Skip to main content

Matrimoni, separazioni e divorzi a Vicenza: i dati del 2017

Alcuni dati statistici pubblicati sul sito del Comune indicano il trend di matrimoni, separazioni e divorzi a Vicenza.

Stabile, tendente al ribasso.

La potremmo definire così la situazione  nell’anno appena terminato, se fosse possibile compendiare con terminologia “meteo” il “tempo” delle famiglie nel nostro comune di Vicenza.

Matrimoni, separazioni e divorzi a Vicenza: al volgere del 2016 avevamo segnalato un minimo incremento dei matrimoni celebrati rispetto all’anno precedente, (ecco il post ).

Ora assistiamo a un leggero decremento: 270 matrimoni celebrati nel 2017 rispetto ai 290 contratti nel 2016.

dati matrimoni separazioni e divorzi a Vicenza
Matrimoni, separazioni e divorzi a Vicenza. Consultabili sul sito del Comune di Vicenza i dati delle famiglie 2017

Costante è invece la differenza significativa relativa al rito prescelto: i matrimoni civili più che doppiano quelli religiosi (185 a 85). Così era stato anche nel 2016, con risultati di poco differenti (193 a 97). Nel 2015, invece, il divario era stato più contenuto, (197 a 125). Bisogna risalire al 2007 per appurare il periodo in cui è avvenuta l’inversione di tendenza, prima ad appannaggio del matrimonio religioso.

Età matrimoni separazioni e divorzi VicenzaMatrimoni, separazioni e divorzi a Vicenza: Circa l’età media degli sposi, si apprende un aumento rispetto all’anno precedente: i neo mariti 40,2 anni (nel 2016 l’età era di 38,6) mentre le spose 37 anni (35,1 l’anno prima).

I dati sono significativamente differenti a seconda che il rito sia stato civile (m 42,5 f 39,4) o religioso (m 35,1 e f 31,9). E’ logico dedurre che la maggiore età riportata nei coniugi celebrati civilmente sia dovuta anche, e soprattutto, alle seconde nozze, inglobate nei primi. Sostanzialmente stabile il rapporto tra matrimoni di cittadini italiani (185 nel 2017 contro i 188 del 2016), di stranieri (56 nel 2017, 71 nel 2016), e misti (rispettivamente 56 e 71).

Unioni civili a Vicenza: Le unioni civili nel 2017 sono state 30: 27 tra maschi e 7 tra femmine.

Non si hanno ancora i dati ufficiali circa il trend di separazioni e divorzi a Vicenza. Gli unici conteggi a disposizione riguardano il numero totale di divorziati, che nel 2017 è aumentato di circa 250 unità rispetto all’anno precedente (4.447 a 4.223, confermando una tendenza sempre in crescita.

Per una consulenza in materia di matrimonio, separazione o divorzio  da parte degli avvocati Berto clicca qui.

Comunione dei beni e usucapione

Un’analisi sul rapporto intercorrente tra comunione dei beni e usucapione.

Un’unica carne, un unico patrimonio.

Compendiamo in due parole la ratio dell’istituito della comunione dei beni.

Con tale scelta moglie e marito optano per far rientrare nell’orbita comune di entrambi beni che altrimenti apparterrebbero alla titolarità dell’uno e dell’altro.

Già ci siamo soffermati più volte ad esaminare tale regime patrimoniale.

Per agevolare la lettura, ricordiamo che nella comunione – tra gli altri – rientrano gli acquisti effettuati insieme o separatamente dai coniugi durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali.

Proprio da tale inciso prenderemo le mosse per affrontare la questione che ci occupa quest’oggi: se beni che diventassero di proprietà dell’uno o dell’altro consorte per usucapione ricadano nell’ambito della comunione.

Altro passo indietro: per usucapione si intende l’acquisto della titolarità di un diritto su un bene in forza del possesso continuato, pubblico, pacifico ed ininterrotto per un determinato periodo di tempo che, per quanto attiene i beni immobili, è normalmente 20 anni.

