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Mantenimento dei figli: le linee guida del Consiglio Nazionale Forense

Mantenimento dei figli: la chiarezza preventiva è la chiave di volta per dirimere eventuali contrasti.

Ne abbiamo parlato più volte. La problematica è diffusa e costituisce lo scoglio sul quale più spesso si infrangono le speranze dei coniugi ed ex coniugi di aver trovato un po’ di serenità dopo le tempeste della separazione o del divorzio.

Cosa comprende l’assegno di mantenimento che il genitore non collocatario deve corrispondere all’altro, che sia stato designato come soggetto presso il quale i figli debbano risiedere prevalentemente?

Se si potesse prevedere tutti gli oneri inclusi e quelli esclusi, qualcosa senz’altro rimarrebbe fuori.

Sulla scia dell’esempio tenuto dalla Corte d’appello di Milano, che recentemente ha delineato delle linee guida che possano essere di sussidio e prassi per i procedimenti in materia familiare, il Consiglio Nazionale Forense ha emanato, di rimbalzo, le proprie “linee guida per la regolamentazione delle modalità di mantenimento dei figli nelle cause di diritto familiare”.

Tre consigli

L’apporto è preceduto da tre consigli, di ordine pratico ma di estremo buon senso.

1. l’invito alle parti ed ai rispettivi difensori di ” riservare ampia trattazione, all’interno degli eventuali accordi di separazione e/o divorzio, alla disciplina delle spese straordinarie, con precisa e puntuale elencazione delle spese che esulano dalla contribuzione ordinaria al mantenimento della prole”.

2. Nella predetta esposizione indicare quali erano le “eventuali spese correnti della famiglia coesa”.

3. porre bene attenzione al concetto di spese straordinarie, che sono quelle “imprevedibili nell’ “an” e non determinabili nel “quantum” perchè afferiscono ad esigenze episodiche o saltuarie” o comunque “non rientranti nelle normali consuetudini di vita dei figli”.

Distinzioni

Effettuate queste premesse, il CNF parte dalla distinzione tra spese ordinarie e straordinarie e, relativamente a quest’ultime, quelle per le quali è richiesto il “preventivo consenso” oppure quelle sempre rimborsabili.

Alle parti sarà rimesso il compito di individuarle e distinguerle.

In caso di mancata espressa pattuizione e/o accordo tra le parti sul punto, la qualificazione delle spese in “ordinarie e straordinarie” potrà essere effettuata tenendo conto delle seguenti indicazioni.

– Per quanto riguarda le spese comprese nell’assegno di mantenimento, esse attengono a quelle ordinarie, abituali, quotidiane e ricorrenti dei figli: vitto, abbigliamento, alloggio e relative utenze, spese per tasse scolastiche (escluse quelle universitarie) e materiale scolastico di cancelleria (non i libri), mensa, medicinali da banco, spese di trasporto urbano.

linee guida mantenimento dei figli
L’invito del CNF è a prevedere compiutamente quali siano le spese straordinarie in ambito di accordo divorzile o nella separazione.

Sono inclusi alcuni compendi di spesa molte volte non considerati in punto di mantenimento: la ricarica del cellulare, l’approvvigionamento di carburante per eventuali mezzi motorizzati in dote ai figli, le rette per rientri anticipati o posticipati a scuola (purchè si tratti in questo caso di “spese sostenibili”) e tutte le attività ricreative abituali (cinema, feste, pizzate). Da ultimo saranno comprese nell’assegno le spese per la cura di eventuali animali domestici dei figli (purchè appartenessero loro prima della separazione o divorzio).

– Le spese straordinarie, come detto, si distingueranno in quelle obbligatorie per le quali non è richiesta la previa concertazione e saranno sempre ripetibili, pro quota, dal genitore che le avrà sostenute.

Tra di esse si comprendono le spese per i libri scolastici, le spese sanitarie urgenti, l’acquisto di farmaci non da banco, debitamente prescritte, interventi chirurgici non differibili, sia presso strutture sanitarie pubbliche che private, spese  mediche specialistiche (oculistiche, ortodontiche…), spese di bollo e assicurazione per eventuali mezzi di trasporto (acquistati col benestare di entrambi i genitori).

Tutte le menzionate spese saranno rimborsabili, ovviamente, previa debita documentazione.

Le spese straordinarie da concordare

– Da ultimo, alcune spese straordinarie potranno essere rimborsate soltanto se concordate da entrambi i genitori.

