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Rinunciare all’eredità perchè si è indebitati?

 

E’ conveniente rinunciare all’eredità perchè si è indebitati?

 

Confusione.

 

L’accettazione pura e semplice dell’eredità comporta la cd confusione dei patrimoni: quello del defunto con quello dell’erede.

I debitori del defunto potranno aggredire anche i beni dell’erede e viceversa, quelli dell’erede troveranno una massa maggiore di attività su cui soddisfarsi.

Per evitare la confusione, l’erede può valutare di accettare l’eredità col beneficio di inventario: in questo modo sarà tenuto a rispondere dei debiti del defunto nei limiti di quanto ricevuto con la successione e con i beni stessi che gli siano pervenuti.

Tale rimedio, tuttavia, non lo copre dall’aggressione dei propri creditori personali, che si fregheranno le mani nel constatare l’aumento della consistenza patrimoniale del debitore.

Una scelta che da molti valutata è quella di non provvedere ad alcuna accettazione o, addirittura, di rinunciare all’eredità perchè si è indebitati.

Cada Sansone e tutti i filistei. Se non si può ereditare perchè i beni saranno pignorati dai creditori, almeno si salva il salvabile, lasciando ad altri eredi della compagine familiare la possibilità di incamerare la propria quota, magari con un patto di retrocessione quando le acque saranno più calme o con la possibilità se non di disporre, almeno di utilizzare (usufrutto, comodato, locazione a prezzo vile) taluni beni relitti.

 

Risarcimento danni per mancato pagamento assegno di mantenimento

 

Siamo salvi?

Taaaaac, sbagliato, e il motivo è presto detto.

Impugnazione della rinuncia/ Surrogatoria

I creditori dell’erede rinunciante potrebbero utilizzare uno di questi due rimedi previsti dalla legge per la tutela delle proprie pretese.

Prima strada.

Il debitore chiamato all’eredità mantiene un atteggiamento ostinatamente dilatorio nell’accettazione – ricordiamo che vi sono 10 anni di tempo per farlo, se non si sia in possesso dei beni ereditari – allo scopo di far passare acqua sotto il mulino e scoraggiare immediate azioni esecutive, confidando che il tempo aiuti all’oblio.

In questo caso i creditori potrebbero, in primo luogo, agire in giudizio affinchè venga assegnato un termine al debitore entro cui accettare l’eredità.

Trascorso inutilmente questo termine, la legge stabilisce che il chiamato decada dal diritto di accettare, per cui non diventerebbe erede e non acquisirebbe i beni caduti in successione.

Bene, una disposizione di legge – art. 524 cc – prevede che “Se taluno rinunzia, benché senza frode, a un’eredità con danno dei suoi creditori , questi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti”.

Capito? I creditori potranno accettare l’eredità al posto del debitore, conseguendone le utilità necessarie per rientrare delle proprie ragioni.

In maniera analoga, il rimedio sopra indicato potrà essere esperito quando il debitore non abbia indugiato, nel tentativo di approfittare del tempo che passa, ma abbia espressamente provveduto a rinunciare all’eredità.

 

rinuncia ad eredità del debitore
Rinunciare all’eredità perchè si è indebitati? potrebbe non bastare per sottrarsi alle ragioni dei creditori.

 

Seconda strada.

Ogni scarrafone è bello a mamma soja, cantava il grande Pino Daniele.

Ben potrebbe accadere che il defunto, in vita, conoscendo l’esposizione debitoria del proprio caro, intenda preservare i beni che cadranno in successione, attribuendoli, in tutto o in parte, ad altri eredi, accrescendo da subito le loro quote con la porzione che sarebbe spettata all’indebitato.

Questi, conseguentemente, sarà o pretermesso dall’eredità, oppure i suoi diritti di legittimario saranno compressi, con attribuzioni che non tengono conto della quota ad esso riservata.

Ovviamente, anche in questo caso i creditori dell’erede/debitore leso nella sua quota saranno danneggiati dal mancato introito della giusta porzione patrimoniale.

Essi potranno esercitare un’azione surrogatoria.

La surrogatoria è una tutela che il codice civile (art. 2900) attribuisce al creditore per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni e consiste nella possibilità di esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare.

