggi citiamo una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione che compendia efficacemente la risposta al quesito “di che misura deve essere l’ammontare del mantenimento dei figli maggiorenne in sede di divorzio”.


Ci riferiamo al divorzio, perchè potrebbe comportare dei risvolti differenti rispetto al giudizio effettuato in sede di separazione. Lì, magari, i figli erano più piccoli, meno autosufficienti, con meno necessità, oggi sono cresciuti, hanno esigenze maggiori ma anche più autonomia.


Ebbene, la Suprema Corte esordisce con una sottolineatura: nella sua valutazione il giudice del divorzio non può ritenersi vincolato dalle statuizioni del giudizio di separazione nè da un criterio di adeguamento automatico dipendente dall’età e dal miglioramento delle condizioni economiche dei genitori.


In buona sostanza: il divorzio è un giudizio nuovo e differente rispetto a quello separativo e, in quanto tale, non può comportare alcun automatismo nel traslare i provvedimenti precedenti alla situazione attuale, ma deve rieffettuare – daccapo – le valutazioni conferenti al caso concreto, come rappresentato dalla situazione di fatto al momento del procedimento.

 

assegno di mantenimento in caso di separazione

 

Ammontare mantenimento figli maggiorenni in sede di divorzio.Quanto?

 


In base al chiaro paradigma degli ermellini, “la fissazione dell’assegno destinato al mantenimento del figlio, operata dal giudice della cessazione degli effetti civili del matrimonio, deve essere parametrata sulle effettive e attuali esigenze del figlio alla luce delle circostanze che attengono in primo luogo alla condizione economica dei genitori ma non sulla base di una mera corrispondenza proporzionale e che prescinda dall’effettiva valutazione delle concrete esigenze di vita del minore”.


Quindi:


1. attualità e concretezza delle esigenze dei figli: sono occupati, sia pur senza raggiungere l’indipendenza economica? Seguono un ciclo di studi? Che attività ricreativa svolgono? Dove vogliono andare? A cosa ambiscono? Dove vogliono vivere?


2. come se la passano i genitori dal punto di vista economico.
Lavorano ancora entrambi? Il loro reddito è aumentato o diminuito? La loro compagine familiare post separazione è rimasta inalterata? Il loro patrimonio complessivo?


Effettuate tali valutazioni, occorre obbligo anche considerare il tenore di vita goduto dai figli in costanza di matrimonio.


Infatti, “a seguito della separazione personale tra coniugi, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo per quanto possibile a quello goduto in precedenza, continuando a trovare applicazione l’art. 147 c.c. che, imponendo il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l’età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione”.

 

 mantenimento figli maggiorenni divorzio
Ammontare mantenimento figli maggiorenni in sede di divorzio: vale ancora il tenore di vita

 


Tale considerazione deve essere ben ponderata non solo con riferimento al contributo al mantenimento “ordinario” dei figli, ma anche per quanto concerne le spese “straordinarie”, quelle cioè “che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli”.


E’ possibile contemplare la corresponsione di un unico assegno che comprenda mantenimento ordinario e spese straordinarie?

 

Per la Cassazione, l’eventualità di includere le spese straordinarie in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno, posto a carico di uno dei genitori, potrebbe rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità e con quello dell’adeguatezza del mantenimento, nonchè recare grave nocumento alla prole, che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell’assegno “cumulativo”, di cure necessarie o di altri indispensabili apporti.

 

 

 

 

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Controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli

 

 

Controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli

 

I miei genitori hanno avuto una sola discussione in quarantacinque anni. È durata quarantatré anni.
(Cathy Ladman)

 

Le discussioni, diciamolo, sono all’ordine del giorno (di ogni giorno?) in ogni benedetto matrimonio.

Figuriamoci se non ci possano essere durante la crisi del rapporto matrimoniale o dopo il suo epilogo.

Le decisioni intorno ai figli possono costituire terreno fertile non solo per costruttivi scambi di opinioni, ma anche per epiche battaglie, dettate, talora, da disincantata buona fede, talaltra dal più pervicace puntiglio e ottusa rappresaglia.

Dopo percorsi più o meno aspri nelle aule di tribunale, i genitori si sono separati, convenendo sulle condizioni di affidamento della prole, o subendo le disposizioni dettate dal giudice per dirimere contrasti non risolti.

