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Il matrimonio non consumato può essere sciolto direttamente senza separazione

Matrimonio non consumato: una circostanza che può intaccare la stabilità del vincolo

Omnia amor vincit!

Matrimonio senza sesso
il Matrimonio non consumato può essere sciolto

L’amore vince tutto…quello paziente, però. Così pare, indirettamente, suggerire la pronuncia della Cassazione oggi in esame. Per poter considerare una relazione tra due persone al rango di quella matrimoniale, dopo aver celebrato le nozze i due sposini debbono “consumare” il matrimonio. Si deve instaurare, cioè, oltre alla comunione spirituale tra i consorti, anche quella fisica, altrettanto imprescindibile.

Altrimenti? Pena la possibilità di chiedere direttamente lo scioglimento del matrimonio, senza passare tramite il periodo di separazione, per i coniugi che, appunto, non abbiano intrattenuto il “congresso carnale”.

E’ logico: l’inconsumazione  è una sorta di spia circa le possibilità di funzionamento della macchina coniugale e conferisce, pertanto, una soluzione pronta ed immediata per le coppie che abbiano questi problemi e vogliano porre urgente termine al loro vincolo matrimoniale.

Ma andiamo in profondità al caso di oggi.

Una coppia di neo sposi, dopo aver convolato e prima di aver adempiuto ai conseguenti “doveri”, viene separata dal braccio della giustizia, che – spietato – viene a segregare il marito dietro le sbarre, per un periodo di tempo notevolissimo.

Quest’ultimo, preoccupato che il vincolo matrimoniale testè conseguito possa venir meno, senza aver consumato il rapporto coniugale, chiede un permesso cd ” di necessità” – che l’ordinamento penitenziario riconosce come rimedio d’urgenza ai detenuti che vertano in condizioni di particolare gravità – per poter incontrare la moglie in una casa di accoglienza e così sigillare fisicamente quanto solo verbalmente celebrato.

E l’impossibilità di adempiere ad un dovere sì rilevante ai fini del vincolo matrimoniale è stata prospettata dal detenuto come circostanza di “particolare gravità“.

Non così è parso al Tribunale, chiamato in prima battuta a pronunciarsi sulla questione. E nemmeno a parere della Cassazione. “Ci sono i permessi premio“, viene obiettato,  ossia delle uscite concesse a scopo premiale a detenuti che abbiano “manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali”. Ma dopo un consistente periodo di detenzione.

matrimonio non consumato in carcere
Non può essere chiesto un permesso per consumare il vincolo.

Nel caso di specie, è stato osservato, non rientrano i gravi motivi, che sono connotati da “carattere emergenziale ed eccezionale e, quindi, coerentemente limitati a situazioni la cui gravità si ponga in termini di irreparabilità attuale (morte di un familiare o di un convivente) o concretamente probabile (imminente pericolo di vita degli stessi), o sia comunque connotata dall’incombere di eventi familiari particolarmente pregiudizievoli“. L’amore vince tutto, se è paziente.

 

L’augurio per questo matrimonio inconsumato è che la pazienza sappia reggere al passare degli anni. La Sentenza: Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-09-2015) 12-01-2016, n. 882  

 

 

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matrimonio non consumato

Modifica dell’affidamento dei figli: non basta l’accordo privato senza l’ok del Giudice

Modifica dell’affidamento dei figli: ci vuole il vaglio del Tribunale

 

Elusione affidamento figli
E’ reato eludere il provvedimento di affidamento dei figli…

Chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci è punito, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro: art 388 cp.
Il principio non fa una piega: violare quanto disposto nell’interesse preminente della prole deve essere sanzionato rigorosamente.
La Corte di Cassazione, con la pronuncia che oggi esaminiamo, aggiunge due tasselli interpretativi a tale disposizione.
Primo: nel concetto di “provvedimento del Giudice Civile” deve essere compreso anche il decreto di omologazione della separazione consensuale.
E’ pur vero , infatti, che l’impianto della separazione, o divorzio, consensuale si fonda su un accordo sostanziale relativo ad ogni aspetto che ne regoli le condizioni, ma tale accordo è soggetto all’imprimatur dell’Autorità giudiziaria, che ne valuta appunto la congruità, e per tale motivo dovrà essere rispettato alla stessa stregua degli altri suoi provvedimenti sul punto.
Bene.
Ancora maggior interesse riveste il secondo imput della Suprema Corte: quanto disposto relativamente ai minori non può essere disatteso, nemmeno se sia intervenuto un accordo successivo alla separazione che abbia previsto la modifica dell’affidamento dei figli.

