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Preliminare di acquisto di un immobile durante la comunione dei beni

Preliminare di acquisto di un immobile durante la comunione dei beni: che ne sarà se i coniugi si separano?

La differenza tra il divorzio e la separazione legale è che la separazione legale dà al marito il tempo di nascondere il proprio denaro.
(Johnny Carson)

C’eravamo tanto amati.


Avevamo anche progettato di comprare una casa nuova, e poi…

Con la separazione i sogni si infrangono, ma i problemi restano.


Che ne sarà del preliminare di acquisto di un immobile stipulato durante la comunione dei beni se poi la comunione si scioglie a seguito della separazione?


Tralasciamo l’ipotesi più semplice: quella in cui entrambi i coniugi abbiano sottoscritto il compromesso. Pare fin troppo ovvio affermare che tutt’e due saranno tenuti ad onorare l’impegno che si erano assunti durante il matrimonio, partecipando al definitivo e versando il prezzo convenuto. Poi, eventualmente, si spartiranno il bene acquistato, oppure lo venderanno, o se lo terrà solo uno di essi, che comprerà la quota dell’altro.
.. oppure se lo terranno così com’è: sai mai che non intervenga una benedetta riconciliazione.


E se il preliminare lo avesse sottoscritto solo uno dei coniugi?


Qui le cose si complicano, ma le risolviamo subito andando ad esaminare la parola della legge ed alcune nozioni base in ambito contrattuale.


Cosa rientra in comunione dei beni?
Art. 177 cc:

-gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;

-i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
– i proventi dell’attivita’ separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;


Bene.

Rientrano gli acquisti, siano effettuati insieme o separatamente, purchè vigente il regime patrimoniale.

Preliminare un solo coniuge
Preliminare di acquisto di un immobile durante la comunione dei beni


Il contratto preliminare comporta l’acquisto del bene che ne è oggetto?

No. Con tale negozio le parti si impegnano a stipulare, in futuro, un altro contratto che, questo sì, comporterà il trasferimento della proprietà.
Il contratto preliminare ha efficacia obbligatoria, non reale.


Ergo?

Solamente il coniuge che abbia stipulato il preliminare sarà obbligato ad addivenire al rogito per il definitivo: se sarà ancora in comunione dei beni, l’acquisto rientrerà nella titolarità di entrambi i consorti, altrimenti solamente in quella dell’obbligato.


Facciamo un passo avanti.

Mettiamo che solo un consorte abbia stipulato il preliminare, versando anche quota parte del prezzo. Dopo la separazione addiviene al rogito, corrispondendo il saldo.

L’altro coniuge potrà avanzare qualche pretesa in relazione all’acquisto?


Abbiamo visto prima: non potrà essere reclamata la proprietà del bene, che è stata trasferita dopo lo scioglimento della comunione.

Ma per le somme versate prima della separazione?


Se siano importi appartenenti ad entrambi i coniugi non ci piove: ciascuno dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall’adempimento delle obbligazioni gravanti sulla comunione stessa. (art. 192 cc)


Ma se il versamento dell’acconto fosse stato fatto con i risparmi derivanti dall’attività lavorativa del coniuge promissario acquirente?


Leggiamo attentamente l’art. 177 cc che abbiamo sopra richiamato: rientrano nella comunione i proventi dell’attivita’ separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati.


Ne avevamo già parlato in altro post, si tratta di comunione de residuo: i soldi dello stipendio appartengono solo a chi li guadagna.

Se li impiegherà in acquisti, questi ricadranno nella comunione. Se residueranno allo scioglimento della stessa, rientreranno nel patrimonio comune.


Ebbene, il versamento effettuato con i propri denari da un coniuge in sede di preliminare di vendita non rientreranno nella comunione de residuo.


Sono stati spesi. Non sussistono più.

Non potranno, pertanto, essere oggetto di recriminazioni da parte dell’altro coniuge, dopo la separazione.


Lo ha avuto modo di affermare anche una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (3767/2021), che ha disciplinato un caso identico a quello appena esaminato, affermando che “la comunione de residuo si realizza al momento dello scioglimento della comunione, limitatamente a quanto effettivamente sussista nel patrimonio del singolo coniuge e non a quanto avrebbe potuto ivi rinvenirsi”, conseguentemente “sono esclusi dalla comunione legale “i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi e consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione”.
Se, pertanto, dovesse essere “ incontestato che in vigenza del regime di comunione legale” un coniuge “ebbe a disporre di risorse proprie e se, come detto, la comunione de residuo è ravvisabile solo in relazione ai proventi non consumati sussistenti al momento dello scioglimento della comunione, l’uno e l’altro elemento escludono che possa applicarsi l’art. 177, lett. c), c.c. Da un lato, infatti, i proventi realizzati da ciascuno dei coniugi in vigenza del predetto regime non confluiscono immediatamente in comunione ed il percettore, assolti i doveri di contribuzione, è perciò libero di disporne, dall’altro, essendone avvenuta la consumazione, essi non sono più sussistenti al momento dello scioglimento della comunione e dunque nessun diritto de residuo può accampare su di essi l’altro coniuge

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Comunione dei beni

Acquisti dei coniugi in separazione dei beni: a chi appartengono?

 

 

Acquisti dei coniugi in separazione dei beni: alcuni concetti da conoscere per una scelta consapevole del regime patrimoniale

 

 

An, pan, fiol d’un can, fiol d’un beco, mori seco, con le gambe destirà…


Una filastrocca, di quelle vicentine, di una volta.