Oggi partiamo da qui: da una separazione o un divorzio pronunciati, oppure dall’esito di una causa attinente l’affidamento di figli di coppie non sposate.

Da una pronuncia, insomma, da statuizioni attinenti ai figli che facciano stato tra le parti.

 

conflitto genitori separati

 

Quale rimedio nel caso in cui sorgano controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli?

Il nostro legislatore ha disposto una norma ad hoc: l’art. 709 ter cpc.  “Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni.”.

Innanzitutto, il codice si sofferma a disciplinare come possano essere risolte questioni insorte tra genitori sull’esercizio della potestà o sulle modalità di affidamento della prole.

Lo avevamo evidenziato, post,  quando ci eravamo soffermati ad analizzare l’istituto dell’affidamento condiviso: la responsabilita’ genitoriale e’ esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacita’, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice puo’ stabilire che i genitori esercitino la responsabilita’ genitoriale separatamente. Art. 337 ter cc.

Autonomia dei genitori per quanto riguarda le questioni routinarie, per cui essi potranno decidere anche disgiuntamente.

Per quanto attiene le scelte davvero importanti per la prole dovrà esserci l’accordo tra padre e madre.

Ci riferiamo alle scelte che riguardano, ad esempio, l’istruzione (a quale scuola iscrivere il figlio? Pubblica o privata? Presso quale istituto? In quale sede? Con quale orario?), l’educazione (quale religione dovrà praticare? Lo iscriviamo a catechismo? Ma anche, quale dieta fargli seguire? Onnivora, vegetariana, vegana (vedi post  apposito)? Quali compagnie fargli frequentare? Quali sport? Quali viaggi? Il telefonino?), la salute (quale medico di base scegliere? Quale tipo di medicina seguire, omeopatica o tradizionale? Presso quale clinica effettuare un eventuale intervento chirurgico? Acconsentire o negare il consenso ad eventuali trattamenti sanitari? Se dovesse avere dei problemi personali, gli facciamo frequentare uno psicologo? E se sì, quale? E dei tatuaggi, vogliamo parlarne?).

 

provvedimenti opportuni controversie genitori
Controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli

Rispetto a tutte queste eventualità, ma tante altre ce ne sarebbero da menzionare, non potrà essere dato che che un genitore sia messo spalle al muro a dover prendere mero atto che l’altro abbia deciso anche per lui, al posto suo, o nonostante il suo parere contrario.

Tali controversie dovranno essere decise dal giudice, il quale, dopo che i coniugi saranno comparsi davanti a lui, prenderà i provvedimenti opportuni.

Il tribunale dovrà sciogliere il conflitto, si noti, privilegiando la posizione dell’un genitore rispetto all’altro, ma senza effettuare invasioni di campo, individuando ulteriori accorgimenti o soluzioni rispetto a quelle valutate e proposte dai coniugi confliggenti. Ciò nel rispetto al diritto all’autonomia della famiglia che la Costituzione espressamente sancisce all’art. 29  (Società naturale).

Per quanto attiene le questioni che vertano sulle “modalità dell’affidamento”, normalmente si discute sulla misura e ripartizione delle spese straordinarie, oppure sulla difficoltà di visita dei figli da parte del genitore non collocatario, vuoi per gli ostacoli frapposti dall’altro coniuge, vuoi per il rifiuto all’incontro rammostrato dai figli stessi.

Si badi: il giudice non sarà chiamato a pronunciare nuove condizioni di affidamento, ma semplicemente ad interpretare quelle già istituite, o a calarle nel caso concreto  che gli viene prospettato dalle parti.

Le controversie tra genitori separati possono riguardare anche inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli da parte di uno di essi.

Anche in questo caso ci soccorre l’art. 709 ter cpc, già esaminato nella sua prima parte, che continua statuendo “in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.”

A fronte di gravi inadempienze o violazioni il Giudice ha due rimedi, tra di loro alternativi, ma anche passibili di utilizzo congiunto: la modifica delle condizioni di affidamento e le sanzioni.