accordo affidamento figli
…anche se è intervenuto un accordo

Il caso di specie: una mamma è stata tratta a giudizio in quanto ritenuta colpevole di non aver fatto visitare i figli al loro papà, diversamente da quanto disposto in sede di separazione consensuale.
La difesa si è incentrata sul fatto che fosse intervenuto un accordo tra i genitori, volto a modificare il decreto di omologa della separazione e disponente la soppressione del menzionato diritto di visita del padre ai propri figli.
Gli ermellini hanno respinto la legittimità di tale contegno, sul presupposto che le condizioni circa l’affidamento dei figli possono essere modificate solo con una statuizione del Giudice in merito e non basta un semplice accordo, per quanto formalizzato in apposita scrittura privata, a giustificare la deviazione dal provvedimento giudiziale che ne sta a monte.
“La necessità dell’intervento del giudice sull’accordo modificativo – afferma la Corte Suprema – è posto in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli.
E all’evidenza un accordo modificativo, come quello nel caso in esame, che non stabilisca le modalità di visita dei figli a favore del genitore non affidatario può risultare per la sua assoluta genericità pregiudizievole per i preminenti interessi del minore, alla cui tutela i suddetti provvedimenti devono essere essenzialmente rivolti”.
La pronuncia : Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-03-2017) 02-05-2017, n. 20801

 

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Modifica dell’affidamento dei figli

Se i genitori non riescono al mantenimento dei figli, debbono provvedere i nonni

nonni debbono aiutare i genitori al mantenimento dei figli.

Amali, nutrili, insegna loro la disciplina e lasciali liberi. Così avrete un buon rapporto per tutta la vita“.
Efficaci le parole della sociologa Marry G. L. Davis, con riferimento al contegno da serbare con i figli.
Non va molto distante da quanto sancisce il nostro legislatore all’art.147 cc: i genitori hanno l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli
Ma quando i genitori non ce la fanno a sfamare la loro prole, ad essa chi ci pensa?
I nonni.
Lo impone, nero su bianco, il codice civile.
Art. 316 bis cc (già art 148 cc). : “quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli ascendenti , in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli“.

nonni mantenimento figli
Se i genitori non ce la fanno, i nonni aiutano al mantenimento dei figli

E’ vero: il codice non menziona espressamente i nonni. Parla di “ascendenti”. Ma è dura, per quanto astrattamente possibile, risalire fino ai bisnonni.
Si procede, infatti, per “prossimità”: prima i nonni, sia materni che paterni, poi i bisnonni e così via.
Una precisazione importante: non sono tenuti a tale obbligo i fratelli dei genitori, ossia gli zii.
Come ha avuto modo di evidenziare una recente sentenza dela Cassazione, (Cass. civ. Sez. I, 24/11/2015, n. 23978) , la previsione codicistica allude solo ai parenti in linea retta e non in linea collaterale.
Chi ha l’occhio attento, avrà notato come il legislatore abbia determinato le modalità di assolvimento di tale obbligo tramite “la fornitura dei mezzi ai genitori”. Non ai nipoti, ma ai genitori.
La ragione è presto detta: evitare che gli ascendenti possano invadere l’autonomia educativa dei genitori verso la prole, intromettendosi con elargizioni che gioco forza potrebbero alterare gli equilibri e le prerogative esistenti nell’ambito delle loro famiglie.
Potrebbe essere dato, infatti, che se i nonni conferissero le somme direttamente ai nipoti, potrebbero destinarne l’impiego in base ad indirizzi diversi rispetto a quelli assunti dai genitori, con conseguenti scombussolamenti ulteriori, rispetto a quelli già severi dettati dalla crisi economica.

un genitore non paga alimenti
anche in caso di volontaria sottrazione all’obbligo di mantenimento dei figli da parte di un genitore