Mi pare di vederli, i due fidanzatini, pochi giorni prima delle nozze. Hanno pensato a tutto, buffet, abito, preparativi, invitati, cerimonia, biglietti del viaggio. Manca una riflessione, una piccola scelta: comunione o separazione dei beni? Quale regime patrimoniale è meglio? Dobbiamo dirlo al prete. Boh, che ne so… Tiriamo a sorte: passa paperino, con la pipa in bocca, guai a chi la tocca, l’hai toc – ca- ta pro—prio tuuu…


Questo articolo vuole essere di aiuto tanto ai disperati – che stanno leggendolo, magari il giorno prima del matrimonio, magari alle ore piccole (andate a letto, sennò sai che occhiaie nelle foto?), e si sono presi all’ultimo con le decisioni – tanto ai più diligenti che vogliano operare una scelta consapevole.

Comunione o separazione dei beni?


Sulla comunione ne abbiamo detto di ogni. Vi agevoliamo i contributi essenziali a questi link 1, 2, 3, 4, 5, 6.

 

debiti dei coniugi in comunione dei beni

 


In cosa consiste la separazione dei beni?

 

E’ il regime patrimoniale che comporta la titolarità esclusiva degli acquisti e la completa autonomia di gestione da parte di ognuno dei coniugi.

Ciò che si compra con i propri soldi appartiene a sè stessi e si potrà essere liberi di disporne come si crede.

Anche i soldi, i risparmi, i proventi dell’attività lavorativa, i frutti di beni personali etc, rimarranno nella sfera esclusiva del titolare, senza dover essere spartiti in un qualche momento.


Con una precisione: in ogni caso, dovranno essere assolti gli obblighi nascenti dal matrimonio e genitoriali. Vale a dire che – seppur i beni che si abbia acquistato ed i soldi personali non ricadano nel dominio e gestione dell’altro consorte – dovranno, comunque, almeno in parte, essere impiegati per l’assistenza materiale del coniuge, per i bisogni della famiglia, per il mantenimento, educazione, istruzione dei figli.


Sapevate che, fino alla riforma del 1975, la separazione dei beni costituiva la regola, vale a dire il regime che la legge imponeva se i coniugi non avessero optato per altri diversi.

Poi la bomba atomica: a seguito dell’entrata in vigore della legge 151/1975, si è stravolto tale assetto. La comunione è diventata la norma, la separazione il regime sussidiario, che si assume solo se prescelto o a seguito di determinati accadimenti.

 

separazione dei beni

 

Come si adotta il regime di separazione dei beni?

 

La scelta del regime di separazione può, innanzitutto, essere dichiarata nell’atto di celebrazione del matrimonio. Avete presente quando il prete, terminata la messa, oppure il sindaco alla fine della cerimonia, porta i neo sposini a firmare delle carte in un apposito tavolino, appositamente apparecchiato? Ecco, solitamente è quello il momento in cui i nubendi comunicano quale regime patrimoniale prescelgano.


In difetto, si potrà adottare la separazione tanto prima che dopo il matrimonio- in ogni tempo, art 162 cc, tramite apposita convenzione.


Anche quando sia stata, inizialmente, instaurata la comunione dei beni.


La convenzione dovrà essere consacrata in un atto pubblico alla presenza di due testimoni, sotto pena di nullità, e per essere opponibile a terzi dovrà essere annotata a margine dell’atto di matrimonio.


Sembrerà ridondante sottolinearlo, ma per compiere la modifica del regime patrimoniale della comunione ed adottare la separazione dei beni, dovranno essere d’accordo entrambi i coniugi, continuando a sussistere, in difetto, la comunione previgente.


La legge, infatti, stabilisce che le modifiche delle convenzioni matrimoniali, anteriori o successive al matrimonio, non hanno effetto se l’atto pubblico non è stipulato col consenso di tutte le persone che sono state parti nelle convenzioni medesime, o dei loro eredi. art 164 cc.

 

Instaurazione della separazione dei beni per cause previste dalla legge.

 


Il regime patrimoniale che stiamo commentando si realizza anche prescindendo da eventuali convenzioni stipulate dai coniugi, col semplice ricorrere di alcune circostanze previste dalla legge.


In particolare, il previgente regime di comunione legale si scioglie nel caso di separazione personale, a partire dal momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purchè omologato.


La separazione dei beni si instaura anche a seguito di un procedimento di separazione giudiziale dei beni, art. 193 cc, vale a dire in caso di interdizione o di inabilitazione di uno dei coniugi o di cattiva amministrazione della comunione.

Può altresì essere pronunziata quando il disordine degli affari di uno dei coniugi o la condotta da questi tenuta nell’amministrazione dei beni metta in pericolo gli interessi dell’altro o della comunione o della famiglia, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro.
La separazione può essere chiesta da uno dei coniugi o dal suo legale rappresentante.


Altre cause dell’instaurarsi della separazione dei beni sono la dichiarazione di assenza o di morte presunta di un coniuge, o il suo fallimento.

 

amministrazione beni in separazione
Acquisti dei coniugi in separazione dei beni

 

Titolarità degli acquisti in separazione dei beni.

 

Con la separazione dei beni i coniugi convengono che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio. art 215 cc.


Il bene che ho comprato con i miei soldini resta mio e solo mio e lo stesso vale per te, cara/o consorte.

Come fare per dimostrarlo?

Beh per gli immobili è abbastanza semplice. Per i beni mobili – un divano, il televisore, la credenza …- faranno fede gli scontrini, le fatture, le pezze giustificative.


Il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell’altro la proprietà esclusiva di un bene.


E quando non è possibile dimostrarlo?

Chi conserva tutti gli scontrini?(c’è chi lo fa, ve lo assicuro).


Per questa evenienza vi è un’apposita disposizione di legge.

I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi. art. 219 cc.


Vi è una sorta di inversione dell’onere della prova. Normalmente, se mi dichiaro proprietario di un bene, debbo dimostrarlo. Qui è il contrario: si presume che ne sia (con) titolare, salva diversa prova.


