Skip to main content

Pubblicare foto dei figli minori sui social: deve esserci il consenso dei genitori.

 


Non è possibile pubblicare foto dei figli minori sui social se i genitori siano dissenzienti.


I bambini sono senza passato ed è questo tutto il mistero dell’innocenza magica del loro sorriso.
(Milan Kundera)

 


I bambini sono senza passato, sono fogli bianchi, immacolati, senza malizia, senza pregiudizi, senza ambiguità.


Proprio tale loro caratteristica crea un fascino particolare, che si cerca di fissare, cristallizzare nella memoria, anche tramite immagini, foto che lascino traccia di qualcosa che è stato e che mai più sarà.

Il problema – definiamolo tale, ma per alcuni è tutt’altro – è che ai giorni d’oggi si è portati a condividere le proprie emozioni, i propri orgogli, gli attimi significativi della vita quotidiana su portali telematici, forum d’incontri, social network, affinchè una moltitudine di persone possa cogliere ed apprezzare attimi che, una volta, erano riservati alla nostra intimità ed erano confinati nelle cerchia ristretta dell’ambito familiare.

Veniamo al dunque.

 

 

foto minorenni social

 

E’ possibile pubblicare foto dei figli minori sui social senza alcuna accortezza specifica, o è necessario che vi sia l’accordo dei genitori su tale iniziativa?

 

Ce lo chiediamo partendo da un esempio, che– guarda caso – è stato oggetto di una recentissima pronuncia del Tribunale di Rieti.

Moglie e marito separati, con figli.


Lui si fa una nuova vita, ma la compagna – forse colta da eccessivo zelo, forse da rancore e dissapore verso la moglie del suo amore – pubblica continuamente foto dei figli del partner, accompagnati da commenti non proprio lusinghieri sulla loro madre.


In sede divorzile, gli ex coniugi concordano che la pubblicazione delle foto dei figli minori sia consentita solo dai genitori e non da terze persone.


Circostanza puntualmente disattesa in seguito dalla nuova fiamma del marito che continua a pubblicare foto e commenti.


La madre ricorre in Tribunale per chiedere un provvedimento d’urgenza e far cessare la condotta asseritamente lesiva della donna.


Il Giudice Rietino fa il punto della situazione con la pronuncia che ha accolto le istanze materne.

 

foto minori sui social

 


Innanzitutto, occorrerà fare riferimento ad una disposizione del codice civile – art. 10 cc. – che stabilisce che “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”.


Tale disposizione va ragguagliata ed integrata con quelle rinvenibili in materia di privacy e trattamento dati personali.


In particolare, il nuovo Regolamento UE n. 679/2016 – Regolamento generale per la protezione dei dati personali, entrato in vigore il 25.05.2018 – stabilisce che “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali”.

In forza di tale considerazione, è stabilito che “per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni”.


Quindi per poter trattare i dati personali – e le immagini dei figli sono tali – di un minore è necessario il suo consenso, purchè abbia almeno 16 anni. Se ne abbia di meno, il consenso dovrà essere prestato dal genitore che ne eserciti la relativa responsabilità.


Il nostro legislatore ha fissato il limite di età da applicare in Italia a 14 anni, espressamente prevedendo che, con riguardo ai servizi della società dell’informazione, il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a quattordici anni è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale.


Il più delle volte, la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, per cui il loro consenso è indifferibile rispetto l’eventuale pubblicazione delle foto dei figli sui social.


Va notato, al riguardo, che la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente (art. 337 ter cc).


Sul punto, andrà valutato se l’inserzione di immagini della prole su internet costituisca questione di ordinaria amministrazione oppure “di maggiore interesse” per i figli.


Certo è che, nel caso di specie, i genitori avevano inteso sciogliere anticipatamente il dilemma, espressamente convenendo di precludere il consenso alla pubblicazione delle foto da parte di terzi.

 

foto social network
pubblicare foto dei figli minori sui social: ci vuole il consenso dei genitori

 


Il Tribunale di Rieti ha concluso la propria pronuncia con un’ulteriore considerazione.


La pubblicazione delle foto dei figli sui social può essere pericolosa in ragione delle caratteristiche proprie della rete internet.


“Il web, infatti, consente la diffusione dati personali e di immagini ad alta rapidità, rendendo difficoltose ed inefficaci le forme di controllo dei flussi informativi ex post”.


Come annotato in precedente giurisprudenza, infatti, “l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che “taggano” le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia […] il pregiudizio per il minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

pubblicare foto dei figli minori sui social

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Affidamento figli genitori non sposati: quali regole?

 

 

Affidamento figli genitori non sposati: facciamo il punto.

 

Quand’ero piccolo i miei genitori hanno cambiato casa una decina di volte. Ma io sono sempre riuscito a trovarli.
(Woody Allen)

 

 


13 996 986.


Sono le coppie conviventi non sposate risultanti dall’ultimo censimento 


Tra queste, almeno il 63% hanno figli.


Sono numeri notevoli ed in continua evoluzione, data la crisi, ormai consolidata, dell’istituto nuziale.


Qualcuno, con sagace arguzia o scetticismo impertinente, ha sostenuto che il matrimonio sia il primo passo per il divorzio; certo è che pure per le coppie “di fatto” si presentano, in identica misura e proporzione, problemi relazionali talora irreversibili, tali da dover pervenire ad uno sciogliete le righe, senza che vengano a mancare dolorosi strascichi e problemi, anche legali, da prendere per mano.