La contribuzione è, ovviamente, dovuta in caso di comprovata necessità dei genitori a far fronte ai propri obblighi di mantenimento dei figli. 
Si tratta di un obbligo sussidiario, che sussiste solo ed in quanto gli obbligati principali si rendano inadempienti.
Ma qui viene il bello.
Come ha avuto modo di precisare più volte la giurisprudenza, i nonni sono tenuti alla contribuzione non solo quando entrambi i genitori non siano in grado di provvedere ai figli, ma anche quando essi si siano sottratti volontariamente a tale incombenza.
E’ l’ipotesi del genitore, separato o divorziato, cui l’ex coniuge ometta di versare il proprio contributo al mantenimento dei figli, vuoi perchè non abbia mezzi, vuoi perchè non ne abbia l’intenzione.
Scopo della norma di cui all’art. 316 bis . è, infatti, quello di salvaguardare i minori con la necessaria celerità ed in modo assoluto.
Ovviamente ai nonni sarà riconosciuto il diritto di rivalsa nei confronti del genitore inadempiente per quanto corrisposto in suo luogo, ma in attesa di ciò i figli devono pur mangiare.
Ex multis, la Sentenza del Tribunale di Parma 26/05/2014 L’obbligo di tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori di fornire a questi i mezzi necessari per adempiere al loro dovere nei confronti dei figli, ex art. 147 c.c., deve ritenersi sussistente non solo nei casi di impossibilità oggettiva di provvedere al mantenimento della prole da parte dei genitori, ma anche in quello di omissione volontaria da parte di entrambi o di uno solo di essi, laddove l’altro non sia in grado di provvedervi da solo. Scopo della norma di cui all’art. 148 c.c. è, invero, quello di salvaguardare i minori con la necessaria celerità ed in modo assoluto. In tale contesto, il riferimento legislativo relativo al non avere i genitori mezzi sufficienti al mantenimento va inteso nel senso che l’insufficienza dei mezzi ammette anche una integrazione parziale e non la sola sostituzione di una categoria all’altra

 

 

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Mantenimento figli da parte dei nonni

Assegno divorzile: dopo la sentenza della Cassazione, si potrà chiedere la revisione?

Ariecchice.

Torniamo sul luogo del delitto.
L’eco della sentenza n. 11504/2017 ancora risuona nelle diverse compagini sociali, poichè davvero consistente è stato il revirement dei giudici ermellini.
Dal diritto al mantenimento di un tenore di vita analogo a quello condotto in costanza di matrimonio all’aiuto limitato solo al caso di (incolpevole) non autosufficienza economica.
Ti pare poco?
Il futuro è segnato per le prossime cause divorzili? Forse non definitivamente: il provvedimento della Corte di Cassazione, emesso da sezione semplice, contrasta con precedente pronuncia a Sezioni Unite. Si dovrà valutare l’assestamento della scossa impressa dalla menzionata Sentenza su quelle che la seguiranno.
Molti diretti interessati si interrogano se il mutato orientamento possa esser fatto valere anche per i procedimenti precedenti al “lancio della bomba“.
Al riguardo, vediamo cosa prevede la legge.
L’art. 9 della L. 898/1970 (disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), stabilisce che “Qualora sopravvengono giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6.”
Si noti bene: giustificati motivi – sopravvenuti.
Per poter chiedere la revisione è necessario che sia intervenuto un qualcosa che non sussisteva al momento della determinazione delle condizioni divorzili.
E’ “giustificato motivo”, per esempio, la perdita della capacità lavorativa dell’ex coniuge tenuto al versamento.
Lo è, ancora, l’aumento considerevole del reddito del medesimo.
Potrebbe esserlo, ma non sempre, una nuova paternità/maternità da relazioni successive.
Non è pacifico che lo sia, non ho trovato precedenti in tal punto, un nuovo orientamento giurisprudenziale che disciplini in maniera differente gli ambiti che ci interessano in questa sede.
In particolare: potrebbero essere causa di revisione le sopravvenute acquisite disponibilità economiche del coniuge, già titolare di assegno divorzile, che gli consentano, ora, e a differenza di quanto in precedenza, un sostentamento autosufficiente.
Più controverso, da valutare, se la semplice pronuncia della Cassazione costituisca, di per se’. giustificato e sopravvenuto motivo per riconsiderare le medesime condizioni preesistenti a tale pronuncia ed immutate rispetto a quelle già alla base del provvedimento di divorzio.
Avremo risposta, stiamone certi, dall’autentico stillicidio di pronunce che seguiranno il lancio della”madre di tutte le bombe

 

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assegno divorzile

Assegno divorzile: la Cassazione svolta

Assegno divorzile: la sentenza della Cassazione

Ne parlano tutti, parliamone anche noi.

Ha avuto vasta eco nei giornali e quotidiani di questi giorni la pronuncia della corte di Cassazione che ha mutato il proprio orientamento in punto di assegno divorzile.
La “rivoluzione” ha riguardato il “se” ed il “quanto” tale emolumento sia dovuto.
L’inquadramento precedente imponeva al Tribunale di valutare, al momento del divorzio, se il coniuge economicamente più debole godesse di “mezzi adeguati” o potesse  comunque procurarseli, imponendo, in difetto di ciò, un contributo economico in suo favore a carico dell’ex.

assegno divorzile
Cassazione, cambio di rotta per l’assegno divorzile: dal tenore di vita goduto durante il matrimonio…