Questo vale senz’altro nei rapporti fra i coniugi. Ma fra i terzi? Voglio dire, mettiamo che un creditore del marito voglia aggredire un bene mobile esistente presso la sua abitazione, potrà soddisfarsi sull’intero o solo sulla sua quota, in forza della presunzione che abbiamo richiamato?


La Cassazione, con sparute sentenze, è rigida nell’escludere la possibilità di estendere gli effetti della presunzione in parola anche ai rapporti di ciascun coniuge con i terzi, che pertanto potranno beneficiare dell’intera quota del bene pignorato.


La giurisprudenza di merito è più aperta, estendendo la portata della presunzione di comproprietà anche nei confronti dei terzi; di conseguenza l’azione esecutiva avente ad oggetto i beni mobili esistenti nella casa coniugale resta circoscritta alla quota ideale (50%) di proprietà del coniuge esecutato, con conseguente illegittimità del pignoramento limitatamente a quella parte dei beni che eccedono detta quota.

 

Conto corrente e comunione dei beni

 

Gestione dei beni in separazione


La legge dispone che ciascun coniuge abbia il godimento e l’amministrazione dei beni di cui sia titolare esclusivo. (art 217 cc)


Significa che il coniuge che, ad esempio, sia proprietario di una casa, potrà disporre di essa come crede, affittandola, concedendola in comodato, vendendola al prezzo che ritiene.


L’altro coniuge non avrà ingerenza, fatto salvo il caso in cui gli sia stato attribuito specifico mandato dal consorte titolare ad amministrare alcuni beni: in tal caso dovrà rendere conto del suo operato, dei frutti che avrà conseguito, (se previsto nella procura) ,essendo responsabile della sua gestione.


Se un coniuge amministri i beni dell’altro senza il suo consenso, o nonostante la sua opposizione, sarà tenuto al risarcimento dei danni ed al ristoro della mancata percezione dei frutti che si sarebbero potuti conseguire.

 

 

 

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Acquisti dei coniugi in separazione dei beni

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I debiti dei coniugi in comunione dei beni.

 

 

Chi risponde dei debiti dei coniugi in comunione dei beni?

 

 

 

Alcune persone usano metà della loro ingegnosità per mettersi nei debiti, e l’altra metà per evitare di pagarli.”
GEORGE DENNISON PRENTICE

 

 

 

Gioco del “chi buttiamo giù dalla torre”.


Rispondere in 3 secondi alle seguenti domande:


Giorno o notte?
Auto o moto?
Juve o Inter? (Inter!)
Comunione dei beni o separazione dei beni?


Alt, per questa domanda – obbligatoria per ogni nubendo (anche se molti se la pongono solamente il giorno prima delle nozze) – ci vuole un po’ di tempo e conoscere l’Abc delle conseguenze che la scelta del regime patrimoniale comporterà sulle sostanze della famiglia e del singolo coniuge.


Non ci soffermiamo ancora una volta su quali beni entrino in comunione e quali no. (chi ha pazienza e voglia legga questi articoli precedenti 1  2  3  4 ).


Oggi partiamo dal presupposto di una scelta già fatta – quella della comunione dei beni – e ci concentriamo su quali effetti possano determinare eventuali esposizioni debitorie dei coniugi che vi abbiano optato.


Una prima macro distinzione:

di chi sono i debiti? Della comunione o del singolo coniuge? 


a) Creditori della comunione legale.


Sono titolari di diritti di obbligazione gravanti sui beni della comunione. Il nostro codice ne dà un elenco tassativo (art. 186 cc).


Più precisamente, il loro credito deriva da:


– pesi ed oneri gravanti sui beni della comunione al momento dell’acquisto (es ipoteche, pegni etc..);

– tutti i carichi dell’amministrazione dei beni comuni (ad es. manutenzione ordinaria e straordinaria);

– spese per il mantenimento della famiglia e per l’istruzione e l’educazione dei figli e di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente nell’interesse della famiglia;

– ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi.

Come si potrà notare, l’elenco è basato su due criteri di massima, uno funzionale – l’interesse comune della famiglia – l’altro soggettivo – l’assunzione congiunta della spesa da parte dei coniugi – a prescindere dal motivo per cui l’obbligazione sia stata contratta.

Per tali spese i coniugi i coniugi saranno tenuti a rispondere innanzitutto con i beni della comunione stessa.

 

debiti dei coniugi in comunione dei beni
debiti dei coniugi in comunione dei beni: chi paga e con cosa?

 

 

Qualora questi dovessero rivelarsi insufficienti, dei debiti della comunione risponderanno i singoli coniugi col proprio patrimonio personale, nel limite della metà di quanto complessivamente dovuto (190 cc).

In buona sostanza, al creditore dei coniugi che abbiano contratto il debito della tipologia indicata nell’elenco che abbiamo sopra riportato, sarà data soddisfazione con l’intero patrimonio della comunione e, se non bastasse, con quello di ogni singolo coniuge, in questo caso nei limiti della metà del credito.

Una precisazione:se il debito fosse contratto da un solo coniuge, nell’interesse della famiglia, la limitazione della responsabilità alla metà del credito varrà solo per l’altro coniuge, mentre colui che abbia assunto l’obbligazione risponderà per tutto l’importo dovuto (una volta appurata la non sufficienza del patrimonio comune).

Al contrario, se l’obbligazione fosse stata assunta congiuntamente dai coniugi, ciascuno di essi ne risponderà per l’intero, una volta escussi i beni della comunione, secondo il principio generale a mente del quale i condebitori sono tenuti in solido ( e per l’intero), se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente.


b) creditori particolari del singolo coniuge.


In relazione ai debiti contratti per le obbligazioni personali del singolo consorte per motivi estranei all’interesse familiare, è agevole dedurre che costui risponda, innanzitutto, col proprio patrimonio.