Tra di esse quelle:

1. Scolastiche: per l’iscrizione a scuole private, per alloggi universitari fuori sede, ripetizioni, frequenza del conservatorio, baby sitting assunte per coprire l’orario del lavoro del genitore che le utilizzi per un’esigenza emersa in virtù ed a seguito della separazione.

2. Spese di natura ludica o parascolastica: attività artistiche, informatica, centri estivi, viaggi di sitruzione, vacanze autonome senza i genitori.

3. Spese sportive, comprensive della relativa attrezzatura.

4. Spese mediche e trattamenti non coperti o non effettuati dal SSN.

5. Organizzazione di ricevimenti e feste dedicate ai figli.

Tali spese dovranno essere concordate. Il genitore che intenda proporle dovrà presentare una richiesta scritta all’altro, che dovrà esprimersi ed eventualmente manifestare il proprio motivato dissenso. In difetto di risposta entro 20 giorni, il silenzio sarà inteso come consenso alla spesa.

Un’ultima utile proposta è l’attribuzione concordata degli assegni familiari al genitore collocatario in via prevalente dei figli, anche se materialmente erogato dal datore di lavoro dell’altro genitore.

Le linee guida complete proposte dal Consiglio Nazionale Forense sono reperibili al seguente link.

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Affidamento condiviso: una sentenza contestata sui poteri decisionali di maggiore interesse

Una recente Sentenza della Cassazione pare ridisegnare la portata normativa dell’affidamento condiviso in materia delle scelte di maggiore interesse per i figli minori.

Revirement?

No. Non tanto.

I precedenti provvedimenti degli ermellini – abbastanza recenti, essendo la norma sull’affidamento condiviso risalente solo al 2006 – non hanno mai segnalato deviazioni significative.

Piuttosto, si potrà parlare di interpretazione estensiva del potere decisionale attribuito al singolo genitore, da farsi valere in via “temporanea ed urgente,nei casi in cui si verifichi uno stallo risolutivo in ordine a questioni di primaria importanza per i figli.

Facciamo il punto della situazione.

Affidamento condiviso: ossia il potere, conferito ad entrambi i genitori, di poter assumere e partecipare alle scelte che riguardino la prole. In virtù di un intento rafforzativo della bigenitorialità, l’istituto vuole conferire tanto al padre, quanto alla madre medesima dignità di ruolo.

In questo senso, ad entrambi i genitori è conferita la possibilità di intraprendere, autonomamente, senza ottenere il previo consenso dell’altro, le scelte “di ordinaria amministrazione” per i figli.

Per quanto riguarda le scelte di maggiore interesse – leggiamo testualmente l’art. 337 ter cc. – “relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice“.

Accordo preventivo o niente: pareva di intendersi.

Ed invece no

.La sentenza della Cassazione in esame, (n. 4060/2017) relativa alla scelta effettuata unilateralmente dalla madre in ordine al tipo di scuola (pubblica o privata) da far frequentare alla figlia, ha stabilito che “quando il rapporto tra i genitori non consente il raggiungimento di un’intesa, occorre assicurare ancora la tutela del migliore interesse del minore e l’opposizione di un genitore non può paralizzare l’adozione di ogni iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se di rilevante interesse, e neppure è necessario ritrovare l’intesa prima che l’iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete al giudice, ove ne sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all’interesse del minore“.

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Compatibile l’affidamento condiviso con la decisione unilaterale, seppur provvisoria, di un solo genitore?

Nessuna intesa preventiva, ma una scelta unilaterale oggetto di eventuale e postuma decisione del giudice.

Il provvedimento – apparentemente di buon senso, in quanto volto ad eliminare frequenti impasse, causate più da attriti tra coniugi, o ex coniugi, piuttosto che da significative divergenze genitoriali – pare disattendere da un lato la parola della legge, dall’altro la ratio dell’istituto dell’affidamento condiviso.

Se, infatti, il testo dell’art. 337 ter cc lascia pochi dubbi circa la consensualità che deve presidiare le decisioni gravate da maggior incidenza e significato per la vita della prole nonchè il momento in cui deve intervenire l’eventuale pronuncia del Tribunale a dirimere il contrasto, a monte e non ex post, dall’altro è bene evidenziare come la ragione di tale previsione normativa fosse nell’attenta e precisa valorizzazione della pari dignità genitoriale alla base della gestione delle vicende relative ai figli.