Ebbene, a meno che il possesso non fosse avvenuto ad opera di entrambi i coniugi per un range temporale così vasto, l’esercizio personale di una tale attività/potestà sembrerebbe – a prima vista – rientrare nel novero delle questioni strettamente personali del coniuge che ne abbia dato luogo, così da considerare il conseguente acquisto per usucapione come appartenente a colui, e solo ad esso, che abbia posseduto il bene.

Non è così.

Secondo quanto sostenuto, a più riprese, dalla Corte di Cassazione (da ultimo con Sentenza 17033 del 11-08-2016)  gli acquisti di beni immobili per usucapione effettuati da uno solo due coniugi, durante il matrimonio, in vigenza del regime patrimoniale della comunione legale, entrano a far parte della comunione stessa, non dovendo distinguersi tra acquisti a titolo originario e a titolo derivativo.

Comunione dei beni e usucapione vicenza
il perfezionarsi dell’usucapione durante il periodo di comunione dei beni comporterà la titolarità dell’acquisto in capo ad entrambi i coniugi.

Con qualche distinzione.

I giudici supremi avvertono che occorra concentrare l’attenzione sul momento in cui si perfeziona l’acquisto per usucapione. In buona sostanza, la titolarità deve essere conseguita vigente il regime di comunione per essere ascritta ad entrambi i coniugi, anche se il possesso fosse stato esercitato per buona parte prima del matrimonio.

Al momento del perfezionamento dell’acquisto e non all’attività prodromica e precedente occorre far riferimento.

Se l’usucapione si maturasse dopo la fine del matrimonio e comunque quando non era più perdurante il regime patrimoniale della comunione, l’acquisto sarà ascrivibile al coniuge che abbia dato luogo al possesso nei termini richiesti dalla legge, anche se il possesso fosse stato esercitato per buona parte durante il matrimonio.

Un’altra precisazione.

Posto che la titolarità del diritto in virtù del possesso ad usucapionem si acquista in forza del possesso stesso, per cui un’eventuale pronuncia a cui sarà invocato l’intervento di un giudice non costituirà il diritto, ma – tutt’al più – lo accerterà come già esistente, ai fini della determinazione del perfezionamento dell’acquisto e della valutazione se sia avvenuto vigente la comunione oppure no, occorrerà riferirsi unicamente alla data di maturazione dell’usucapione e non alla eventuale relativa sentenza dichiarativa.

 

 

 

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Comunione dei beni e usucapione

Il matrimonio non consumato può essere sciolto direttamente senza separazione

Matrimonio non consumato: una circostanza che può intaccare la stabilità del vincolo

Omnia amor vincit!

Matrimonio senza sesso
il Matrimonio non consumato può essere sciolto

L’amore vince tutto…quello paziente, però. Così pare, indirettamente, suggerire la pronuncia della Cassazione oggi in esame. Per poter considerare una relazione tra due persone al rango di quella matrimoniale, dopo aver celebrato le nozze i due sposini debbono “consumare” il matrimonio. Si deve instaurare, cioè, oltre alla comunione spirituale tra i consorti, anche quella fisica, altrettanto imprescindibile.

Altrimenti? Pena la possibilità di chiedere direttamente lo scioglimento del matrimonio, senza passare tramite il periodo di separazione, per i coniugi che, appunto, non abbiano intrattenuto il “congresso carnale”.

E’ logico: l’inconsumazione  è una sorta di spia circa le possibilità di funzionamento della macchina coniugale e conferisce, pertanto, una soluzione pronta ed immediata per le coppie che abbiano questi problemi e vogliano porre urgente termine al loro vincolo matrimoniale.

Ma andiamo in profondità al caso di oggi.

Una coppia di neo sposi, dopo aver convolato e prima di aver adempiuto ai conseguenti “doveri”, viene separata dal braccio della giustizia, che – spietato – viene a segregare il marito dietro le sbarre, per un periodo di tempo notevolissimo.