Per i conviventi non si pongono talune questioni concernenti la soluzione del rapporto coniugale: vedasi, ad esempio, l’obbligo di assistenza materiale tra consorti, la resipiscenza di diritti successori tra coniugi all’esito della separazione e poi del divorzio, nonché possibili beni da dividere a seguito dello scioglimento della comunione legale.


Ed i figli?


Affidamento figli genitori non sposati: cambia qualcosa rispetto a quanto statuito per le famiglie “tradizionali”?


No e sì, potremmo dire.


No, dal punto di vista sostanziale, delle norme pratiche da applicare in punto di diritto.


Sì, dal punto di vista “procedurale”, giacchè ci si muove in ambiti estranei alla separazione coniugale.


Per espresso richiamo effettuato dalla legge, le disposizioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione o divorzio si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio (art. 337 bis cc).


Tra tali disposizioni, va menzionato innanzitutto il diritto dei figli minori di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

 

affidamento figli genitori non sposati: identiche norme rispetto alla famiglia tradizionale

 


In caso di crisi, anche della coppia genitoriale non sposata, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.


Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli.


Si tratta del cd affidamento condiviso, (337 ter cc) sul quale ci siamo soffermati più volte in passato, che attribuisce identica dignità ad entrambi i genitori nel prendere le decisioni, anche quelle più rilevanti, concernenti i figli.


La responsabilità genitoriale, infatti, è esercitata da entrambi i genitori.

Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.

In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.

Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente.


Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. (337 quater cc)


Anche in caso di scioglimento dell’unione di fatto tra genitori non sposati, si dovrà considerare come padre e madre dovranno contribuire al mantenimento dei figli.


Dopo aver stabilito i tempi di permanenza presso l’uno e l’altro, si dovrà verificare il rispettivo onere economico nei confronti dei figli, in misura proporzionale al proprio reddito.


Al riguardo, potrà essere concordata – o fissata dal giudice – la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:


1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore


Anche per le coppie non sposate, con figli minori o non autosufficienti, si può statuire l’assegnazione della casa familiare, attribuita tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli ed a prescindere da quale genitore ne sia proprietario (337 sexies), occorrendo soddisfare l’esigenza di assicurare loro la conservazione dell’ “habitat” domestico, ambiente sicuro nella tempesta di eventi venutasi a creare con la crisi tra genitori.

 


Figli nati nel matrimonio e figli nati fuori dall’unione nuziale: identiche norme di merito, differente procedura giudiziale per le relative statuizioni.


Per i primi l’ambito naturale in cui dovrà intervenire la decisione sui provvedimenti attinenti la prole è il procedimento di separazione o divorzio.


Per i secondi si segue un ricorso ad hoc che, proprio sulla piattaforma giuridica appena accennata con riferimento agli art. 337 bis e seguenti del codice civile, statuirà sui provvedimenti concernenti i figli, con procedura più agile rispetto a quella separativa o divorzile.


Una volta depositato il ricorso, verrà fissato un termine per la notifica del ricorso alla parte resistente, che potrà depositare una memoria difensiva.


All’udienza, il giudice cercherà una composizione tra le rispettive posizioni, assumerà le opportune informazioni e si riserverà di riferire al collegio per la conseguente decisione.
Una circostanza rilevante è che, come nel giudizio di separazione o divorzio, anche nel procedimento indicato potranno essere ascoltati i figli di almeno dodici anni, o anche di meno, purchè capaci di discernimento.


I decreti del tribunale, reclamabili, potranno essere in ogni tempo essere revocati o modificati.

 

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli avvocati Berto in materia di

Affidamento figli genitori non sposati

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Tempi di frequenza dei figli in caso di separazione: al bando la matematica

Cassazione: no alla rigida suddivisione matematica dei tempi di frequenza dei figli in caso di separazione

È questione di qualità, piuttosto che di quantità”.
Lucio Anneo Seneca

Se ne è parlato molto negli ultimi tempi, quando agli onori delle cronache è balzato un disegno di legge (DDL 775, cd “Pillon”) che proponeva che i tempi di permanenza dei figli presso i genitori dovessero essere di regola (salvo eccezioni) paritetici.


Tale proposta si è arenata, essendo stata ritirata, ma la tematica è comunque di estrema attualità, poiché sono sempre più numerose le richieste di collocamento della prole secondo modalità che contemplino identica frequenza con entrambi i genitori.


A tali istanze hanno talora corrisposto sentenze di apertura da parte di alcuni tribunali di merito, che hanno sottolineato come possa corrispondere agli interessi dei figli godere in eguale misura della presenza di tutte e due le figure genitoriali, laddove, ovviamente, vi siano idonee condizioni, su tutte le reali possibilità di fattiva collaborazione tra genitori nell’ottica di una gestione più condivisa dei figli.

pari tempi di visita del padre


La Cassazione, con una pronuncia piuttosto recente, mette alcuni paletti. (Cassazione Civile, Sez. I, 10 dicembre 2018, n. 31902).


Un conto è, infatti, appurare e tutelare il diritto dei figli ad avere rapporti significativi con entrambi i genitori: quello, salvo casi di inopportunità o controindicazioni, andrà sempre riconosciuto e perseguito.


Altro è imporre, a priori, che tale diritto si debba risolvere in una aritmetica ed aprioristica suddivisione dei tempi di permanenza.


Argomentando in questa maniera si potrebbero conseguire risultati incompatibili con il miglior interesse proprio dei figli minori.


