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Assegno di mantenimento: la nascita di un nuovo figlio può legittimarne la riduzione

La nascita di un nuovo figlio è un evento sopravvenuto che può legittimare la riduzione dell’assegno di mantenimento.

Torniamo su un argomento di concreto interesse.

Ce ne eravamo già occupati in altro post, allorquando si evidenziava che per chiedere la revisione delle condizioni di separazione o di divorzio, anche per quanto riguarda la contribuzione al mantenimento dei figli, fosse necessario allegare giustificati e sopravvenuti motivi, tali da comportare una significativa mutazione del quadro complessivo delle circostanze tenute in considerazione al momento della pronuncia.

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La nascita di un nuovo figlio, dopo la separazione o il divorzio, è evento nuovo che potrebbe legittimare la revisione dell’assegno di mantenimento.

Assegno di mantenimento e nascita di un nuovo figlio

La Suprema Corte già aveva avuto modo di rinvenire nella nascita di un nuovo figlio, per il coniuge tenuto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, un evento peggiorativo delle condizioni economiche tale da legittimare la revisione di tale obbligo.

La conferma dell’orientamento avviene con una recentissima pronuncia, con la quale gli ermellini hanno statuito su un caso riguardante il ricorso promosso da un padre (ex coniuge) volto ad ottenere la riduzione della contribuzione da corrispondere all’ex moglie per il mantenimento dei figli, sul presupposto della nascita di un nuovo figlio.

In prima battuta l’istanza era stata rigettata, giacchè era emerso che il ricorrente all’epoca dell’emissione della sentenza di divorzio, avesse già avuto altri due figli dalla donna con la quale aveva intrecciato una nuova relazione e che aveva di seguito sposato e, pertanto, la circostanza della sopravvenuta nascita di prole non fosse sopravvenuta, ma già eccepibile e proponibile al momento della pronuncia che statuiva le condizioni divorzili.

Il giudice di prime cure aveva appurato, altresì, che le condizioni economiche del richiedente la revisione non fossero peggiorate, ma, anzi, implementate di qualche centinaio di euro, tenuto conto, altresì, del reddito percepito dalla nuova moglie, a titolo di pensione di invalidità.

La corte ha cassato tale pronuncia, rilevando come fosse errato arrestarsi alla considerazione che “il fatto preesistente (la nascita delle due figlie) precludesse l’esame del fatto sopravvenuto la cui ricorrenza avrebbe dovuto accertare (il mutamento in peius della complessiva condizione economica dell’obbligato rispetto alla data del divorzio, che non gli consentiva più di far fronte agli obblighi assunti verso E.), erroneamente considerando il primo nella sua sola dimensione statica, anzichè in quella dinamica, che gli imponeva di tener conto delle accresciute esigenze materiali delle altre figlie del ricorrente, indubitabilmente connesse alla loro crescita“.

Non solo.

La Cassazione ha sottolineato come fosse stata operata “una non consentita parcellizzazione del reddito”  del ricorrente  (il cui modesto aumento era stato ritenuto idoneo a “neutralizzare” i costi del mantenimento dell’ultimogenito)” e si fosse “sostanzialmente omesso di effettuare l’indagine dovuta, che consisteva nel verificare globalmente se, ed in che misura, le circostanze sopravvenute avessero alterato l’equilibrio economico raggiunto fra le parti alla data di emissione della sentenza di divorzio, e nell’adeguare eventualmente l’importo alla nuova situazione patrimoniale riscontrata“.

 

Il provvedimento: Cassazione civile, ordinanza 2 febbraio 2018, n. 2620

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Mancato versamento assegno di mantenimento: quando è reato

Mancato versamento assegno di mantenimento e violazione degli obblighi di assistenza familiare.

 

Ai figli non far mancare il pane: questo motto, di uso popolare, si traduce in una precisa disposizione del codice penale, che viene a sanzionare la violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Di cosa si tratta?

Entrambi i genitori sono tenuti a contribuire a mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli.

Analogo obbligo i coniugi si assumono contraendo il matrimonio, allorquando si impegnano reciprocamente all’assistenza materiale.

Mancato versamento assegno di mantenimento
Mancato versamento assegno di mantenimento. E’ reato fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro

Ebbene, l’art. 570 cp viene a sanzionare la condotta di “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale  o alla qualità di coniuge“.

La pena comminata è la reclusione fino ad un anno o la multa  da 103 fino a 1032 euro. Tuttavia, dette pene si applicheranno congiuntamente a chi, tra l’altro, faccia ”  , agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa“.