Quest’ultimo, preoccupato che il vincolo matrimoniale testè conseguito possa venir meno, senza aver consumato il rapporto coniugale, chiede un permesso cd ” di necessità” – che l’ordinamento penitenziario riconosce come rimedio d’urgenza ai detenuti che vertano in condizioni di particolare gravità – per poter incontrare la moglie in una casa di accoglienza e così sigillare fisicamente quanto solo verbalmente celebrato.

E l’impossibilità di adempiere ad un dovere sì rilevante ai fini del vincolo matrimoniale è stata prospettata dal detenuto come circostanza di “particolare gravità“.

Non così è parso al Tribunale, chiamato in prima battuta a pronunciarsi sulla questione. E nemmeno a parere della Cassazione. “Ci sono i permessi premio“, viene obiettato,  ossia delle uscite concesse a scopo premiale a detenuti che abbiano “manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali”. Ma dopo un consistente periodo di detenzione.

matrimonio non consumato in carcere
Non può essere chiesto un permesso per consumare il vincolo.

Nel caso di specie, è stato osservato, non rientrano i gravi motivi, che sono connotati da “carattere emergenziale ed eccezionale e, quindi, coerentemente limitati a situazioni la cui gravità si ponga in termini di irreparabilità attuale (morte di un familiare o di un convivente) o concretamente probabile (imminente pericolo di vita degli stessi), o sia comunque connotata dall’incombere di eventi familiari particolarmente pregiudizievoli“. L’amore vince tutto, se è paziente.

 

L’augurio per questo matrimonio inconsumato è che la pazienza sappia reggere al passare degli anni. La Sentenza: Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-09-2015) 12-01-2016, n. 882  

 

 

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

matrimonio non consumato

Bene personale in comunione dei beni

Bene personale in comunione dei beni: ovvero ho comprato la casa prima di essere sposato.

Bene personale in comunione dei beni
Si pronto ciao…volevo sapere: che differenza c’è tra comunione e separazione dei beni?

Ogni avvocato, nel corso della propria vita professionale, riceve una telefonatina, una sera, il giorno prima del matrimonio di un amico, nel corso della quale il nubendo, tra il sognante per le emozioni che di lì a poco lo sovrasteranno e il trafelato per i pensieri della nuova vita che lo attende, chiederà “ma…visto che siamo al telefono e tu (coincidenza!!!) sei un avvocato….che differenza c’è tra comunione e separazione dei beni?”.
Bella domanda. Così? Al telefono?
Siediti che te lo spiego“.
Si partirà dal 1975, anno in cui la comunione dei beni è divenuta la regola tra coniugi, in mancanza di altre e diverse indicazioni.
Si passerà per una descrizione sommaria –  al telefono (!) – dell’art. 177 cc: beni che costituiscono “oggetto della comunione”, e via dicendo.
Tempo dieci secondi dalla descrizione del tutto generale sopra indicata, che subito un’altra domanda, più pressante, soffocata, cercherà una (rassicurante) risposta: ma la casa che ho comprato prima del matrimonio, mica diventerà anche di mia moglie, dopo le nozze?”
No, sta’ sicuro.
L’art. 179 cc descrive compiutamente i beni che rimangono “personali”: tra di essi vi è quanto di cui il coniuge era proprietario prima delle nozze.
Qualche secondo ancora di silenzio…
E se lo rivendessi? Perderei tutto?”.
Ecco qua. Siamo arrivati.
L’oggetto dell’odierna discussione.

La legge al riguardo stabilisce: “sono beni personali” non oggetto di comunione “i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali o col loro scambio, purchè ciò sia espressamente dichiarato all’atto d’acquisto“. Se si trattasse di una casa, oltre a quanto sopra, sarebbe necessario che all’atto di acquisto del nuovo immobile, ove verrà dichiarato che tale bene sarà escluso dalla comunione, dovrà partecipare anche l’altro coniuge.

