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Fino a quando bisogna mantenere i figli?

Fino a quando bisogna mantenere i figli? Eh eh eh vediamo un pò…

fino a quando bisogna mantenere i figli?
Fino a quando bisogna mantenere i figli?

“Nella vita bisogna fare tre cose“, recita un noto proverbio Zen: “fare un figlio, scrivere un libro, piantare un albero“.
Le ultime due attività, possono essere intraprese con leggerezza, in quanto possono anche non lasciare il segno.
Per la prima, mettere al mondo un figlio, bisogna pensarci bene, in quanto si intraprende un cammino destinato a comportare oneri e onori per molto, molto tempo.

Lasciando da parte le innumerevoli – e più importanti –  sfaccettature che colorano la nascita di un bimbo dal punto di vista affettivo/umano, è quesito assai ricorrente per i genitori il “fino a quando dovrò mantenere mio figlio?“.
Domanda assai più frequante in un’epoca, come quella attuale, dove si assiste assai diffusamente al fenomeno – poco elegantemente – denominato da un recente ministro dell’economia dei “figli bamboccioni“, che sembrano prendere sempre più tardi il volo dal nido familiare.

bamboccioni
Obbligo di mantenere i figli fino a quando non abbiano acquisito una stabile indipendenza economica

C’è, al riguardo, la falsa convinzione di dover provvedere alla propria prole fino al compimento dei 18 anni: ma la maggiore età non basta, di per se’ sola, a campare.
Ed allora: fino a quando bisogna mantenere i figli?
Partiamo dal dato normativo: l’art. 147 cc. impone ai coniugi  “l’obbligo di mantenere, istruire, educare  e assistere moralmente i figli“.
Come vi debbono provvedere i genitori?
nel rispetto delle loro – dei figli –  capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.
Bisogna, pertanto, aver cura dei discendenti non con lo stampo – nella identica maniera per tutti – ma in ragione dei particolari connotati che caratterizzano il singolo figliolo.
E qui è il bello.
Sì, perchè si dovrà mantener fede a tali obblighi fino a quando il figlio, sia pur divenuto maggiorenne, non abbia acquisito una stabile indipendenza economica  (da intendersi quale reperimento di uno stabile lavoro che gli consenta un tenore di vita adeguato e dignitoso) ovvero sia stato posto nelle concrete condizioni per essere autosufficiente e, ciò nondimeno, pur potendo, non si sia attivato almeno per la ricerca seria e concreta di un lavoro.
Attenzione, però.
Non un lavoro qualunque, ma un’attività possibilmente adeguata alle sue aspirazioni e al percorso formativo di studi svolto.
Pertanto, mentre verrà meno l’obbligo di mantenimento del figlio che abusando della disponibilità dei genitori, tenga un comportamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato di occasioni di lavoro (ovvero di colpevole negligenza nel compimento del corso di studi intrapreso) e, quindi, di disinteresse nella ricerca dell’indipendenza economica, va marcatamente sottolineato come l’obbligo degli ascendenti sia improntato all’assistenza materiale “nel rispetto delle inclinazioni naturali e aspirazioni” della prole, per cui se un figlio sia disoccupato, bisognerà porre attenzione al motivo di tale inattività e valutare se la mancanza di impiego sia  legata all’assenza di possibilità lavorative ancorate alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e postuniversitario del figliolo ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione.
In tal caso è doveroso per i genitori contribuire al suo sostentamento, fino a quando non avrà trovato la sua strada.

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Affidamento figli. Se un genitore separato va a lavorare altrove, che ne sarà dei figli?

Affidamento figli: Il nostro ordinamento è improntato alla massima tutela della prole, sia nell’ambito della vita matrimoniale, sia dopo la separazione.

affidamento figli
Affidamento figli. A chi spetta se vado a lavorare lontano?

Da un lato, infatti, all’art. 315 bis, il codice civile stabilisce che “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni..” e che “ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti“.
Dall’altro, il legislatore ha sancito che – a seguito di separazione o divorzio, “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.” Per realizzare tale finalità “il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” (art 337 ter cc).

E’ da chiedersi come la massima tutela dei figli possa essere “combinata” con le prerogative di vita dei genitori, anche lavorative.