Qualora questo non bastasse, ai creditori sarà offerta, in via sussidiaria, la possibilità di attingere il patrimonio comune, nei limiti della metà, ossia la quota di spettanza del debitore.

Di quali debiti si può trattare?

Ad esempio quelli relativi all’attività professionale del coniuge, oppure quelli contratti per una propria esigenza personale, o per l’amministrazione di beni che solo a lui appartengano ed ancora per far fronte a obblighi risarcitori (ad esempio un sinistro) pendenti solamente nei suoi confronti.

 

 

Modifica assegno di separazione o divorzio Gli importi già percepiti non vanno restituiti

 


Attenzione, un’interessante precisazione.


Il nostro codice impone che l’amministrazione dei beni della comunione spetti disgiuntamente ad entrambi i coniugi se si tratti di ordinaria amministrazione, mentre congiuntamente ad entrambi i coniugi se si tratti di straordinaria amministrazione.

L’atto di straordinaria amministrazione compiuto da un solo coniuge senza il consenso dell’altro può essere da questi annullato.

Ebbene, per le obbligazioni contratte per finalità di straordinaria amministrazione da un solo coniuge senza il necessario consenso dell’altro è riconosciuta la possibilità ai creditori di aggredire, in primis, l’intero patrimonio del coniuge che abbia assunto l’obbligazione, mentre i beni della comunione saranno sottoposti, in via sussidiaria, al soddisfacimento del creditore nei limiti della metà, ossia della quota del coniuge debitore (art. 189 cc).

Volete una chicca?


Il nostro codice civile, nella materia di cui oggi ci occupiamo, contempla una lampante contraddizione tra norme, allorquando dapprima stabilisce che i beni della comunione, non rispondano delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima del matrimonio (art 187 cc), mentre all’art. 189 cc è stabilito che “i creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”.

Opinioni per risolvere il dilemma?

Graditissime.

 

 

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debiti dei coniugi in comunione dei beni

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Guida agli aspetti legali della crisi nel matrimonio e nella coppia

Avvocato separazione Vicenza

Questo contributo non è un manuale di diritto.

Di quelli ce ne sono parecchi, alcuni preziosissimi, forse troppo elaborati e tecnici per chi, come te, si trova coinvolto nel marasma di un matrimonio in difficoltà e vuole conoscere alcune informazioni base sui passi da intraprendere, sui percorsi da esplorare, sui propri diritti e i propri doveri, verso il coniuge, verso i figli.

Ho frequentato il liceo classico da giovane. A chi, come molti, mi chiede a cosa sia servito studiare lingue “morte”, storia di culture passate e remote, materie non immediatamente spendibili per un lavoro, io rispondo che ho imparato a voler conoscere, ad andare alla ricerca di risposte, a desiderare di informarmi sempre di più, a scoprire chi sono, dove mi trovo e dove voglio andare.

Bene, sono convinto che da qualche nozione fondamentale si possa ottenere una prima risposta ai quesiti che passano per la testa durante la crisi matrimoniale.

A te, che cerchi una strada, sta il compito di approfondirle o di farti accompagnare.

Avv. Paolo Giovanni Berto

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La crisi nel matrimonio e nella coppia

Guida semplice agli aspetti legali da conoscere per affrontarla

dimissioni anziano ospedale

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Conto corrente e comunione dei beni

 

Conto corrente e comunione dei beni: a chi appartiene il denaro che vi confluisce?

 

 

“Nella vita ci sono cose ben più importanti del denaro. Il guaio è che ci vogliono i soldi per comprarle!”
GROUCHO MARX


ma se le cose si comprano, poi cadono in regime di comunione dei beni immediato, mentre il denaro no.

 

 

 

Avevamo creato scalpore.


Quando avevamo pubblicato l’articolo “Comunione dei beni: i soldi dello stipendio appartengono solo a chi li guadagna.” eravamo ben consci che non a tutti tornavano i conti.


Eppure la legge parla chiaro: “i proventi oggetto dell’attività separata di ciascuno dei coniugi” costituiscono oggetto di comunione solo se “non consumati allo scioglimento della comunione” (art. 177 cc).


Avevamo operato una distinzione: vi sono beni che entrano immediatamente a far parte della comunione: gli acquisti. Marito o mia moglie vanno ognuno per i fatti propri a comprare un divano ed una televisione. Entrambi i beni apparterranno al dominio comune dei consorti, anche se conseguiti con denaro del proprio stipendio.


Determinati beni entreranno a far parte della comunione solo se “non consumati allo scioglimento” della stessa. Si tratta della comunione de residuo. Il denaro che guadagno con la mia attività professionale appartiene soltanto a me. Se mi compro un divano, quello apparterrà anche a mia moglie, perchè è un acquisto. I soldi che residueranno al termine della comunione entreranno, ahime’, nell’orbita della (con)titolarità di entrambi.

 


Oggi facciamo un passo avanti.


E se il denaro, anziché impiegarlo in acquisti, o nasconderlo sotto al letto, lo depositassi in banca? La liquidità contenuta nel conto corrente apparterrebbe soltanto a me oppure entrerebbe a far parte della comunione?


Si tratta di appurare se l’apertura di conto corrente con conseguente movimentazione bancaria costituisce oppure no “acquisto”, soggetto al regime patrimoniale che oggi analizziamo.


Vediamo: quando si deposita del denaro in un c/c cosa  ne si consegue? La possibilità di poterlo chiedere indietro quando si vuole. E’ un diritto di credito, quindi. E ciò che ne deriverà sarà sempre e comunque la somma che si è versata.


E poiché il diritto di credito fa parte del novero delle obbligazioni e queste sono escluse dall’orbita della comunione dei beni, il denaro sussistente nel conto corrente derivante dalla propria attività separata, apparterrà solo al titolare che lo abbia conseguito, fino al termine del regime di comunione, allorquando dovrà essere spartita la porzione che ne sarà residuata.