Parametro di riferimento utilizzato per determinare la ricorrenza dei presupposti per l’assegno ed il relativo ammontare, risiedeva nel “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio“.
Il coniuge a cui corrispondere la contribuzione, in buona sostanza, poteva essere economicamente autosufficiente, avere un lavoro, una casa, un patrimonio: ciò che contava era un confronto tra il prima ed il dopo divorzio. Se il suo stile di vita post scioglimento del matrimonio sarebbe risultato deteriore rispetto a quello mantenuto durante la vita coniugale, avrebbe avuto diritto ad un supporto, di carattere assistenziale, da parte dell’ex (purchè ovviamente costui ne avesse avuto la possibilità economica).
La valutazione del recente intervento giurisprudenziale è questa. Con il divorzio il matrimonio si scioglie. Due persone, prima coniugi, tornano ad essere single e tali devono essere considerate.
E’ errato, pertanto, prendere come riferimento il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, allorquando, per l’appunto il matrimonio non c’è più. Non si possono prendere in considerazioni presupposti che riguardano situazioni diverse.
Non solo. Deve essere valorizzato il principio dell’autoresponsabilità delle persone. Come si è liberi di effettuare le proprie scelte con le nozze (mi sposo o no? chi sposo? con che regime patrimoniale? figli? etc), assumendosi le relative conseguenze, così si deve essere quando si pone fine al matrimonio, facendosi carico di tutto ciò che deriverà da questa scelta.

assegno divorzile autosufficienza
..al principio dell’autosufficienza economica.

E’ stato, pertanto, ritenuto che il parametro da prendere a riferimento per concedere o meno l’assegno divorzile fosse l’autosufficienza economica del coniuge richiedente l’assegno.
Riprendendo un principio vigente in ambito del mantenimento dei figli, che impone tale onere in capo ai genitori fino a quando i discendenti siano, per l’appunto, divenuti economicamente autosufficiente, così i giudici ermellini hanno ritenuto sussistere il diritto alla contribuzione in favore del coniuge che da solo non potrebbe andare avanti e che non sarebbe  in grado, per questioni di età, salute o altro di potersi mantenere.
L’assegno, in tali casi, sarà dovuto nei limiti del necessario per campare e non, come era in precedenza, per poter vivere in maniera simile a prima del divorzio.
Il matrimonio, pertanto, non dovrà essere considerato più un’ “assicurazione sulla vita” che garantisce ad un coniuge di poter godere, alle spalle dell’altro, di un “reddito” costante, vita natural durante, ma un percorso, con le sue regole, cessato il quale si recupera la propria identità personale singola e responsabilizzata.
Le considerazioni, sul punto, sono state numerose e di vario tenore.
A sommesso parere di chi scrive, è impossibile cancellare, con un colpo di spugna, un percorso come quello matrimoniale e procedere, in seguito, come nulla fosse stato.
C’è di mezzo una vita coniugale, più o meno lunga, nel corso della quale moglie e marito hanno condiviso eventi, preso decisioni, cresciuto figli, fatto sacrifici assieme.
Tutto in virtù di un unico progetto  (“i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare” art 147 cc)  ed osservando un preciso obbligo di legge (“collaborazione nell’interesse della famiglia”, art 143 cc).
Non solo.
All’esito del percorso matrimoniale, uno dei coniugi potrebbe godere di una situazione economica significativamente migliore dell’altro – vuoi per l’entità dei beni patrimoniali personali acquisiti durante il matrimonio, vuoi per un lavoro più remunerativo – tralasciando la circostanza che l’ex partner è stato partecipe di molte scelte fatte in quegli ambiti, vivendole di prima persona, e talvolta consentendo al consorte di poter coltivare la propria realizzazione personale, provvedendo ad un maggior apporto in ambito casalingo o seguendo di più i figli. Qualcuno lo doveva pur fare e quel qualcuno è giusto che non se ne vada con le ossa rotte, restando a mani vuote per il suo sacrificio, all’esito del matrimonio, .
Si plaude, pertanto, all’intento della Cassazione di valorizzare la responsabilità degli ex coniugi, criticandosi, dall’altro lato, il poco attento approccio volto a elidere gli ineliminabili effetti di ultra-attività del matrimonio.
La sentenza: Cass. Civ. 11504/2017

 

 

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assegno divorzile

Assegnazione casa in caso di separazione

Assegnazione casa in caso di separazione, cosa succede?

assegnazione casa in caso di separazione
Assegnazione casa in caso di separazione. A chi va la casa?