In particolare, capita – ed in tempo di crisi sempre più di frequente – che uno degli (ex) coniugi debba trasferirsi in altra città, magari molto lontana rispetto a quella dove risiedono i figli – per esigenze lavorative.
Che ne sarà dei figli? A chi spetterà l’affidamento dei figli? Il genitore deve rinunciare alle proprie ambizioni?  Che ne sarà del paritario diritto dell’altro genitore ad avere un rapporto continuativo con la prole?
La questione non è da poco conto.
Se ne sono occupati parecchio i Tribunali e si rinvengono parecchie pronuncie al riguardo.
Da ultima, una recente sentenza della Cassazione ha ribadito un solco già consolidato.
In buona sostanza, i figli erano affidati in via condivisa ad entrambi i genitori.
La loro – bruttissimo termine – “collocazione” era “paritaria”, ossia con eguale permanenza presso la residenza del papà e della mamma.
Il padre era spesso fuori città per motivi di lavoro.
La mamma, di recente, aveva vinto un concorso che avrebbe imposto il trasferimento in un altra città.
Che ne sarebbe stato dei figli? Entrambi i genitori avevano manifestato la volontà di tenerli presso la propria città e residenza.
La Corte, dapprima, ha valutato  quale dei due coniugi fosse il più indicato ad essere collocatario prevalente della prole: e qui è stata ritenuta maggiormente idonea la mamma, proprio perchè assicurava maggior presenza giornaliera, rispetto al marito, spesso fuori casa e, comunque, dando per consolidato come la madre, in genere, fosse il soggetto più portato a meglio seguire i figli in età prescolare.
Quindi, passando ad esaminare la circostanza della necessità di trasferimento della mamma, ha statuito che tale eventualità fosse una legittima prerogativa della stessa, avendo diritto ogni cittadino alla propria massima realizzazione.
affidamento congiuntoEd infatti la Corte ha evidenziato che ”  trasferimento della propria residenza e sede lavorativa sono oggetto di libera e non conculcabile opzione dell’individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale
Vi è di più: si precisa che “il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell’altro coniuge non perde per ciò l’idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario“.
Atteso quanto sopra, e dato quindi per acclarata come legittima e tutelabile l’ambizione di uno dei genitori a realizzarsi lavorativamente, trasferendosi in altra città, al giudice non rimarrà che decidere chi tra padre e madre sia più indicato per essere il collocatario prevalente dei figli, improntando la sua valutazione all’esclusivo e preminente interesse di questi ultimi.
E nel caso di specie…. ha prevalso la mamma, “per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario“.

La sentenza: Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-09-2016, n. 18087

 

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Disturbo della quiete pubblica : Il figlio fa “fiesta”, mamma e papà rispondono per i rumori molesti.

Disturbo della quiete pubblica: chi risponde se il figlio è minorenne?

disturbo della quiete pubblica
Disturbo della quiete pubblica. Chi ne risponde se chi ne è causa è minorenne?

Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
Si può cioè commettere un reato tramite una condotta inerte a fronte di un evento lesivo.
Per intenderci, si può commettere un omicidio sparando o lasciando morire di fame la vittima.
Si può anche far rumore, provocando disturbo della quiete pubblica, personalmente o lasciando che i figli minorenni facciano “fiesta”.
In ogni caso ne rispondono i genitori, che hanno obblighi educativi nei confronti della prole e pertanto debbono vigilare ed impedire che questi commettano scelleratezze o rechino danni ad altri.
Ciò tanto in sede civile, quanto in ambito penale.

La sentenza, recentissima, della Corte di Cassazione ribadisce il concetto ed il monito ad educare adeguatamente i figli anche nell’ambito del prevenire il disturbo della quiete pubblica naturalmente.
In buona sostanza: il “piccolo di casa”, aveva organizzato un party a casa dei genitori, assenti.
Ne è scaturito un pandemonio, con notevole disturbo del sonno dei vicini.
I genitori vengono tratti a processo davanti al Giudice penale, con l’accusa del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone (art. 659 cp).
Ne è conseguita la condanna, confermata in appello e poi davanti alla Corte Suprema, sul presupposto in base al quale i genitori sono tenuti a mantenere, istruire, educare i figli (art. 147 cc)
Fino a quando essi siano minorenni, dei fatti illeciti ne rispondono madre e padre, a sensi dell’art. 2048 cc, a meno che non provino di non aver impedito l’evento.

Penalmente, a fronte della richiamata disposizione che equipara il non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire al causarlo, i genitori sono stati ritenuti responsabili di aver permesso i disturbanti schiamazzi e rumori da parte del figlio che hanno generato la vicenda.
Ciò non esclude, ovviamente, la concorrente responsabilità del minore, se ultraquattordicenne e capace di intendere e di volere.