Assistiamo spesso, al culmine delle crisi matrimoniali, ad improvvisi sussulti in ordine alla movimentazione dei conti correnti. Somme rimaste giacenti da tempo sparite in un soffio. Accantonamenti, frutto di risparmi e sacrifici, repentinamente volatilizzati.


L’intento, senza voler peccare di eccessiva malizia, è quello di lasciare meno possibile liquidità sul conto da spartire al termine della comunione.

 

Conto corrente e comunione dei beni
Conto corrente e comunione dei beni


Si faccia attenzione: costituiscono oggetto della comunione de residuo tutti i redditi, percetti o percipiendi rispetto ai quali il titolare dei redditi stessi non riesca a dare prova o che sono stati consumati per il soddisfacimento di bisogni della famiglia (anche suoi personali) o per investimenti già caduti in comunione.


La legge, tuttavia, non pone obblighi di destinazione sui beni oggetto della comunione “de residuo” né limiti o controlli alla facoltà di “consumazione”.

L’esercizio di quest’ultima, ovvero l’impiego nei più vari modi, ma senza che l’operazione comporti nuovi, durevoli acquisti, sottrae “lecitamente” cespiti a quella che, al momento dello scioglimento della comunione, diverrà esattamente la comunione “de residuo”.


Quali rimedi potranno essere accordati al coniuge che si sente defraudato di somme che potrebbero appartenergli di lì a poco, allo scioglimento della comunione?


Potrà, ad esempio, chiedere l’anticipata separazione dei beni: art. 193 c.c.,  il quale, in caso di cattiva gestione di uno dei coniugi nei propri affari o di mala amministrazione dei beni, riconosce l'”interesse” dell’altro coniuge, esprimendo un concetto che può comprendere l’aspettativa inerente la comunione residuale.


Potrebbe anche avvalersi di strumenti di tutela di carattere generale spettanti ad ogni creditore, del genere delle azioni revocatoria e surrogatoria nonché del risarcimento dei danni, sia, infine, in via di estremo subordine, invocare il principio di buona fede ed il divieto dell’abuso del diritto, fermo l’obbligo, per il coniuge “dissipatore”, di rendere il conto delle sue entrate e di come sono state spese (così Cass. Civ. 13441/2003).

 

 

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Cessione della casa familiare in sede di separazione per sottrarsi ai debiti? Là dove l’ingegno non sfugge alla legge.

 


Fraudolenta cessione della casa familiare in sede di separazione per sottrarsi ai debiti: quali rimedi di legge?

 

Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

 

 

La crisi aguzza l’ingegno.


Laddove soffi il vento della necessità, quasi per atavico istinto di sopravvivenza, l’uomo è spinto a difendersi e ad attuare quanto possibile per procacciarsi ciò che è necessario alla sussistenza.


Vogliamo leggere così, in un’ottica interpretativa, la sempre più diffusa prassi di escogitare nuove (ma neanche tanto) vie per sottrarsi alle azioni esecutive dei creditori da parte di soggetti indebitati sino al collo.


Siamo in difficoltà? Separiamoci.


Ecco un percorso alternativo: non per crisi coniugale, ma per crisi economica.


Analizziamo due casi tipo.


1. Marito e moglie, due cuori e tanti debiti.


Per impedire ai creditori di attingere al loro bene principale, la casa, procedono alla separazione, chiedendo che il giudice disponga l’assegnazione dell’abitazione ad uno di essi, verosimilmente a colui presso il quale i figli saranno prevalentemente collocati.


Tutto a posto?


Anche no.

Ci eravamo soffermati sulla questione un paio d’anni fa, (questo è il post).

Se antecedentemente all’assegnazione della casa i creditori avevano iscritto ipoteca su tale bene, il successivo pignoramento potrà prevalere sul provvedimento separativo, in quanto l’antecedente trascrizione della garanzia è sufficiente per conseguire il diritto di precedenza delle ragioni creditorie.


Diversamente, se i creditori non fossero stati celeri a tutelare i loro diritti e i coniugi avessero trascritto il provvedimento di assegnazione prima di ipoteche e pignoramenti, dovranno mettersi in coda ed attendere che si esaurisca il (lungo) periodo di compimento della disposizione effettuata in sede di separazione.

 

 


2 Marito e moglie: il primo naviga in cattive acque e sente il fiato dei creditori sul collo.


In sede di separazione, per regolamentare i rispettivi rapporti patrimoniali, cede la propria quota di immobile, (potrebbe trasferirlo anche tutto), alla consorte.


Ipotesi frequente nei procedimenti in materia di famiglia.


Come la mettiamo in questo caso? I creditori dovranno “attaccarsi al tram” o potranno invocare qualche tutela?


Dipende.


La spiegazione potrebbe essere un po’ impegnativa, ma vediamo di sintetizzare.


Generalmente, al creditore che si veda sottrarre dal proprio debitore possibili beni – mobili o immobili – su cui soddisfarsi per poter esercitare l’azione esecutiva – leggi pignoramento – è riconosciuta la possibilità di invocare l‘azione “revocatoria” di cui agli art. 2901 e ss. cc.


In buona sostanza, potrà chiedere che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento ;
2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.


Cosa?


Se l’atto con cui il debitore si è spossessato del bene (da pignorare) era a titolo gratuito, basterà dimostrare il pregiudizio che ne è conseguito al creditore e la conoscenza di ciò da parte del soggetto indebitato.


Se, al contrario, il bene fosse stato ceduto verso la corresponsione di un corrispettivo, andranno tutelate anche le ragioni di chi i soldini per acquistarlo li ha impiegati: in questo caso il creditore dovrà dimostrare che il terzo acquirente fosse a conoscenza del pregiudizio che il trasferimento del bene avrebbe arrecato ad altri.