Se, accanto alla spesso inevitabile collocazione prevalente dei figli presso un genitore – vigente l’affidamento condiviso – fosse consentito anche che un ascendente possa anche assumere unilateralmente le scelte più importanti, da sottoporre al vaglio successivo e solo eventuale del giudice, si svuoterebbe di significato e di rilevanza il ruolo dell’altro genitore, con buona pace del preciso intento parificatorio dell’intervento legislativo citato.

C’è da lavorare.

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Pignoramento della casa coniugale dopo la separazione

Pignoramento della casa coniugale dopo la separazione: tra coniuge e creditore prevale chi ha trascritto per primo.

Sero venientibus ossa.

A chi arriva tardi spetteranno solo le ossa della pietanza imbandita.

E’ un principio che vale praticamente in ogni ambito di vita: chi prima arriva, meglio alloggia.

Oggi appuriamo tale verità anche nell’analisi di un conflitto: quello tra coniuge assegnatario dell’immobile adibito ad abitazione familiare e creditore che voglia soddisfarsi proprio su tale bene. Facciamo un passo indietro.

In sede di separazione, il Giudice può assegnare la casa coniugale, a prescindere da chi sia titolare della proprietà della stessa, ad uno dei due genitori, “tenendo conto dell’interesse dei figli“.

Tale provvedimento è trascrivibile ed opponibile ai terzi.

Ciò significa che anche i terzi / creditori dovranno rispettare tale pronuncia allorquando fossero intenzionati a promuovere un’esecuzione forzata sulla casa assegnata.

Questo per tutta la durata in cui sarà in vigore il provvedimento. I creditori, pertanto,  pur avendo un titolo precedente alla pronuncia di separazione, dovranno mettersi “in coda” ed attendere che i figli siano cresciuti ed indipendenti per poter rivendicare la non attualità dell’assegnazione e conseguentemente la pignorabilità del bene.

Meglio cercare altri beni su cui soddisfarsi nel frattempo, perchè “campa cavallo che l’erba cresce”.

Ipotesi differente è quella in cui i terzi creditori avessero iscritto ipoteca sull’immobile interessato.

Innanzitutto se l’ipoteca è successiva alla trascrizione del provvedimento di assegnazione, varrà quanto detto sopra circa la prevalenza di quest’ultima sulla prima.

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Il creditore che abbia iscritto ipoteca prima dell’assegnazione della casa familiare prevarrà su tale provvedimento anche nel caso in cui dovesse trascrivere il pignoramento successivamente


Se, invece, il titolo esecutivo si appoggiasse su un’ipoteca iscritta e trascritta in epoca precedente alla trascrizione dell’assegnazione varrà l’esatto contrario e ben potrà essere intrapreso procedimento esecutivo sul compendio assegnato.

Una recente pronuncia della Cassazione ha sottolineato come non si debba, in questo caso far riferimento al fatto che il pignoramento sia eseguito in epoca successiva alla trascrizione del provvedimento di assegnazione, in quanto ciò che è sufficiente per conseguire il diritto di precedenza delle ragioni creditorie è l’avvenuta trascrizione dell’ipoteca anteriormente a quella in cui è stato conferito il diritto di godimento in seno alla separazione.

Ciò in quanto la trascrizione dell’ipoteca comporterebbe una sorta di prenotazione, con effetti retroattivi, rispetto alle successive trascrizioni concorrenti.

L’immobile, così pignorato, potrà essere venduto come libero senza possibilità di ulteriore tutela delle ragioni del coniuge – e dei figli – assegnatario.

 

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Mantenimento dei figli maggiorenni: una volta venuto meno, l’obbligo non può ripristinarsi

Una volta acquisita l’autosufficienza economica, viene meno l’obbligo al mantenimento dei figli maggiorenni, anche nel caso in cui perdano il lavoro.

Sul mantenimento dei figli maggiorenni ci siamo ripetutamente soffermati – link 1 –  link 2 .

Un interessante provvedimento del Tribunale di Roma – decreto 21 luglio 2017 – ci spinge a soffermarci su un aspetto quanto mai attuale, in un’epoca segnata dalla crisi come quella attuale: se bisogna mantenere i figli fino a quando abbiano acquisito l’autosufficienza economica, nel caso in cui perdano il lavoro, risorgerà l’obbligo precedente a provvedervi oppure si dovranno arrangiare? La risposta è negativa.