Quando mamma e papà litigano i figli sono i più colpiti dalla crisi coniugale.
E’ un dato di fatto sul quale è inutile soffermarsi.
Conscio di tale certezza, il legislatore ha inteso disciplinare una serie di norme che tutelino i diritti e gli interessi dei figli minori anche nel caso di assegnazione della casa in caso di separazione.
Vi è il potere del giudice di assegnare la casa coniugale ad un consorte rispetto all’altro, anche se non sia proprietario dell’abitazione: ciò tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.
Questi ultimi, infatti, che già assistono al logorarsi della vita familiare pregressa, è bene non perdano le certezze acquisite sul loro habitat, sui loro costumi, sugli amici, i vicini, la scuola del quartiere, la parrocchia, il campetto.
Ecco, allora, che tale sostrato potrà essere preservato, garantendo al genitore, a cui i minori saranno affidati o presso cui prevalentemente saranno collocati, di poter vivere con i figli nell’abitazione familiare.

Ci si è chiesti quanto a lungo tale tutela potesse essere accordata: o meglio, se dovesse perdurare a fronte di determinati vicende che, frequentemente, potevano verificarsi nel proseguo degli eventi.
Il codice, espressamente, prevede alcuni limiti:

il caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
In tali circostanze, il diritto al godimento della casa familiare “viene meno”.

Si è inteso riequilibrare il diritto del proprietario dell’immobile ad averne la disponibilità in ipotesi nelle quali poteva sembrare stridente che l’ex coniuge lo detenesse.

Una recente pronuncia del Tribunale di Palermo ha, tuttavia, messo i puntini sulle “i” circa l’interpretazione di tale normativa, che già aveva sollevato perplessità negli operatori del diritto.

La precisazione, sostanzialmente, è questa: il verificarsi delle circostanze sopra indicate – ad esempassegnazione casaio, nel caso di specie, l’instaurarsi di una coabitazione more uxorio tra coniuge assegnatario della casa familiare ed un terzo – può far venir meno il diritto al godimento, purchè tale evenienza non si riverberi sul preminente interesse della prole.
Non è stato, infatti, considerato congruo che i figli debbano essere pregiudicati da vicissitudini che incidono esclusivamente la sfera personale dei genitori.

Se il legislatore ha voluto espressamente preservare il loro interesse a permanere nell’ambiente in cui sono cresciuti, non si rinviene per quale motivo tale necessità debba perdere tutela in relazione ad ambiti – vedi l’instaurarsi di una relazione more uxorio – che non li riguardano.
Evidenzia, infatti, la pronuncia del giudice siciliano “A tal proposito è appena il caso di osservare che l’instaurazione di un rapporto more uxorio da parte del coniuge affidatario dei figli minorenni potrebbe non giustificare la revoca dell’assegnazione della casa familiare, trattandosi di una circostanza ininfluente sull’interesse della prole (cfr., sul punto, il chiaro tessuto motivazionale ordito da Cass. Civ., 16 aprile 2008, n. 9995) e ciò in quanto, come opportunamente messo in luce anche dal formante dottrinale, l’interesse tutelato dalle norme che disciplinano l’assegnazione della casa coniugale si rifrange nell’esclusiva esigenza di assicurare al figlio, nel tumulto ingenerato dalla disgregazione del nucleo familiare, la conservazione del proprio habitat domestico.”

Stiamo a vedere se la pronuncia, apparentemente isolata, troverà in seguito consolidamento.
Il provvedimento: Trib. Palermo Sez. I Ordinanza, 29/12/2016

 

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Assegnazione casa in caso di separazione

Casa in comodato: separazione tra coniugi

Casa in comodato: se il suocero presta la casa al figlio che si sposa, cosa succede se questi si separa?

casa in comodato
Casa in comodato d’uso..se io ti presto la casa poi me la ridai?

l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne…
La profezia è sempre valida ma, con i tempi che corrono, i “due” dove trovano i soldi per andare a vivere insieme da qualche parte?
Una soluzione frequentemente utilizzata nel nostro paese è quella di farsi prestare la casa dai genitori, quindi farsi dare la casa in comodato: l’abitazione ereditata, la seconda casa acquistata per passarci le vacanze, quella nuova che sostituirà la precedente.
Per i figli questo è altro.
Certo.
Fin che la barca va, lasciala andare…
Ma se in futuro il rapporto degli sposini dovesse naufragare?
La casa verrà restituita al legittimo proprietario, verrebbe da dire.
E’ così, ma non sempre.
Se non ci sono figli, nulla quaestio. Nessun problema.
In presenza di figli minorenni o non autosufficienti, le cose cambiano.
Eccome.
E’ noto che il Giudice, nel preminente interesse della prole, possa assegnare la casa familiare ad uno dei coniugi.
Ebbene, tale provvedimento può riguardare non solo l’immobile di esclusiva proprietà del genitore non affidatario, ma anche quello che appartiene ad un terzo: ai nonni per esempio.
Il problema è ora di verificare se questi ultimi possano rivendicare la titolarità della casa in comodato (insomma prestata), facendosela riconsegnare all’esito della separazione, o se debbano prendere atto dell’intervenuto provvedimento del Tribunale.