Il principio di bigenitorialità” sancisce la Suprema Corte “si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore”, giacché “in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione”.

tempi di visita dei figli in caso di separazione
tempi di frequenza dei figli in caso di separazione: va perseguito solamente il miglior interesse della prole


La Corte, in buona sostanza, pone l’accento sull’attenta verifica del reale best interest of child che si potrebbe conseguire in seno ad un evento, comunque doloroso, come è la separazione.


Parità di tempistiche statuite a priori cozzano contro la verifica attenta del caso concreto.


L’effettiva tutela dei rapporti tra genitori e figli deve tradursi in una qualità ottimale del rapporto nel tempo in cui è dato loro frequentarsi, piuttosto che nella quantità e durata della frequentazione che, se pedantemente perseguita, potrebbe essere controindicativa rispetto alle esigenze, sacrosante, di sicurezza e stabilità della prole che emergono nella crisi familiare.

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di


tempi di frequenza dei figli in caso di separazione

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Il pernotto dei figli in tenera età dopo la separazione

Pernotto dei figli in tenera età dopo la separazione: un percorso da effettuare tra discrezionalità (del giudice) e buon senso (dei genitori).

Tra i temi caldissimi che i coniugi si trovano, loro malgrado, a sperimentare in sede di separazione, ve ne sono due che spesso fanno saltare il banco per un eventuale accordo da consensualizzare: la frequenza dei figli con eventuali nuovi compagni dell’uno o dell’altro genitore e il loro pernotto presso il genitore non collocatario in età neo e post natale.

Sul primo tema avremo modo di soffermarci in seguito, ne varrà la pena.


Verifichiamo, oggi, quale sia la posizione della legge in materia di pernotto dei figli in tenera età dopo la separazione: leggasi, anche, da quando il figlio potrà dormire col papà? Non nascondiamoci dietro un dito e chiamiamo le cose col loro nome.

Il problema risalente è, infatti, il divieto e la preclusione opposte dalla madre rispetto alla prolungata frequenza dei figli col padre, in assenza della sua supervisione ed assistenza.


La legge, sul punto, non dice molto. Anzi.

E’ espressamente sancito che “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi” (art. 337 ter cc)


La bigenitorialità effettiva è, pertanto, prima di tutto un diritto dei figli, più che dei genitori.

E’ nell’ottica del preminente interesse dei figli vanno presi tutti i provvedimenti che li riguardano in sede di procedimento di separazione.

La norma, infatti, stabilisce che “per realizzare la finalità indicata dal primo comma, – ossia mantenere rapporti equilibrati con entrambi i genitori – il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”.


La bigenitorialità, in pratica, va perseguita se di effettivo interesse per i figli e secondo modalità che siano ad essi più congeniali.


Il Giudice dovrà valutare “prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori” oppure stabilire a quale di essi i figli siano affidati, determinando “i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli”.


Nessuna menzione al pernotto dei figli in tenera età dopo la separazione né è stabilito a priori da quando il figlio potrà dormire col papà.


In mancanza di accordo tra i coniugi, che a sensi di legge, dovrà essere valutato dal giudice ed accolto se non contrario all’interesse dei figli, sarà deferito al Tribunale il compito di statuire tempi e modalità di permanenza presso ciascun genitore.


da quando il figlio potrà dormire col papà ? discrezionalità e buon senso

Qualche pronuncia giurisprudenziale aiuta a farci un’idea di come questo potere discrezionale sia esercitato nelle aule giudiziarie.


Partiamo da un dato di fatto indiscusso: il bimbo che ancora sia in fase di allattamento non può essere a lungo separato dalla mamma.


Non lo dice la legge, ma la natura stessa, per cui risulta impensabile privarlo di tale fondamentale passaggio fino a quando non sarà stato svezzato.


Conseguentemente è in linea di massima precluso il pernotto col padre durante l’importantissima fase di allattamento.


Anche se qui si aprono scenari ulteriori, perchè l’età di svezzamento può variare da bambino a bambino e protrarsi in taluni casi anche ben oltre il termine medio stabilito dalla comunità scientifica internazionale.

Soffermarci sull’eccezione rispetto alla regola ci farebbe perdere il punto della questione: da quando il figlio potrà dormire col padre?


V’è una prassi, abbastanza diffusa e consolidata, che individua nel compimento del terzo anno di età il termine iniziale dal quale il figlio sia sufficientemente affrancato dal legame materno per poter rimanere notte tempo col padre.


E’ stato, infatti, talora rilevato che “Nei primi anni di vita del bambino l’universo conoscitivo si identifica prevalentemente con un referente, in genere costituito dalla figura materna (o comunque dall’adulto di riferimento), con il quale soltanto il figlio è in grado di relazionarsi, gradualmente poi estendendosi il suo percorso conoscitivo ad altri adulti. Questo esclude che le figure genitoriali possano avere nei primi anni di vita del bambino pari rilevanza. A partire dal compimento del 3° anno di vita del minore si potrà introdurre il pernottamento consecutivo specie in relazione ai periodi di vacanza estivi ed alle festività (Natale,Pasqua, etc.), introducendo gradualmente ulteriori pernottamenti”. Tribunale di Roma, 5.05.2017)


Si segnalano, comunque, altre pronunce di tenore più o meno restrittivo.