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Una volta divenuti autosufficienti, i figli non potranno chiedere alcuna contribuzione, nemmeno in caso di perdita del lavoro

I genitori non saranno tenuti nuovamente a contribuire al mantenimento dei figli: questi ultimi, una volta affrancati, per mezzo di un lavoro che concretamente abbia dato loro autonomia, dovranno cavarsela con le proprie gambe e non saranno più legittimati a richiedere l’intervento degli ascendenti, nemmeno nel caso in cui si trovassero a fronteggiare una crisi lavorativa, financo la perdita dell’occupazione.

Tale determinazione è frutto di un equo contemperamento tra le esigenze dei figli – tutelati fino al momento in cui spiccano il volo – e dei genitori, che non dovranno essere obbligati a far fronte per sempre alle vicissitudini della prole, divenuta ormai grande abbastanza per cavarsela autonomamente.

Una precisazione è d’obbligo: nel caso in cui venisse meno l’autosufficienza economica, permarrà sempre e comunque il più contenuto diritto agli alimenti, nelle ipotesi in cui i figli si trovassero in stato di bisogno.

Tale diritto trova fonte nella previsione disciplinata dagli art. 433 e seguenti cc, che riconosce tale beneficio a chi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, in una misura proporzionale al bisogno di chi ne faccia domanda ed alle condizioni economiche di chi deve somministrare la contribuzione, ma contenuta a quanto sia strettamente necessario per la vita dell’alimentando, tenuto conto della sua posizione sociale.

La ratio è assicurare ad un soggetto divenuto bisognoso la minima tutela per far fronte alle elementari esigenze di vita, nell’ipotesi di incapacità consolidata a farvi fronte.

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Il diritto agli alimenti è quanto strettamente necessario per vivere e si riferisce ad uno stato di bisogno, legato all’incapacità di provvedere al proprio manentimento

Un diritto che, per inciso, può spettare ai figli nei confronti dei genitori, ma anche ai genitori verso i figli, nel caso in cui siano gli ascendenti i soggetti divenuti indigenti e necessitevoli di aiuto economico.

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Modifica delle condizioni di separazione

Modifica delle condizioni di separazione:  il venir meno dell’obbligo di mantenimento dei figli non giustifica – di per sè – l’incremento dell’assegno al coniuge

Ne avevamo parlato in passato – link i provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione possono essere modificati, allorquando qualora sopravvengano “giustificati motivi“.
Motivi sopravvenuti, che non sussistevano al momento della separazione e che alterino gli equilibri  cristallizzati in tale sede.
Ebbene, il caso preso oggi in esame riguarda una coppia separata, il cui marito doveva corrispondere una contribuzione mensile tanto ai figli, quanto alla moglie.
Una volta che i figli avevano raggiunto l’autosufficienza economica, il padre chiedeva – ed otteneva – la revoca dell’assegno di mantenimento in loro favore.
La moglie, parallelamente, in virtù della maggior capacità economica acquisita dal marito – esonerato dal carico economico prima sostenuto per i figli – chiedeva la modifica delle condizioni di separazione, rinvenendo in tali circostanze i “sopravvenuti giustificati motivi” che avrebbero legittimato un incremento della contribuzione mensile in suo favore.

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Modifica delle condizioni di separazione: la maggior disponibilità economica conseguente il venir meno dell’obbligo contributivo per i figli, non comporta di per se’ stessa il diritto all’aumento dell’assegno a favore del coniuge

Ebbene, la Corte di Cassazione ha perentoriamente disatteso siffatta argomentazione.
Partendo dal fatto che l’intervento di “giustificati motivi sopravvenuti” – titolo per la richiesta di modifica – deve essere provata dal coniuge che ne faccia istanza, la Suprema Corte ha sottolineato che il venir meno degli obblighi manutentivi nei confronti dei figli non comporta – di per sè – una immediata ripercussione sull’assegno coniugale, allorquando – nella sua determinazione in sede di separazione – non si sia tenuto espressamente conto dell’incidenza del carico familiare sulla quantificazione della contribuzione a favore del coniuge.
In buona sostanza, la moglie avrebbe dovuto dimostrare che l’assegno in suo favore era stato quantificato in misura minore rispetto a quanto necessitava, proprio per il simultaneo obbligo di mantenimento dei figli in capo al marito.
In assenza di ciò, seppur il coniuge avesse conseguito maggior capacità economica, la moglie continuava a percepire quanto ritenuto corretto in sede di separazione e, pertanto, non modificabile in assenza di “giustificati motivi”.