Le ipotesi, al riguardo, sono due.casa in comodato d'uso

  1. Se il contratto della casa in comodato aveva un termine di durata ben preciso, benissimo. Nessun problema. I proprietari avranno l’immobile alla scadenza concordata.
  2. Se non fosse stato fissato un esplicito termine, allora le cose si complicano.

Bisognerà verificare se il contratto era stato stipulato proprio per far fronte alle necessità abitative della (nuova) famiglia. In questo caso tale accordo avrà durata corrispondente allo scopo per il quale era stato pattuito: giusta la previsione di cui all’art. 1809 cc, secondo cui  “il comodatario è tenuto a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto“.
In buona sostanza, le esigenze abitative della famiglia potranno permanere fino a quando i figli non saranno cresciuti e divenuti autosufficienti.
E’ lunga.

Da ultimo, come ha avuto modo di sottolineare una recente pronuncia di Cassazione, se non ci fosse prova che il comodato sia stato pattuito per tale specifica e duratura esigenza, in assenza di termine, il proprietario potrà reclamare il proprio bene “ad nutum” a semplice richiesta, come stabilito dall’art. 1810 cc. ” Se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede“.

La sentenza : Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-02-2016, n. 2506

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Casa in comodato: separazione tra coniugi

Bene personale in comunione dei beni

Bene personale in comunione dei beni: ovvero ho comprato la casa prima di essere sposato.

Bene personale in comunione dei beni
Si pronto ciao…volevo sapere: che differenza c’è tra comunione e separazione dei beni?

Ogni avvocato, nel corso della propria vita professionale, riceve una telefonatina, una sera, il giorno prima del matrimonio di un amico, nel corso della quale il nubendo, tra il sognante per le emozioni che di lì a poco lo sovrasteranno e il trafelato per i pensieri della nuova vita che lo attende, chiederà “ma…visto che siamo al telefono e tu (coincidenza!!!) sei un avvocato….che differenza c’è tra comunione e separazione dei beni?”.
Bella domanda. Così? Al telefono?
Siediti che te lo spiego“.
Si partirà dal 1975, anno in cui la comunione dei beni è divenuta la regola tra coniugi, in mancanza di altre e diverse indicazioni.
Si passerà per una descrizione sommaria –  al telefono (!) – dell’art. 177 cc: beni che costituiscono “oggetto della comunione”, e via dicendo.
Tempo dieci secondi dalla descrizione del tutto generale sopra indicata, che subito un’altra domanda, più pressante, soffocata, cercherà una (rassicurante) risposta: ma la casa che ho comprato prima del matrimonio, mica diventerà anche di mia moglie, dopo le nozze?”
No, sta’ sicuro.
L’art. 179 cc descrive compiutamente i beni che rimangono “personali”: tra di essi vi è quanto di cui il coniuge era proprietario prima delle nozze.
Qualche secondo ancora di silenzio…
E se lo rivendessi? Perderei tutto?”.
Ecco qua. Siamo arrivati.
L’oggetto dell’odierna discussione.

La legge al riguardo stabilisce: “sono beni personali” non oggetto di comunione “i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali o col loro scambio, purchè ciò sia espressamente dichiarato all’atto d’acquisto“. Se si trattasse di una casa, oltre a quanto sopra, sarebbe necessario che all’atto di acquisto del nuovo immobile, ove verrà dichiarato che tale bene sarà escluso dalla comunione, dovrà partecipare anche l’altro coniuge.

Fatta la legge, trovato l’inganno.

comunione dei beni3
Bene personale in comunione dei beni: ovvero ho comprato la casa prima di essere sposato è anche di mia moglie?

Nel corso degli anni si è potuto verificare che troppi trasferimenti immobiliari sono avvenuti alla presenza, più o meno silenziosa, del coniuge non intestatario, il quale, per opportunità, timore, ignoranza, attestava circostanze non sempre corrispondenti al vero.

Busillis: se la moglie, mettiamo caso fosse lei, attestasse, in sede di rogito, che la casa che il marito si accinge ad acquistare sia comprata con i soldini derivati dalla vendita della precedente abitazione, che già apparteneva al coniuge, ma ciò non fosse vero, la moglie…ha perso ogni diritto sulla nuova casa?
La giurisprudenza dice di no.