Lo scopo è quello di garantire l’attuazione e l’osservanza delle statuizioni già disposte con precedente pronuncia, ma anche il diritto del minore alla bigenitorialità ed alla crescita serena, altrimenti compromesse da comportamenti incongruenti e pregiudizievoli.

Tra le gravi inadempienze, sono spesso ricorrenti l’omesso versamento degli assegni statuiti a titolo di contributo al mantenimento dei figli, la loro unilaterale riduzione, la mancata corresponsione del rimborso spese straordinarie e, più in generale, l’inosservanza delle statuizioni di carattere economico e patrimoniale concernenti la prole, rispetto alle quali, si ricorda, vi è anche una sanzione di carattere penale (post) .

 

genitore cambia residenza

 

Non vanno tralasciate le questioni attinenti il mancato rispetto delle condizioni riguardanti i tempi di visita e frequenza dei figli, vuoi da parte del genitore non collocatario, che se ne disinteressa, in tal caso incorrendo anche nella sanzione penale disciplinata dall’art. 388 cp per la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, vuoi per il comportamento ostruzionistico, se non alienante, del genitore collocatario, volto ad incutere nei figli disistima e spregio dell’opposta figura genitoriale, conseguendone il rifiuto di frequentarla.

Un’altra fattispecie di violazione consiste anche nella scelta unilaterale di un coniuge di trasferirsi altrove, portando con sé i figli, magari in altra città, regione o stato, (post )e privando così la prole della possibilità di frequentare l’altro genitore e quest’ultimo, oltre che degli affetti, della concreta facoltà di esercitare la responsabilità genitoriale.

A fronte di tutta questa serie di circostanze, riportate a titolo meramente esemplificativo e non certo esaustivo, il giudice potrà modificare i provvedimenti già pronunciati circa i figli, a titolo non già sanzionatorio, quanto volto a tutelare il preminente interesse di questi ultimi contro i pregiudizi altrimenti conseguenti, oppure disponendo misure sanzionatorie, a contrappunto dei comportamenti incongruenti mantenuti dal genitore passibile di censura e volti a prevenirne e disincentivarne altri di simili.

Tra queste misure vi è l’ammonimento, ossia il richiamo del genitore contravventore al rispetto delle condizioni di affidamento o all’astensione da comportamenti pregiudizievoli, pena, in difetto, l’applicazione di altra e più gravosa sanzione oppure della modifica delle condizioni stesse.

Il giudice potrà, anche, applicare una pena pecuniaria, vuoi a favore della Cassa ammende, in misura discrezionale, ma potenzialmente soggetta a progressivi aumenti in caso di nuova violazione, vuoi a favore dei figli o dell’altro genitore.

A tale ultimo riguardo, è discusso se l’onere economico a vantaggio di tali familiari abbia carattere sanzionatorio tout court o bensì natura risarcitoria.

Se si dovesse propendere per tale ipotesi, il coniuge richiedente la corresponsione della somma pecuniaria sarà gravato di dover dimostrare oltre che la violazione, il danno patito, in base alle generali regole dell’onere della prova.

 

 

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Tempi di visita figli minori: la compressione non limita l’affido condiviso

La restrizione dei tempi di visita figli minori per il genitore non collocatario non intacca la sostanza dell’affidamento condiviso.

Re Salomone, per risolvere la causa pendente tra due madri che reclamavano come proprio lo stesso figlio, si fece portare una spada, paventando che avrebbe diviso in due il piccolo e dato metà a ciascuna delle reclamanti. La prima delle due supplicò di non uccidere il bimbo, ma di risparmiarlo, pur dandolo all’altra. Ad essa il saggio sovrano fece consegnare l’infante, riconoscendola – dall’amore incondizionato – la vera madre.


Sono frequenti i casi nei nostri tribunali in cui i giudici siano chiamati a risolvere contrasti dei genitori riguardanti i rispettivi tempi di visita e frequenza dei figli.


Non si può certo affermare che si debba ricorrere al rimedio della “spada” adottato da Salomone per risolvere i conflitti sui tempi di permanenza; certo è che spesso si tratta di decisioni sofferte, che si insinuano tra legami profondi, che toccano, lacerano, incidono il sentimento più ancestrale e radicato: l’amor filiale.