Ad esempio, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la pronuncia di primo e secondo grado che limitava le possibilità del figlio di pernottare più di una volta a settimana col padre sino all’età di quattro annitenuto conto dell’assenza di una convivenza del padre con il bambino prima della rottura del rapporto con la madre, nonchè della situazione lavorativa” che imponeva frequenti spostamenti paterna (cass. Civ. 19594/2011).

In altro caso, il Tribunale di Milano ha rilevato che “la genitorialità si apprende facendo i genitori e, dunque, solo esercitando il ruolo genitoriale una figura matura e affina le proprie competenze genitoriali; il fatto che, al cospetto di una bimba di due anni, un padre non sarebbe in grado di occuparsene, è una conclusionale fondata su un pregiudizio che confina alla diversità (e alla mancanza di uguaglianza) il rapporto che sussiste tra i genitori”. Conseguentemente è stato disposto l’affidamento della figlia di due anni ad entrambi i genitori, con potestà del padre di tenerla con se anche la notte a week end alternati, nonché per più giorni durante le ferie natalizie ed estive.


Una recente sentenza del Tribunale di Trieste è stata del medesimo avviso di quello meneghino.

La pronuncia appurava un clima di aspra conflittualità tra i coniugi, ma rilevava come entrambi nulla avessero ad obiettare circa le rispettive capacità genitoriali.

Sulla base di tale circostanza, il Tribunale Friulano “tenuto conto dell’età del minore, ormai svezzato, in assenza di elementi concreti nel senso di un’inadeguatezza del padre, il collegio ritene di disporre una regolamentazione del collocamento che preveda l’immediata introduzione dei pernotto, sia pur graduale”. (Tribunale di Trieste, 5 settembre 2018 )


Ciò che accomuna ogni sentenza, anche la più concessiva, è la gradualità con cui debba intervenire il progressivo distacco dall’esclusiva assistenza materna in favore di una permanenza via via più consolidata col padre, al fine di consentire ai figli di ambientarsi senza traumaticità al cambiamento.

Nella decisione del Tribunale di Trieste sopra riportata, ad esempio, veniva stabilito il pernotto per una volta alla settimana fino al compimento di due anni e tre mesi, per due notti sino ai tre anni, per tre notti da tre anni in poi.

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto


Per una consulenza da parte degli avvocati Berto in materia di


Pernotto dei figli in tenera età dopo la separazione

Il genitore non versa il mantenimento per i figli? è reato anche se vi abbiano provveduto altri

A sfamare i figli ci pensa qualcun altro? Se un genitore non versa il mantenimento per i figli incorre comunque in un reato.

Tanto ci pensano i nonni. O la zia. E comunque il mio ex coniuge ha un buono stipendio, per cui ai figli non mancherà di che vivere.

Sembra una vecchia tiritera, ma viene frequentemente addotta a scusa principale dal genitore che non voglia corrispondere il mantenimento dei figli.

Il malinteso – anzi, il pretesto – risiede nel fatto che la legge quando viene a sanzionare penalmente tale condotta, fa riferimento a chi “abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie , si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale”, e faccia “mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro”.

Pare che incorra nel reato solo chi, sottraendosi ai propri obblighi alimentari, renda sprovvisti di che vivere i propri figli, di tal che– appunto – se così proprio non fosse, perché vi abbia provveduto qualcun altro, non si verterebbe nell’ipotesi criminosa disciplinata dall’art. 570 cp.

genitore non mantiene figli

Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 52663/2018) ci dice che così non è.

Il succo della pronuncia è questo: la minore età dei figli costituisce essa stessa, in via presuntiva, una condizione di bisogno.

Appare fin quasi lapalissiano affermarlo, ma da tale circostanza consegue l’obbligo, ex lege, per i genitori di assicurare mezzi di sussistenza ai discendenti.

Nella nozione penalistica di mezzi di sussistenza, (diversa dalla più estesa nozione civilistica di mantenimento) debbono ritenersi compresi non più e non soltanto i mezzi per la sopravvivenza vitale(quali il vitto e l’alloggio), ma altresì gli strumenti che consentano un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (ad esempio: abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione).

L’’obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza ai figli di minore età grava sue entrambi i genitori e permane indipendentemente dalle vicissitudini dei rapporti coniugali. L’assolvimento di questo obbligo da parte di uno dei genitori o anche da altri congiunti non esenta in alcun modo l’altro, che sarà sanzionabile se non contribuisca per la propria parte.


Il genitore non versa il mantenimento per i figli? Reato anche se vi abbia provveduto l’altro, perchè l’obbligo grava su tutt’e due.

A mettere la parola fine ad ogni fraintendimento, è accorsa una recente novella legislativa, con cui è stata introdotta una nuova fattispecie di reato, art. 570 bis cp, che sanziona il “coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili odi nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.

La violazione delle disposizioni economiche statuite nella separazione o divorzio è sanzionata, pertanto, a prescindere dalle conseguenze che possa aver avuto per le persone offese.

Anche con la nuova legge non sono mancati dubbi interpretativi: pare,infatti, fare letteralmente riferimento alle condotte dei “coniugi”,per cui potrebbero risultarne apparentemente esclusi i genitori non coniugati.

La norma poi sanziona la condotta di chi congiuntamente violi le condizioni economiche in materia di separazione e di affidamento dei figli. Cosicchè l’omissione di uno solo dei due richiami non legittimerebbe a considerare integrata la fattispecie criminosa.

Siamo sicuri che le prossime pronunce di legittimità e di merito contribuiranno a dare definitiva chiarezza.