Il motivo: la dichiarazione effettuata in sede di acquisto del nuovo bene non ha valore abdicativo per l’altro coniuge, non può consistere in una rinuncia, da parte sua, di quanto gli spetterebbe altrimenti: per operare in tale direzione sarebbe necessario addirittura un cambio di regime patrimoniale tra coniugi; dalla comunione alla separazione dei beni, o ad una comunione convenzionale.
La dichiarazione ha, bensì, valore ricognitivo; vale ad appurare una circostanza, un fatto, ossia l’acquisto con il prezzo derivante dal trasferimento di un bene personale dell’altro consorte.
Una ricognizione che non ha valore assoluto, ma è suscettibile di prova contraria.

Ecco, allora, la posizione della giurisprudenza in merito: “In tema di regime patrimoniale dei coniugi, nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179, comma 2 c.c., si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione, tassativamente indicate dall’art. 179, comma 1, lett. c), d) ed f), c.c., con la conseguenza che l’eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi“.

Nella speranza di esser stato sufficientemente chiaro ed esauriente, ed a disposizione per ogni ritenuto chiarimento, ti auguro, o amico, buone nozze e giorni felici.

La sentenza, (ex multis) Trib. Trento, 30/05/2016

 

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Bene personale in comunione dei beni

Prescrizione diritti coniuge

i diritti tra coniugi
Quando si arriva alla prescrizione dei diritti tra coniugi?

Prescrizione diritti coniuge. Durante il matrimonio decorre il tempo per la prescrizione di un diritto verso l’altro coniuge? Scoprilo con noi.

Panta rei. Tutto scorre.
Tutto passa. Anche i diritti.
O meglio, alcuni di essi.

Si parla di prescrizione: ogni diritto – tranne quelli indisponibili ed altri indicati dalla legge – si estingue quanto il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge.
La ragione è logica: la certezza nei rapporti giuridici. Se passa un tempo significativo senza che si eserciti una propria prerogativa, evidentemente di quel diritto non si ha più interesse e non si può rivendicarlo ulteriormente.
Ma quanto tempo di inerzia deve trascorrere per poter perdere un diritto?

La legge individua una prescrizione ordinaria di dieci anni: è la regola, fatta eccezione casi particolari, espressamente individuati.
Ad esempio, si prescrivono in minor tempo – 5 anni – il diritto ad ottenere il risarcimento del danno derivante da fatto illecito, le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, gli interessi, i canoni di locazione …
Addirittura sono previsti termini ancora minori in alcune fattispecie: due anni per il risarcimento del danno provocato dalla circolazione di veicoli,  in un anno si prescrive il diritto del mediatore al pagamento della provvigione, in tre anni si estingue il diritto del professionista per il compenso all’opera prestata etc…

Il termine di prescrizione decorre da quando il diritto può essere utilmente esercitato e fatto valere.

Bene, vi sono delle situazione nell’ambito delle quali rivendicare un diritto potrebbe essere arduo, o quanto meno sconveniente, vuoi per le condizioni in cui si trovi il titolare – ad esempio è minorenne, oppure in tempo di guerra – vuoi per il tipo di rapporto che intercorre tra titolare del diritto e chi gli effetti di quel diritto li deve rispettare.

Tra questi rapporti vi è quello coniugale.

La ratio è facilmente intuibile: se la moglie avanzasse dal marito una somma di denaro ed il proprio diritto di credito si prescrivesse in dieci anni, sarebbe addirittura controproducente che essa si attivasse con diffide, messe in mora o cause per non perdere il proprio diritto.
Il credito sarebbe fatto salvo, ma il rapporto matrimoniale?
Ecco che la legge saggiamente ha previsto la “sospensione” del termine di prescrizione durante il rapporto coniugale.
Tale sospensione è vigente anche durante la separazione: si ricorda, infatti, che la separazione non incide sul vincolo coniugale.

Una questione dibattuta sul punto è quella relativa alla vigenza della sospensione durante il periodo di separazione con riferimento ai crediti vantati da un coniuge rispetto all’altro a titolo alimentare o per il proprio mantenimento.
La giurisprudenza è davvero divisa.
Da un lato, la Cassazione ha ribadito, anche di recente, la posizione più intransigente: poichè la separazione non fa venir meno il rappoprescrizione diritti tra coniugirto coniugale ma ne attutisce solamente il vincolo, perdura durante essa la sospensione della prescrizione tra i consorti (Cass. civ. Sez. III Ordinanza, 01/04/2014, n. 7533).