E qui campa cavallo, talvolta la prova è davvero ardua.

 

Bene, perchè questo panegirico?


Dobbiamo verificare se i creditori di quel marito che ha trasferito alla moglie la casa potrà essere riconosciuto il rimedio dell’azione revocatoria.


Dipende, abbiamo detto.


Dipende da come si potrà considerare detto trasferimento.

 

Cessione della casa familiare in sede di separazione per sottrarsi ai debiti: i presupposti per l’azione revocatoria

 


Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione fa il punto preciso della questione.


Gli ermellini considerano la cessione patrimoniale tra coniugi in ambito separativo come un evento che si sottrae alle classiche connotazioni dell’atto di donazione (gratuito) e dell’atto di compravendita (oneroso).


Tali attribuzioni possono assumere i colori di obiettiva onerosità, se volti a compensare una situazione di squilibrio patrimoniale venutasi a creare con la crisi coniugale oppure per adempiere ad obblighi (vedasi il mantenimento) che emergono in rilievo proprio con la separazione.


L’onerosità dell’attribuzione patrimoniale non può farsi discendere tout court dall’astratta sussistenza di un obbligo legale di mantenimento, ma può emergere dall’esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo apportato da un coniuge al mènage familiare e non adeguatamente rappresentato dalla situazione patrimoniale formalmente in essere fino al momento della separazione.


Talvolta, in difetto di tali presupposti e giustificazioni, l’attribuzione patrimoniale può assumere il grado di liberalità ed erogazione gratuita.


Se ne trae la conseguenza – deduce la Suprema Corte – che la qualificazione dell’atto dispositivo per cui è causa come atto a titolo oneroso dipende dalla possibilità di ricondurlo, in concreto, ad una causa che, trovando titolo nei pregressi rapporti anche di natura economica delle parti e nella necessità di darvi sistemazione nel momento della dissoluzione del vincolo, giustifichi lo spostamento patrimoniale fra i coniugi”.


Vale a dire: tu marito che sostieni che la cessione della casa alla moglie in sede di separazione fosse stata fatta a titolo oneroso, per assolvere gli obblighi di mantenimento connaturati al nuovo regime venutosi a creare, mi devi dimostrare che ci fossero i presupposti per tale attribuzione, la quale – diversamente – potrà essere considerata a titolo gratuito, e quindi assoggettabile ad azione revocatoria senza la probatio diabolica della conoscenza, da parte del terzo cessionario, del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori con il trasferimento del bene.

 

Risarcimento danni per mancato pagamento assegno di mantenimento

 


Nel caso di specie, il marito si era privato della propria quota di comproprietà della casa adibita a residenza familiare, assegnandola alla moglie a titolo di mantenimento una tantum; si era impegnato a corrisponderle un assegno mensile per il mantenimento del figlio minore; aveva trasferivo titoli obbligazionari ed azionari per Euro 53.022,22 alla moglie per il suo mantenimento e per quello del figlio minore; aveva trasferito alla consorte 2.750,00 in contanti, in quanto denaro personale di quest’ultima: in buona sostanza, si era di fatto spossessato di ogni suo bene, senza che ciò fosse necessario per assolvere ad i propri obblighi di padre e marito. Circostanza, vieppiù, anomala nell’ambito delle separazioni personali, spesso caratterizzate da aspra rivalità tra coniugi.


In ragione della ritenuta natura gratuita della cessione immobiliare intercorsa, i creditori potranno agire agilmente in revocazione, semplicemente dimostrando che il loro debitore fosse a conoscenza del pregiudizio che essi avrebbero conseguito dal trasferimento, senza dover fare i conti con le insidiose maglie delle ulteriori e fastidiose prove circa la ricorrenza di identico contegno da parte del terzo cessionario.

La sentenza: Cassazione Civile: n. 17908 / 2019  

 

 

 

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Cessione della casa familiare in sede di separazione per sottrarsi ai debiti

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Cittadinanza: mantenimento del cognome acquisito con il matrimonio.

Cittadinanza: diritto al mantenimento del cognome acquisito con il matrimonio.

Il TAR Lombardia, sezione di Brescia, con la recente Tar Brescia n 64 2019, ha affrontato il caso di una signora di origine ucraina a cui è stata riconosciuta la cittadinanza italiana.

Nella richiesta la signora aveva indicato il cognome del marito, dato che la Legge ucraina consente alla donna che contrae matrimonio di sostituire il cognome di nascita con quello del coniuge.

Il Prefetto ha, tuttavia, ritenuto che i dati anagrafici della signora dovessero essere modificati in conformità a quanto risultava dal certificato di nascita ed ha così “corretto” il cognome.

Di qui il ricorso della signora che ha sostenuto il suo diritto di mantenere le generalità quali risultanti dall’atto di matrimonio.

Il TAR ha dato ragione alla signora rilevando che la normativa italiana deve essere disapplicata perché in contrasto con i principi sanciti dalla Corte Europea.

In particolare, la legge italiana prevede che il cittadino straniero, all’atto della presentazione dell’istanza di riconoscimento della cittadinanza, deve indicare le sue generalità come specificate nell’atto di nascita.

Il giudice ha, invece, evidenziato che il diritto al nome, assoluto e costituzionalmente tutelato, in quanto espressione dell’identità personale, deve, infatti, essere tutelato, garantendo allo straniero che ottenga la cittadinanza italiana il diritto a conservare il prenome e il cognome di origine a prescindere dalla disciplina italiana.

E ciò con riferimento non solo al cittadino comunitario, ma anche a ogni cittadino che si trovi nell’Unione europea e chieda il riconoscimento della cittadinanza in uno Stato appartenente ad essa.