I creditori, pertanto, potranno agire, sostituendosi al debitore leso o escluso nella quota di legittima ed esercitare l’azione di riduzione, volta ad appurare la sua qualifica di erede legittimario, la lesione dei diritti a lui riservati, la riduzione delle disposizioni successorie (ma anche donative) effettuate dal de cuius, la restituzione delle eccedenze attribuite ad altri, la soddisfazione su queste ultime delle proprie ragioni creditorie.

Dubbi?

Fino a qualche tempo fa, qualcuno ve ne era.

Come si può leggere dalla norma richiamata, la surrogatoria non può riguardare diritti o azioni che per la loro natura o disposizione di legge non possano essere esercitati se non dal loro titolare.

In questo senso, vi è una disposizione codicistica (art. 557 cc) che attribuisce il diritto di esercitare l’azione di riduzione solamente al legittimario, ai suoi eredi o aventi causa e, pertanto, sembrerebbe essere un rimedio personale non sostituibile.

Una significativa apertura, tuttavia, la apprendiamo da una sentenza recente recente della Suprema Corte, che espressamente viene a stabilire che “È ammissibile l’esercizio in via diretta dell’azione surrogatoria – prevista dall’art. 2900 c.c. – nella proposizione della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima da parte dei creditori dei legittimari totalmente pretermessi che siano rimasti del tutto inerti, realizzandosi un’interferenza di natura eccezionale – ma legittima – nella sfera giuridica del debitore; infatti, l’azione surrogatoria non è altro che lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad alimentare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori”.

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Rinunciare all’eredità perchè si è indebitati

Come si interpreta un testamento?

 

 

Come si interpreta un testamento?

 

 


Può capitare con un contratto, sfidiamo a non trovare qualcuno che non sia incappato in qualche clausola dubbia, più o meno volutamente ambigua.


Succede talvolta con la legge: vai a capire la portata di questa o quella disposizione ed il suo esatto significato (scriviamo questo articolo in piena quarantena da coronavirus, quando non è ancora ben chiaro quando e come ci si possa muovere da casa).


Vuoi che all’apertura di un testamento non possano sorgere dubbi su quale fosse la reale intenzione del disponente, quali i suoi desideri, la portata delle sue attribuzioni?


Il problema è che in tal caso non possono essere effettuati atti ricognitivi di volontà, come per i contratti, oppure diramate circolari e faq come per le disposizioni di legge.


In buona sostanza, è venuto a mancare l’unico soggetto al quale si sarebbe potuto chiedere di dar conto delle sue determinazioni.


Ed allora, come si interpreta un testamento?


Non vi sono disposizioni di legge particolari, proprio perchè non è concepibile determinare preventivamente criteri plausibili di ricostruzione della volontà testamentaria.


La giurisprudenza, tuttavia, è consolidata nell’estendere l’applicazione di alcune norme ad hoc, statuite per l’ambito contrattuale, a quello che oggi ci occupa.

 

come si interpreta un testamento

 


L’articolo 1362 del codice civile, infatti, riguarda proprio la disciplina dell’interpetazione dei contratti e dispone che “Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto” .


Il rigore della forma, in buona sostanza non deve intrappolare la ricostruzione della reale determinazione dei contraenti, che dovrà essere sondata anche tenendo conto di elementi ulteriori, estendendo il campo anche alla ricostruzione logica, ricavata – ad esempio – dal contegno assunto dalle parti, prima e dopo la conclusione dell’accordo.


Si noti.


Il dato letterale sarà pur sempre l’imprescindibile base di partenza: la norma, infatti, pur imponendo agli interpreti del contratto di non limitarsi all’analisi fredda del significato letterale delle parole, lo mantiene come via privilegiata per la corretta ricostruzione della comune intenzione dei contraenti.


Il giudice, eventualmente chiamato a dirimere una controversia in merito, dovrà in primo luogo appurare scrupolosamente la ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale prima di accedere ad altri, diversi parametri di interpretazione, specie quando la comune volontà delle parti emerga in maniera certa ed immediata dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.


In buona sostanza, laddove il testo utilizzato sia chiaro e non ambiguo, sarà precluso l‘accesso ad altri criteri interpretativi.

Ben potrebbe essere, tuttavia, che – pur di fronte ad un testo chiaro dell’accordo – ci si possa trovare di fronte ad un risultato incoerente con altri elementi che rivelino una diversa volontà dei contraenti.


In tal caso, sarà possibile andare oltre, estendendo il campo a criteri ulteriori, di tipo logico, sistematico, ossia improntati a desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi conto, se del caso, anche del comportamento successivo delle parti.