Dall’altro lato, con una sentenza pressochè coeva a quella sopra indicata, la Suprema Corte ha abbracciato un diverso orientamento: nel regime di separazione non può ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata al timore di turbare l’armonia familiare, poiché è già subentrata una crisi conclamata e sono già state esperite le relative azioni giudiziarie, con la conseguente cessazione della convivenza. In tal caso ben potrà ritenersi che decorra il termine prescrizionale senza alcuna sospensione (Cass. civ. Sez. I, 20/08/2014, n. 18078)
Tutto scorre.
Probabilmente anche le decisioni giudiziali in merito si assesteranno su una posizione definitiva.

 

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Prescrizione diritti coniuge

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Gratuito patrocinio per separazione e divorzio: il protocollo di Vicenza

Gratuito patrocinio per separazione e divorzio: vediamo insieme quando è possibile.

Lo recita la nostra Costituzione: “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” (art. 24)
Tutti?

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Gratuito patrocinio per separazione e divorzio

Tutti, alti e bassi, poveri e ricchi, di qualsiasi ceto, religione o convincimento politico,  senza distinzione alcuna.
La difesa, infatti, “è diritto inviolabile in ogni fase e stato del procedimento“.
Se una persona non avesse i mezzi economici per far fronte alla tutela dei propri diritti, “sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione“.

L‘istituto che ci interessa è, appunto, il patrocinio a spese dello stato:

allorquando un soggetto si trovasse nella necessità di intraprendere – vuoi come attore, vuoi come convenuto – un procedimento giudiziario, civile, penale, amministrativo, e non avesse redditi sufficienti per farvi fronte, potrà chiedere, ed ottenere se ve ne siano i presupposti, che sia lo stato a pagare il compenso al suo avvocato.

Requisiti per il gratuito patrocinio:

  • avere un reddito annuo imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.528,41. Attenzione: nel calcolo vanno fatti rientrare tutti i redditi degli appartenenti al nucleo familiare.
    Se, pertanto, l’interessato convivesse con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante.
  • Nel reddito vanno fatti rientrare anche compendi – es indennità  ed  assegni erogati agli invalidi civili, l’assegno sociale – che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, (ad es. gli interessi sui conti correnti bancari o postali) ovvero ad imposta sostitutiva (ad es. interessi sui BOT o su altri titoli del debito pubblico).

Laddove ci fossero dette condizioni, si potrà presentare la relativa istanza presso il competente Ordine degli Avvocati, corredandola con idonea documentazione, eventualmente indicando da quale  avvocato, tra quelli iscritti nell’apposito elenco, si desideri essere assistiti.

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Gratuito patrocinio per separazione e divorzio: il protocollo di Vicenza

E nel caso di separazioni o divorzi? Quando è possibile avere il gratuito patrocinio per separazione e divorzio?

Vale anche in questo caso la possibilità di avvalersi dell’istituto in esame.
Il Tribunale di Vicenza, con un recente protocollo, ha dato la linea di indirizzo su alcuni punti controversi in proposito.
Se la separazione è giudiziale, nessuna questione. Ciascuno dei coniugi potrà chiedere il gratuito patrocinio per la separazione, allorquando rientrasse nei limiti di reddito sopra indicati.
Ben potrebbe essere dato che uno dei consorti possa accedere al beneficio, mentre l’altro, sforando il tetto massimo, dovesse pagare di tasca propria il difensore.

In caso di separazione consensuale, andrà operato un distinguo.
Nel caso in cui la coppia di coniugi intendesse avvalersi del medesimo difensore, per la concessione del beneficio non dovrà in alcun modo essere superato il limite di reddito sopra indicato, attualmente pari ad € 11.528,41, risultante dal cumulo dei redditi di entrambi i coniugi.
Se i consorti, per ragioni di opportunità, intendessero farsi assistere da avvocati diversi, ognuno il proprio, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati valuterà “caso per caso se ammettere al beneficio, tenuto conto dei redditi dei coniugi e del conflitto esistente sulle condizioni di separazione“. In questo caso, “i difensori dovranno documentare l’opera svolta per addivenire all’accordo di separazione“.
Se i coniugi fossero già separati ed intendessero procedere al divorzio, è naturale che, non essendo più conviventi, non opererà il cumulo dei redditi.

L’avvocato Andrea Berto unitamente al fratello Paolo Giovanni Berto si occupa di separazione e divorzi a Vicenza e fuori sede ed è iscritto all’elenco degli avvocati con il patrocinio a spese dello stato, riportato al seguente  link:

Il protocollo del Tribunale di Vicenza sul patrocinio a spese dello stato

La modulistica per chiedere il patrocinio a spese dello Stato-

 

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