 

Il precetto è chiaro, la sanzione è severa e resa ancora più disincentivante la condotta del mancato versamento assegno di mantenimento, punita tramite la possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena, all’esito del procedimento penale, alla corresponsione di un importo da versare a titolo provvisionale.

Ciò nonostante, le aule dei Tribunali sempre più frequentemente si trovano ad occuparsi di casi relativi a questa fattispecie, resa ulteriormente ricorrente dall’acuirsi della crisi che ha colpito l’economia ed il mercato del lavoro negli ultimi anni.

Una recente Sentenza della Corte di Cassazione è tornata, però, a ribadire, una considerazione già più volte fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, ossia che per andare assolto dall’incriminazione in oggetto il genitore (o coniuge) inadempiente rispetto all’obbligo di assistenza materiale non sarà sufficiente che dimostri il proprio stato di perdurante disoccupazione e quindi la propria assenza di reddito.

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Se lo stato di disoccupazione non sia dovuto ad impossibilità assoluta ed incolpevole a trovare lavoro, il mancato versamento assegno di mantenimento potrebbe costituire reato

E’ necessario, semmai, dar prova dell’assoluta impossibilità di far fronte alle obbligazioni attraverso la dimostrazione di una fruttuosa attivazione in tal senso.

Si noti, l’impossibilità deve essere assoluta ed incolpevole.

Da ultimo, sarà irrilevante allegare che il figlio minore non versi in condizioni di indigenza, perchè lo stato di bisogno è insito proprio in tale situazione.

La sentenza: Cassazione Penale n. 39411/2017   

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Mantenimento dei figli: le linee guida del Consiglio Nazionale Forense

Mantenimento dei figli: la chiarezza preventiva è la chiave di volta per dirimere eventuali contrasti.

Ne abbiamo parlato più volte. La problematica è diffusa e costituisce lo scoglio sul quale più spesso si infrangono le speranze dei coniugi ed ex coniugi di aver trovato un po’ di serenità dopo le tempeste della separazione o del divorzio.

Cosa comprende l’assegno di mantenimento che il genitore non collocatario deve corrispondere all’altro, che sia stato designato come soggetto presso il quale i figli debbano risiedere prevalentemente?

Se si potesse prevedere tutti gli oneri inclusi e quelli esclusi, qualcosa senz’altro rimarrebbe fuori.

Sulla scia dell’esempio tenuto dalla Corte d’appello di Milano, che recentemente ha delineato delle linee guida che possano essere di sussidio e prassi per i procedimenti in materia familiare, il Consiglio Nazionale Forense ha emanato, di rimbalzo, le proprie “linee guida per la regolamentazione delle modalità di mantenimento dei figli nelle cause di diritto familiare”.

Tre consigli

L’apporto è preceduto da tre consigli, di ordine pratico ma di estremo buon senso.

1. l’invito alle parti ed ai rispettivi difensori di ” riservare ampia trattazione, all’interno degli eventuali accordi di separazione e/o divorzio, alla disciplina delle spese straordinarie, con precisa e puntuale elencazione delle spese che esulano dalla contribuzione ordinaria al mantenimento della prole”.

2. Nella predetta esposizione indicare quali erano le “eventuali spese correnti della famiglia coesa”.

3. porre bene attenzione al concetto di spese straordinarie, che sono quelle “imprevedibili nell’ “an” e non determinabili nel “quantum” perchè afferiscono ad esigenze episodiche o saltuarie” o comunque “non rientranti nelle normali consuetudini di vita dei figli”.

Distinzioni

Effettuate queste premesse, il CNF parte dalla distinzione tra spese ordinarie e straordinarie e, relativamente a quest’ultime, quelle per le quali è richiesto il “preventivo consenso” oppure quelle sempre rimborsabili.

Alle parti sarà rimesso il compito di individuarle e distinguerle.

In caso di mancata espressa pattuizione e/o accordo tra le parti sul punto, la qualificazione delle spese in “ordinarie e straordinarie” potrà essere effettuata tenendo conto delle seguenti indicazioni.

– Per quanto riguarda le spese comprese nell’assegno di mantenimento, esse attengono a quelle ordinarie, abituali, quotidiane e ricorrenti dei figli: vitto, abbigliamento, alloggio e relative utenze, spese per tasse scolastiche (escluse quelle universitarie) e materiale scolastico di cancelleria (non i libri), mensa, medicinali da banco, spese di trasporto urbano.

linee guida mantenimento dei figli
L’invito del CNF è a prevedere compiutamente quali siano le spese straordinarie in ambito di accordo divorzile o nella separazione.

Sono inclusi alcuni compendi di spesa molte volte non considerati in punto di mantenimento: la ricarica del cellulare, l’approvvigionamento di carburante per eventuali mezzi motorizzati in dote ai figli, le rette per rientri anticipati o posticipati a scuola (purchè si tratti in questo caso di “spese sostenibili”) e tutte le attività ricreative abituali (cinema, feste, pizzate). Da ultimo saranno comprese nell’assegno le spese per la cura di eventuali animali domestici dei figli (purchè appartenessero loro prima della separazione o divorzio).

– Le spese straordinarie, come detto, si distingueranno in quelle obbligatorie per le quali non è richiesta la previa concertazione e saranno sempre ripetibili, pro quota, dal genitore che le avrà sostenute.

Tra di esse si comprendono le spese per i libri scolastici, le spese sanitarie urgenti, l’acquisto di farmaci non da banco, debitamente prescritte, interventi chirurgici non differibili, sia presso strutture sanitarie pubbliche che private, spese  mediche specialistiche (oculistiche, ortodontiche…), spese di bollo e assicurazione per eventuali mezzi di trasporto (acquistati col benestare di entrambi i genitori).

Tutte le menzionate spese saranno rimborsabili, ovviamente, previa debita documentazione.

Le spese straordinarie da concordare

– Da ultimo, alcune spese straordinarie potranno essere rimborsate soltanto se concordate da entrambi i genitori.

Tra di esse quelle:

1. Scolastiche: per l’iscrizione a scuole private, per alloggi universitari fuori sede, ripetizioni, frequenza del conservatorio, baby sitting assunte per coprire l’orario del lavoro del genitore che le utilizzi per un’esigenza emersa in virtù ed a seguito della separazione.

2. Spese di natura ludica o parascolastica: attività artistiche, informatica, centri estivi, viaggi di sitruzione, vacanze autonome senza i genitori.

3. Spese sportive, comprensive della relativa attrezzatura.

4. Spese mediche e trattamenti non coperti o non effettuati dal SSN.

5. Organizzazione di ricevimenti e feste dedicate ai figli.

Tali spese dovranno essere concordate. Il genitore che intenda proporle dovrà presentare una richiesta scritta all’altro, che dovrà esprimersi ed eventualmente manifestare il proprio motivato dissenso. In difetto di risposta entro 20 giorni, il silenzio sarà inteso come consenso alla spesa.

Un’ultima utile proposta è l’attribuzione concordata degli assegni familiari al genitore collocatario in via prevalente dei figli, anche se materialmente erogato dal datore di lavoro dell’altro genitore.

Le linee guida complete proposte dal Consiglio Nazionale Forense sono reperibili al seguente link.

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Affidamento condiviso: una sentenza contestata sui poteri decisionali di maggiore interesse

Una recente Sentenza della Cassazione pare ridisegnare la portata normativa dell’affidamento condiviso in materia delle scelte di maggiore interesse per i figli minori.

Revirement?

No. Non tanto.

I precedenti provvedimenti degli ermellini – abbastanza recenti, essendo la norma sull’affidamento condiviso risalente solo al 2006 – non hanno mai segnalato deviazioni significative.

Piuttosto, si potrà parlare di interpretazione estensiva del potere decisionale attribuito al singolo genitore, da farsi valere in via “temporanea ed urgente,nei casi in cui si verifichi uno stallo risolutivo in ordine a questioni di primaria importanza per i figli.

Facciamo il punto della situazione.

Affidamento condiviso: ossia il potere, conferito ad entrambi i genitori, di poter assumere e partecipare alle scelte che riguardino la prole. In virtù di un intento rafforzativo della bigenitorialità, l’istituto vuole conferire tanto al padre, quanto alla madre medesima dignità di ruolo.

In questo senso, ad entrambi i genitori è conferita la possibilità di intraprendere, autonomamente, senza ottenere il previo consenso dell’altro, le scelte “di ordinaria amministrazione” per i figli.

Per quanto riguarda le scelte di maggiore interesse – leggiamo testualmente l’art. 337 ter cc. – “relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice“.

Accordo preventivo o niente: pareva di intendersi.