Fatta la legge, trovato l’inganno.

comunione dei beni3
Bene personale in comunione dei beni: ovvero ho comprato la casa prima di essere sposato è anche di mia moglie?

Nel corso degli anni si è potuto verificare che troppi trasferimenti immobiliari sono avvenuti alla presenza, più o meno silenziosa, del coniuge non intestatario, il quale, per opportunità, timore, ignoranza, attestava circostanze non sempre corrispondenti al vero.

Busillis: se la moglie, mettiamo caso fosse lei, attestasse, in sede di rogito, che la casa che il marito si accinge ad acquistare sia comprata con i soldini derivati dalla vendita della precedente abitazione, che già apparteneva al coniuge, ma ciò non fosse vero, la moglie…ha perso ogni diritto sulla nuova casa?
La giurisprudenza dice di no.

Il motivo: la dichiarazione effettuata in sede di acquisto del nuovo bene non ha valore abdicativo per l’altro coniuge, non può consistere in una rinuncia, da parte sua, di quanto gli spetterebbe altrimenti: per operare in tale direzione sarebbe necessario addirittura un cambio di regime patrimoniale tra coniugi; dalla comunione alla separazione dei beni, o ad una comunione convenzionale.
La dichiarazione ha, bensì, valore ricognitivo; vale ad appurare una circostanza, un fatto, ossia l’acquisto con il prezzo derivante dal trasferimento di un bene personale dell’altro consorte.
Una ricognizione che non ha valore assoluto, ma è suscettibile di prova contraria.

Ecco, allora, la posizione della giurisprudenza in merito: “In tema di regime patrimoniale dei coniugi, nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179, comma 2 c.c., si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione, tassativamente indicate dall’art. 179, comma 1, lett. c), d) ed f), c.c., con la conseguenza che l’eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi“.

Nella speranza di esser stato sufficientemente chiaro ed esauriente, ed a disposizione per ogni ritenuto chiarimento, ti auguro, o amico, buone nozze e giorni felici.

La sentenza, (ex multis) Trib. Trento, 30/05/2016

 

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Bene personale in comunione dei beni

Prescrizione diritti coniuge

i diritti tra coniugi
Quando si arriva alla prescrizione dei diritti tra coniugi?

Prescrizione diritti coniuge. Durante il matrimonio decorre il tempo per la prescrizione di un diritto verso l’altro coniuge? Scoprilo con noi.

Panta rei. Tutto scorre.
Tutto passa. Anche i diritti.
O meglio, alcuni di essi.

Si parla di prescrizione: ogni diritto – tranne quelli indisponibili ed altri indicati dalla legge – si estingue quanto il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge.
La ragione è logica: la certezza nei rapporti giuridici. Se passa un tempo significativo senza che si eserciti una propria prerogativa, evidentemente di quel diritto non si ha più interesse e non si può rivendicarlo ulteriormente.
Ma quanto tempo di inerzia deve trascorrere per poter perdere un diritto?

La legge individua una prescrizione ordinaria di dieci anni: è la regola, fatta eccezione casi particolari, espressamente individuati.
Ad esempio, si prescrivono in minor tempo – 5 anni – il diritto ad ottenere il risarcimento del danno derivante da fatto illecito, le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, gli interessi, i canoni di locazione …
Addirittura sono previsti termini ancora minori in alcune fattispecie: due anni per il risarcimento del danno provocato dalla circolazione di veicoli,  in un anno si prescrive il diritto del mediatore al pagamento della provvigione, in tre anni si estingue il diritto del professionista per il compenso all’opera prestata etc…

Il termine di prescrizione decorre da quando il diritto può essere utilmente esercitato e fatto valere.

Bene, vi sono delle situazione nell’ambito delle quali rivendicare un diritto potrebbe essere arduo, o quanto meno sconveniente, vuoi per le condizioni in cui si trovi il titolare – ad esempio è minorenne, oppure in tempo di guerra – vuoi per il tipo di rapporto che intercorre tra titolare del diritto e chi gli effetti di quel diritto li deve rispettare.

Tra questi rapporti vi è quello coniugale.

La ratio è facilmente intuibile: se la moglie avanzasse dal marito una somma di denaro ed il proprio diritto di credito si prescrivesse in dieci anni, sarebbe addirittura controproducente che essa si attivasse con diffide, messe in mora o cause per non perdere il proprio diritto.
Il credito sarebbe fatto salvo, ma il rapporto matrimoniale?
Ecco che la legge saggiamente ha previsto la “sospensione” del termine di prescrizione durante il rapporto coniugale.
Tale sospensione è vigente anche durante la separazione: si ricorda, infatti, che la separazione non incide sul vincolo coniugale.

Una questione dibattuta sul punto è quella relativa alla vigenza della sospensione durante il periodo di separazione con riferimento ai crediti vantati da un coniuge rispetto all’altro a titolo alimentare o per il proprio mantenimento.
La giurisprudenza è davvero divisa.
Da un lato, la Cassazione ha ribadito, anche di recente, la posizione più intransigente: poichè la separazione non fa venir meno il rappoprescrizione diritti tra coniugirto coniugale ma ne attutisce solamente il vincolo, perdura durante essa la sospensione della prescrizione tra i consorti (Cass. civ. Sez. III Ordinanza, 01/04/2014, n. 7533).

Dall’altro lato, con una sentenza pressochè coeva a quella sopra indicata, la Suprema Corte ha abbracciato un diverso orientamento: nel regime di separazione non può ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata al timore di turbare l’armonia familiare, poiché è già subentrata una crisi conclamata e sono già state esperite le relative azioni giudiziarie, con la conseguente cessazione della convivenza. In tal caso ben potrà ritenersi che decorra il termine prescrizionale senza alcuna sospensione (Cass. civ. Sez. I, 20/08/2014, n. 18078)
Tutto scorre.
Probabilmente anche le decisioni giudiziali in merito si assesteranno su una posizione definitiva.

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Prescrizione diritti coniuge

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Restituzione somme tra coniugi: cosa succede quando l’appartamento è solo dell’altro?

Restituzione somme tra coniugi. Il coniuge non può chiedere il rimborso delle spese di ristrutturazione dell’appartamento di proprietà esclusiva dell’altro.

Un progetto, il matrimonio, che impone diritti e obblighi.

restituzione somme tra coniugi per ristrutturazione
Restituzione somme tra coniugi per ristrutturazione

Dal giorno delle nozze i coniugi concordano l’indirizzo della vita matrimoniale e si assumono importanti oneri.
Tra essi quello all’assistenza materiale ed alla contribuzione ai bisogni della famiglia, ognuno in relazione alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo (art. 143 cc)

Capita sovente il caso in cui un consorte sia già proprietario di un immobile prima del matrimonio ma che, per renderlo adattabile alle esigenze della famiglia costituita, siano necessari interventi di ristrutturazione.
Che ne è se il coniuge, non proprietario, impieghi denaro personale per le opere di riattamento dell’appartamento dell’altro? E’ possibile in questo caso la restituzione somme tra coniugi?
Una recente sentenza della corte d’Appello di Lecce ci dice di no.

restituzione somme tra coniugiIl diniego trae origine proprio in considerazione dell’obbligo contributivo che abbiamo richiamato all’inizio del post.
Poichè è obbligo dei coniugi – di entrambi – partecipare ai bisogni della famiglia, allorquando si impieghino somme a tal fine esse non sono rimborsabili ma frutto, per l’appunto, di un preciso dovere coniugale.
A poco vale l’obiezione che si sia incrementato il valore di un bene che rimarrà nell’esclusiva proprietà di un solo consorte, ne’ che le spese di ristrutturazione possano travalicare i limiti strettamente necessari per l’adempimento dell’obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia.

