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Le migliorie del bene concesso in comodato alla coppia convivente non devono essere rimborsate

Una coppia decide di andare a convivere nell’appartamento di proprietà del padre di lei, concesso in comodato.
Il compagno, per rendere l’immobile più conforme alle loro esigenze e desideri, investe una cospicua somma di denaro per apportarvi le migliorie del caso.
Dopo qualche mese, a seguito di una crisi relazionale, l’uomo interrompe il rapporto e se ne va di casa. A quel punto vuole essere rimborsato per i soldi impiegati nelle opere di un appartamento non suo e, a fronte del diniego del mancato suocero, lo cita in giudizio.

Ebbene, la Cassazione (Sez. III, Sent. 30-06-2015, n. 13339) ha stabilito che nessuna somma debba essere restituita, in quanto il contratto di comodato – lo si ricorda, essenzialmente gratuito – impone il rimborso a favore del comodatario, ossia di colui il quale riceve in prestito il bene, delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, mentre sono escluse quelle impiegate per servirsene.

E’ stata esclusa, pertanto, la possibilità che possa spettare un qualche rimborso (neppure nella forma dell’indennità o dell’indennizzo) per esborsi che, ancorchè abbiano determinato un miglioramento, non siano risultati necessari per far fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione della cosa.

E’ stato, infatti, notato che “”il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante.

Ne consegue che, se un genitore concede un immobile in comodato per l’abitazione della costituenda famiglia, egli non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie nè urgenti, sostenute da uno dei coniugi comodatari durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell’abitazione coniugale”

L’assegno di mantenimento può essere modificato?

L’assegno di mantenimento può essere modificato?

L’art. 710 del codice di procedura civile contempla la possibilità di richiedere “la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione”.

Si noti bene: l’assegno di mantenimento può essere modificato  e quindi anche i provvedimenti– nell’ambito dei rapporti patrimoniali tra i coniugi – solo se i motivi sono sopravvenuti rispetto a quelli contemplati ed esistenti al momento della separazione.

Infatti, l’art. 156 cc. stabilisce espressamente che il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti attinenti le condizioni (economiche) di separazione “qualora sopravvengano giustificati motivi”.

L’assegno di mantenimento può essere modificato anche in caso di separazione consensuale.

La Giurisprudenza più recente della Suprema Corte ha espressamente esteso l’applicabilità della norma sopra citata anche a tale fattispecie di separazione.

In particolare, la Sentenza n. 8839 del 22.01.2015, ha cassato la pronuncia di merito che modificava le condizioni contemplate nel decreto di omologa di separazione consensuale tra coniugi, in assenza di fatti sopravvenuti giustificativi di un nuovo assetto tra le parti.

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Assegno di mantenimento e assegnazione casa

 Revoca dell’assegnazione casa coniugale?Legittimo riconsiderare l’assegno di mantenimento.

In sede di separazione, il Tribunale può disporre l’assegnazione della casa familiare ad uno dei due coniugi, tenendo conto prioritariamente dell’interesse dei figli. Recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, (Cass. civ. Sez. I, Sentenza n. 28001 del 16/12/2013) ha evidenziato che tale misura è finalizzata unicamente alla tutela della prole e non può essere disposta come se fosse una componente dell’assegno di mantenimento. Nel caso, tuttavia, in cui i figli diventino economicamente autosufficienti, il coniuge proprietario della casa può chiederne il godimento e la conseguente revoca della concessione del diritto di abitazione, ma, in tal caso, è necessario che il Giudice valuti, una volta in tal modo modificato l’equilibrio originariamente stabilito fra le parti e venuta meno una delle poste attive in favore di un coniuge, se sia ancora congrua la misura dell’assegno di mantenimento originariamente disposto.

Diritto di abitazione della casa familiare al coniuge superstite

L’eredità della casa. Il nostro codice civile riconosce al coniuge superstite, quando concorra con altri chiamati all’eredità, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano (art. 540 cc.)
A ben vedere, il riferimento disciplinato dal legislatore attiene all’ipotesi di successione testamentaria, nella quale a determinate categorie di soggetti sono riservate quote – indisponibili – del patrimonio del defunto.
Nell’ipotesi in cui si abbia successione legittima, ossia senza che sia stato redatto un valido testamento, non troviamo identico, specifico richiamo normativo al diritto di abitazione del coniuge superstite.
La Suprema Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 20703 del 10.09.2013, ha propeso per l’applicazione dell’art. 540 cc anche a quest’ultimo caso.

Al coniuge superstite che succede quale erede legittimo spetta il diritto reale di abitazione sulla casa familiare e il diritto di uso dei beni mobili che la arredano di cui all’art. 540, comma 2, c.c., che pur dettato in tema di successione necessaria trova applicazione anche alla successione intestata del coniuge.

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