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Il genitore non versa il mantenimento per i figli?

Per una consulenza da parte degli avvocati Berto

Se il figlio maggiorenne non vuole uscire di casa ..

Quale rimedio hanno i genitori se il figlio maggiorenne non vuole uscire di casa? La vicenda del sessantenne che abitava ancora con mamma e papà.

Bamboccione: “uomo dal comportamento infantile e viziato, poco maturo o responsabile; giovane maturo, che invece di rendersi autonomo continua a stare in casa con i genitori, e si fa mantenere da loro” (wikipedia)
Il termine era tornato di moda quando il ministro dell’economia Padoa Schioppa  gettava un sasso, verosimilmente anche provocatorio, contro la sempre minore inclinazione dei giovani a crescere, ad immettersi nel mercato del lavoro, abbandonando il nucleo famigliare per affrancarsi.

mantenimento figli maggiorenni
il figlio maggiorenne non vuole uscire di casa: dopo i 34 anni no diritto al mantenimento

Fino a quando i genitori debbono mantenere i figli?

Ne abbiamo già più e più volte parlato: ecco i riferimenti link 1, link 2, link 3 

Oggi ci soffermiamo su un caso abbastanza particolare, anche se via via non più così isolato: figli assolutamente cresciuti, ultra maggiorenni, che non se ne vogliono andare di casa, malgrado i genitori facciano di tutto per incentivare l’uscita.

Avere la casa libera, infatti, non solo è la prospettiva cui debbono tendere madri e padri che vogliano vedere indipendenti ed emancipati i propri (non più) piccoli discendenti, ma può talora costituire una vera e propria necessità, dettata – ad esempio – dall’esigenza di impiegare l’immobile familiare in altre soluzioni d’utilizzo, financo alla vendita.

Come è inquadrabile giuridicamente la protratta permanenza dei figli nell’abitazione dei genitori e quale rimedio può essere loro concesso per sollecitarne l’uscita?

Un’interessante sentenza del Tribunale di Modena ci aiuta a fare il punto.

La vicenda sottoposta alla pronuncia del giudice riguardava un’anziana signora che aveva da sempre convissuto col figlio, fino al ricovero in una casa di riposo, ove era stata ospitata per seguire una terapia specialistica e per far fronte alla propria condizione di non autosufficienza.

Nominato un amministratore di sostegno, questi chiedeva per conto della signora beneficiaria che il di lei figlio, ormai sessantenne, fosse condannato ad uscire dalla casa della madre, che aveva necessità di averla libera, anche in considerazione del fatto che il “ragazzo” non versava alcun canone o indennità, né partecipava alle spese in alcun modo ed aveva anche un comportamento violento nei confronti dei genitori, che era stato già oggetto di querela in sede penale.

Le argomentazioni giuridiche svolte dalla madre erano volte a configurare una sorta di contratto di comodato intercorso col figlio, in virtù del quale era facoltà del proprietario chiedere, in difetto della pattuizione di un termine, l’immediata restituzione del bene.

Il figlio si costituiva, negando fosse mai intervenuto alcun contratto di comodato e sostenendo che la propria presenza in casa era attribuibile ad una sorta di spontanea assunzione dei genitori al suo mantenimento o, comunque, alla corresponsione degli alimenti in suo favore, atteso il permanente stato di disoccupazione.

alimenti figli

 

Il Tribunale ha dapprima demolito la prospettazione del convenuto, da un lato ritenendo che “dopo una certa età, il figlio maggiorenne, non ancora indipendente, raggiunge comunque una dimensione di vita autonoma che lo rende, se del caso, meritevole dei diritti” alimentari “ma non più del mantenimento … in forza dei doveri di autoresponsabilità che su di lui incombono”. Ciò anche per non scadere in “forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani”.

Il giudice, tra l’altro, ha rilevato che secondo le statistiche europei e nazionali, dopo la soglia dei 34 annilo stato di non occupazione del figlio non essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento”.

Dall’altro lato, il Tribunale ha respinto l’ipotesi di configurare il diritto del convenuto ad abitare la casa materna come declinazione del diritto agli alimenti, non essendo tra l’altro intervenuta alcuna prova in tal senso.

Tra l’altro ben potrebbe il soggetto tenuto a tale obbligazione offrirsi di corrisponderla, anziché in natura -col vitto e alloggio – tramite corresponsione di assegno alimentare e, pertanto, pienamente legittima sarebbe stata l’istanza di rilascio della casa, tenuto conto, tuttavia, che non era nemmeno intervenuta alcuna richiesta di somministrazione alimentare da parte del figlio.

Il giudice modenese ha pertanto ricondotto la fattispecie sottoposta alla sua decisione ad una sorta di “negozio atipico di tipo familiare, concluso per fatti concludenti”: una sorta di contratto, non espressamente previsto dalla legge, con cui le parti – senza prevederne esplicitamente gli elementi – hanno dato luogo con comportamenti accettati tra esse e, in buona sostanza, riconducibili alla facoltà per l’uno di vivere presso l’abitazione dell’altra.

Tale tipo di contratto – seppur non disciplinato dal legislatore – avrebbe potuto essere ricondotto a quello, simile, del “comodato precario”, ossia senza pattuizione di durata, a mente del quale il comodante può richiedere la restituzione del bene a semplice richiesta.