 

ritrovamento di un nuovo testamento
Come si interpreta un testamento?

 

Come si interpreta un testamento?


Torniamo al nostro quesito iniziale.


Anche per il testamento il dato di partenza è pur sempre la parola utilizzata dal disponente: laddove questa non dia margini di dubbi, non si potrà ricorrere a criteri sussidiari, rimanendo preclusa all’interprete la possibilità di avvalersi di dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento.


In buona sostanza, la chiara volontà del testatore, emergente dal non equivoco dato letterale della scheda testamentaria, esclude la necessità del ricorso, quale criterio interpretativo ulteriore, a dati e circostanze estranei al testamento medesimo.


Laddove, tuttavia, dalle espressioni utilizzate non fosse possibile ricostruire l’effettiva intenzione del loro autore si potrà ricorrere ad elementi estrinseci per risolvere parole o espressioni dubbie.


L’interpretazione del testamento, infatti, è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca – al di là della mera dichiarazione – della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., che abbiamo poco fa analizzato, va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, e non di ciascuna singola disposizione.


Al fine di superare eventuali dubbi sull’effettivo significato di parole ed espressioni usate dal testatore si potrà fare riferimento anche ad elementi estrinseci alla scheda stessa, come la cultura. la mentalità, le abitudini espressive e l’ambiente di vita del testatore medesimo, di modo che il giudice nella ricostruzione della volontà, potrà attribuire alle parole usate dal de cuius un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purchè non contrastante e antitetico, e si prestino ad esprimere in modo più adeguato e coerente la reale intenzione del disponente.

 

 

 

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto su

come si interpreta un testamento

La scelta del luogo di sepoltura del defunto: a chi spetta?

 

 

A chi spetta la scelta del luogo di sepoltura del defunto.

 

 

Si narra che l’imperatrice Elisabetta d’Austria, a tutti nota come la principessa Sissi, dopo la morte – tragica – del figlio Rodolfo, si fosse data a viaggi e peregrinazioni, attraversando gran parte dell’Europa.


Tra le mete preferite vi era l’isola greca di Corfù, dalla quale era rimasta incantata per clima e paesaggio.


Qui addirittura acquistò una splendida villa  e manifestò il desiderio di esservi sepolta dopo la morte, (c’è chi sostiene lei volesse venissero disperse le proprie ceneri in mare, quello stesso mare la cui schiuma aveva dato i natali alla divina Venere).


La sua volontà, tuttavia, non fu rispettata, dovendo tale romantico proposito cedere il passo al rigido protocollo reale che la volle tumulata nell’attuale sistemazione, presso la cripta dei cappuccini, ultima residenza degli asburgo.

 


Tanta divagazione introduce il tema di oggi: a chi spetta la scelta del luogo di sepoltura del defunto.


Una recente pronuncia del Tribunale di Velletri (n 391/2019) ci aiuta a fare il punto, ricostruendo lo status giuridico venutosi a consolidare in tale (delicata) materia.


Il conflitto risolto dalla decisione del giudice laziale concerneva la richiesta di spostare la tomba di un defunto, non sposato e verosimilmente deceduto in giovane età, presso il cimitero dei nonni, attori, in luogo dell’attuale, dove era stato tumulato in un loculo appartenente alla zia, che resisteva per trattenerlo vicino a lei.


Il tribunale ha ripercorso i passaggi e gli arresti venutisi via via a consolidare in giurisprudenza in merito alla cd electio sepuchri, partendo da un dato fondamentale: la volontà del defunto prevale su tutto.


Se i parenti ed altri soggetti rientranti nella cerchia d’affetti del de cuius avessero diversa opinione o propositi in merito all’individuazione del luogo (e dei modi) di sepoltura, dovranno, gioco forza, soccombere rispetto alle determinazioni del titolare delle proprie spoglie, ossia colui che è morto.


Tale prerogativa, infatti, rientra nel novero dei “diritti della personalità”, specifici, individuali, assolutamente correlati al singolo individuo e non trasmissibili agli eredi con l’evento successorio.


A nessuno, conseguentemente, è dato disporre di tale scelta se non il solo titolare, mentre è in vita.


La disposizione incontrerà come unico limite la legge, il buon costume e gli elementari precetti che presiedono l’ordine pubblico.


Tra le limitazioni concernenti le modalità di sepoltura una volta vi era il divieto di disperdere le ceneri del defunto, addirittura punito con sanzione penale ad hoc dall’art. 411 cp.


Tale disposizione è stata, tuttavia, temperata da un intervento di legge (L. 130/2001), che disciplina la pratica funeraria della cremazione, nonché della dispersione delle ceneri, che diviene consentita, nel rispetto della volontà del defunto e purchè sia stata autorizzata dall’ufficiale dello stato civile.


Come è possibile manifestare la propria determinazione in ordina alla futura sepoltura?


Non vi è una disposizione di legge ad hoc.


Si può disporre senz’altro tramite testamento.
E’ noto, infatti, che l’atto di ultime volontà possa contenere disposizioni tanto patrimoniali quanto non patrimoniali: tra queste vi rientrano certamente quelle relative alla gestione delle proprie spoglie mortali.


Senza dubbio si potrà manifestare la propria scelta anche con atto scritto separato dal testamento.


Potrebbe essere, anzi, una eventualità addirittura consigliata, in quanto non tanto la pubblicazione ma la semplice apertura e lettura del testamento potrebbe avvenire anche a distanza di tempo dalle avvenute esequie, per cui parrebbe opportuno giocare d’anticipo, rendendo più facilmente acquisibile tale circostanza.

La maggior parte degli interpreti sostiene che non sia necessario gioco forza un atto scritto.

 

 

 

 

scelta sepoltura
Scelta del luogo di sepoltura


Il defunto potrà aver in vita manifestato verbalmente ai cari la propria volontà, attribuendo ad essi il compito di darne esecuzione.


Sarà necessario che la determinazione sia stata inequivocabile, volta cioè non tanto ad esprimere un semplice orientamento o desiderio, bensì a conferire ai destinatari precise indicazioni circa il luogo e le modalità di sepoltura.


Qualora dovessero sorgere dubbi o fraintendimenti, potrà essere valutata ed ammessa prova per testimoni di tale circostanza.


Talora si potrà ricorrere a presunzioni, risalendo da fatti che rivelino la volontà del caro estinto (ad esempio, l’aver fatto costruire la tomba di famiglia in un determinato luogo).


L’apprezzamento di tali rilievi sarà rimesso al prudente apprezzamento del giudice chiamato a risolvere eventuali contrasti.

E se il defunto non avesse lasciato alcuna indicazione circa la scelta del luogo e modalità della propria sepoltura?


La legge nulla dice in merito, non essendo mai intervenuta a disciplinare espressamente la questione.


Ci si appoggia a prassi, a consuetudini, le più vicine alla compiuta tutela della “pietas” per i defunti e dell’affetto dei cari che essi hanno lasciato.


La tendenza è quella di attribuire la scelta del luogo di sepoltura ai familiari più stretti del de cuius.


Si noti: familiari, non tanto eredi, in quanto sappiamo che questi ultimi possono essere anche soggetti estranei al compendio parentale e, come abbiamo precisato prima, non è possibile parlare di trasmissibilità del diritto di scelta per successione.


Quali familiari? I più stretti, verosimilmente è possibile prendere come riferimento il grado di parentela disciplinato dalle norme del codice civile agli art. 74 e ss. 


Tra i familiari va fatto senz’altro rientrare il coniuge.

Anzi.


L’orientamento maggioritario è di dare prevalente rilevanza alla volontà del coniuge rispetto a quella degli altri congiunti.


Si ritiene che il consorte possa essere il depositario delle convinzioni più intime del caro estinto, il più profondo conoscitore, in grado di ricostruire, in assenza di indicazioni, quelle che sarebbero state le disposizioni del defunto in proposito, nonchè il coniuge è il soggetto che più degli altri va tutelato in relazione al diritto di visitare e commemorare il luogo di sepoltura.


Più dei figli.

Questi si possono rifare una vita. Il coniuge superstite talvolta non può o non vuole, per cui ben potrà essergli accordato un occhio di riguardo nella determinazione del posto ove esercitare il culto e la devozione verso i morti.


In assenza di coniuge, la scala di considerazione rimane quella della contiguità parentale, sulla presunzione che maggiore è la vicinanza di sangue, più elevato è il grado di tutela che deve essere accordato ai parenti superstiti.


