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Revoca assegno mantenimento in caso di nuova relazione: non è indispensabile la coabitazione.

 

 

Alcune recenti pronunce ci aiutano a fare il punto sulla richiesta di revoca assegno mantenimento in caso di nuova relazione del coniuge beneficiario.

 

Mia moglie si è presa la casa, la macchina, il conto in banca, e se mi sposerò di nuovo e avrò dei figli si prenderà anche loro.
(Woody Allen)

 

Fino a quando?


Dico, fino a quando…sarò tenuto a corrispondere il mantenimento alla mia ex moglie?


Domanda tipo che viene sciorinata all’avvocato divorzista dopo qualche anno dallo scioglimento del matrimonio.


Noi ce ne siamo già occupati in passato, per cui siamo molto preparati (ah no? ecco i link 1, 2, 3, )

In buona sostanza, dobbiamo fare riferimento a “giustificati motivi sopravvenuti”: fatti, cioè, non considerati al momento della pronuncia separativa o divorzile, il cui sopraggiungere stravolge o modifica sensibilmente l’attualità e la congruità dei provvedimenti che sono stati assunti e la cui sussistenza giustifica un cambiamento delle statuizioni o di parte di esse.


Per citare alcuni esempi, casi frequenti sono la perdita o la contrazione del lavoro del coniuge onerato dell’assegno, il reperimento di occupazione da parte di quello che ne è beneficiario, la nascita di un figlio.

 

 

Revoca assegno mantenimento in caso di nuova relazione
Revoca assegno mantenimento in caso di nuova relazione

 

 


E una nuova relazione intrapresa dall’ex coniuge, può giustificare la modifica delle condizioni di separazione o divorzio e la revoca assegno di mantenimento?


Attenzione, già la legge sul divorzio statuisce che l’obbligo di corresponsione dell’assegno cessi se il coniuge a cui debba essere corrisposto passi a nuove nozze.


Tale previsione poggia sul fatto secondo cui – con l’instaurarsi di una nuova famiglia – venga meno qualsivoglia solidarietà post coniugale derivante dal precedente matrimonio. Adesso ci sarà un nuovo coniuge obbligato all’assistenza materiale di quello, già precedentemente divorziato.


La giurisprudenza, oramai assestata, riconosce equivalente trattamento anche all’ipotesi di stabile convivenza more uxorio intrattenuta dal coniuge separato o divorziato.


L’instaurazione di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, facendo venir meno i presupposti per l’erogazione dell’assegno contributivo.


Il fondamento della cessazione dell’obbligo di contribuzione deve essere individuato nel principio di autoresponsabilità, ossia nel compimento di una scelta consapevole e chiara, manifestata con il compimento di fatti inequivoci, per aver dato luogo ad una unione personale stabile e continuativa, che si è sovrapposta al matrimonio.


La ricerca, la scelta e il concreto perseguimento di un diverso assetto di vita familiare, da parte del coniuge che pur abbia conseguito il riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento o di divorzio, fa venir meno il diritto alla contribuzione periodica, essendo la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole.


Si noti, deve trattarsi di una relazione caratterizzata dalla stabilità: non è necessario che si traduca in nuovo sposalizio, o che debba durare per anni annorum, ma che si riveli come legame connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti.
Non basta tuttavia la prova di una relazione amorosa, ancorché stabile, dell’ex coniuge ma, come detto, l’instaurazione di una famiglia di fatto basata su di una scelta esistenziale implicante una reale progettualità di vita, qual è quella propria della convivenza con altra persona, che fa sorgere obblighi di “reciproca assistenza morale e materiale”.

 

 

assegno divorzile nuova convivenza

 

Convivenza non significa coabitazione.


Un’interessante, quanto recentissima, sentenza della Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare come – ai fini di rinvenire una stabile convivenza, sufficiente a far venir meno l’obbligo di versare l’assegno da parte dell’ex coniuge, non sia necessaria una permanente coabitazione, potendosi la relazione concretizzare anche in una comunione di vita, con spontanea e volontaria assunzione di reciproci impegni di assistenza morale e materiale, a prescindere dal fatto che la coppia viva sotto lo stesso tetto.
Anzi.


Ai giorni d’oggi occorre prendere atto del cambiamento sociale che stiamo vivendo, ove si instaurano e si mantengono rapporti affettivi stabili a distanza con frequenza molto maggiore che in passato (anche nelle famiglie fondate sul matrimonio) ed è indice sintomatico del fatto che l’elemento della coabitazione è destinato ad assumere un rilievo sempre più recessivo rispetto ai tempi precedenti.


Appiattire il concetto di convivenza con quello della coabitazione significherebbe svilire una fetta considerevole dei rapporti di fatto intrattenuti dalle odierne coppie e trascurare che una famiglia può sussistere anche in luoghi diversi rispetto a quelli in cui uno dei due conviventi lavori, o debba trascorrere gran parte della settimana o del mese, vuoi per motivi personali o patrimoniali, vuoi per impegni di cura o assistenza, senza che per ciò venga meno la famiglia.


La Cassazione nota, altresì, che sussistono anche realtà in cui le famiglie si formano senza avere neppure, per un periodo di tempo più o meno lungo, una casa comune, intesa come casa dove si svolge la vita della famiglia ,in quanto ognuno dei due partners è tenuto per i propri impegni professionali o per particolari esigenze personali, a vivere o a trascorrere gran parte del proprio tempo in un luogo diverso dall’altro.