Il giudicante, pertanto, ha ritenuto che “i genitori hanno quindi il diritto di richiedere al figlio convivente di rilasciare e liberare l’immobile occupato con il solo limite – imposto dal principio di buona fede – che sia concesso all’altra parte un termine ragionevole, commisurato alla durata del rapporto”.

 

La sentenza: Tribunale di Modena, Sez. II, 1 febbraio 2018, n. 165.

 

Per una consulenza in materia di diritto dei figli maggiorenni ad abitare la casa familiare da parte degli avvocati Berto, clicca qui.

 

 

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Il versamento diretto dell’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni

Il versamento diretto dell’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni.

Non parliamo dei presupposti dell’assegno di mantenimento, né fino a quando i genitori saranno tenuti a mantenere i figli una volta che abbiano raggiunto la maggiore età.

Ecco i link (1, 2, 3) con cui abbiamo tratto il tema, che riportiamo per comodità.

Oggi ci soffermiamo non tanto sul “se” sia dovuto l’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni, ma sul “come” debba essere onorato: i soldi vanno dati al genitore con cui convivono o ai figli direttamente?

mantenimento figli maggiorenni

Partiamo dal dato normativo

Art 337 septies ccIl giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto.”.

 Quindi: se il giudice ritenga dovuta una contribuzione, dispone, in linea di massima, il versamento diretto dell’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni.

Primo quesito: chi è legittimato a chiedere tale partecipazione?

Senza dubbio i figli stessi, raggiunta la maggiore età, potranno agire per chiedere venga disposta la contribuzione dei genitori al loro mantenimento, allorquando non siano economicamente autosufficienti.

La Corte di Cassazione ha, infatti, riconosciuto a più riprese la legittimazione del figlio maggiorenne economicamente non indipendente ad intervenire nel giudizio di separazione personale dei propri genitori per fare valere il proprio diritto al mantenimento.

Parimenti, ai giovani che abbiano raggiunto la maggiore età è conferita la possibilità di chiedere la modifica delle condizioni di separazione o divorzio nel caso ve ne siano i presupposti per quanto attiene il loro mantenimento.

Alla legittimazione dei figli maggiorenni, si aggiunge quella del genitore presso cui convivano a chiedere la contribuzione a carico dell’altro coniuge in favore della prole.

E’ stato disposto, infatti, che il genitore, separato o divorziato, a cui il figlio sia stato affidato durante la minore età, sia legittimato iure proprio ad ottenere dall’altro genitore il pagamento dell’assegno per il mantenimento del figlio, quale titolare di un diritto autonomo (e concorrente con quello del minore) a ricevere il contributo alle spese necessarie a detto mantenimento anche dopo il raggiungimento della maggiore età del figlio che non sia ancora autosufficiente.

Tale legittimazione è assicurata anche in assenza di un’autonoma richiesta del figlio, purché persista e non venga meno il rapporto di coabitazione. (Cass Civ 12972 2017)

E’ stato ritenuto congruo che, mentre il figlio maggiorenne conviva con il genitore, possa essere conferito a quest’ultimo la possibilità di agire direttamente per ottenere la contribuzione al suo mantenimento, proprio perché è lui a farsene carico, a sostenere le spese necessarie per vitto, alloggio, etc. 

versamento diretto figli maggiorenni
assegno mantenimento figli maggiorenni versamento diretto

Secondo quesito: a chi deve essere versato l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne?

In linea di massima, come visto, il giudice dispone che la contribuzione sia versata direttamente nelle mani del figlio.

Avendo, infatti, conseguito la capacità di agire con il raggiungimento della maggiore età, ben potrà essere destinatario e gestore degli importi dovuti.

Ciò sia che viva da solo, sia che conviva con un genitore: in tal caso dovrà mettere a disposizione parte di tali somme per contribuire alle spese sostenute anche in suo favore.

Alcuni interpreti hanno tuttavia rilevato che se l’assegno di mantenimento del figlio sia stato disposto quando ancora questi era minorenne – e pertanto doveva essere versato nelle mani dell’altro genitore – tale modalità di adempimento rimarrà invariata anche una volta raggiunta la maggiore età, salva la possibilità del figlio di attivarsi affinché gli venga corrisposto direttamente l’assegno.

Alla stregua di questa considerazione, la richiamata disposizione del codice civile, volta a disporre – in via generale – la contribuzione direttamente alla prole che abbia conseguito la maggiore età sarebbe applicabile al caso in cui l’assegno in favore del figlio fosse disposto quando questi già sia maggiorenne.

Da ultimo, si segnala come sia pacifica in giurisprudenza la circostanza secondo cui il genitore tenuto a versare l’assegno non possa decidere autonomamente a chi corrisponderlo, ma debba attenersi scrupolosamente a quanto statuito nel provvedimento che gli abbia attribuito tale onere.

Capita, infatti, di frequente – soprattutto per ragioni attinenti i rapporti (e gli strascichi) tra ex coniugi – che il genitore tenuto all’assegno in favore del figlio pretenda di versare direttamente a costui le somme dovute, quando abbia raggiunto la maggiore età.

La giurisprudenza sul punto è ferrea: “il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, non può pretendere, in mancanza di una specifica domanda del figlio, di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest’ultimo anzichè del genitore istante. Invero …sia il figlio, in quanto titolare del diritto al mantenimento, sia il genitore con lui convivente, in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo dell’altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento cui materialmente provvede, sono titolari di diritti autonomi, ancorchè concorrenti, sicchè sono entrambi legittimati a percepire l’assegno dall’obbligato; di conseguenza, il genitore obbligato non ha alcuna autonomia nella scelta del soggetto nei cui confronti adempiere.”.