La sentenza:  Cass. Civ. 19746/2017

 

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Mancato pagamento assegno di mantenimento: c’è il fondo di solidarietà

Mancato pagamento assegno di mantenimento: può essere tamponato dal fondo di solidarietà, ma solo per il coniuge in stato di bisogno.

L’intervento legislativo ha già un paio d’anni. Ed è stato istituito in via sperimentale.
Una recente pronuncia del Tribunale di Milano è l’occasione per fare il punto della situazione.
E’ noto: si può ottenere anche la sentenza più alta della Suprema Corte, ma se la controparte – condannata a pagare un importo a proprio favore – non ha beni su cui potersi soddisfare, anche il più autorevole provvedimento rischia di restare lettera morta.

fondo solidarietà
Mancato pagamento assegno mantenimento: previsto l’intervento del fondo di solidarietà…

E così è frequente l’ipotesi in cui sia attribuito ad un coniuge il diritto a percepire un assegno di mantenimento e che non solo l’altro consorte rimanga inadempiente, ma anche non abbia patrimonio aggredibile in via esecutiva.
Su questo presupposto, il legislatore ha istituito – in via sperimentale, nell’auspicio che si possa assestare definitivamente- un fondo di solidarietà volto ad aiutare le famiglie in difficoltà a seguito della separazione.
In buona sostanza, “il coniuge in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi, qualora non abbia ricevuto l’assegno  – determinato nell’ambito della separazione – per inadempienza del coniuge che vi era tenuto può rivolgere istanza da depositare nella cancelleria del tribunale del luogo ove ha residenza, per l’anticipazione di una somma non superiore all’importo dell’assegno medesimo”.
Non basta, quindi, che ci sia un inadempimento del coniuge che debba versare l’assegno, ma che il consorte a cui sia stato attribuito si trovi in “stato di bisogno“.
In questo caso, se il Tribunale riterrà che vi siano i presupposti, girerà l’istanza al Ministero della Giustizia, il quale provvederà a corrispondere al coniuge bisognoso somme nella misura massima pari all’ammontare dell’assegno e potrà agire in regresso nei confronti del coniuge inadempiente.
Due ulteriori precisazioni.
-In caso di rigetto dell’istanza non sarà possibile impugnare il provvedimento.
– L’istanza può essere proposta senza pagamento di contributo unificato.
Ecco, allora, la recente pronuncia del Trib. Milano, che con Decreto, 13/04/2017, ha precisato che la domanda di accesso al “fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno” puo’ essere avanzata solo dal coniuge a favore del quale, a seguito della separazione, è disposta l’erogazione dell’assegno di mantenimento” (personale)  “mentre una simile possibilità è esclusa se sono i figli a percepire l’assegno, erogato a loro favore ai sensi dell’art. 337-ter c.c. (il quale prevede che i genitori devono provvedere al loro mantenimento)“.

coniuge in stato di bisogno
…non se il coniuge non sia titolare personalmente di assegno di mantenimento, ma solo i figli

In buona sostanza, pare di capire, se sia il coniuge – titolare di un assegno di mantenimento (anche) per sè – a chiedere l’intervento economico, nulla quaestio. Se, diversamente, lo fosse il  genitore nell’interesse dei soli figli, allora non sarebbe possibile giusto il rigoroso dettame normativo e la rigida interpretazione del medesimo.
Lo stesso provvedimento del Tribunale, per vero, sottolinea  che “la Dottrina ha sollevato dubbi in merito alla legittimità costituzionale di questa scelta (art. 3 Cost.) poiché solo il “genitore” che sia al contempo titolare di assegno ex art. 156 c.c. ha diritto di accesso al Fondo e non anche quello astrattamente più svantaggiato ossia il genitore che non goda di alcun assegno (e magari non percepisca alcun reddito per sé); tuttavia, al momento, il regime giuridico in esame è eccezionale e transitorio e, pertanto, sperimentale (dunque, non destinato a perdurare nel tempo)

 

 

 

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Mancato pagamento assegno di mantenimento

Assegnazione casa in caso di separazione

Assegnazione casa in caso di separazione, cosa succede?

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Assegnazione casa in caso di separazione. A chi va la casa?