La pronuncia della corte pugliese è perentoria: ” i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti in virtù della disposizione citata, non si esauriscono in quelli minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi; situazioni che, quindi, indipendentemente dal valore economico, sono comunque riconducibili alla logica della solidarietà coniugale“.
La sentenza: App. Lecce Sez. II, Sent., 04-07-2016

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Restituzione somme tra coniugi

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Abbandono del tetto coniugale

Abbandono del tetto coniugale: quando è possibile?

Con il matrimonio nascono diritti e doveri per i coniugi.
Oltre alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia vi è quello della coabitazione.
Tale obbligo viene ovviamente meno con la separazione, quando i coniugi saranno  autorizzati a vivere in abitazioni diverse.

abbandono del tetto coniugale
Abbandono del tetto coniugale, solo in caso di separazione?

Ma bisogna aspettare un provvedimento del Tribunale per uscire di casa? Quando è possibile l’abbandono del tetto coniugale?
La risposta ce la dà indirettamente la legge stessa, nonchè numerose pronunce giurisprudenziali.
L’art. 146 cc innanzitutto stabilisce che la “proposizione della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare“.
Ne consegue che il portare le carte in tribunale, chiedendo la separazione, è sufficiente per potersi allontanare dalla casa coniugale, senza dover attendere la pronuncia giudiziale.
Non è tutto.

Il sottolineare che la predetta attività giudiziale costituisca giusta causa di allontanamento, ha portato gli interpreti del diritto ed i giudici a domandarsi quali altre cause possano legittimare la dipartita di un coniuge.
La risposta non è univoca in quanto plurimi e circostanziati possono essere i casi della vita.

Senz’ombra di dubbio è idonea a legittimare l’uscita dalla casa coniugale la presenza di circostanze che possano arrecare grave pregiuzio per i figli: la condotta violenta di un genitore, una spasmodica tensione familiare che comporti una intollerabilità della convivenza. Circostanze che, ovviamente, e proprio per la presenza di figli minori, dovranno essere poi oggetto di rigorosa valutazione da parte del giudice.

Quando è consentito l'abbandono del tetto coniugaleTroviamo poi numerosi provvedimenti che hanno determinato pronunce su svariati e differenti ipotesi di abbandono del tetto coniugale.
Un filo comune è senza dubbio costituito da ragioni di carattere interpersonale che non consentano la prosecuzione della vita in comune,  vale a dire dalla presenza di situazioni di fatto di per sé incompatibili con la protrazione della convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare.
La Cassazione ha, per esempio, ritenuto legittimo l’allontanamento della moglie a causa dei frequenti litigi domestici con la suocera convivente e conseguente progressivo deterioramento dei rapporti tra gli stessi coniugi  (Cass. civ. Sez. I Ordinanza, 24/02/2011, n. 4540).
Oppure, la mancanza di intesa sessuale potrebbe costituire una “giusta causa” per l’abbandono della casa familiare da parte di uno dei coniugi, “mancando un rapporto sereno e appagante” (Cass. civ. Sez. I, 31/05/2012, n. 8773).
La decisione di andarsene di casa deve essere frutto di una severa valutazione, pena conseguenze che possono essere non di poco conto.
Al coniuge che lasci l’abitazione familiare, senza valido motivo e comunque senza il consenso dell’altro, verrà sospeso il diritto all’assistenza morale e materiale, pur avendovi necessità.
Non potrà, pertanto, chiedere un contributo al mantenimento da parte dell’altro coniuge nelle more di una illegittima dipartita da casa.
L’arbitrario abbandono del tetto domestico potrebbe essere causa di una pronuncia di addebito, costituendo violazione di un obbligo matrimoniale.
Conseguentemente il coniuge che pone in essere tale condotta potrebbe perdere anche i propri diritti ereditari nei confronti dell’altro, oltre che il diritto al mantenimento a seguito della separazione.