Tant’è: culpa in educando et in vigilando.
Bisogna adeguatamente educare i propri figli e vigilare sulle loro azioni.

La sentenza: Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-09-2016) 15-12-2016, n. 53102

 

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Separazione: riduzione assegno di mantenimento se nasce un nuovo figlio

Riduzione assegno di mantenimento:  se nasce un nuovo figlio le condizioni possono essere riviste.

Le condizioni che discipleranno la separazione debbono essere attentamente valutate dai coniugi, poichè non potranno essere in seguito modificate a causa di ripensamenti o perchè valutate sconvenienti o svantaggiose.

riduzione assegno di mantenimento
Quando è posibile la riduzione assegno di mantenimento se nasce un nuovo figlio?

L’unica possibilità di riduzione assegno di mantenimento è data da una eventuale e sopravvenuta mutazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi rispetto a quelle tenute in considerazione al momento della separazione, con effetti sia riguardo ai provvedimenti inerenti il mantenimento e l’affidamento della prole, sia relativamente al mantenimento del coniuge.

I “giustificati motivi” che presiedono la possibilità di riduzione assegno di mantenimeneto non possono ovviamente essere rinvenuti in scelte discrezionali ed unilaterali dei coniugi, (ad esempio scegliere di abbandonare il lavoro, stipulare un contratto di locazione maggiormente oneroso rispetto al precedente, intraprendere una nuova e dispendiosa attività) assunte nella consapevolezza dei propri obblighi derivanti dalla separazione ed in dispregio delle conseguenze che avrebbero comportato.

Ora, una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione si è fermata a riflettere sull’ipotesi in cui sopravvenga un nuovo figlio da altra relazione, successiva alla separazione.
Il marito, tenuto a corrispondere alla moglie un assegno di mantenimento, nonchè a contribuire a quello del figlio nato dalla relazione coniugale, intrapresa una nuova storia d’amore, diviene padre di un altro bambino: è legittimato a chiedere una revisione delle condizioni di separazione, alla luce delle maggiori spese che dovrà affrontare per la nascita del nuovo figlio?
Per i Giudice ermellini tale circostanza,  “pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico”.

Nella fattispecie si è ritenuto congruo “spalmare” la contribuzione del padre in favore di tutti i figli, con conseguente riduzione dell’assegno dei figli di primo letto.
Non solo.
Per quanto attiene l’obbligo al mantenimento della moglie, la nuova paternità comporterà la possibilità di rivederne l’ammontare o addirittura l’esclusione. Con una precisazione: non si deve pensare che la contribuzione nei confronti del coniuge debba essere “recessiva”, ossia di minor importanza, rispetto a quella dei figli, dovendosi “ anche in tale ipotesi valutarsi l’incidenza della circostanza sopravvenuta per verificare se sia in concreto giustificata la revoca o la modifica delle condizioni già fissate“.
La sentenza: Cass. civ. Sez. I, 13/01/2017, n. 789

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Contributo al mantenimento dei figli: l’assenza di accordo sulle spese straordinarie

Mantenimento dei figli:  assenza di accordo sulle spese straordinarie.

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Mantenimento dei figli:assenza di accordo sulle spese straordinarie

Quando una coppia di coniugi decide di separarsi deve valutare attentamente una serie di elementi riguardanti le condizioni che disciplineranno tale iniziativa.

Alcune hanno un contenuto necessario (quelle attinenti all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorziale per il coniuge economicamente più debole), altre possono essere anche eventuali, in quanto concernenti la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi.

Ovviamente, posta anche la posizione di privilegiato rilievo stabilita dal legislatore, le condizioni che disciplineranno la vita, la collocazione, il mantenimento dei figli avranno suprema considerazione.

Un’incongruità che spesso si rileva nell’ambito degli accordi di separazione risiede nel fatto che molto frequentemente i coniugi si limitino a prevedere un assegno mensile a carico del genitore che non abbia la collocazione prevalente della prole, a titolo appunto di contributo al mantenimento dei figli, ed una generica indicazione di corresponsabilità per le spese straordinarie.
Tale ultimo compendio economico – le spese straordinarie – può costituire significativo onere per i genitori e frequentissimo motivo di lite tra i medesimi.

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Spese straordinarie mantenimento dei figli: meglio mettersi d’accordo?