(Cass. Civ. 9/07/2018 n, Cass. civ. Sez. I, 17/05/2017, n. 12391)

Per una consulenza in materia di versamento diretto dell’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni da parte degli Avvocati Berto, clicca qui.

 

 

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Litigare davanti ai figli può costituire reato?

Litigare davanti ai figli: la violenza assistita, se ripetuta ed idonea a ledere la stabilità emotiva della prole, può realizzare il reato di maltrattamenti in famiglia.

Ne stanno parlando pure Di Maio e Salvini, in questo periodo così tumultuoso per le sorti del nostro paese: gli effetti negativi delle crisi familiari debbono essere arginati, soprattutto a tutela dei figli, specie minori, tanto è che nel loro “contratto di governo” i due esponenti politici stanno “valutando l’introduzione di norme volte al contrasto del grave fenomeno dell’alienazione parentale”. 

In attesa di capire quali possano essere gli interventi legislativi promessi e, soprattutto, di appurarne la loro eventuale – ma auspicabile – efficacia, ci soffermiamo a riflettere su un altro fenomeno, purtroppo, assai diffuso: quello delle liti accese tra genitori cui sono testimoni inermi i figli.

Litigi davanti ai figli: è reato?

Arriva l’estate, la bella stagione. Col caldo si aprono le finestre, anche a notte inoltrata. Capita di sovente che la brezza della sera si accompagni al rumore di urla, insulti, pianti e frastuoni provenienti da abitazioni vicine, che prima non si udivano, perché col freddo ci si rinchiudeva in casa, ma ora non si riescono ad ignorare.

Il pensiero degli astanti correrà, allora, ai figli dei litiganti, spettatori inermi di un spettacolo a cui chiunque vorrebbe essere esentato ad assistere.

Può essere ammessa una condotta simile? E’ giuridicamente lecito mantenere comportamenti che potrebbero ledere la stabilità emotiva di bambini o adolescenti in età evolutiva, con gravi ripercussioni, appurabili anche in età adulta?

La risposta è, ovviamente, negativa, ma il percorso per arrivarci non è così agevole.

Non c’è, infatti, una norma che espressamente venga a punire – di per se stessa – la cd “violenza assistita”, che attualmente è una semplice circostanza aggravante di altri reati commessi in presenza o in danno di un minore di anni 18 (art. 61, n 11 quinquies cp). 

maltrattamenti in famiglia
Chiunque, maltratta una persona della famiglia … è punito con la reclusione da due a sei anni.

Maltrattamenti in famiglia

Un’interessante – quanto recentissima – Sentenza della Corte di Cassazione ha inserito la fattispecie nell’ambito del delitto di “maltrattamenti in famiglia” (Art. 572 cp)

Come accennato, l’approdo non è stato così scontato ed il motivo è presto detto.

Il reato di maltrattamenti riguarda colui che, appunto, maltratta una persona della famiglia.

I maltrattamenti sembrano presupporre una condotta attiva di atteggiamenti vessatori – fisici e/o psicologici – rivolti alla persona offesa. Ma se tali comportamenti non siano diretti verso i figli ma alla persona del coniuge e i minori si limitino ad essere spettatori passivi di tali condotte violente e offensive potrebbe sorgere qualche dubbio in ordine alla integrazione del reato nei confronti della prole.

La Cassazione non ha questi dubbi.

Il caso in esame riguardava due genitori, animati da un’accesissima ostilità e disaccordo, che – ben guardandosi dal simulare le loro liti ai figli minori – li costringevano “a presenziare alle reiterate manifestazioni di reciproca conflittualità realizzate nell’ambito del rapporto di convivenza (….) mediante ripetuti episodi di aggressività fisica e psicologica, con condotte vessatorie e continui litigi, minacce e danneggiamenti di suppellettili”.

Ebbene, non si trattava di verificare se tali comportamenti avrebbero potuto legittimare la configurazione del reato di maltrattamenti di un genitore nei confronti dell’altro – rispetto al quale ben si sarebbe potuta invocare l’aggravante della violenza assistita dai minori (per un reato, lo si ripete, avente come persona offesa il coniuge) – bensì si doveva vagliare se la fattispecie criminosa si sarebbe potuta richiamare nei confronti dei figli, nelle loro vesti di spettatori loro malgrado alle invettive di mamma e papà.

La Corte di Cassazione ha propeso per considerare integrato il reato di maltrattamenti nei confronti dei figli.

Maltrattattare è anche far assistere ai litigi

Litigare davanti ai figli
Litigare davanti ai figli può integrare il reato di maltrattamenti

Per gli ermellini “non è revocabile in dubbio che il delitto di maltrattamenti possa essere configurato anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano (solo) indirettamente quali involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri fra i genitori che si svolgano all’interno delle mura domestiche, cioè allorquando essi siano vittime di c.d. violenza assistita. La condotta di chi costringa minore, suo malgrado, a presenziare – quale mero testimone – alle manifestazioni di violenza, fisica o morale, è certamente suscettibile di realizzare un’offesa al bene tutelato dalla norma (la famiglia), potendo comportare gravi ripercussioni negative nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata”.