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Abbandono del tetto coniugale

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

Comunione dei beni: i soldi dello stipendio appartengono solo a chi li guadagna.

I soldi dello stipendio appartengono solo a chi li guadagna anche in comunione dei beni.

comunione dei beni
Comunione dei beni: io guadagno, sono anche tuoi i soldi?

Avete letto bene.
Lo prevede la legge nella comunione dei beni.
L’art. 177 cc stabilisce infatti che “i proventi oggetto dell’attività separata di ciascuno dei coniugi” costituiscano oggetto di comunione solo se “non consumati allo scioglimento della comunione”.

Ne discende che, vigente la comunione dei beni, i redditi individuali dei coniugi, tanto che si tratti di redditi di capitali, quanto che si tratti di proventi della loro attività separata,  rimangono di pertinenza del rispettivo titolare, salvo a diventare comuni, nella misura in cui non siano stati già consumati, al verificarsi di una causa di scioglimento della comunione.

Si parla in tal caso di comunione de residuo, ossia vi rientra solo ciò che resta.

Servono delle precisazioni.
Quello che un coniuge guadagna col proprio personale lavoro, gli appartiene esclusivamente fino allo scioglimento della comunione, allorquando sarà di spettanza anche dell’altro. Ciò non significa che egli possa segregare il suo patrimonio e fare letteralmente ciò che vuole.

  •  In primis, dovrà contribuire ai bisogni della famiglia “in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo” (art 143 cc ).
  • Non solo: egli dovrà provvedere all’assistenza materiale dell’altro coniuge, nonchè al mantenimento dei figli (art 147 cc).

E non è poco.
Supponiamo che dal soddisfacimento di detti obblighi avanzino ancora dei denari, il coniuge titolare di tali importi potrà impiegarli come crede.
Se dovessero, tuttavia, essere acquistati dei beni, anche separatamente, essi entrerebbero a far parte automaticamente della comunione, giusta la previsione secondo cui  vi rientrano “gli acquisti compiuti dai due coniugi, insieme o separatamente, durante il matrimonio” (art. 177 cc).

Sulle modalità ed i fini dell’impiego delle somme personali, la giurisprudenza è stata a lungo oscillante.
Dapprima, si richiedeva che il coniuge titolare dei proventi di attività separata dovesse dimostrare che i medesimi erano stati impiegati per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione, cosicchè – pur personali – il fine del loro utilizzo doveva ricadere sempre nell’ambito familiare.

comunione dei beni 2
Comunione dei beni solo dopo la separazione?

Un più recente, ed ormai assodato, filone giurisprudenziale è di segno avverso: una volta soddisfatti i bisogni della famiglia, il coniuge titolare di reddito personale può impiegarlo come crede, anche per fini esclusivamente a lui propri, senza che sia ammesso alcun sindacato da parte del coniuge non precettore sul relativo utilizzo.

Capita di frequente che, in odor di separazione, vi sia la corsa da parte dei coniugi a prelevare somme dal proprio conto corrente personale, su cui siano confluiti gli introiti del proprio lavoro, onde sottrarre tali importi dalla conseguente comunione che si verrebbe a creare “de residuo” al momento della separazione.

Si ritiene, in tal caso, che sia opportuno operare un’attenta valutazione della ratio normativa della comunione.
Il codice, infatti, esclude dalla contitolarità comune i “proventi non consumati” e non già quelli “sottratti” ante separazione.
Il titolare di importi, magicamente usciti dal conto corrente pochi giorni prima la prima udienza in Tribunale, dovrà dimostrare che i medesimi sono stati impiegati e pertanto non esistono più, altrimenti dovrà corrisponderne la metà all’altro consorte.

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Comunione dei beni: i soldi dello stipendio

Avvocato separazione Vicenza

Scarica gratuitamente la guida degli avvocati Berto

  • 1
  • 2