La scena, purtroppo alquanto consueta, è la seguente: il genitore affidatario, con notevoli difficoltà, anticipa notevoli somme per far fronte alle spese straordinarie (scolastiche, mediche,….), molto spesso senza farne menzione all’altro consorte (anche in virtù dei rapporti deteriorati che hanno cagionato la scelta di separarsi), salvo poi presentare un salatissimo conto finale, da saldare in termini restrittissimi.
Ne conseguono opposizioni e cause, nel corso delle quali il coniuge asserito debitore lamenta di essere stato tenuto estraneo dalla notizia di ogni esborso, di non aver avuto alcuna voce in capitolo, della voluttuarietà delle spese sostenute ad esclusiva discrezione dell’altro genitore.
I giudici, cosa dicono in merito?

La Cassazione ha avuto modo a più riprese di specificare che “non è configurabile a carico del coniuge affidatario o presso il quale sono normalmente residenti i figli, anche nell’ipotesi di decisioni di maggiore interesse per questi ultimi, un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro genitore, in ordine alla effettuazione e determinazione delle spese straordinarie, che, se non adempiuto, comporta la perdita del diritto al rimborso. Nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità derivante ai figli e della sostenibilità della spesa stessa, rapportata alle condizioni economiche dei genitori“. (Cassazione Civile, Sez. VI, 3 febbraio 2016, n. 2127)
In buona sostanza, e ferma la sempre ricorrente rimborsabilità delle spese urgenti ed assolutamente necessarie,  ove le spese sostenute corrispondano al “maggiore interesse” dei figli, esse potranno essere anticipate, senza preventivo accordo,da un genitore, che potrà chiederne il rimborso della corrispondente quota parte. Spetterà, eventualmente, al giudice accertare se tale circostanza fosse ricorrente, tenuto conto anche della congruità dell’importo versato e delle condizioni economiche dei coniugi.
Proprio in virtù del consisente carico di conflittualità che si avvertiva in relazione alla gestione di tale capitolo di spese, il Tribunale di Vicenza ha stilato un protocollo che i coniugi potranno vagliare in sede di separazione e divorzio, che disciplina le modalità di gestione delle spese straordinarie, prevedendo quali saranno rimborsabili in assenza di preventivo accordo e quali potranno esserlo solamente allorquando siano state avvallate da entrambi i genitori.

Il link del protocollo (pagina 17)

 

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Divorzio: prima si sfamano i figli, poi si pagano i debiti

Assegno di mantenimento…

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L’assegno di mantenimento…I figli vengono prima di tutto

Nel nostro ordinamento la legge sanziona come reato la condotta di chiunque faccia mancare i mezzi di sostentamento al coniuge o ai figli non autosufficienti.
Alla stessa stregua è punito il “coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento” divorzile e della somma dovuta a titolo di contributo al mantenimento dei figli, con pene che di regola comportano  la reclusione fino a un anno e/o  la multa da euro 103 a euro 1.032.

Nel primo caso, per integrare il reato è necessario che il coniuge faccia mancare i mezzi di sostentamento ai propri familiari, per cui un adempimento soltanto parziale dei propri obblighi non integrerebbe necessariamente tale fattispecie qualora non comportasse, appunto, l’assenza di mezzi di sussistenza delle persone offese.
Al contrario, la condotta di cui sopra potrebbe integrare il secondo reato, relativo all’omessa corresponsione della somma stabilita dal giudice dell’assegno di mantenimento del coniuge o dei figli, a seguito di divorzio, purchè sia consistente nella volontà di sottrarsi agli obblighi imposti giudizialmente.

Nel caso preso all’esame da una recentissima pronuncia della Cassazione, il marito tenuto al versamento, condannato per aver versato solo quota parte del dovuto per il mantenimento dei figli, aveva impugnato le pronunce di merito che lo avevano ritenuto responsabile del reato, perchè, a suo dire, egli sarebbe stato nell’impossibilità di far fronte all’esecuzione del provvedimento divorzile, in quanto tenuto a corrispondere altri importi ad istituti di credito con i quali aveva recentemente contratto un mutuo, che gli avrebbero sottratto la disponibilità economica necessaria per adempiere ai propri obblighi familiari come il versamento dell’assegno di mantenimento.
La Cassazione ha respinto tale difesa, argomentando come la condizione di impossibilità economica dell’obbligato, “può assumere rilievo ai fini di escludere l’antigiuridicità della condotta, soltanto se essa … consista in una situazione incolpevole di indisponibilità di introiti”, fattispecie che non sussiste “allorquando l’inadempimento degli obblighi imposti verso i figli sia frutto della scelta di soddisfare pretese creditorie diverse, nel caso il pagamento del mutuo“.