Quando mamma e papà litigano i figli sono i più colpiti dalla crisi coniugale.
E’ un dato di fatto sul quale è inutile soffermarsi.
Conscio di tale certezza, il legislatore ha inteso disciplinare una serie di norme che tutelino i diritti e gli interessi dei figli minori anche nel caso di assegnazione della casa in caso di separazione.
Vi è il potere del giudice di assegnare la casa coniugale ad un consorte rispetto all’altro, anche se non sia proprietario dell’abitazione: ciò tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.
Questi ultimi, infatti, che già assistono al logorarsi della vita familiare pregressa, è bene non perdano le certezze acquisite sul loro habitat, sui loro costumi, sugli amici, i vicini, la scuola del quartiere, la parrocchia, il campetto.
Ecco, allora, che tale sostrato potrà essere preservato, garantendo al genitore, a cui i minori saranno affidati o presso cui prevalentemente saranno collocati, di poter vivere con i figli nell’abitazione familiare.

Ci si è chiesti quanto a lungo tale tutela potesse essere accordata: o meglio, se dovesse perdurare a fronte di determinati vicende che, frequentemente, potevano verificarsi nel proseguo degli eventi.
Il codice, espressamente, prevede alcuni limiti:

il caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
In tali circostanze, il diritto al godimento della casa familiare “viene meno”.

Si è inteso riequilibrare il diritto del proprietario dell’immobile ad averne la disponibilità in ipotesi nelle quali poteva sembrare stridente che l’ex coniuge lo detenesse.

Una recente pronuncia del Tribunale di Palermo ha, tuttavia, messo i puntini sulle “i” circa l’interpretazione di tale normativa, che già aveva sollevato perplessità negli operatori del diritto.

La precisazione, sostanzialmente, è questa: il verificarsi delle circostanze sopra indicate – ad esempassegnazione casaio, nel caso di specie, l’instaurarsi di una coabitazione more uxorio tra coniuge assegnatario della casa familiare ed un terzo – può far venir meno il diritto al godimento, purchè tale evenienza non si riverberi sul preminente interesse della prole.
Non è stato, infatti, considerato congruo che i figli debbano essere pregiudicati da vicissitudini che incidono esclusivamente la sfera personale dei genitori.

Se il legislatore ha voluto espressamente preservare il loro interesse a permanere nell’ambiente in cui sono cresciuti, non si rinviene per quale motivo tale necessità debba perdere tutela in relazione ad ambiti – vedi l’instaurarsi di una relazione more uxorio – che non li riguardano.
Evidenzia, infatti, la pronuncia del giudice siciliano “A tal proposito è appena il caso di osservare che l’instaurazione di un rapporto more uxorio da parte del coniuge affidatario dei figli minorenni potrebbe non giustificare la revoca dell’assegnazione della casa familiare, trattandosi di una circostanza ininfluente sull’interesse della prole (cfr., sul punto, il chiaro tessuto motivazionale ordito da Cass. Civ., 16 aprile 2008, n. 9995) e ciò in quanto, come opportunamente messo in luce anche dal formante dottrinale, l’interesse tutelato dalle norme che disciplinano l’assegnazione della casa coniugale si rifrange nell’esclusiva esigenza di assicurare al figlio, nel tumulto ingenerato dalla disgregazione del nucleo familiare, la conservazione del proprio habitat domestico.”

Stiamo a vedere se la pronuncia, apparentemente isolata, troverà in seguito consolidamento.
Il provvedimento: Trib. Palermo Sez. I Ordinanza, 29/12/2016

 

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Assegnazione casa in caso di separazione

Casa in comodato: separazione tra coniugi

Casa in comodato: se il suocero presta la casa al figlio che si sposa, cosa succede se questi si separa?

casa in comodato
Casa in comodato d’uso..se io ti presto la casa poi me la ridai?

l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne…
La profezia è sempre valida ma, con i tempi che corrono, i “due” dove trovano i soldi per andare a vivere insieme da qualche parte?
Una soluzione frequentemente utilizzata nel nostro paese è quella di farsi prestare la casa dai genitori, quindi farsi dare la casa in comodato: l’abitazione ereditata, la seconda casa acquistata per passarci le vacanze, quella nuova che sostituirà la precedente.
Per i figli questo è altro.
Certo.
Fin che la barca va, lasciala andare…
Ma se in futuro il rapporto degli sposini dovesse naufragare?
La casa verrà restituita al legittimo proprietario, verrebbe da dire.
E’ così, ma non sempre.
Se non ci sono figli, nulla quaestio. Nessun problema.
In presenza di figli minorenni o non autosufficienti, le cose cambiano.
Eccome.
E’ noto che il Giudice, nel preminente interesse della prole, possa assegnare la casa familiare ad uno dei coniugi.
Ebbene, tale provvedimento può riguardare non solo l’immobile di esclusiva proprietà del genitore non affidatario, ma anche quello che appartiene ad un terzo: ai nonni per esempio.
Il problema è ora di verificare se questi ultimi possano rivendicare la titolarità della casa in comodato (insomma prestata), facendosela riconsegnare all’esito della separazione, o se debbano prendere atto dell’intervenuto provvedimento del Tribunale.

Le ipotesi, al riguardo, sono due.casa in comodato d'uso

  1. Se il contratto della casa in comodato aveva un termine di durata ben preciso, benissimo. Nessun problema. I proprietari avranno l’immobile alla scadenza concordata.
  2. Se non fosse stato fissato un esplicito termine, allora le cose si complicano.

Bisognerà verificare se il contratto era stato stipulato proprio per far fronte alle necessità abitative della (nuova) famiglia. In questo caso tale accordo avrà durata corrispondente allo scopo per il quale era stato pattuito: giusta la previsione di cui all’art. 1809 cc, secondo cui  “il comodatario è tenuto a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto“.
In buona sostanza, le esigenze abitative della famiglia potranno permanere fino a quando i figli non saranno cresciuti e divenuti autosufficienti.
E’ lunga.

Da ultimo, come ha avuto modo di sottolineare una recente pronuncia di Cassazione, se non ci fosse prova che il comodato sia stato pattuito per tale specifica e duratura esigenza, in assenza di termine, il proprietario potrà reclamare il proprio bene “ad nutum” a semplice richiesta, come stabilito dall’art. 1810 cc. ” Se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede“.

La sentenza : Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-02-2016, n. 2506

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Casa in comodato: separazione tra coniugi

Gratuito patrocinio per separazione e divorzio: il protocollo di Vicenza

Gratuito patrocinio per separazione e divorzio: vediamo insieme quando è possibile.

Lo recita la nostra Costituzione: “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” (art. 24)
Tutti?

gratuito patrocinio per separazione
Gratuito patrocinio per separazione e divorzio

Tutti, alti e bassi, poveri e ricchi, di qualsiasi ceto, religione o convincimento politico,  senza distinzione alcuna.
La difesa, infatti, “è diritto inviolabile in ogni fase e stato del procedimento“.
Se una persona non avesse i mezzi economici per far fronte alla tutela dei propri diritti, “sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione“.

L‘istituto che ci interessa è, appunto, il patrocinio a spese dello stato:

allorquando un soggetto si trovasse nella necessità di intraprendere – vuoi come attore, vuoi come convenuto – un procedimento giudiziario, civile, penale, amministrativo, e non avesse redditi sufficienti per farvi fronte, potrà chiedere, ed ottenere se ve ne siano i presupposti, che sia lo stato a pagare il compenso al suo avvocato.

Requisiti per il gratuito patrocinio:

  • avere un reddito annuo imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.528,41. Attenzione: nel calcolo vanno fatti rientrare tutti i redditi degli appartenenti al nucleo familiare.
    Se, pertanto, l’interessato convivesse con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante.
  • Nel reddito vanno fatti rientrare anche compendi – es indennità  ed  assegni erogati agli invalidi civili, l’assegno sociale – che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, (ad es. gli interessi sui conti correnti bancari o postali) ovvero ad imposta sostitutiva (ad es. interessi sui BOT o su altri titoli del debito pubblico).

Laddove ci fossero dette condizioni, si potrà presentare la relativa istanza presso il competente Ordine degli Avvocati, corredandola con idonea documentazione, eventualmente indicando da quale  avvocato, tra quelli iscritti nell’apposito elenco, si desideri essere assistiti.

gratuito patrocinio per divorzio
Gratuito patrocinio per separazione e divorzio: il protocollo di Vicenza

E nel caso di separazioni o divorzi? Quando è possibile avere il gratuito patrocinio per separazione e divorzio?