La Cassazione, ancora, rileva come costituisca “approdo ormai consolidato della scienza psicologica che anche bambini molto piccoli, persino i feti ancora nel grembo materno, siano in grado di percepire quanto avvenga nell’ambiente in cui si sviluppano e, dunque, di comprendere e di assorbire gli avvenimenti violenti che ivi si svolgano, in particolare le violenze subite dalla madre, con ferite psicologiche indelebili ed inevitabili riverberi negativi per lo sviluppo della loro personalità.”.

Da ultimo, e per precisione, va sottolineato come sia stato evidenziato dai Supremi Giudici come il reato di maltrattamenti imponga, per la sua realizzazione, non già un isolato od occasionale comportamento vessatorio, ma “una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo”.

La Sentenza: Cass., VI pen., sent. n. 18833/2018 

Per una consulenza in materia di violenza assistita da figli minori, clicca qui.

 

 

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Se un genitore si disinteressa del figlio può essere condannato al risarcimento del danno

Se un genitore si disinteressa del figlio

Può costituire un illecito endofamiliare che  comporta il risarcimento del danno il comportamento del genitore che si disinteressa del figlio.

“Non è difficile diventare padre. Essere un padre: questo è difficile.” (W. Busch)
 
Se generalmente la nascita di un figlio è un evento lieto e desiderato per i genitori, capita, talvolta, che sia frutto di un attimo di passione o di un evanescente impeto momentaneo, poi dissolto.
In ogni caso, il figlio che venuto al mondo acquista diritti al momento della nascita (art. 1 cc: capacità giuridica) e, segnatamente, quello di essere mantenuto, istruito, educato dai genitori. Da entrambi i genitori. (art 147 cc).
 
Non sono notizie, purtroppo, isolate quelle che riguardano padri – o più raramente madri – che si disinteressino totalmente dei figli, che li considerino semplici “eventi biologici”, negando loro l’affetto genitoriale.
genitore-si-disinteressa-del-figlio
Genitore che si disinteressa del figlio: può essere richiesto il risarcimento del danno

Genitore che si disinteressa del figlio: per la giurisprudenza è un illecito risarcibile

Si sta consolidando in giurisprudenza l’orientamento volto a riconoscere a queste condotte gli estremi di un illecito, un illecito endofamiliare, concretato nella violazione degli obblighi dei genitori nei confronti dei figli e forieri di giustificare il risarcimento del danno.
 
genitore si disinteressa del figlio
Se il genitore si disinteressa del figlio viola gli obblighi relativi al rapporto di filiazione stabiliti dall’art. 147 cc e costituzionalmente tutelati

Se il genitore si disinteressa del figlio determina “la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione … un elevato grado di tutela, sicchè tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, a sensi dell’art. 2059 cc, di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti” (Cass. Civ. 3079/2015)

 
Non si dimentichi, infatti, il grave stato di sofferenza che può comportare la deprivazione della figura parentale, materna o paterna, consistente “nelle ripercussioni sociali e personali derivanti dalla consapevolezza di non essere mai stato desiderato come figlio e di essere, anzi, rifiutato” (Così Tribunale di Cagliari 25 gennaio 2017)
 

Per una consulenza in materia di risarcimento danni da illecito endofamiliare, clicca qui.

 

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Assegnazione della casa familiare: l’acquisita indipendenza economica dei figli giustifica la revoca.

Può essere revocata l’assegnazione della casa familiare una volta che i figli siano divenuti autosufficienti.

Poniamo il caso: abitazione familiare, di proprietà esclusiva di un coniuge.

In assenza di figli, in linea di massima, non sarà data al giudice la possibilità di assegnare la casa al coniuge non proprietario in caso di separazione.

Se vi siano figli, il discorso cambia.

L’art.  337-sexies c.c. stabilisce che “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli“.

La tutela muove dal riconoscimento dell’esigenza di preservare la prole dalle conseguenze negative della separazione dei genitori, cercando di conservare l’habitat, le abitudini di vita, il consorzio sociale nel quale i figli sono inseriti e che lo sradicamento comprometterebbe.

Fino a quando opera tale tutela per l’assagnazione della casa familiare?E’ possibile sostenere che l’assegnazione della casa familiare segua le sorti dell’obbligo al mantenimento dei figli da parte dei genitori: dovuto fino al raggiungimento dell’indipendenza economica dei discendenti.Lo ha – indirettamente – ribadito una recente ordinanza della corte di Cassazione, che ha respinto l’impugnazione avverso un provvedimento di revoca dell’assegnazione della casa familiare, originariamente attribuita ad una madre convivente con la figlia, non economicamente autosufficiente.

 

assegnazione della casa familiare
L’acquisita indipendenza economica dei figli giustifica il provvedimento di revoca dell’assegnazione della casa familiare
A seguito del reperimento di occupazione da parte della ragazza – evidentemente connotata da stabilità ed adeguata redditività  –  il padre chiedeva la modifica delle condizioni di divorzio e, appunto, di rientrare in possesso dell’abitazione di sua proprietà esclusiva.Domanda accolta, in virtù del fatto che era venuto meno l’originario presupposto di tutela del principale interesse della prole con il conseguimento dell’indipendenza economica.Principio fatto proprio dalla Suprema Corte: con l’autosufficienza verrà meno tanto l’obbligo di mantenimento, quanto l‘assegnazione della casa familiare.Il provvedimento: Cassazione civile, ordinanza 22 gennaio 2018, n. 1546

 

Per una consulenza in materia di “assegnazione della casa familiare” da parte degli avvocati Berto, clicca qui.

 

 
Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto