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Assegno di mantenimento del coniuge: nulla è dovuto se il matrimonio è durato un soffio.

Presupposto essenziale per poter ottenere un assegno di mantenimento è l’instaurarsi della comunione materiale e spirituale tra i coniugi.

Green card: matrimonio di convenienza.
Era il titolo di un film del 1990 che narrava la storia di una coppia in cui lui, cittadino francese sposava un’americana per poter ottenere la green card ed avviarsi al lavoro negli Stati uniti e lei convolava a nozze per poter ottenere in  affitto un alloggio, assegnabile solo a coppie sposate.

C’è da chiedersi: nel caso in cui la coppia di sposi, poco dopo le nozze, si fosse separata, sarebbe spettato un assegno di mantenimento al coniuge economicamente più debole.

La risposta è no, e non è parere del sottoscritto ma parola dei giudici della Corte di Cassazione, che con una pronuncia di pochi giorni fa, hanno statuito su un identico caso: un alto ufficiale statunitense convola con una cittadina italiana per beneficiare di gratifiche economiche conseguenti al matrimonio.
Alla moglie non va peggio, perchè il marito le riconosce vari assegni post datati per l’importo di 110 mila dollari.
Dopo appena 28 giorni di matrimonio, la richiesta di separazione da parte della signora, che richiede una pronuncia di addebito in capo al marito e la corresponsione di un assegno di mantenimento come coniuge economicamente debole.
La Corte Suprema ha negato tali istanze.

separazione addebito vicenza (1)
No affectio coniugalis? No money

Non si è instaurata una comunione materiale o spirituale tra i coniugi : questo il succo della pronuncia degli ermellini.
Senza tale comunione non derivano – tra i nubendi –  gli obblighi che nascono col matrimonio, tra i quali, segnatamente, quello di assistenza materiale – per cui non andrà riconosciuto il mantenimento -e neppure gli altri obblighi di fedeltà, coabitazione, collaborazione e assistenza morale, la cui violazione legittimerebbe la pronuncia di addebito.
La Cassazione ha riscontrato esclusivamente la realizzazione di accordi economici tra le parti senza che vi sia stata alcuna condivisione di vita e instaurazione di un vero rapporto affettivo qualificabile come affectio coniugalis.

Possiamo davvero dire che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

La pronuncia : Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., (ud. 10-10-2017) 10-01-2018, n. 402

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Mantenimento dei figli: le linee guida del Consiglio Nazionale Forense

Mantenimento dei figli: la chiarezza preventiva è la chiave di volta per dirimere eventuali contrasti.

Ne abbiamo parlato più volte. La problematica è diffusa e costituisce lo scoglio sul quale più spesso si infrangono le speranze dei coniugi ed ex coniugi di aver trovato un po’ di serenità dopo le tempeste della separazione o del divorzio.

Cosa comprende l’assegno di mantenimento che il genitore non collocatario deve corrispondere all’altro, che sia stato designato come soggetto presso il quale i figli debbano risiedere prevalentemente?

Se si potesse prevedere tutti gli oneri inclusi e quelli esclusi, qualcosa senz’altro rimarrebbe fuori.

Sulla scia dell’esempio tenuto dalla Corte d’appello di Milano, che recentemente ha delineato delle linee guida che possano essere di sussidio e prassi per i procedimenti in materia familiare, il Consiglio Nazionale Forense ha emanato, di rimbalzo, le proprie “linee guida per la regolamentazione delle modalità di mantenimento dei figli nelle cause di diritto familiare”.

Tre consigli

L’apporto è preceduto da tre consigli, di ordine pratico ma di estremo buon senso.

1. l’invito alle parti ed ai rispettivi difensori di ” riservare ampia trattazione, all’interno degli eventuali accordi di separazione e/o divorzio, alla disciplina delle spese straordinarie, con precisa e puntuale elencazione delle spese che esulano dalla contribuzione ordinaria al mantenimento della prole”.

2. Nella predetta esposizione indicare quali erano le “eventuali spese correnti della famiglia coesa”.

3. porre bene attenzione al concetto di spese straordinarie, che sono quelle “imprevedibili nell’ “an” e non determinabili nel “quantum” perchè afferiscono ad esigenze episodiche o saltuarie” o comunque “non rientranti nelle normali consuetudini di vita dei figli”.

Distinzioni

Effettuate queste premesse, il CNF parte dalla distinzione tra spese ordinarie e straordinarie e, relativamente a quest’ultime, quelle per le quali è richiesto il “preventivo consenso” oppure quelle sempre rimborsabili.

Alle parti sarà rimesso il compito di individuarle e distinguerle.

In caso di mancata espressa pattuizione e/o accordo tra le parti sul punto, la qualificazione delle spese in “ordinarie e straordinarie” potrà essere effettuata tenendo conto delle seguenti indicazioni.

– Per quanto riguarda le spese comprese nell’assegno di mantenimento, esse attengono a quelle ordinarie, abituali, quotidiane e ricorrenti dei figli: vitto, abbigliamento, alloggio e relative utenze, spese per tasse scolastiche (escluse quelle universitarie) e materiale scolastico di cancelleria (non i libri), mensa, medicinali da banco, spese di trasporto urbano.

linee guida mantenimento dei figli
L’invito del CNF è a prevedere compiutamente quali siano le spese straordinarie in ambito di accordo divorzile o nella separazione.

Sono inclusi alcuni compendi di spesa molte volte non considerati in punto di mantenimento: la ricarica del cellulare, l’approvvigionamento di carburante per eventuali mezzi motorizzati in dote ai figli, le rette per rientri anticipati o posticipati a scuola (purchè si tratti in questo caso di “spese sostenibili”) e tutte le attività ricreative abituali (cinema, feste, pizzate). Da ultimo saranno comprese nell’assegno le spese per la cura di eventuali animali domestici dei figli (purchè appartenessero loro prima della separazione o divorzio).

– Le spese straordinarie, come detto, si distingueranno in quelle obbligatorie per le quali non è richiesta la previa concertazione e saranno sempre ripetibili, pro quota, dal genitore che le avrà sostenute.

Tra di esse si comprendono le spese per i libri scolastici, le spese sanitarie urgenti, l’acquisto di farmaci non da banco, debitamente prescritte, interventi chirurgici non differibili, sia presso strutture sanitarie pubbliche che private, spese  mediche specialistiche (oculistiche, ortodontiche…), spese di bollo e assicurazione per eventuali mezzi di trasporto (acquistati col benestare di entrambi i genitori).

Tutte le menzionate spese saranno rimborsabili, ovviamente, previa debita documentazione.

Le spese straordinarie da concordare

– Da ultimo, alcune spese straordinarie potranno essere rimborsate soltanto se concordate da entrambi i genitori.

Tra di esse quelle:

1. Scolastiche: per l’iscrizione a scuole private, per alloggi universitari fuori sede, ripetizioni, frequenza del conservatorio, baby sitting assunte per coprire l’orario del lavoro del genitore che le utilizzi per un’esigenza emersa in virtù ed a seguito della separazione.

2. Spese di natura ludica o parascolastica: attività artistiche, informatica, centri estivi, viaggi di sitruzione, vacanze autonome senza i genitori.

3. Spese sportive, comprensive della relativa attrezzatura.

4. Spese mediche e trattamenti non coperti o non effettuati dal SSN.

5. Organizzazione di ricevimenti e feste dedicate ai figli.

Tali spese dovranno essere concordate. Il genitore che intenda proporle dovrà presentare una richiesta scritta all’altro, che dovrà esprimersi ed eventualmente manifestare il proprio motivato dissenso. In difetto di risposta entro 20 giorni, il silenzio sarà inteso come consenso alla spesa.

Un’ultima utile proposta è l’attribuzione concordata degli assegni familiari al genitore collocatario in via prevalente dei figli, anche se materialmente erogato dal datore di lavoro dell’altro genitore.

Le linee guida complete proposte dal Consiglio Nazionale Forense sono reperibili al seguente link.

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Affidamento condiviso: una sentenza contestata sui poteri decisionali di maggiore interesse

Una recente Sentenza della Cassazione pare ridisegnare la portata normativa dell’affidamento condiviso in materia delle scelte di maggiore interesse per i figli minori.

Revirement?

No. Non tanto.

I precedenti provvedimenti degli ermellini – abbastanza recenti, essendo la norma sull’affidamento condiviso risalente solo al 2006 – non hanno mai segnalato deviazioni significative.

Piuttosto, si potrà parlare di interpretazione estensiva del potere decisionale attribuito al singolo genitore, da farsi valere in via “temporanea ed urgente,nei casi in cui si verifichi uno stallo risolutivo in ordine a questioni di primaria importanza per i figli.

Facciamo il punto della situazione.

Affidamento condiviso: ossia il potere, conferito ad entrambi i genitori, di poter assumere e partecipare alle scelte che riguardino la prole. In virtù di un intento rafforzativo della bigenitorialità, l’istituto vuole conferire tanto al padre, quanto alla madre medesima dignità di ruolo.

In questo senso, ad entrambi i genitori è conferita la possibilità di intraprendere, autonomamente, senza ottenere il previo consenso dell’altro, le scelte “di ordinaria amministrazione” per i figli.

Per quanto riguarda le scelte di maggiore interesse – leggiamo testualmente l’art. 337 ter cc. – “relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice“.

Accordo preventivo o niente: pareva di intendersi.

Ed invece no

.La sentenza della Cassazione in esame, (n. 4060/2017) relativa alla scelta effettuata unilateralmente dalla madre in ordine al tipo di scuola (pubblica o privata) da far frequentare alla figlia, ha stabilito che “quando il rapporto tra i genitori non consente il raggiungimento di un’intesa, occorre assicurare ancora la tutela del migliore interesse del minore e l’opposizione di un genitore non può paralizzare l’adozione di ogni iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se di rilevante interesse, e neppure è necessario ritrovare l’intesa prima che l’iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete al giudice, ove ne sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all’interesse del minore“.

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Compatibile l’affidamento condiviso con la decisione unilaterale, seppur provvisoria, di un solo genitore?

Nessuna intesa preventiva, ma una scelta unilaterale oggetto di eventuale e postuma decisione del giudice.

Il provvedimento – apparentemente di buon senso, in quanto volto ad eliminare frequenti impasse, causate più da attriti tra coniugi, o ex coniugi, piuttosto che da significative divergenze genitoriali – pare disattendere da un lato la parola della legge, dall’altro la ratio dell’istituto dell’affidamento condiviso.

Se, infatti, il testo dell’art. 337 ter cc lascia pochi dubbi circa la consensualità che deve presidiare le decisioni gravate da maggior incidenza e significato per la vita della prole nonchè il momento in cui deve intervenire l’eventuale pronuncia del Tribunale a dirimere il contrasto, a monte e non ex post, dall’altro è bene evidenziare come la ragione di tale previsione normativa fosse nell’attenta e precisa valorizzazione della pari dignità genitoriale alla base della gestione delle vicende relative ai figli.

Se, accanto alla spesso inevitabile collocazione prevalente dei figli presso un genitore – vigente l’affidamento condiviso – fosse consentito anche che un ascendente possa anche assumere unilateralmente le scelte più importanti, da sottoporre al vaglio successivo e solo eventuale del giudice, si svuoterebbe di significato e di rilevanza il ruolo dell’altro genitore, con buona pace del preciso intento parificatorio dell’intervento legislativo citato.

C’è da lavorare.

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Comunione dei beni e usucapione

Un’analisi sul rapporto intercorrente tra comunione dei beni e usucapione.

Un’unica carne, un unico patrimonio.

Compendiamo in due parole la ratio dell’istituito della comunione dei beni.

Con tale scelta moglie e marito optano per far rientrare nell’orbita comune di entrambi beni che altrimenti apparterrebbero alla titolarità dell’uno e dell’altro.

Già ci siamo soffermati più volte ad esaminare tale regime patrimoniale.

Per agevolare la lettura, ricordiamo che nella comunione – tra gli altri – rientrano gli acquisti effettuati insieme o separatamente dai coniugi durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali.

Proprio da tale inciso prenderemo le mosse per affrontare la questione che ci occupa quest’oggi: se beni che diventassero di proprietà dell’uno o dell’altro consorte per usucapione ricadano nell’ambito della comunione.

Altro passo indietro: per usucapione si intende l’acquisto della titolarità di un diritto su un bene in forza del possesso continuato, pubblico, pacifico ed ininterrotto per un determinato periodo di tempo che, per quanto attiene i beni immobili, è normalmente 20 anni.

Ebbene, a meno che il possesso non fosse avvenuto ad opera di entrambi i coniugi per un range temporale così vasto, l’esercizio personale di una tale attività/potestà sembrerebbe – a prima vista – rientrare nel novero delle questioni strettamente personali del coniuge che ne abbia dato luogo, così da considerare il conseguente acquisto per usucapione come appartenente a colui, e solo ad esso, che abbia posseduto il bene.

Non è così.

Secondo quanto sostenuto, a più riprese, dalla Corte di Cassazione (da ultimo con Sentenza 17033 del 11-08-2016)  gli acquisti di beni immobili per usucapione effettuati da uno solo due coniugi, durante il matrimonio, in vigenza del regime patrimoniale della comunione legale, entrano a far parte della comunione stessa, non dovendo distinguersi tra acquisti a titolo originario e a titolo derivativo.

Comunione dei beni e usucapione vicenza
il perfezionarsi dell’usucapione durante il periodo di comunione dei beni comporterà la titolarità dell’acquisto in capo ad entrambi i coniugi.

Con qualche distinzione.

I giudici supremi avvertono che occorra concentrare l’attenzione sul momento in cui si perfeziona l’acquisto per usucapione. In buona sostanza, la titolarità deve essere conseguita vigente il regime di comunione per essere ascritta ad entrambi i coniugi, anche se il possesso fosse stato esercitato per buona parte prima del matrimonio.

Al momento del perfezionamento dell’acquisto e non all’attività prodromica e precedente occorre far riferimento.

Se l’usucapione si maturasse dopo la fine del matrimonio e comunque quando non era più perdurante il regime patrimoniale della comunione, l’acquisto sarà ascrivibile al coniuge che abbia dato luogo al possesso nei termini richiesti dalla legge, anche se il possesso fosse stato esercitato per buona parte durante il matrimonio.

Un’altra precisazione.

Posto che la titolarità del diritto in virtù del possesso ad usucapionem si acquista in forza del possesso stesso, per cui un’eventuale pronuncia a cui sarà invocato l’intervento di un giudice non costituirà il diritto, ma – tutt’al più – lo accerterà come già esistente, ai fini della determinazione del perfezionamento dell’acquisto e della valutazione se sia avvenuto vigente la comunione oppure no, occorrerà riferirsi unicamente alla data di maturazione dell’usucapione e non alla eventuale relativa sentenza dichiarativa.

 

 

 

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Pignoramento della casa coniugale dopo la separazione

Pignoramento della casa coniugale dopo la separazione: tra coniuge e creditore prevale chi ha trascritto per primo.

Sero venientibus ossa.

A chi arriva tardi spetteranno solo le ossa della pietanza imbandita.

E’ un principio che vale praticamente in ogni ambito di vita: chi prima arriva, meglio alloggia.

Oggi appuriamo tale verità anche nell’analisi di un conflitto: quello tra coniuge assegnatario dell’immobile adibito ad abitazione familiare e creditore che voglia soddisfarsi proprio su tale bene. Facciamo un passo indietro.

In sede di separazione, il Giudice può assegnare la casa coniugale, a prescindere da chi sia titolare della proprietà della stessa, ad uno dei due genitori, “tenendo conto dell’interesse dei figli“.

Tale provvedimento è trascrivibile ed opponibile ai terzi.

Ciò significa che anche i terzi / creditori dovranno rispettare tale pronuncia allorquando fossero intenzionati a promuovere un’esecuzione forzata sulla casa assegnata.

Questo per tutta la durata in cui sarà in vigore il provvedimento. I creditori, pertanto,  pur avendo un titolo precedente alla pronuncia di separazione, dovranno mettersi “in coda” ed attendere che i figli siano cresciuti ed indipendenti per poter rivendicare la non attualità dell’assegnazione e conseguentemente la pignorabilità del bene.

Meglio cercare altri beni su cui soddisfarsi nel frattempo, perchè “campa cavallo che l’erba cresce”.

Ipotesi differente è quella in cui i terzi creditori avessero iscritto ipoteca sull’immobile interessato.

Innanzitutto se l’ipoteca è successiva alla trascrizione del provvedimento di assegnazione, varrà quanto detto sopra circa la prevalenza di quest’ultima sulla prima.

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Il creditore che abbia iscritto ipoteca prima dell’assegnazione della casa familiare prevarrà su tale provvedimento anche nel caso in cui dovesse trascrivere il pignoramento successivamente


Se, invece, il titolo esecutivo si appoggiasse su un’ipoteca iscritta e trascritta in epoca precedente alla trascrizione dell’assegnazione varrà l’esatto contrario e ben potrà essere intrapreso procedimento esecutivo sul compendio assegnato.

Una recente pronuncia della Cassazione ha sottolineato come non si debba, in questo caso far riferimento al fatto che il pignoramento sia eseguito in epoca successiva alla trascrizione del provvedimento di assegnazione, in quanto ciò che è sufficiente per conseguire il diritto di precedenza delle ragioni creditorie è l’avvenuta trascrizione dell’ipoteca anteriormente a quella in cui è stato conferito il diritto di godimento in seno alla separazione.

Ciò in quanto la trascrizione dell’ipoteca comporterebbe una sorta di prenotazione, con effetti retroattivi, rispetto alle successive trascrizioni concorrenti.

L’immobile, così pignorato, potrà essere venduto come libero senza possibilità di ulteriore tutela delle ragioni del coniuge – e dei figli – assegnatario.

 

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Mantenimento dei figli maggiorenni: una volta venuto meno, l’obbligo non può ripristinarsi

Una volta acquisita l’autosufficienza economica, viene meno l’obbligo al mantenimento dei figli maggiorenni, anche nel caso in cui perdano il lavoro.

Sul mantenimento dei figli maggiorenni ci siamo ripetutamente soffermati – link 1 –  link 2 .

Un interessante provvedimento del Tribunale di Roma – decreto 21 luglio 2017 – ci spinge a soffermarci su un aspetto quanto mai attuale, in un’epoca segnata dalla crisi come quella attuale: se bisogna mantenere i figli fino a quando abbiano acquisito l’autosufficienza economica, nel caso in cui perdano il lavoro, risorgerà l’obbligo precedente a provvedervi oppure si dovranno arrangiare? La risposta è negativa.

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Una volta divenuti autosufficienti, i figli non potranno chiedere alcuna contribuzione, nemmeno in caso di perdita del lavoro

I genitori non saranno tenuti nuovamente a contribuire al mantenimento dei figli: questi ultimi, una volta affrancati, per mezzo di un lavoro che concretamente abbia dato loro autonomia, dovranno cavarsela con le proprie gambe e non saranno più legittimati a richiedere l’intervento degli ascendenti, nemmeno nel caso in cui si trovassero a fronteggiare una crisi lavorativa, financo la perdita dell’occupazione.

Tale determinazione è frutto di un equo contemperamento tra le esigenze dei figli – tutelati fino al momento in cui spiccano il volo – e dei genitori, che non dovranno essere obbligati a far fronte per sempre alle vicissitudini della prole, divenuta ormai grande abbastanza per cavarsela autonomamente.

Una precisazione è d’obbligo: nel caso in cui venisse meno l’autosufficienza economica, permarrà sempre e comunque il più contenuto diritto agli alimenti, nelle ipotesi in cui i figli si trovassero in stato di bisogno.

Tale diritto trova fonte nella previsione disciplinata dagli art. 433 e seguenti cc, che riconosce tale beneficio a chi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, in una misura proporzionale al bisogno di chi ne faccia domanda ed alle condizioni economiche di chi deve somministrare la contribuzione, ma contenuta a quanto sia strettamente necessario per la vita dell’alimentando, tenuto conto della sua posizione sociale.

La ratio è assicurare ad un soggetto divenuto bisognoso la minima tutela per far fronte alle elementari esigenze di vita, nell’ipotesi di incapacità consolidata a farvi fronte.

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Il diritto agli alimenti è quanto strettamente necessario per vivere e si riferisce ad uno stato di bisogno, legato all’incapacità di provvedere al proprio manentimento

Un diritto che, per inciso, può spettare ai figli nei confronti dei genitori, ma anche ai genitori verso i figli, nel caso in cui siano gli ascendenti i soggetti divenuti indigenti e necessitevoli di aiuto economico.

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Mantenimento dei figli maggiorenni: l’inerzia negli studi è “normale”

L’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni deve andare al passo con i tempi.

Così – in buona sostanza – una recentissima pronuncia della Corte d’Appello di Trieste, che ci aiuta a fare il punto della situazione.

Dell’obbligo al mantenimento dei figli maggiorenni ne avevamo parlato in questo link, per cui lo diamo per assodato.

Interessante, oggi, valutare come sia considerata l’inerzia dei figli nel ricercare un lavoro che dia loro la possibilità di emanciparsi e le sempre maggiori tempistiche nel terminare gli studi.

La Corte friulana era chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di un  padre benestante volta ad una riforma della pronuncia di primo grado che gli aveva imposto un cospicuo contributo al mantenimento della figlia ultra maggiorenne.
Tra le doglianze vi era il rilievo che il Tribunale avesse deliberato la statuizione senza verificare l’andamento degli studi della discendente: anni 26, settimo anno fuoricorso per una laurea triennale.

 

mantenimento figli maggiorenni
Mantenimento dei figli: l’inerzia negli studi è divenuta attualità

Se si fosse imposto al genitore di continuare negli esborsi, caratterizzati tra l’altro nel pagamento dell’affitto di un appartamentino nella città ove aveva sede l’università, egli sarebbe stato di fatto “espropriato” del proprio diritto di educare la figlia, di indirizzarla in un’ altra strada, di dissuaderla a continuare un percorso fallimentare, se non altro della possibilità di responsabilizzarla, mettendola di fronte alle conseguenze delle proprie scelte.
La figlia, pertanto, ben avrebbe potuto essere mantenuta tornando a casa, dove aveva la propria cameretta per vivere e dove non le sarebbe mancato un piatto a pranzo e a cena.
La Corte Triestina ha statuito con una pronuncia che – come si è detto in apertura – tiene conto dell’andamento dei tempi odierni.
Nel sottolineare come i criteri da tenere in considerazione per imporre il mantenimento dei figli maggiorenni si siano via via “elasticizzati nell’indicazione del limite di età adottato“, fino alle recenti pronunce del Tribunale di Milano che ha rinvenuto nei 34 anni il limite “tollerabile”, i giudici friulani hanno riconosciuto che “nell’attuale momento economico ed alla stregua dell’ “id quod plerumque accidit” si deve riconoscere una certa inerzia nella maturazione che porta all’indipendenza dei giovani ragazzi“.
In buona sostanza, facciamocene una ragione: i tempi sono cambiati, i figli sono sempre più degni della qualifica di “bamboccioni” affibiatagli, anni or sono, dall’allora ministro dell’Economia.
Se l’attuale evoluzione delle cose ha comportato una maggiore rilassatezza nel coronare gli studi ed uscire dal nucleo familiare, di questo se ne debbono fare carico i genitori.

La pronuncia: Corte di Appello Trieste, decreto 3 maggio 2017

 

 

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Modifica delle condizioni di separazione

Modifica delle condizioni di separazione:  il venir meno dell’obbligo di mantenimento dei figli non giustifica – di per sè – l’incremento dell’assegno al coniuge

Ne avevamo parlato in passato – link i provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione possono essere modificati, allorquando qualora sopravvengano “giustificati motivi“.
Motivi sopravvenuti, che non sussistevano al momento della separazione e che alterino gli equilibri  cristallizzati in tale sede.
Ebbene, il caso preso oggi in esame riguarda una coppia separata, il cui marito doveva corrispondere una contribuzione mensile tanto ai figli, quanto alla moglie.
Una volta che i figli avevano raggiunto l’autosufficienza economica, il padre chiedeva – ed otteneva – la revoca dell’assegno di mantenimento in loro favore.
La moglie, parallelamente, in virtù della maggior capacità economica acquisita dal marito – esonerato dal carico economico prima sostenuto per i figli – chiedeva la modifica delle condizioni di separazione, rinvenendo in tali circostanze i “sopravvenuti giustificati motivi” che avrebbero legittimato un incremento della contribuzione mensile in suo favore.

Modifica delle condizioni di separazione padre
Modifica delle condizioni di separazione: la maggior disponibilità economica conseguente il venir meno dell’obbligo contributivo per i figli, non comporta di per se’ stessa il diritto all’aumento dell’assegno a favore del coniuge

Ebbene, la Corte di Cassazione ha perentoriamente disatteso siffatta argomentazione.
Partendo dal fatto che l’intervento di “giustificati motivi sopravvenuti” – titolo per la richiesta di modifica – deve essere provata dal coniuge che ne faccia istanza, la Suprema Corte ha sottolineato che il venir meno degli obblighi manutentivi nei confronti dei figli non comporta – di per sè – una immediata ripercussione sull’assegno coniugale, allorquando – nella sua determinazione in sede di separazione – non si sia tenuto espressamente conto dell’incidenza del carico familiare sulla quantificazione della contribuzione a favore del coniuge.
In buona sostanza, la moglie avrebbe dovuto dimostrare che l’assegno in suo favore era stato quantificato in misura minore rispetto a quanto necessitava, proprio per il simultaneo obbligo di mantenimento dei figli in capo al marito.
In assenza di ciò, seppur il coniuge avesse conseguito maggior capacità economica, la moglie continuava a percepire quanto ritenuto corretto in sede di separazione e, pertanto, non modificabile in assenza di “giustificati motivi”.

La sentenza:  Cass. Civ. 19746/2017

 

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Assegno divorzile e nuova relazione

Assegno divorzile e nuova relazione.

 

Assegno divorzile e nuova relazione (stabile): il diritto si perde una volta per tutte.

Due aspetti da tenere in assoluta considerazione:
1. con la sentenza che pronuncia il divorzio il tribunale può disporre l’obbligo di un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive.
2. tale obbligo cessa se il coniuge al quale debba essere corrisposto l’assegno passi a nuove nozze.

nuova relazione
il diritto alla corresponsione di assegno divorzile cessa se l’ex coniuge beneficiario passi a nuove nozze o intrattenga una stabile relazione more uxorio

In tale ipotesi, infatti, a mantenerlo ci penserà il nuovo consorte.

Assegno divorzile e nuova relazione: la posizione della giurisprudenza.

La giurisprudenza è pervenuta al risultato di equiparare l’instaurazione di una nuova stabile relazione more uxorio con le nuove nozze, con l’effetto di risolvere l’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile anche in tale fattispecie.

Ovviamente, non dovrà trattarsi di una relazione di passaggio, precaria, abbozzata, ma un rapporto di convivenza stabile, dal quale si possa evincere l’instaurarsi di una vera e propria nuova famiglia di fatto, che provvederà autonomamente al proprio sostentamento.

Bene, le pronunce successive si sono soffermate ad analizzare l’ipotesi in cui, il coniuge assegnatario di assegno divorzile, abbia iniziato – per un tempo significativo – una relazione stabile, come quella sopra indicata, e che anche questa sia poi naufragata.

In tal caso non si assisterà alla resipiscenza dell’originario diritto all’assegno divorzile a carico dell’ ex coniuge, il quale, con il consolidarsi della nuova relazione di quello che era stato suo consorte si è completamente e definitivamente affrancato da ogni obbligo assistenziale.

Si noti: tale obbligo non è sospeso con la nuova relazione intrattenuta dal beneficiario dell’assegno, bensì interrotto e non potrà riprendere con il venir meno del rapporto sentimentale che ne ha causato la cessazione.

la nuova relazione e assegno
la nuova relazione farà cessare definitivamente, una volta per tutte, l’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile, anche se dovesse naufragare.

Una recentissima ordinanza  della Corte di Cassazione, ha ribadito chiaramente il concetto, sottolineando che “ l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicchè il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost., come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo“.

L’ordinanza: Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., (ud. 07-06-2017) 21-07-2017, n. 18111

 

 

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Mancato pagamento assegno di mantenimento: c’è il fondo di solidarietà

Mancato pagamento assegno di mantenimento: può essere tamponato dal fondo di solidarietà, ma solo per il coniuge in stato di bisogno.

L’intervento legislativo ha già un paio d’anni. Ed è stato istituito in via sperimentale.
Una recente pronuncia del Tribunale di Milano è l’occasione per fare il punto della situazione.
E’ noto: si può ottenere anche la sentenza più alta della Suprema Corte, ma se la controparte – condannata a pagare un importo a proprio favore – non ha beni su cui potersi soddisfare, anche il più autorevole provvedimento rischia di restare lettera morta.

fondo solidarietà
Mancato pagamento assegno mantenimento: previsto l’intervento del fondo di solidarietà…

E così è frequente l’ipotesi in cui sia attribuito ad un coniuge il diritto a percepire un assegno di mantenimento e che non solo l’altro consorte rimanga inadempiente, ma anche non abbia patrimonio aggredibile in via esecutiva.
Su questo presupposto, il legislatore ha istituito – in via sperimentale, nell’auspicio che si possa assestare definitivamente- un fondo di solidarietà volto ad aiutare le famiglie in difficoltà a seguito della separazione.
In buona sostanza, “il coniuge in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi, qualora non abbia ricevuto l’assegno  – determinato nell’ambito della separazione – per inadempienza del coniuge che vi era tenuto può rivolgere istanza da depositare nella cancelleria del tribunale del luogo ove ha residenza, per l’anticipazione di una somma non superiore all’importo dell’assegno medesimo”.
Non basta, quindi, che ci sia un inadempimento del coniuge che debba versare l’assegno, ma che il consorte a cui sia stato attribuito si trovi in “stato di bisogno“.
In questo caso, se il Tribunale riterrà che vi siano i presupposti, girerà l’istanza al Ministero della Giustizia, il quale provvederà a corrispondere al coniuge bisognoso somme nella misura massima pari all’ammontare dell’assegno e potrà agire in regresso nei confronti del coniuge inadempiente.
Due ulteriori precisazioni.
-In caso di rigetto dell’istanza non sarà possibile impugnare il provvedimento.
– L’istanza può essere proposta senza pagamento di contributo unificato.
Ecco, allora, la recente pronuncia del Trib. Milano, che con Decreto, 13/04/2017, ha precisato che la domanda di accesso al “fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno” puo’ essere avanzata solo dal coniuge a favore del quale, a seguito della separazione, è disposta l’erogazione dell’assegno di mantenimento” (personale)  “mentre una simile possibilità è esclusa se sono i figli a percepire l’assegno, erogato a loro favore ai sensi dell’art. 337-ter c.c. (il quale prevede che i genitori devono provvedere al loro mantenimento)“.

coniuge in stato di bisogno
…non se il coniuge non sia titolare personalmente di assegno di mantenimento, ma solo i figli

In buona sostanza, pare di capire, se sia il coniuge – titolare di un assegno di mantenimento (anche) per sè – a chiedere l’intervento economico, nulla quaestio. Se, diversamente, lo fosse il  genitore nell’interesse dei soli figli, allora non sarebbe possibile giusto il rigoroso dettame normativo e la rigida interpretazione del medesimo.
Lo stesso provvedimento del Tribunale, per vero, sottolinea  che “la Dottrina ha sollevato dubbi in merito alla legittimità costituzionale di questa scelta (art. 3 Cost.) poiché solo il “genitore” che sia al contempo titolare di assegno ex art. 156 c.c. ha diritto di accesso al Fondo e non anche quello astrattamente più svantaggiato ossia il genitore che non goda di alcun assegno (e magari non percepisca alcun reddito per sé); tuttavia, al momento, il regime giuridico in esame è eccezionale e transitorio e, pertanto, sperimentale (dunque, non destinato a perdurare nel tempo)

 

 

 

Avvocato separazione Vicenza

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Mancato pagamento assegno di mantenimento