Ed invece no

.La sentenza della Cassazione in esame, (n. 4060/2017) relativa alla scelta effettuata unilateralmente dalla madre in ordine al tipo di scuola (pubblica o privata) da far frequentare alla figlia, ha stabilito che “quando il rapporto tra i genitori non consente il raggiungimento di un’intesa, occorre assicurare ancora la tutela del migliore interesse del minore e l’opposizione di un genitore non può paralizzare l’adozione di ogni iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se di rilevante interesse, e neppure è necessario ritrovare l’intesa prima che l’iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete al giudice, ove ne sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all’interesse del minore“.

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Compatibile l’affidamento condiviso con la decisione unilaterale, seppur provvisoria, di un solo genitore?

Nessuna intesa preventiva, ma una scelta unilaterale oggetto di eventuale e postuma decisione del giudice.

Il provvedimento – apparentemente di buon senso, in quanto volto ad eliminare frequenti impasse, causate più da attriti tra coniugi, o ex coniugi, piuttosto che da significative divergenze genitoriali – pare disattendere da un lato la parola della legge, dall’altro la ratio dell’istituto dell’affidamento condiviso.

Se, infatti, il testo dell’art. 337 ter cc lascia pochi dubbi circa la consensualità che deve presidiare le decisioni gravate da maggior incidenza e significato per la vita della prole nonchè il momento in cui deve intervenire l’eventuale pronuncia del Tribunale a dirimere il contrasto, a monte e non ex post, dall’altro è bene evidenziare come la ragione di tale previsione normativa fosse nell’attenta e precisa valorizzazione della pari dignità genitoriale alla base della gestione delle vicende relative ai figli.

Se, accanto alla spesso inevitabile collocazione prevalente dei figli presso un genitore – vigente l’affidamento condiviso – fosse consentito anche che un ascendente possa anche assumere unilateralmente le scelte più importanti, da sottoporre al vaglio successivo e solo eventuale del giudice, si svuoterebbe di significato e di rilevanza il ruolo dell’altro genitore, con buona pace del preciso intento parificatorio dell’intervento legislativo citato.

C’è da lavorare.

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Mantenimento dei figli maggiorenni: una volta venuto meno, l’obbligo non può ripristinarsi

Una volta acquisita l’autosufficienza economica, viene meno l’obbligo al mantenimento dei figli maggiorenni, anche nel caso in cui perdano il lavoro.

Sul mantenimento dei figli maggiorenni ci siamo ripetutamente soffermati – link 1 –  link 2 .

Un interessante provvedimento del Tribunale di Roma – decreto 21 luglio 2017 – ci spinge a soffermarci su un aspetto quanto mai attuale, in un’epoca segnata dalla crisi come quella attuale: se bisogna mantenere i figli fino a quando abbiano acquisito l’autosufficienza economica, nel caso in cui perdano il lavoro, risorgerà l’obbligo precedente a provvedervi oppure si dovranno arrangiare? La risposta è negativa.

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Una volta divenuti autosufficienti, i figli non potranno chiedere alcuna contribuzione, nemmeno in caso di perdita del lavoro

I genitori non saranno tenuti nuovamente a contribuire al mantenimento dei figli: questi ultimi, una volta affrancati, per mezzo di un lavoro che concretamente abbia dato loro autonomia, dovranno cavarsela con le proprie gambe e non saranno più legittimati a richiedere l’intervento degli ascendenti, nemmeno nel caso in cui si trovassero a fronteggiare una crisi lavorativa, financo la perdita dell’occupazione.

Tale determinazione è frutto di un equo contemperamento tra le esigenze dei figli – tutelati fino al momento in cui spiccano il volo – e dei genitori, che non dovranno essere obbligati a far fronte per sempre alle vicissitudini della prole, divenuta ormai grande abbastanza per cavarsela autonomamente.

Una precisazione è d’obbligo: nel caso in cui venisse meno l’autosufficienza economica, permarrà sempre e comunque il più contenuto diritto agli alimenti, nelle ipotesi in cui i figli si trovassero in stato di bisogno.

Tale diritto trova fonte nella previsione disciplinata dagli art. 433 e seguenti cc, che riconosce tale beneficio a chi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, in una misura proporzionale al bisogno di chi ne faccia domanda ed alle condizioni economiche di chi deve somministrare la contribuzione, ma contenuta a quanto sia strettamente necessario per la vita dell’alimentando, tenuto conto della sua posizione sociale.

La ratio è assicurare ad un soggetto divenuto bisognoso la minima tutela per far fronte alle elementari esigenze di vita, nell’ipotesi di incapacità consolidata a farvi fronte.

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Il diritto agli alimenti è quanto strettamente necessario per vivere e si riferisce ad uno stato di bisogno, legato all’incapacità di provvedere al proprio manentimento

Un diritto che, per inciso, può spettare ai figli nei confronti dei genitori, ma anche ai genitori verso i figli, nel caso in cui siano gli ascendenti i soggetti divenuti indigenti e necessitevoli di aiuto economico.

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Mantenimento dei figli maggiorenni: l’inerzia negli studi è “normale”

L’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni deve andare al passo con i tempi.

Così – in buona sostanza – una recentissima pronuncia della Corte d’Appello di Trieste, che ci aiuta a fare il punto della situazione.

Dell’obbligo al mantenimento dei figli maggiorenni ne avevamo parlato in questo link, per cui lo diamo per assodato.

Interessante, oggi, valutare come sia considerata l’inerzia dei figli nel ricercare un lavoro che dia loro la possibilità di emanciparsi e le sempre maggiori tempistiche nel terminare gli studi.

La Corte friulana era chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di un  padre benestante volta ad una riforma della pronuncia di primo grado che gli aveva imposto un cospicuo contributo al mantenimento della figlia ultra maggiorenne.
Tra le doglianze vi era il rilievo che il Tribunale avesse deliberato la statuizione senza verificare l’andamento degli studi della discendente: anni 26, settimo anno fuoricorso per una laurea triennale.

 

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Mantenimento dei figli: l’inerzia negli studi è divenuta attualità

Se si fosse imposto al genitore di continuare negli esborsi, caratterizzati tra l’altro nel pagamento dell’affitto di un appartamentino nella città ove aveva sede l’università, egli sarebbe stato di fatto “espropriato” del proprio diritto di educare la figlia, di indirizzarla in un’ altra strada, di dissuaderla a continuare un percorso fallimentare, se non altro della possibilità di responsabilizzarla, mettendola di fronte alle conseguenze delle proprie scelte.
La figlia, pertanto, ben avrebbe potuto essere mantenuta tornando a casa, dove aveva la propria cameretta per vivere e dove non le sarebbe mancato un piatto a pranzo e a cena.
La Corte Triestina ha statuito con una pronuncia che – come si è detto in apertura – tiene conto dell’andamento dei tempi odierni.
Nel sottolineare come i criteri da tenere in considerazione per imporre il mantenimento dei figli maggiorenni si siano via via “elasticizzati nell’indicazione del limite di età adottato“, fino alle recenti pronunce del Tribunale di Milano che ha rinvenuto nei 34 anni il limite “tollerabile”, i giudici friulani hanno riconosciuto che “nell’attuale momento economico ed alla stregua dell’ “id quod plerumque accidit” si deve riconoscere una certa inerzia nella maturazione che porta all’indipendenza dei giovani ragazzi“.
In buona sostanza, facciamocene una ragione: i tempi sono cambiati, i figli sono sempre più degni della qualifica di “bamboccioni” affibiatagli, anni or sono, dall’allora ministro dell’Economia.
Se l’attuale evoluzione delle cose ha comportato una maggiore rilassatezza nel coronare gli studi ed uscire dal nucleo familiare, di questo se ne debbono fare carico i genitori.

La pronuncia: Corte di Appello Trieste, decreto 3 maggio 2017

 

 

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Mantenimento dei figli maggiorenni

Modifica dell’affidamento dei figli: non basta l’accordo privato senza l’ok del Giudice

Modifica dell’affidamento dei figli: ci vuole il vaglio del Tribunale

 

Elusione affidamento figli
E’ reato eludere il provvedimento di affidamento dei figli…

Chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci è punito, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro: art 388 cp.
Il principio non fa una piega: violare quanto disposto nell’interesse preminente della prole deve essere sanzionato rigorosamente.
La Corte di Cassazione, con la pronuncia che oggi esaminiamo, aggiunge due tasselli interpretativi a tale disposizione.
Primo: nel concetto di “provvedimento del Giudice Civile” deve essere compreso anche il decreto di omologazione della separazione consensuale.
E’ pur vero , infatti, che l’impianto della separazione, o divorzio, consensuale si fonda su un accordo sostanziale relativo ad ogni aspetto che ne regoli le condizioni, ma tale accordo è soggetto all’imprimatur dell’Autorità giudiziaria, che ne valuta appunto la congruità, e per tale motivo dovrà essere rispettato alla stessa stregua degli altri suoi provvedimenti sul punto.
Bene.
Ancora maggior interesse riveste il secondo imput della Suprema Corte: quanto disposto relativamente ai minori non può essere disatteso, nemmeno se sia intervenuto un accordo successivo alla separazione che abbia previsto la modifica dell’affidamento dei figli.

accordo affidamento figli
…anche se è intervenuto un accordo

Il caso di specie: una mamma è stata tratta a giudizio in quanto ritenuta colpevole di non aver fatto visitare i figli al loro papà, diversamente da quanto disposto in sede di separazione consensuale.
La difesa si è incentrata sul fatto che fosse intervenuto un accordo tra i genitori, volto a modificare il decreto di omologa della separazione e disponente la soppressione del menzionato diritto di visita del padre ai propri figli.
Gli ermellini hanno respinto la legittimità di tale contegno, sul presupposto che le condizioni circa l’affidamento dei figli possono essere modificate solo con una statuizione del Giudice in merito e non basta un semplice accordo, per quanto formalizzato in apposita scrittura privata, a giustificare la deviazione dal provvedimento giudiziale che ne sta a monte.
“La necessità dell’intervento del giudice sull’accordo modificativo – afferma la Corte Suprema – è posto in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli.
E all’evidenza un accordo modificativo, come quello nel caso in esame, che non stabilisca le modalità di visita dei figli a favore del genitore non affidatario può risultare per la sua assoluta genericità pregiudizievole per i preminenti interessi del minore, alla cui tutela i suddetti provvedimenti devono essere essenzialmente rivolti”.
La pronuncia : Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-03-2017) 02-05-2017, n. 20801

 

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Modifica dell’affidamento dei figli

Se i genitori non riescono al mantenimento dei figli, debbono provvedere i nonni

nonni debbono aiutare i genitori al mantenimento dei figli.

Amali, nutrili, insegna loro la disciplina e lasciali liberi. Così avrete un buon rapporto per tutta la vita“.
Efficaci le parole della sociologa Marry G. L. Davis, con riferimento al contegno da serbare con i figli.
Non va molto distante da quanto sancisce il nostro legislatore all’art.147 cc: i genitori hanno l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli
Ma quando i genitori non ce la fanno a sfamare la loro prole, ad essa chi ci pensa?
I nonni.
Lo impone, nero su bianco, il codice civile.
Art. 316 bis cc (già art 148 cc). : “quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli ascendenti , in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli“.

nonni mantenimento figli
Se i genitori non ce la fanno, i nonni aiutano al mantenimento dei figli

E’ vero: il codice non menziona espressamente i nonni. Parla di “ascendenti”. Ma è dura, per quanto astrattamente possibile, risalire fino ai bisnonni.
Si procede, infatti, per “prossimità”: prima i nonni, sia materni che paterni, poi i bisnonni e così via.
Una precisazione importante: non sono tenuti a tale obbligo i fratelli dei genitori, ossia gli zii.
Come ha avuto modo di evidenziare una recente sentenza dela Cassazione, (Cass. civ. Sez. I, 24/11/2015, n. 23978) , la previsione codicistica allude solo ai parenti in linea retta e non in linea collaterale.
Chi ha l’occhio attento, avrà notato come il legislatore abbia determinato le modalità di assolvimento di tale obbligo tramite “la fornitura dei mezzi ai genitori”. Non ai nipoti, ma ai genitori.
La ragione è presto detta: evitare che gli ascendenti possano invadere l’autonomia educativa dei genitori verso la prole, intromettendosi con elargizioni che gioco forza potrebbero alterare gli equilibri e le prerogative esistenti nell’ambito delle loro famiglie.
Potrebbe essere dato, infatti, che se i nonni conferissero le somme direttamente ai nipoti, potrebbero destinarne l’impiego in base ad indirizzi diversi rispetto a quelli assunti dai genitori, con conseguenti scombussolamenti ulteriori, rispetto a quelli già severi dettati dalla crisi economica.

un genitore non paga alimenti
anche in caso di volontaria sottrazione all’obbligo di mantenimento dei figli da parte di un genitore

La contribuzione è, ovviamente, dovuta in caso di comprovata necessità dei genitori a far fronte ai propri obblighi di mantenimento dei figli. 
Si tratta di un obbligo sussidiario, che sussiste solo ed in quanto gli obbligati principali si rendano inadempienti.
Ma qui viene il bello.
Come ha avuto modo di precisare più volte la giurisprudenza, i nonni sono tenuti alla contribuzione non solo quando entrambi i genitori non siano in grado di provvedere ai figli, ma anche quando essi si siano sottratti volontariamente a tale incombenza.
E’ l’ipotesi del genitore, separato o divorziato, cui l’ex coniuge ometta di versare il proprio contributo al mantenimento dei figli, vuoi perchè non abbia mezzi, vuoi perchè non ne abbia l’intenzione.
Scopo della norma di cui all’art. 316 bis . è, infatti, quello di salvaguardare i minori con la necessaria celerità ed in modo assoluto.
Ovviamente ai nonni sarà riconosciuto il diritto di rivalsa nei confronti del genitore inadempiente per quanto corrisposto in suo luogo, ma in attesa di ciò i figli devono pur mangiare.
Ex multis, la Sentenza del Tribunale di Parma 26/05/2014 L’obbligo di tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori di fornire a questi i mezzi necessari per adempiere al loro dovere nei confronti dei figli, ex art. 147 c.c., deve ritenersi sussistente non solo nei casi di impossibilità oggettiva di provvedere al mantenimento della prole da parte dei genitori, ma anche in quello di omissione volontaria da parte di entrambi o di uno solo di essi, laddove l’altro non sia in grado di provvedervi da solo. Scopo della norma di cui all’art. 148 c.c. è, invero, quello di salvaguardare i minori con la necessaria celerità ed in modo assoluto. In tale contesto, il riferimento legislativo relativo al non avere i genitori mezzi sufficienti al mantenimento va inteso nel senso che l’insufficienza dei mezzi ammette anche una integrazione parziale e non la sola sostituzione di una categoria all’altra

 

 

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Mantenimento figli da parte dei nonni

Separazione e figli

Separazione e figli: non si può imporre alla figlia adolescente la visita del padre se non lo vuole.

La pronuncia non è di ieri, risale all’anno scorso.
Ma fa riflettere.
E molto.

Un padre, separato, ricorreva al tribunale di Torino lamentando che la figlia quindicenne – collocata

 

separazione e figli
Separazioni e figli: le conseguenze

prevalentemente presso la madre –  non volesse saperne di frequentarlo, malgrado il provvedimento di separazione prevedesse specificamente il suo diritto di visita. Chiedeva, pertanto,  “di disporre  ogni necessario provvedimento volto a consentire al padre di esercitare la responsabilità genitoriale nei confronti della propria figlia” nonché di “accertare se l’impossibilità del ricorrente ad esercitare la responsabilità discenda da atti e/o condotte poste in essere dalla madre e, in caso positivo, condannarla alle sanzioni ed ai risarcimenti di legge“.
Costituitasi la moglie, che negava le deduzioni del marito, nel corso del procedimento veniva ascoltata la figlia minore, che ribadiva la ferma opposizione a frequentare il genitore, riferendo “di non avere mai avuto col padre un rapporto stretto, di non sentirsi a suo agio con lui, lamentandone la prepotenza e l’aggressività, e di provare ansia all’idea di vederlo, pur non escludendo la possibilità di rivederlo in futuro“.
La conclusione del Tribunale è la seguente.
Come è diritto di ogni figlio avere/mantenere rapporti significativi con ciascun genitore, è altrettanto legittimo, tanto per la mamma, quanto per il papà, mantenere rapporti affettivi con i figli.
Bene.
Il Giudice ha, tuttavia, specificato in ambito di separazione e figli che l ‘individuazione delle concrete modalità di esercizio e attuazione del predetto diritto del genitore a mantenere il legame con i figli deve avvenire avendo sempre come parametro principale di riferimento l’interesse superiore del minore e non può prescindere dalla considerazione delle specifiche circostanze del caso concreto.
separazione e figli le conseguenzeNel caso di specie, la figlia non era in fasce, ma tardo adolescente, ed il suo parere e stato d’animo dovevano avere assoluto conto nella vicenda.
Ebbene, non essendo stata provata l’asserita ingerenza della madre nelle convinzioni della minore, è sembrato inopportuno al Giudice imporre alla ragazza qualcosa che fermamente la turbava.
Anzi.
Eventuali rapporti, visite e incontri “coattivi” non sarebbero stati corrispondenti all’interesse superiore della figlia  “ad una effettiva e proficua bigenitorialità e ad una crescita serena ed equilibrata né … concretamente funzionali all’attuazione di quel diritto del genitore al mantenimento del legame con i figli, risultando anzi, in quanto imposti e non frutto di una spontanea rielaborazione relazionale, controproducenti e pregiudizievoli al recupero di una serena relazione padre-figlia nonché al benessere stesso della minore, cui il Tribunale sempre tende nell’adozione delle proprie decisioni“.
La decisione deve essere stata sofferta, infatti non è mai facile come materia la separazione e figli,  tanto che il Giudice ha invitato “le parti ad intraprendere un percorso di rafforzamento delle proprie capacità genitoriali e/o un percorso di mediazione familiare, nell’interesse esclusivo della minore” e incaricato “i Servizi competenti di prendere in carico la minore e di facilitare il recupero e il mantenimento del legame familiare“.
All’esito di questo percorso, sarà rimesso al “gradimento” della figlia e alla spontanea  evoluzione relazionale delle parti e della minore il recupero, senza costrizioni e nei tempi e nei modi ritenuti congrui dagli interessati, di un sereno e continuativo rapporto” tra papà e – ahimè, non più bambina – figlia minore.

La pronuncia: Tribunale di Torino, Decreto 04/04/2016

 

 

 

 

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Rimborso degli arretrati per il mantenimento del figlio

Se al mantenimento di un figlio ha provveduto solo un genitore, egli ha diritto ad un rimborso degli arretrati per il mantenimento del figlio? Vediamo un pò insieme in cosa consiste il rimborso equitativo.

Rimborso degli arretrati per il mantenimento del figlio

Il nostro codice civile ha abolito qualsiasi distinzione tra figli  “legittimi”, ossia nati nell’ambito del rapporto matrimoniale, e figli “naturali”, concepiti da coppia non sposata.
La novella legislativa ha comportato che non possano sorgere differenze tra figli, siano o no nati da genitori tra loro coniugati.
Ciò non toglie che è assai frequente, specie nell’epoca attuale dove alle nozze sono preferite le convivenze di fatto, la nascita di un figlio “extra matrimonio“.
Parimenti, capita – purtroppo – non di rado che anche le coppie non sposate si separino e che a provvedere al figlio ci pensi un solo genitore.
Addirittura, talvolta, il padre non riconosce il figlio avuto da una relazione extraconiugale e si vuole sottrarre dai conseguenti obblighi che derivano dal riconoscimento della prole.
Orbene l’obbligazione di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, essendo collegata allo status genitoriale, sorge con la nascita per il solo fatto di averli generati e persiste fino al mantenimento della loro indipendenza economica, con la conseguenza che nell’ipotesi in cui, al momento della nascita, il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, il quale abbia assunto l’onere esclusivo del mantenimento anche per parte dell’altro genitore, egli ha diritto di regresso nei confronti dell’altro per la corrispondente quota.

Approfondiamo la questione del rimborso degli arretrati per il mantenimento del figlio

mantenimento figlioUna recente sentenza della Corte d’appello di Lecce ha puntualizzato che al genitore che abbia provveduto a far fronte in via esclusiva al mantenimento del figlio spetti non solo il rimborso integrale delle spese “vive” corrisposte nell’interesse della prole, ma anche quello relativo alla quota parte dell’altro genitore relativa al complessivo mantenimento del figlio.
Tale rimborso ha contenuto “riparatorio” e vale ad indennizzare, per l’appunto, il genitore, che ha riconosciuto il figlio, per gli esborsi sostenuti da solo per il mantenimento della prole.
Poichè nel nostro ordinamento le obbligazioni avente natura indennitaria possono essere liquidate “equitativamente“, ossia secondo una valutazione che prescinde dalla specifica documentazione dell’ammontare del danno subito, la cui dimostrazione può risultare assai gravosa se non impossibile, la loro liquidazione potrà appunto appoggiare su un criterio equitativo e dovrà, comunque, tener conto dei redditi e delle sostanze con cui entrambi i genitori avrebbero potuto far fronte al mantenimento del figlio.

Nella fattispecie, sulla valutazione che fosse ” impossibile pervenire ad una esatta determinazione del dovuto atteso che non è pensabile che la madre conservi scontrini o ricevute di tutte le spese sostenute nell’interesse della figlia, anche in considerazione del lungo tempo trascorso tra la nascita di quest’ultima e l’introduzione del giudizio di primo grado (anni 32)” si è ritenuto legittimo “fare riferimento al criterio equitativo”.
La sentenza: App. Lecce, Sent., 07-07-2016

 

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