Vale anche in questo caso la possibilità di avvalersi dell’istituto in esame.
Il Tribunale di Vicenza, con un recente protocollo, ha dato la linea di indirizzo su alcuni punti controversi in proposito.
Se la separazione è giudiziale, nessuna questione. Ciascuno dei coniugi potrà chiedere il gratuito patrocinio per la separazione, allorquando rientrasse nei limiti di reddito sopra indicati.
Ben potrebbe essere dato che uno dei consorti possa accedere al beneficio, mentre l’altro, sforando il tetto massimo, dovesse pagare di tasca propria il difensore.

In caso di separazione consensuale, andrà operato un distinguo.
Nel caso in cui la coppia di coniugi intendesse avvalersi del medesimo difensore, per la concessione del beneficio non dovrà in alcun modo essere superato il limite di reddito sopra indicato, attualmente pari ad € 11.528,41, risultante dal cumulo dei redditi di entrambi i coniugi.
Se i consorti, per ragioni di opportunità, intendessero farsi assistere da avvocati diversi, ognuno il proprio, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati valuterà “caso per caso se ammettere al beneficio, tenuto conto dei redditi dei coniugi e del conflitto esistente sulle condizioni di separazione“. In questo caso, “i difensori dovranno documentare l’opera svolta per addivenire all’accordo di separazione“.
Se i coniugi fossero già separati ed intendessero procedere al divorzio, è naturale che, non essendo più conviventi, non opererà il cumulo dei redditi.

L’avvocato Andrea Berto unitamente al fratello Paolo Giovanni Berto si occupa di separazione e divorzi a Vicenza e fuori sede ed è iscritto all’elenco degli avvocati con il patrocinio a spese dello stato, riportato al seguente  link:

Il protocollo del Tribunale di Vicenza sul patrocinio a spese dello stato

La modulistica per chiedere il patrocinio a spese dello Stato-

 

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Gratuito patrocinio per separazione e divorzio

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Diritti ereditari del coniuge separato, parliamo della casa.

I diritti eredirari del coniuge separato sulla casa adibita a residenza familiare.

diritti ereditari del coniuge separato
Diritti ereditari del coniuge separato

Quando finisce un amore…non cessano i diritti ereditari del coniuge separato.
Ce lo dice l’art. 548 cc: il coniuge al quale non sia stata addebitata la separazione ha gli stessi diritti successori del coniuge separato.

Sono tali e quali i diritti ereditari del coniuge separato ?

Parrebbe di sì, ma con una precisazione eseguita da una recente pronuncia della Cassazione.
Infatti, vi è una disposizione di legge – l’art. 540 cc – che riconosce al coniuge, in caso di decesso del consorte, oltre ad una quota del patrimonio, variabile a seconda di quanti e quali concorrenti coeredi vi siano, anche i “diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano“.
La ragione di tale disposizione, come ricorda la Suprema Corte, è da rinvenire nella tutela “non tanto nell’interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto nell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare“.
Non è, tanto, il bisogno dell’alloggio da parte del coniuge che diviene erede a essere tutelato, quanto altri interessi di natura non patrimoniale, che scaturiscono proprio dal rapporto matrimoniale intercorso, quali “la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio”.

i diriritti ereditari del coniuge divorziato
Il coniuge separato ha gli stessi diritti di un coniuge non separato?

Ma approfondiamo ulteriormente il caso dei diritti ereditari del coniuge separato

Ebbene, i giudici ermellini si sono trovati a risolvere il seguente quesito: se al coniuge separato (a cui pure non è stata addebitata la separazione) spettano i medesimi diritti ereditari del coniuge non separato, gli competono anche i medesimi diritti d’abitazione della (ex) casa coniugale?
La risposta è stata: se il coniuge superstite nel frattempo ha stabilito la propria residenza altrove, e da un periodo di tempo apprezzabile, non può vantare tale diritto.

E’ una soluzione logica, oltre che di buon senso, e riposa sulla considerazione che se il coniuge a seguito della separazione è andato ad abitare altrove, non è più rinvenibile una “casa adibita a residenza familiare”. E ciò basti.
Specificamente, la Suprema Corte ha evidenziato che “Se il diritto di abitazione (e il correlato diritto d’uso sui mobili) in favore del coniuge superstite può avere ad oggetto esclusivamente l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del “de cuius” come residenza familiare, è evidente che l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare; evenienza che non ricorre allorchè, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi“.

La sentenza: Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-06-2014, n. 13407

 

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