Applicando il principio al caso concreto, osserva il TAR, deve, “ritenersi che fosse pieno diritto della odierna ricorrente indicare, come cognome, quello acquisito a seguito del matrimonio, in quanto il certificato di matrimonio prodotto in atti dà chiaramente atto di come il cognome della stessa sia stato modificato; ne consegue che, essendo stato corretto il dato contenuto nel certificato di nascita, così come precisato nell’atto di matrimonio, rientrasse nella possibilità della richiedente la cittadinanza italiana optare perché questa le fosse riconosciuta con il cognome del marito”.

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La casa acquistata da un solo coniuge in comunione dei beni

Casa acquistata da un solo coniuge in comunione dei beni: a chi appartiene?

Ad entrambi i consorti verrebbe da dire e la risposta è corretta. Ma con qualche specifica.

Cosa rientra nella comunione dei beni?

La comunione dei beni è un regime patrimoniale col quale rientrano nella sfera della contitolarità in capo ai coniugi (art. 177 cc)

acquisto in regime comunione dei beni
nella comunione dei beni rientrano essenzialmente gli acquisti effettuati dai coniugi dopo il matrimonio

– gli acquisti effettuati, assieme o separatamente durante il matrimonio,

– i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione

– i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione.

– le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.

Sugli stipendi guadagnati separatamente dai coniugi, ci eravamo soffermati in precedenza, sottolineando come la legge faccia rientrare nella comunione solo i denari che risultassero sussistenti allo scioglimento della comunione stessa, rimanendo, invece, nella disponibilità esclusiva del solo coniuge quelli guadagnati durante il periodo antecedente tale scioglimento (che spesso coincide con la separazione).

Oggi concentriamo l’attenzione sugli acquisti effettuati durante la comunione: che siano effettuati assieme o separatamente dai coniugi, la legge ne attribuisce la proprietà ad entrambi.

Anche la casa?

Certamente. Sia che venga acquistata da entrambi i consorti, sia che all’atto abbia partecipato uno solo, i beni immobili apparterranno ad entrambi, a meno che

Eccezioni

La legge dispone alcune eccezioni all’attribuzione congiunta dell’immobile acquistato durante la vigenza del regime della comunione dei beni.

In primis, apparterranno al singolo coniuge gli immobili conseguiti in virtù di donazione o lascito ereditario.

In secondo luogo, sono escluse dalla comunione le case acquistate per uso strettamente personale di un coniuge, oppure che servano all’esercizio della professione di uno solo dei consorti, o – da ultimo – acquistate col prezzo del trasferimento di beni appartenenti esclusivamente ad un coniuge.

Perchè un immobile – che rientri tra quelli sopra indicati – possa ritenersi di proprietà del singolo consorte e non già in comunione, è necessaria la ricorrenza di due requisiti imprescindibili (art.  179 cc):

– nell’atto di acquisto sia dichiarato che il bene non rientri nella comunione, perché ricorra una delle fattispecie di esclusione sopra indicate;

– all’atto di acquisto abbia partecipato anche l’altro consorte.

partecipazione coniuge atto di acquisto
Casa acquistata da un solo coniuge in comunione dei beni: per la proprietà esclusiva è necessaria la partecipazione dell’altro coniuge all’atto di acquisto

Casa acquistata da un solo coniuge in comunione dei beni: per l’esclusività è necessario che il consorte abbia partecipato all’atto di acquisto.

Anche se l’immobile rientrasse nei casi in cui la proprietà possa essere ricondotta ad uno soltanto dei coniugi, è imprescindibile che all’atto di acquisto abbia partecipato anche l’altro consorte.

Lo ha ribadito una recente sentenza della Corte di Cassazione.

Nella fattispecie, all’esito della separazione, la moglie aveva chiesto la divisione di un compendio immobiliare acquistato dal marito durante il matrimonio, nonché il rimborso di quota parte dei canoni di locazione maturati dopo la separazione e riscossi solo dall’altro coniuge.

Il marito si era costituito rivendicando la proprietà esclusiva della casa, acquistata per far fronte a bisogni strettamente personali e con mutuo pagato con i proventi della propria attività professionale.

La Suprema Corte ha dato ragione alla moglie, per motivi linearissimi.

In primo luogo, non aveva alcun valore che fossero stati impiegati per la compravendita denari conseguiti con il lavoro esclusivo del marito, in quanto il loro impiego in un acquisto ha fatto rientrare di diritto la casa comprata nel novero della comunione.

In secondo luogo, non era sufficiente che tale immobile fosse stato destinato ad un impiego esclusivamente personale di un coniuge, se all’atto di acquisto non aveva partecipato anche l’altro, come nel caso di specie, che ne avesse dichiarato l’esclusione dalla comunione.

Per inciso, la Corte è tornata a ribadire un altro concetto, già consolidato da precedenti pronunce e su cui, pure, ci eravamo soffermati già: la dichiarazione resa nell’atto dal coniuge non acquirente … in ordine alla natura personale del bene, si pone, peraltro, come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179 c.c.”.

 

La sentenza: Cassazione Civile 11668/2018

 

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Vendita beni fondo patrimoniale

Vendita beni fondo patrimoniale

L’istituto del fondo patrimoniale ha l’obiettivo di segregare una quota parte di beni, mobili o immobili, di uno o di entrambi i coniugi per far fronte alle necessità della famiglia.

Ad sustinenda onera matrimonii, dicevano i romani.

Una volta costituito, la proprietà dei beni del fondo appartiene ad entrambi i coniugi, salvo che sia stato diversamente pattuito nell’atto costitutivo, che può essere stipulato per atto pubblico (Notaio) anche durante il matrimonio (art. 167 cc).

vincolo vendita beni fondo patrimoniale
vendita beni fondo patrimoniale: l’impiego dei beni che costituiscono il fondo è vincolato alle necessità della famiglia

La  rendita (i frutti) che si conseguirà dai beni facenti parte del fondo ( i frutti) sarà destinata esclusivamente per i bisogni della famiglia.