In questo caso, l’agire del giudicante deve essere orientato da un unico obiettivo: il preminente interesse dei figli. Anche a scapito dei sentimenti e delle prerogative genitoriali.


La decisione è vieppiù tormentata e delicata laddove i genitori vivano a distanza e si debbano giostrare e gestire le visite dei figli, anche sottoponendoli a lunghe e debilitanti trasferte.


Ciliegina della torta, come spesso accade, potrebbe essere la scelta della mamma o del papà di cambiare città, per esigenze lavorative, sentimentali, di vita.


Della questione ce ne eravamo occupati già in passato, in questo post Affidamento figli. Se un genitore separato va a lavorare altrove, che ne sarà dei figli?


In buona sostanza, si era sottolineato che la scelta di un genitore di stabilire e trasferire la propria residenza e sede lavorativa costituiscono oggetto di libera e non conculcabile opzione dell’individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale, senza che egli perda per ciò l’idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario, sicché il giudice, ove il primo aspetto non sia in discussione, deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all’interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario.


La domanda a questo punto è la seguente: la compressione dei tempi di visita figli minori con il genitore non collocatario è compatibile con l’istituto dell’affidamento condiviso?


La risposta la possiamo trarre da una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione.


Il casus belli verteva sulla scelta della madre, collocataria, di trasferirsi in altra città, portando con sé i figli e cambiando loro scuola.

Conseguentemente il Tribunale disponeva tempi più ridotti per la frequentazione con il padre.


Questi ricorreva dapprima in appello, quindi alla Suprema Corte, chiedendo un ampliamento del diritto di visita, con pernottamenti anche infrasettimanali.


La considerazione del padre verteva sul fatto che la contrazione del periodo di visita violasse l’istituto dell’affidamento condiviso, mascherando in realtà un affido esclusivo di fatto, potendo egli trascorrere con i figli pochi giorni al mese, ledendo così il loro diritto a ricevere cure, educazione e istruzione con paritaria presenza di entrambi i genitori.

tempo di visita figli minori


Gli ermellini, statuendo sul punto, hanno verificato la correttezza del giudizio del Tribunale allorquando aveva considerato come impraticabile l’ampliamento dell’esercizio del diritto di visita proposto dal padre, in quanto avrebbe dato luogo ad un regime estremamente articolato e frammentato, non funzionale alle esigenze di stabilità e serenità che devono necessariamente connotare la quotidianità dei figli.

Attiene al potere del giudice stabilire le concrete modalità di esercizio del diritto di visita che devono essere ispirate, nel disciplinare le frequentazioni del genitore non convivente con il minore, a criteri tutti improntati all’esclusivo interesse del minore.


La riduzione dei tempi di visita dei figli col genitore non collocatario non altera, pertanto, l’istituto dell’affidamento condiviso, in quanto proprio tale sistema non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l’altro genitore.


In buona sostanza: la collocazione prevalente dei minori presso l’un genitore, anche a discapito della paritetica prerogativa dell’altro, è disciplina compatibile con l’affidamento condiviso. Il giudice, nel deliberare le modalità di frequenza con il genitore non collocatario dispone discrezionalmente ed insindacabilmente, purchè la propria pronuncia sia improntata unicamente all’esclusivo interesse dei figli.

Ecco allora che laddove l’estensione dei tempi di visita potrebbe comportare disagio ai minori, costringendoli a continui va e vieni da una casa all’altra, pure situate a distanza, ben può essere considerato congruo al loro miglior interesse porre dei limiti temporali, concentrando la frequenza in precisi, seppur più contenuti, periodi della settimana.


Va ben evidenziato, ad ogni buon conto, come in precedenza proprio la Suprema Corte ( Cassazione civile sez. I, 08/04/2019, n.9764 ) aveva avuto modo di rilevare che nell’interesse superiore del minore vada assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione.


Tale principio ammette modulazioni se confacenti con il miglior interesse dei figli ad una crescita sana ed equilibrata.


L’autorità giudiziaria dovrà ben ponderare eventuali “restrizioni supplementari” al diritto di visita dei genitori, attentamente vagliare le garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita famigliare.

In difetto vi sarebbe il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età e uno dei genitori o entrambi, pregiudicando il preminente interesse del minore.



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