In buona sostanza: i figli vengono prima di tutto, anche delle (legittime) pretese di altri creditori.
La sentenza: Cass. Pen.51625/16

 

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Il diritto dei nonni ad avere rapporti significativi con i nipoti

Nonni hanno diritto a frequentare i nipoti…

Può capitare che, a seguito del matrimonio, la coppia scelga di “blindare” la propria famiglia neo costituita, lasciando fuori qualsiasi possibilità di ingerenza o intromissione da parte dei rispettivi genitori, specie per quanto attiene l’educazione e la crescita dei figli.

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I  nonni hanno diritto a frequentare i nipoti?

Più frequentemente, tale circostanza avviene con la crisi matrimoniale, a seguito della quale, da un lato i coniugi riverberano le loro incomprensioni facendole ricadere sui rispettivi suoceri, dall’altro proprio gli influssi delle famiglie d’origine possono rendere  ancora più accentuati i rapporti all’interno della coppia, sottolinenando dissidi e disarmonie, anche per quanto attiene l’educazione dei bambini.

Conscio che tali situazioni avrebbero potuto minare in maniera consistente le relazioni nonni/figli, il nostro legislatore ha introdotto, di recente, una normativa che ha sancito in maniera esplicita  il diritto dei nonni ad avere rapporti significativi con in nipoti minorenni: art 317 bis cc.
Non solo.

Quasi in contrapposizione, nel tentativo di rafforzare tale inclinazione, il codice, laddove aveva sancito chiaramente gli obblighi dei genitori nei confronti dei figli – art. 147 cc – ha sottolineato con una nuova norma, l’art. 315 bis, che tali obblighi si concretizzano in un vero e proprio diritto dei figli, tra cui, anche, il diritto di mantenere rapporti significativi con i parenti.

Di qui la lettura, secondo molto interpreti, che non si sia voluto, con tale disciplina, stabilire un diritto incondizionato e assoluto dei nonni medesimi. Al contrario tale «diritto» è espressamente riconosciuto quale interesse strumentale alla piena realizzazione della personalità del nipote, atteso che facendo valere codesto diritto, i nonnii, «fanno valere il diritto dei nipoti, che in tal modo risulta più fortemente tutelato».

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I diritti dei nonni…ma soprattutto dei nipoti.

In buona sostanza: i nonni hanno diritto di frequentare i nipoti solamente allorquando tale attività corrisponda all’interesse preminente dei nipoti stessi.

Una freschissima pronuncia del Tribunale dei Minorenni di Venezia ha avuto modo di ribadire tale concetto, percorrendo il consolidato solco giurisprudenziale secondo cui “l’azione in giudizio dei nonni può trovare origine nella piena realizzazione dell’interesse del minore a mantenere rapporti significativi con gli ascendenti”, ma offre una lettura ulteriore.
In buona sostanza, secondo il menzionato ufficio giudiziario, il diritto dei nonni merita tutela solamente se la mancata significativa relazione con i nipoti sia “effettivamente, concretamente e realmente pregiudizievole per il minore ed imponga di addivenire ad una limitazione della responsabilità dei genitori“, che, altrimenti, sono liberi di decidere se far frequentare i figli agli ascendenti oppure no.

A sommesso parere di chi scrive, affermato il principio di diritto secondo cui anche i nonni hanno diritto a frequentare i nipoti, una cosa è stabilire, giustamente, che tale facoltà non debba essere tutelata allorquando la visita potrebbe essere pregiudizievole per i minori – ci mancherebbe! – altra cosa è sancire che tale tutela possa essere percorribile solo allorquando l’omessa visita dei nonni potrebbe recare loro danno.

Il legislatore, con il menzionato art. 317 bis cc,  ha fissato una sorta di presunzione sulla preziosità della frequentazione nonni/figli, che non deve essere di volta in volta dimostrata, ma può essere semmai superata nel caso contrario in cui possa risultare dannosa per i minori.

Restiamo in attesa di assistere alle prossime evoluzioni giurisprudenziali.

La Sentenza: Tribunale per i Minorenni di Venezia,  decreto 7 novembre 2016

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Padre che non si occupa dei figli può essere condannato al risarcimento del danno

Padre che non si occupa dei figli

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Padre che non si occupa dei figli: la sentenza.