Quali sono i bisogni della famiglia?

La giurisprudenza ha elaborato nel tempo un concetto via via più esteso.
Le necessità non sono solo quelle “primarie” per la vita dei componenti (mangiare, vestire ed un tetto dove dormire), ma tutte quelle che corredano il tenore di vita prescelto, che varia a seconda del nucleo familiare interessato e dovrà essere oggetto di attenta valutazione del giudice.
Il fondo patrimoniale può essere costituito da parte di un terzo, estraneo al nucleo familiare, ovviamente col benestare – accettazione – dei coniugi che lo compongono.
In questo caso, è escluso che il terzo costituente possa imporre per quali necessità familiari debbano essere impiegati i beni segregati: l’intento è naturalmente quello di garantire la massima autonomia e dignità per i coniugi nell’indirizzo della famiglia.

Vendita beni fondo patrimoniale.

Premesso che il fondo patrimoniale cessa con lo scioglimento del matrimonio – divorzio, ma dura comunque fino alla maggiore età dell’ultimo figlio, va precisato che i beni che ne fanno parte non possono essere venduti o ipotecati o vincolati senza il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minorenni, con l’autorizzazione del giudice (che dovrà appurare la necessità o utilità evidente dell’operazione): art. 169 cc.

Un bene del fondo patrimoniale potrà essere venduto con il consenso di entrambi i coniugi, salvo diversa indicazione contenuta nell’atto costitutivo

L’atto costitutivo, tuttavia, potrà derogare a tale previsione generale, consentendo al singolo coniuge, verosimilmente quello che abbia corrisposto i beni che costituiscono il fondo, di effettuare atti di straordinaria amministrazione senza l’adesione dell’altro consorte.
La giurisprudenza ha specificato che – in questo caso – non sarà nemmeno necessaria l’autorizzazione del tribunale nell’ipotesi in cui vi siano figli minorenni, proprio perchè sarà l’atto costitutivo, a monte, a consentire tale operazione.

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Rimborso spese ristrutturazione casa familiare: una sentenza isolata o un cambio di orientamento?

Rimborso spese ristrutturazione casa familiare: una recente Sentenza della Corte di Cassazione scompiglia il precedente consolidato orientamento.

Solidarietà coniugale.

L’art. 143 cc impone che entrambi i coniugi siano tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo , a contribuire ai bisogni della famiglia.

Si è nella stessa barca, ognuno ci metta il suo.

Conseguenze?

Per quanto concerne eventuali spese sostenute da un coniuge per la sistemazione, ristrutturazione, miglioramento della casa familiare, appartenente in esclusiva proprietà all’altro coniuge, la giurisprudenza più che consolidata stabiliva la non rimborsabilità degli importi versati quando “le opere realizzate risultino finalizzate a rendere l’abitazione più confacente ai bisogni della famiglia e, quindi, l’esborso si riveli sostenuto in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c.” (ex multis, Cass. Civ. 10942/2015).

Rimborso spese ristrutturazione casa familiare
Rimborso spese ristrutturazione casa familiare. Entrambi i coniugi sono tenuti a concorrere ai bisogni della famiglia. Gli importi versati non dovranno essere restituiti.

La Cassazione spariglia le carte

Una recente Sentenza della Cassazione – n. 20207/2017 – scombussola tale prospettazione, ponendo rilievo ad altri aspetti che, tuttavia, portano a risultati sideralmente differenti.

L’accento, infatti, è stato posto su un altro articolo del codice civile, attinente i diritti che spettano al possessore di un bene ( di proprietà altrui ) per le migliorie apportatevi (art. 1150 cc.).

Tale disciplina riconosce il diritto al rimborso per le spese fatte per le riparazioni straordinarie e ad una indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purchè sussistano ai tempi della restituzione.

Sulla scorta di tale disposizione, la Corte è giunta a riconoscere al coniuge non proprietario, nella sua veste di possessore della casa coniugale, il diritto al rimborso delle spese sostenute per migliorarla.

Due particolarità di non poco conto.

  • Il riconoscimento della qualifica di possessore” del coniuge che non sia titolare del diritto di proprietà dell’immobile.
    La giurisprudenza aveva sempre rinvenuto in tale fattispecie un ambito di semplice detenzione (seppur “qualificata”) del bene, in quanto tale non rientrante nella disciplina del possesso, specie con riferimento all’ipotesi di cui al menzionato art. 1150 cc (vedasi, ad esempio,Cass. civ. Sez. II, 28/11/2017, n. 28379).
Rimborso spese ristrutturazione casa familiare
Rimborso spese ristrutturazione casa familiare Il possessore ha diritto al rimborso delle spese sostenute per le migliorie del bene. Ma il coniuge non proprietario è possessore della casa familiare?
  • In secondo luogo, è stata riconosciuta la natura di credito di valore del rimborso dovuto al coniuge che abbia contribuito ai miglioramenti dell’immobile appartenente all’altro consorte, in quanto tale da rivalutarsi secondo gli indici ISTAT e da considerarsi produttivo di interessi al tasso legale sulle somme via via rivalutate.

Per verità si era assistito in precedenza ad alcuni arresti della giurisprudenza di merito volti a percorrere il medesimo filone argomentativo seguito oggi dalla Cassazione, ma il diritto al rimborso alle spese sostenute per le migliorie era stato riconosciuto per ipotesi nelle quali l’impiego di somme era avvenuto per investimenti esclusi dall’ambito solidaristico delineato dall’art. 143 cc.

Staremo a vedere se si tratterà di una pronuncia isolata o di un nuovo solco destinato ad aprire scenari diversi rispetto a quelli precedentemente consolidati.

La sentenza: Cass. Civ. 20207/2017 

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