Non può essere sottaciuto come la recente legge sulle unioni civili n. 76/2016 abbia considerato la nozione di convivenza di fatto come relazione tra due persone maggiorenni unite da stabili legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, senza che sia richiesta una perdurante coabitazione.


Quest’ultima, semmai, potrà essere sintomatico indice dell’esistenza di una convivenza di fatto, senza per ciò assurgere a requisito imprescindibile.

 

 

Risarcimento danni per mancato pagamento assegno di mantenimento

 

E se, anche a seguito della nuova relazione, l’ex coniuge non abbia adeguati mezzi economici? E se poi anche la nuova convivenza terminasse? Può essere disposta la revoca della revoca assegno di mantenimento’ 

 

Au – to – re – spon – sa – bi – li- tà


Lo abbiamo detto.

La formazione di una nuova famiglia di fatto è espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole, che si caratterizza anche per l’assunzione del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua responsabilità post matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo. (cass. Civ. 6855/2015).

Con la nuova relazione, si è rescissa ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, poichè la nuova comunità familiare ha fatto venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, cosicchè il relativo diritto ne resta definitivamente escluso (cass. Civ. 32871/2018).

 

 

 

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E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità?

 

 

E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità?

 

 

“Ho ereditato un milione da mia nonna ma me lo voglio tenere per ricordo!”
MACARIO

 

 

Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere” (art. 9, L 898/1970)


Non ricordo il numero di articoli (1, 2, 3,…) con i quali ci siamo soffermati su questa disposizione della legge sul divorzio.

 


Facciamo una statistica? Quali sono le domande più ricorrenti che i clienti rivolgono all’avvocato in sede di revisione delle condizioni divorzili?

 


I dati precisi precisi non li abbiamo, ma possiamo senz’altro inserire sul podio: “E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità?”.


Certo, lo scettro del vincitore lo contendono anche domande del tipo “e se uno dei due ex perde il lavoro?” “ e se lei/lui si risposasse?” “e se dovesse avere figli da un’altra relazione?”.


E’ un dato di fatto, comunque, sempre per citare la statistica, che spesso l’evento “divorzio” frequentemente avviene in un periodo della vita in cui i coniugi sono abbastanza maturi, ma non di età avanzatissima, tanto da avere ancora i genitori in vita, per cui al trauma dello scioglimento del matrimonio si potrebbe accompagnare, di lì a poco, quello della perdita di un ascendente, con conseguente passaggio ereditario.


Ebbene, riteniamo che la risposta alla domanda che ci siamo posti oggi potrebbe essere interessante da un duplice punto di vista, a seconda che il fenomeno successorio coinvolga (l’ex) coniuge beneficiario dell’assegno divorzile, o quello che ne sia onerato.

 

figli casa di riposo

 

 


A) l’ex coniuge beneficiario del mantenimento riceve un’eredità.

 


Partiamo dal presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile: il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.


Conseguentemente, se il coniuge a cui sia stato riconosciuto l’assegno, grazie ai proventi di un’eredità favorevole, conseguisse “mezzi adeguati”, ossia idonei a renderlo autonomamente capace, senza necessità di integrazioni ad opera dell’obbligato, senza dubbio potrebbe perdere il contributo riconosciutogli in sede divorzile.


Qualora il lascito che abbia conseguito non sia così ingente, tale da poter campare per il resto della vita, potrebbe comunque legittimare una riduzione dell’onere cui sia tenuto l’ex consorte.


Secondo la giurisprudenza, anche recentissima ( Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 05/06/2020, n. 10647) l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, è presupposto fattuale (dei “giustificati motivi”) necessario per procedere al giudizio di revisione dell’assegno e potrebbe certamente risiedere nel conseguimento di congrui attivi ereditari.

 

 

cila in sanatoria
E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità

 

B) l’ex coniuge onerato del mantenimento riceve un’eredità.

 


Eh certo, il fenomeno successorio, al netto dei patimenti conseguenti al lutto, potrebbe riverberarsi positivamente sulle condizioni economiche del coniuge tenuto a versare l’assegno divorzile.


Quindi? Deve essere aumentata la contribuzione?


pian coe bombe” si dice qui in Veneto.


L’accertamento del diritto all’assegno di divorzio va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi (o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), raffrontati alle condizioni personali che potevano legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio.


Nella individuazione di tali aspettative, deve tenersi conto unicamente delle prospettive di miglioramenti economici maturate nel corso del matrimonio che trovino radice nell’attività all’epoca svolta e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale dell’onerato, e cioè solo di quegli incrementi delle condizioni patrimoniali dell’ex coniuge che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio.


E’ escluso, pertanto, che all’ex coniuge che già abbia mezzi adeguati – vuoi autonomamente, vuoi grazie al contributo riconosciutogli attraverso l’assegno divorzile – possa aspettare un’automatica revisione in melius delle condizioni di scioglimento del vincolo.

 

 

 

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modifica delle condizioni di divorzio

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Guida agli aspetti legali della crisi nel matrimonio e nella coppia

Avvocato separazione Vicenza

Questo contributo non è un manuale di diritto.

Di quelli ce ne sono parecchi, alcuni preziosissimi, forse troppo elaborati e tecnici per chi, come te, si trova coinvolto nel marasma di un matrimonio in difficoltà e vuole conoscere alcune informazioni base sui passi da intraprendere, sui percorsi da esplorare, sui propri diritti e i propri doveri, verso il coniuge, verso i figli.

Ho frequentato il liceo classico da giovane. A chi, come molti, mi chiede a cosa sia servito studiare lingue “morte”, storia di culture passate e remote, materie non immediatamente spendibili per un lavoro, io rispondo che ho imparato a voler conoscere, ad andare alla ricerca di risposte, a desiderare di informarmi sempre di più, a scoprire chi sono, dove mi trovo e dove voglio andare.

Bene, sono convinto che da qualche nozione fondamentale si possa ottenere una prima risposta ai quesiti che passano per la testa durante la crisi matrimoniale.

A te, che cerchi una strada, sta il compito di approfondirle o di farti accompagnare.

Avv. Paolo Giovanni Berto

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La crisi nel matrimonio e nella coppia

Guida semplice agli aspetti legali da conoscere per affrontarla

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Riduzione assegno mantenimento per emergenza coronavirus?

 


Riduzione assegno mantenimento per emergenza coronavirus?

 

Uno dei quesiti più ricorrenti che vengono sottoposti agli avvocati in questi periodi così concitati e drammatici della crisi sanitaria in atto è se sia possibile procedere alla riduzione dell’assegno di mantenimento per l’emergenza legata al coronavirus.


La notizia è già finita sui giornali da qualche giorno: per i coniugi/genitori vi è il rischio di non riuscire a far fronte ai proprio obblighi statuiti nelle condizioni di separazione/divorzio, vuoi per quanto attiene l’assegno a favore del coniuge, vuoi per il contributo al mantenimento dei figli


Siamo ancora in mezzo al turbillon: impossibile fare precise previsioni su quando terminerà e su quali saranno le ripercussioni economiche che porterà con sé.


Un dato, per molti, è già palpabile: una contrazione lavorativa estrema, entrate nulle, spese immutate a cui far fronte attingendo i propri risparmi (per chi sia riuscito a metterne da parte).


Gli interventi di sostegno alle famiglie costituiscono un tampone striminzito che non fa cessare l’emorragia.


Non sono state previste, al momento, misure ad hoc di sussidio alle famiglie di separati e divorziati, le più penalizzate, se si tenga conto che debbono far fronte a doppie spese di casa, utenze, vitto eccetera.

 

riduzione mantenimento figli coronavirus

 


La situazione è drammatica per il coniuge/genitore che sia tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento, per il consorte o per i figli: egli potrebbe, infatti, avere difficoltà non solo per far fronte alle spese vive personali, detratto il contributo separativo o divorzile, ma anche ed addirittura a versare tutto o in parte l’importo mensile all’altro coniuge.


Procedere all’auto riduzione della contribuzione potrebbe comportare conseguenze spiacevoli al soggetto obbligato: un’esposizione ad azioni esecutive per il recupero degli arretrati, in sede civile, la possibilità di essere coinvolto in un procedimento penale, relativamente alle fattispeci di cui agli art. 570 e 570 bis cp, concernenti rispettivamente la violazione degli obblighi di assistenza familiare e violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio.


Rimedi?


La soluzione migliore sarebbe, senza dubbio, quella di perseguire la via del dialogo, cercando di trovare un accordo con il coniuge percipiente volto a convenire la riduzione dell’assegno di mantenimento per tutto il periodo di emergenza coronavirus ed anche per quello successivo, limitatamente alla fase in cui l’onda distruttiva della crisi avrà mietuto le risorse delle famiglie più esposte.


Con una precisazione ed una distinzione.


Se oggetto del contendere sia solamente la corresponsione dell’assegno separativo o divorzile in favore di un coniuge, nessun problema, sarà sufficiente darne contezza probatoria in un documento scritto, ricognitivo del sopraggiunto accordo.

 

 


La giurisprudenza ha da tempo affermato la validità degli accordi di natura patrimoniale successivi alla separazione o al divorzio, con i quali i coniugi contrattualmente modifichino le condizioni già oggetto di pronuncia giudiziale, sia sulla scorta di un loro ripensamento, sia alla stregua di circostanze sopravvenute e rilevanti, purché non siano volti a travolgere completamente gli obblighi ed i diritti nati col matrimonio. Nel rispetto di tali condizioni, le modificazioni acquistano efficacia indipendentemente dall’intervento del giudice (ex multis, vedasi Cass. civ. Sez. I, 10/10/2005, n. 20290).


Se, al contrario, si debba regolare la contribuzione mensile per i figli, questioni di opportunità giuridica suggeriscono alle parti concilianti di sigillare l’accordo col benestare del Tribunale, chiamato a verificarne la congruità, giacchè la giurisprudenza è oscillante nell’attribuire validità ad accordi a latere relativi alle condizioni di affidamento della prole, senza l’omologazione della pronuncia giudiziale a controllo della relativa adeguatezza.


Alternativo al percorso in Tribunale, potrà essere efficacemente esperito dai genitori – ognuno assistito dal proprio avvocato – quello alternativo della negoziazione assistita, il cui accordo conclusivo dovrà essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, se riterrà che l’accordo risponda all’interesse dei figli, lo autorizzerà.


Riduzione assegno mantenimento per emergenza coronavirus: se i coniugi/genitori non trovano un accordo, quali rimedi?

 


Il ricorso alla via giudiziale.


Le parti possono sempre chiedere, con le forme del procedimento in camera di consiglio, la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione”


Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere”

Tanto per la separazione quanto per il divorzio, il Tribunale, su istanza della parte interessata, può pronunciare la modifica del provvedimento concernente il mantenimento.


Presupposto comune ad entrambe le fattispecie è che ricorrano sopravvenuti e giustificati motivi.


Sopravvenuti, nel senso che debbono essere modificativi della situazione in relazione alla quale le condizioni di separazione o divorzio erano state disciplinate, essendosi verificato un mutamento delle circostanze di fatto esistenti al momento della pronuncia.


Per giustificati motivi si intendono quelli che legittimino una revisione delle condizioni patrimoniali, atteso il disequilibrio che si è venuto a creare col sopraggiungere di circostanze impreviste al momento della pronuncia (ad esempio la perdita/riduzione da parte dell’obbligato di un cespite o di un’attività produttiva di reddito che abbia generato un effettivo mutamento della situazione rispetto a quella valutata in sede di determinazione dell’assegno, la perdita del lavoro, la diminuzione dello stipendio).

 

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Riduzione assegno mantenimento per emergenza coronavirus

 


Si ritiene che una crisi economica come quella che si sta delineando con l’emergenza sanitaria legata al Coronavirus rientri senza dubbio tra le cause che potrebbero legittimare la revisione delle disposizioni separative o divorzili.


Tale valutazione, tuttavia, deve essere attentamente vagliata e ponderata alla luce degli sviluppi che questa crisi porterà con sé.


Presupposto per l’istanza di revisione delle condizioni patrimoniali è la prova di un consistente e consacrato deperimento delle condizioni economiche del soggetto obbligato.


Non una difficoltà transeunte e passeggera, ma apprezzabile quanto ad effetti e durata.


Si ritiene, al riguardo, utile strumento per calibrare il provvedimento del Tribunale al caso concreto la possibilità da parte di quest’ultimo di adottare provvedimenti provvisori ove il procedimento non possa essere immediatamente definito, il cui contenuto sarà suscettibile di essere ulteriormente modificato nel corso della causa, anche alla luce dell’avvenuta attestazione del consolidamento o meno della crisi economica denunciata. 

 

 

 

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Addebito separazione e assegno divorzile

 


Addebito separazione e assegno divorzile: quali effetti e quali preclusioni?

 

Andiamo dritti al punto: quali sono i riflessi che la pronuncia separativa può comportare sull’assegno divorzile?


Diversi sono i presupposti tra le due pronunce, anche se vi è un comune denominatore: la mancanza di mezzi adeguati del coniuge richiedente.

In caso di separazione vi è ancora un vincolo coniugale che resta in piedi (e per tale motivo i “redditi adeguati” cui va rapportato l’assegno di mantenimento sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio).


Col divorzio è proprio lo scioglimento del rapporto che determina la possibilità per il giudice di disporre la corresponsione di un assegno.


Possiamo affermare che il diritto all’assegno di separazione viene a cessare con la pronuncia divorzile, che ha basi diverse.


La giurisprudenza è granitica nell’osservare come non vi sia alcun automatismo tra riconoscimento dell’assegno di mantenimento e quello divorzile.


La determinazione dell’assegno di divorzio, infatti, è “indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, atteso che l’assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti operanti nel regime di convivenza e di separazione e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio” (Trib. Monza 25.01.2010).

 

addebito separazione

 


L’approdo è meno certo e consolidato quando si faccia riferimento alle conseguenze che la pronuncia di addebito possa avere non già e non tanto sulle statuizioni patrimoniali in sede separativa, quanto sulle condizioni divorzili.


Cosa dice la legge?


Non vi è un’espressa disciplina al riguardo.


L’art. 5 della legge sul divorzio stabilisce che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento….del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto …delle ragioni della decisione… dispone l’obbligo per un coniuge” di somministrare all’altro un assegno.


Un paradigma piuttosto vago e di non univoca applicazione.


Qui si aprono due orizzonti interpretativi.


Uno più recente, ma meno autorevole, che viene a leggere l’inciso “ragioni della decisione” parafrasandolo come causa del fallimento matrimoniale e conseguente impossibilità al ripristino della comunione materiale e spirituale tra i coniugi.


Ecco, allora, che l’eventuale violazione degli obblighi matrimoniali, accertata in sede di separazione con pronuncia di addebito, può essere una chiave di lettura della menzione di legge alle “ragioni della decisione” per la statuizione o meno dell’obbligo contributivo.


Fermo infatti che non può tenersi conto delle vicende successive alla separazione …. le condotte anteriori, tenute nel corso della vita matrimoniale, possono essere valutate, quali “ragioni della decisione”:

a) se, in quanto integranti violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, siano alla base di una pronuncia di addebito della separazione, abbiano cioè costituito motivi di addebito

b) se tali motivi siano anche le cause che ostano alla ricostituzione della comunione tra i coniugi, ex art. 1 L. div., giustificando, quindi, la pronuncia di divorzio” (Corte d’Appello Napoli, 10/01/2019).


Di contro, va segnalato un diverso orientamento – più risalente ma fatto proprio dalla Suprema Corte – che non attribuisce alcuna efficacia preclusiva all’eventuale addebito della separazione per ciò che concerne la statuizione dell’assegno divorzile, bensì solamente lo ascrive a circostanza da tenere in considerazione per determinarne l’ammontare.

 

assegno divorzile addebito
Addebito separazione e assegno divorzile: l’incidenza sulle “ragioni della decisione”

 


“ Nel giudizio di divorzio il riconoscimento dell’assegno non è precluso … dall’addebito della separazione, che può incidere soltanto sulla misura dell’assegno, per effetto della valutazione demandata al giudice di merito in ordine alle cause del venir meno della comunione materiale e spirituale di vita tra i coniugi”. (Cass. Civ. 18539/13)


Infatti, una volta stabilita la spettanza in astratto dell’assegno divorzile, per non essere il coniuge richiedente in grado, per ragioni oggettive, di godere di mezzi adeguati, il giudice dovrebbe poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5 (ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno od a quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione – ma non di automatica esclusione – della somma considerabile in astratto.


In buona sostanza, “le ragioni della decisione”, intese con riferimento ai comportamenti che hanno cagionato il fallimento dell’unione, costituiscono uno dei parametri per la liquidazione dell’importo dovuto.


La valutazione di tali elementi, da effettuarsi anche in rapporto alla durata del vincolo, rappresenta infatti una fase ulteriore rispetto a quella del riconoscimento del diritto all’assegno, ed agisce ordinariamente come fattore di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, potendo valere ad azzerarla soltanto in ipotesi estreme”.

 

 

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Separazione e divorzi a Vicenza: i dati del 2019

 

Separazione e divorzi a Vicenza: i dati del 2019

 

 

Sono stati recentemente pubblicati sul sito del Comune di Vicenza i dati relativi alla nuzialità che ha riguardato la nostra città.


Risulta confermato un trend complessivamente negativo per ciò che concerne il numero di matrimoni.


Nel 2019, infatti, si è attestato il calo di cerimonie nuziali, tanto religiose quanto civili.


Si sono celebrati complessivamente 243 matrimoni, a fronte dei 279 dell’anno precedente.


Di questi 62 con rito religioso e 181 civile.


A fronte di un precedente consolidato primato religioso rispetto a quello civile, dal 2005 si assiste al progressivo, ma irreversibile mutamento di preferenza da parte dei concittadini circa la tipologia di cerimonia prescelta.

 

avvocato separazione divorzio vicenza
separazione e divorzi a Vicenza: il trend è in costante aumento.

 


Non smette mai di stupire – almeno per chi è digiuno da approfondite valutazioni sociologiche –l’età media con la quale i nubendi decidono di convolare: 37,3 anni per le donne e, udite udite, 41 anni per gli uomini.

Il trend vede complessivamente, nell’ultimo decennio, un innalzamento di quasi dieci anni dell’età prescelta per le nozze.


E veniamo alle separazioni e divorzi a Vicenza.


Nei dati offerti dal sito comunale non sono rilevabili quante separazioni e divorzi siano stati pronunciati nel nostro comune.


Il dato appurabile è il numero dei cittadini divorziati residenti in città.


Ben 4.829, dei quali 3.017 donne e 1812 uomini.


Anche in questo caso l’indice è in costante crescita: più 200 rispetto all’anno precedente. 1400 in più rispetto a 10 anni fa.


Ed il trend Veneto ?


A mente del rapporto statistico 2019 operato per la nostra regione 
Ci si sposa sempre meno e più tardi: se all’inizio degli anni ‘80 si celebravano quasi 24mila matrimoni all’anno in Veneto, circa 5,4 ogni 1.000 abitanti, nel 2017 si scende a 14.270, appena 2,9 ogni 1.000 residenti. Anche quando si sceglie di sposarsi, si opta sempre di più per il rito civile, tanto che i matrimoni civili hanno sorpassato quelli religiosi e sono oggi quasi il 60% di tutte le unioni coniugali, più che a livello medio nazionale (49,5%). La progressiva diffusione di comportamenti più secolarizzati è confermata anche dall’aumento delle convivenze more uxorio e delle nascite dei figli al di fuori o prima del matrimonio. Nello specifico, nel 2017 il 10% delle coppie venete risulta non sposata, quando 10 anni prima erano il 6% e nemmeno il 2% nel 1997, e la maggioranza delle coppie non sposate ha figli (56%, erano il 27% nel 2007)


Interessante rilevare, in base a tale documento, che “sono aumentate le famiglie uni­personali, che nel 1971 costituivano il 10% delle famiglie, mentre oggi sono quasi il 31%, e si sono ridotte quelle numero­se, con cinque o più componenti (dal 26% al 6%). Ciò è la conseguenza di una serie di processi so­cio-demografici che hanno investito il nostro Paese negli ultimi decenni. In primis la persistente bassa fecondità e la crisi delle nascite, .. il pro­gressivo invecchiamento della popolazione e l’insta­bilità coniugale

 

 

 

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Abbandono del tetto coniugale senza motivo? Addebito della separazione

 

Abbandono del tetto coniugale senza motivo? Addebito della separazione.

 

 

Alzi la mano.


A chiunque si chieda quali obblighi nascano dal matrimonio e quale tra questi obblighi possa comportare l’addebito della separazione viene in mente l’obbligo di fedeltà.


Ci sta.


Quello che spesso sembra passare in sordina è che con le nozze due persone decidono di vivere sotto lo stesso tetto, formando una nuova famiglia.


E tra i diritti e i doveri reciproci dei coniugi, l’art. 143 cc contempla l’obbligo di coabitazione.


Un dovere la cui violazione può comportare severe conseguenze.


Innanzitutto, il diritto all’assistenza morale e materiale – nato dal matrimonio – è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare rifiuta di tornarvi. Art. 146 cc


In secondo luogo, è noto come la violazione degli obblighi matrimoniali possa comportare l’addebito della separazione per il coniuge colpevole.


E qui veniamo al tema della nostra riflessione odierna.

 

 abbandono della casa coniugale

 


Quando l’abbandono del tetto coniugale è sanzionabile?


Una recente sentenza della Corte di Cassazione ci aiuta a fare il punto, riprendendo l’articolo di legge che abbiamo indicato: vi deve essere una giusta causa.

E tale causa deve essere provata.


Vediamo il caso esaminato: il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, avevano addebitato la separazione alla moglie, ritenuta colpevole di aver abbandonato l’abitazione familiare.


Quest’ultima ricorre in Cassazione, lamentando che l’allontanamento sia stato solo temporaneo, prolungatosi per la sostituzione delle chiavi operata dal coniuge, e comunque fosse dovuto al clima di accesa conflittualità domestica.


Gli ermellini, nel respingere l’impugnativa avanzata dalla signora, hanno sottolineato come l’addebito della separazione fosse dovuto dalla decisione unilaterale della moglie di allontanarsi dalla residenza familiare senza che fosse dimostrata l’esistenza di precedenti pressioni, violenze o minacce del marito che l’avrebbero indotta a tale decisione.


In difetto di prova di un preteso comportamento del consorte che giustificasse l’allontanamento e di un immediato ripensamento della moglie in vista della ricostituzione del legame familiare, la scelta di questa risultava del tutto sguarnita di alcun valido supporto e pertanto doveva giustamente essere sanzionata con l’addebito.

 

lasciare casa familiare
Abbandono del tetto coniugale: quando comporta l’addebito?

 


E’ utile sottolineare come sia la legge stessa a pretendere che l’allontanamento dalla residenza familiare sia legittimo solo in presenza di giusta causa.

 

Nel novero di tale fattispecie ricorre – per espressa previsione del codice – la proposizione della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.


Per il resto, il novero delle “giuste cause di allontanamento” non è tassativo, proprio per dare al giudice la possibilità di valutare il caso in concreto.


In linea di massima, si deve trattare di fatti che rendano intollerabile la convivenza, o possano comportare grave pregiudizio per l’educazione della prole.


Tralasciando i casi di lapalissiana legittimità concernenti episodi di violenza o manifesto tradimento, la Corte di Cassazione ha ritenuto, ad esempio, “giusta causa” di abbandono del tetto coniugale la mancanza di intesa sessuale tra i coniugi, poiché, “in siffatto caso, mancando un rapporto sereno e appagante, l’abbandono non può sorreggere una pronuncia di addebito” Cass. civ. Sez. I Sent., n. 8773/2012  


Del pari, è stato considerato legittimo l’allontanamento operato per i frequenti litigi domestici con la suocera convivente e per il conseguente progressivo deterioramento dei rapporti tra gli stessi coniugi Cass. civ. n. 4540 / 2011


Il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi – e l’onere incombe su chi ha posto in essere l’abbandono- che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto.


Si è precisato che «tale prova è più rigorosa nell’ipotesi in cui l’allontanamento riguardi pure i figli, dovendosi specificamente ed adeguatamente dimostrare, anche riguardo ad essi, la situazione d’intollerabilità».

 

 

 

 

 

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Controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli

 

 

Controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli

 

I miei genitori hanno avuto una sola discussione in quarantacinque anni. È durata quarantatré anni.
(Cathy Ladman)

 

Le discussioni, diciamolo, sono all’ordine del giorno (di ogni giorno?) in ogni benedetto matrimonio.

Figuriamoci se non ci possano essere durante la crisi del rapporto matrimoniale o dopo il suo epilogo.

Le decisioni intorno ai figli possono costituire terreno fertile non solo per costruttivi scambi di opinioni, ma anche per epiche battaglie, dettate, talora, da disincantata buona fede, talaltra dal più pervicace puntiglio e ottusa rappresaglia.

Dopo percorsi più o meno aspri nelle aule di tribunale, i genitori si sono separati, convenendo sulle condizioni di affidamento della prole, o subendo le disposizioni dettate dal giudice per dirimere contrasti non risolti.

Oggi partiamo da qui: da una separazione o un divorzio pronunciati, oppure dall’esito di una causa attinente l’affidamento di figli di coppie non sposate.

Da una pronuncia, insomma, da statuizioni attinenti ai figli che facciano stato tra le parti.

 

conflitto genitori separati

 

Quale rimedio nel caso in cui sorgano controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli?

Il nostro legislatore ha disposto una norma ad hoc: l’art. 709 ter cpc.  “Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni.”.

Innanzitutto, il codice si sofferma a disciplinare come possano essere risolte questioni insorte tra genitori sull’esercizio della potestà o sulle modalità di affidamento della prole.

Lo avevamo evidenziato, post,  quando ci eravamo soffermati ad analizzare l’istituto dell’affidamento condiviso: la responsabilita’ genitoriale e’ esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacita’, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice puo’ stabilire che i genitori esercitino la responsabilita’ genitoriale separatamente. Art. 337 ter cc.

Autonomia dei genitori per quanto riguarda le questioni routinarie, per cui essi potranno decidere anche disgiuntamente.

Per quanto attiene le scelte davvero importanti per la prole dovrà esserci l’accordo tra padre e madre.

Ci riferiamo alle scelte che riguardano, ad esempio, l’istruzione (a quale scuola iscrivere il figlio? Pubblica o privata? Presso quale istituto? In quale sede? Con quale orario?), l’educazione (quale religione dovrà praticare? Lo iscriviamo a catechismo? Ma anche, quale dieta fargli seguire? Onnivora, vegetariana, vegana (vedi post  apposito)? Quali compagnie fargli frequentare? Quali sport? Quali viaggi? Il telefonino?), la salute (quale medico di base scegliere? Quale tipo di medicina seguire, omeopatica o tradizionale? Presso quale clinica effettuare un eventuale intervento chirurgico? Acconsentire o negare il consenso ad eventuali trattamenti sanitari? Se dovesse avere dei problemi personali, gli facciamo frequentare uno psicologo? E se sì, quale? E dei tatuaggi, vogliamo parlarne?).

 

provvedimenti opportuni controversie genitori
Controversie tra genitori separati e inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli

Rispetto a tutte queste eventualità, ma tante altre ce ne sarebbero da menzionare, non potrà essere dato che che un genitore sia messo spalle al muro a dover prendere mero atto che l’altro abbia deciso anche per lui, al posto suo, o nonostante il suo parere contrario.

Tali controversie dovranno essere decise dal giudice, il quale, dopo che i coniugi saranno comparsi davanti a lui, prenderà i provvedimenti opportuni.

Il tribunale dovrà sciogliere il conflitto, si noti, privilegiando la posizione dell’un genitore rispetto all’altro, ma senza effettuare invasioni di campo, individuando ulteriori accorgimenti o soluzioni rispetto a quelle valutate e proposte dai coniugi confliggenti. Ciò nel rispetto al diritto all’autonomia della famiglia che la Costituzione espressamente sancisce all’art. 29  (Società naturale).

Per quanto attiene le questioni che vertano sulle “modalità dell’affidamento”, normalmente si discute sulla misura e ripartizione delle spese straordinarie, oppure sulla difficoltà di visita dei figli da parte del genitore non collocatario, vuoi per gli ostacoli frapposti dall’altro coniuge, vuoi per il rifiuto all’incontro rammostrato dai figli stessi.

Si badi: il giudice non sarà chiamato a pronunciare nuove condizioni di affidamento, ma semplicemente ad interpretare quelle già istituite, o a calarle nel caso concreto  che gli viene prospettato dalle parti.

Le controversie tra genitori separati possono riguardare anche inadempienze o violazioni delle condizioni di affidamento dei figli da parte di uno di essi.

Anche in questo caso ci soccorre l’art. 709 ter cpc, già esaminato nella sua prima parte, che continua statuendo “in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.”

A fronte di gravi inadempienze o violazioni il Giudice ha due rimedi, tra di loro alternativi, ma anche passibili di utilizzo congiunto: la modifica delle condizioni di affidamento e le sanzioni.

Lo scopo è quello di garantire l’attuazione e l’osservanza delle statuizioni già disposte con precedente pronuncia, ma anche il diritto del minore alla bigenitorialità ed alla crescita serena, altrimenti compromesse da comportamenti incongruenti e pregiudizievoli.

Tra le gravi inadempienze, sono spesso ricorrenti l’omesso versamento degli assegni statuiti a titolo di contributo al mantenimento dei figli, la loro unilaterale riduzione, la mancata corresponsione del rimborso spese straordinarie e, più in generale, l’inosservanza delle statuizioni di carattere economico e patrimoniale concernenti la prole, rispetto alle quali, si ricorda, vi è anche una sanzione di carattere penale (post) .

 

genitore cambia residenza

 

Non vanno tralasciate le questioni attinenti il mancato rispetto delle condizioni riguardanti i tempi di visita e frequenza dei figli, vuoi da parte del genitore non collocatario, che se ne disinteressa, in tal caso incorrendo anche nella sanzione penale disciplinata dall’art. 388 cp per la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, vuoi per il comportamento ostruzionistico, se non alienante, del genitore collocatario, volto ad incutere nei figli disistima e spregio dell’opposta figura genitoriale, conseguendone il rifiuto di frequentarla.

Un’altra fattispecie di violazione consiste anche nella scelta unilaterale di un coniuge di trasferirsi altrove, portando con sé i figli, magari in altra città, regione o stato, (post )e privando così la prole della possibilità di frequentare l’altro genitore e quest’ultimo, oltre che degli affetti, della concreta facoltà di esercitare la responsabilità genitoriale.

A fronte di tutta questa serie di circostanze, riportate a titolo meramente esemplificativo e non certo esaustivo, il giudice potrà modificare i provvedimenti già pronunciati circa i figli, a titolo non già sanzionatorio, quanto volto a tutelare il preminente interesse di questi ultimi contro i pregiudizi altrimenti conseguenti, oppure disponendo misure sanzionatorie, a contrappunto dei comportamenti incongruenti mantenuti dal genitore passibile di censura e volti a prevenirne e disincentivarne altri di simili.

Tra queste misure vi è l’ammonimento, ossia il richiamo del genitore contravventore al rispetto delle condizioni di affidamento o all’astensione da comportamenti pregiudizievoli, pena, in difetto, l’applicazione di altra e più gravosa sanzione oppure della modifica delle condizioni stesse.

Il giudice potrà, anche, applicare una pena pecuniaria, vuoi a favore della Cassa ammende, in misura discrezionale, ma potenzialmente soggetta a progressivi aumenti in caso di nuova violazione, vuoi a favore dei figli o dell’altro genitore.

A tale ultimo riguardo, è discusso se l’onere economico a vantaggio di tali familiari abbia carattere sanzionatorio tout court o bensì natura risarcitoria.

Se si dovesse propendere per tale ipotesi, il coniuge richiedente la corresponsione della somma pecuniaria sarà gravato di dover dimostrare oltre che la violazione, il danno patito, in base alle generali regole dell’onere della prova.

 

 

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Modifica assegno di separazione o divorzio? Gli importi già percepiti non vanno restituiti

 

 

Gli importi già percepiti non debbono essere restituiti in caso di modifica assegno di separazione o divorzio

 

 

 

È meglio aver amato e perso
che non aver amato mai.
(Alfred Tennyson)

 

 

Non è una bella consolazione per chi, dopo aver amato, abbia perso la possibilità di conseguire la restituzione dei maggiori importi versati, anche a seguito di una pronuncia che abbia ridotto consistentemente il proprio obbligo contributivo nei confronti del (ex) coniuge.

Ma è così.


Ce lo dice la Cassazione con una pronuncia slim and smooth.

Il caso.

A seguito della presentazione dei coniugi davanti il Presidente del Tribunale, questi disponeva l’obbligo del marito di versare alla moglie l’importo di 700 euro al mese.


Il provvedimento presidenziale è temporaneo ed urgente, va a regolare cioè le condizioni della separazione nelle more del procedimento, fino alla sentenza conclusiva, che potrà – per dirla alla Alessandro Borghese – confermare o ribaltare la statuizione iniziale.


Bene, nel caso in esame il Tribunale, con la decisione finale, aveva ridotto l’ammontare dell’assegno a 400 euro mensili.

 

assegno divorzile: quando/quanto?
Modifica assegno di separazione o divorzio Gli importi già percepiti non vanno restituiti

 


Domandina: se il provvedimento più importante, la sentenza, che viene a statuire (più o meno) definitivamente la lite tra le parti, stabilisce che la somma congrua e corretta, anche alla luce delle prove che sono state conseguite nel corso del processo, sia un importo minore di quello provvisorio fissato all’inizio del procedimento, i 300 euro in più corrisposti ogni mese dal marito fino alla pronuncia possono essere chiesti indietro alla moglie?


La risposta è negativa.


Normalmente, gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda se a tale momento esistevano le condizioni richieste per l’emanazione del provvedimento  .

Chiedo qualcosa, se ottengo vittoria, gli effetti della pronuncia decorrono da quando ho proposto la mia domanda, altrimenti il decorso del tempo mi pregiudicherebbe.


La giurisprudenza tuttavia, a più riprese, si è pronunciata nell’attenuare la retroattività della sentenza nei processi di separazione e divorzio.


Il motivo è dettato dalla natura alimentare degli importi corrisposti a tale titolo, che la legge considera irripetibili, non pignorabili e non compensabili con altri crediti vantati da chi debba versarli.

 


La conseguenza: il provvedimento finale è retroattivo ma … la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni, non più dovute in base alla sentenza di modificazione delle condizioni di separazione, non sarà più tenuto a corrisponderle, con la conseguenza che contro di lui non potrà agirsi esecutivamente.


In buona sostanza, se la moglie ha percepito 300 euro al mese in più rispetto alla decisione finale del Tribunale, il marito non potrà chiederne la restituzione.

Se tuttavia egli non abbia versato tale maggiore importo, allora non sarà tenuto a corrisponderlo, perchè gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda.

 

 

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Tempi di frequenza dei figli in caso di separazione: al bando la matematica

Cassazione: no alla rigida suddivisione matematica dei tempi di frequenza dei figli in caso di separazione

È questione di qualità, piuttosto che di quantità”.
Lucio Anneo Seneca

Se ne è parlato molto negli ultimi tempi, quando agli onori delle cronache è balzato un disegno di legge (DDL 775, cd “Pillon”) che proponeva che i tempi di permanenza dei figli presso i genitori dovessero essere di regola (salvo eccezioni) paritetici.


Tale proposta si è arenata, essendo stata ritirata, ma la tematica è comunque di estrema attualità, poiché sono sempre più numerose le richieste di collocamento della prole secondo modalità che contemplino identica frequenza con entrambi i genitori.


A tali istanze hanno talora corrisposto sentenze di apertura da parte di alcuni tribunali di merito, che hanno sottolineato come possa corrispondere agli interessi dei figli godere in eguale misura della presenza di tutte e due le figure genitoriali, laddove, ovviamente, vi siano idonee condizioni, su tutte le reali possibilità di fattiva collaborazione tra genitori nell’ottica di una gestione più condivisa dei figli.

pari tempi di visita del padre


La Cassazione, con una pronuncia piuttosto recente, mette alcuni paletti. (Cassazione Civile, Sez. I, 10 dicembre 2018, n. 31902).


Un conto è, infatti, appurare e tutelare il diritto dei figli ad avere rapporti significativi con entrambi i genitori: quello, salvo casi di inopportunità o controindicazioni, andrà sempre riconosciuto e perseguito.


Altro è imporre, a priori, che tale diritto si debba risolvere in una aritmetica ed aprioristica suddivisione dei tempi di permanenza.


Argomentando in questa maniera si potrebbero conseguire risultati incompatibili con il miglior interesse proprio dei figli minori.


Il principio di bigenitorialità” sancisce la Suprema Corte “si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore”, giacché “in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione”.

tempi di visita dei figli in caso di separazione
tempi di frequenza dei figli in caso di separazione: va perseguito solamente il miglior interesse della prole


La Corte, in buona sostanza, pone l’accento sull’attenta verifica del reale best interest of child che si potrebbe conseguire in seno ad un evento, comunque doloroso, come è la separazione.


Parità di tempistiche statuite a priori cozzano contro la verifica attenta del caso concreto.


L’effettiva tutela dei rapporti tra genitori e figli deve tradursi in una qualità ottimale del rapporto nel tempo in cui è dato loro frequentarsi, piuttosto che nella quantità e durata della frequentazione che, se pedantemente perseguita, potrebbe essere controindicativa rispetto alle esigenze, sacrosante, di sicurezza e stabilità della prole che emergono nella crisi familiare.

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tempi di frequenza dei figli in caso di separazione

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