Una recente pronuncia del Tribunale di Cassino: un padre, riconosciuto tale dopo una sentenza di accertamento della sua paternità, si era sempre disinteressato della figlia, non solo corrispondendo, a sprazzi, quota parte degli importi dovuti a titolo di contributo al mantenimento della stessa, ma anche – e soprattutto – rendendosi latitante rispetto ai suoi obblighi genitoriali, omettendo di frequentarla, di informarsi sulla sua crescita, di partecipare ad incontri con lei, di frequentarla, insomma, lasciandola in stato di abbandono morale e materiale.

Ebbene, il Tribunale ha riconosciuto che il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio determina un’ immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella nostra  carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30),  un elevato grado di riconoscimento e di tutela .
La privazione della figura genitoriale paterna, quale punto di riferimento fondamentale soprattutto nella fase della crescita, integra “un fatto generatore di responsabilità … c.d. endofamiliare”  la cui prova può essere desunta sulla base di semplici elementi presuntivi,  già di per se’ insiti  “nella integrale perdita del rapporto parentale che ogni figlio ha diritto di realizzare con il proprio genitore e che deve essere risarcita per il fatto in sé della lesione”.
Il Tribunale ha pertanto condannato il padre assente ad un risarcimento nei confronti della figlia pari alla somma di € 52.000, determinata in via equitativa.
La pronuncia: Trib. Cassino, Sent., 15-06-2016

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Affidamento dei figli: la scelta di una dieta “vegana” deve essere concordata

Affidamento dei figli:

In caso di separazione, “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

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Affidamento dei figli

Per realizzare tale finalità, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi spetti l‘affidamento dei figli, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori.
Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente.

“Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.” (art 337 ter cc).

Nel nostro ordinamento, pertanto, in caso di separazione, l’affidamento condiviso dei figli deve rappresentare la regola, mentre quello esclusivo una eventualità da prendere in considerazione solamente quando il primo possa cozzare con i preminenti interessi dei figli stessi.

Affidamento condiviso non significa eguaglianza di tempo di frequentazione e di vita con i genitori: il collocamento prevalente presso la mamma o il papà è un dato di fatto che spesso contribuisce a preservare i minori dall’essere sballottati da un luogo ad un altro, perdendo i riferimenti abituali, sociali, affettivi che caratterizzano la loro vita abituale (scuola, parrocchia, amichetti, vicini, il proprio cortile, la propria cameretta etc..).

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Dieta vegana del figlio senza chiedere il consenso?

Tale forma di esercizio della responsabilità genitoriale conferisce pari dignità ai coniugi/genitori nell’assumere le scelte di vita più importanti che riguardano i figli (es salute, scuola, formazione religiosa…) . Quelle di ordinaria amministrazione rimangono conferite all’autonoma, ma auspichevolmente non contrastante, iniziativa di ciascun genitore.
Laddove dovessero emergere disaccordi in ordine alle questioni di maggior rilevanza, a ciascuno dei genitori sarà data facoltà di adire il Giudice affinchè redima i contrasti.
Ebbene, un recente provvedimento del Tribunale di Roma si è pronunciato sulla gestione delle abitudini alimentari dei figli minori.
In sostanza, la madre – contro il parere del coniuge – avrebbe imposto un regime nutrizionale vegano ai figli.
Il padre ha presentato ricorso, sul presupposto che tale contestata iniziativa avrebbe dovuta essere assunta con l’accordo di entrambi i genitori e non già a seguito di una imposizione unilaterale della madre.
Il Tribunale, dopo ampia istruttoria, anche consistente in idonea ed approfondita relazione dei servizi sociali, ha statuito che le decisioni riguardanti il regime alimentare del figlio minore rientrino a pieno titolo tra quelle di “maggior interesse” che, ai sensi dell’art. 337-ter c.c., qualora sussista, come nella fattispecie in esame, un regime di affidamento condiviso, devono essere prese di comune accordo da entrambi i genitori. Solo in caso di disaccordo, la decisione su tali questioni è rimessa al giudice.

Nel caso di specie, il Tribunale non ha ravvisato particolari ragioni che giustificassero un così rigido regime alimentare, essendo le condizioni di salute della figlia minore assolutamente normali.
Di tal che la statuizione del Giudice, in assenza di un accordo dei genitori sul punto, è stata quella di prediligere una dieta improntata alla “normalità statistica”, priva, pertanto, di particolari restrizioni.

Il provvedimento: Tribunale di Roma, 19 ottobre 2016

 

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