Su questa prospettiva, tra l’altro, si è mossa la legge (n 130/2001) allorquando ha disciplinato la pratica mortuaria della cremazione, che può essere richiesta “in mancanza della disposizione testamentaria, o di qualsiasi altra espressione di volontà da parte del defunto ” dal coniuge o, in difetto, dal parente più prossimo individuato ai sensi degli articoli 74, 75, 76 e 77 del codice civile e, in caso di concorrenza dai più parenti dello stesso grado, dalla maggioranza assoluta di essi, manifestata all’ufficiale dello stato civile del comune di decesso o di residenza.


Riassumendo: la volontà del defunto in merito alla propria sepoltura prevale su ogni altra diversa indicazione. Quando non risulta alcuna manifestazione espressa dal defunto,opera in via sussidiaria il diritto dei congiunti di provvedere alla destinazione della salma con prevalenza del coniuge sugli altri parenti e sugli eredi. Se non vi è coniuge, sarà attribuito maggior valore all’indicazione dei parenti più prossimi, nell’ordine di vicinanza stabilito dalla legge nella graduazione di parentela.


E se vi è conflitto sulla opportunità o meno di spostare la tomba del defunto da un cimitero all’altro?


Problematica attinente alla decisione del tribunale di Velletri, dalla quale abbiamo preso le mosse per il presente intervento.


Se il luogo di sepoltura era stato originariamente determinato dal titolare del relativo diritto” sarà necessario per il giudicante “valutare con oculata prudenza le giustificazioni addotte per pretendere di operare un trasferimento che comporta esumazione e ritumulazione del cadavere, posto che è avvertita dalla sensibilità degli uomini l’esigenza che le salme dei defunti non vengano, senza adeguate e gravi ragioni, trasferite da un luogo ad un altro”.

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Tale valutazione di opportunità andrà operata anche se il defunto non abbia dato alcuna indicazione in merito, ma in tal caso, qualora idonea motivazione sia stata addotta e la nuova sede di tumulazione sia considerata ragionevolmente più conveniente, la determinazione del soggetto idoneo e privilegiato nell’indicazione del luogo di sepoltura prevarrà sugli altri parenti, anche se questi abbiano espresso dissenso od opposizione.


Il diritto/potestà di scelta, infatti, comporta anche quello di variare in seguito la propria determinazione, purchè sorretta da adeguata giustificazione, rimessa all’eventuale valutazione del giudice.


Come è finita la causa decisa dal Tribunale di Velletri?


L’hanno vinta i nonni che chiedevano lo spostamento del luogo di sepoltura del nipote.


Sono stati giudicati i parenti più prossimi del defunto – che, in vita, non aveva dato indicazioni di sorta – e le motivazioni addotte per il trasferimento – garantire una tumulazione più dignitosa, nella tomba di famiglia, ove riposava la madre, vicina ai nonni – erano adeguatamente valide.


Ricorrendo simili circostanze, conclude il tribunale laziale, “non v’è dubbio che per i nonni (aventi diritto alla scelta del luogo di sepoltura) tale traslazione sia idonea a garantire in modo più adeguato la manifestazione del loro sentimento di devozione e pietà nei confronti del defunto”.

Termine impugnazione del testamento per incapacità del disponente: entro quando?

 

Quali sono e da quando decorrono i termini per l’impugnazione del testamento per incapacità del de cuius?

 

 

Per poter fare testamento occorre averne la capacità, come per tutte le cose.


Per capacità, tuttavia, in quest’ambito intendiamo:

maggiore età
– non essere stati interdetti
– essere capaci di intendere e di volere.


Su questa tematica ce siamo già soffermati – ecco qua il link – richiamando le disposizioni di cui all’art. 591 cc


Oggi ci soffermiamo a porre la nostra attenzione su quali siano i termini per l’impugnazione del testamento per incapacità.


Cinque anni.

L’articolo di legge che abbiamo indicato non dà margini di ambiguità ed è chiarissimo.

Il rimedio accordato è l’azione di annullamento, che comporta il ripristino della situazione ereditaria – successione legittima o eventualmente testamentaria, disposta con atto precedente – che si sarebbe creata se l’atto di ultime volontà, viziato, non fosse stato confezionato.


Il termine è stabilito per dare  certezza nei rapporti giuridici.

Trascorso tale determinato periodo di tempo, i diretti interessati dalla disposizione testamentaria, ma anche i terzi che da questi ne abbiano conseguiti diritti, debbono trovarsi nelle condizioni di non vedersi attaccabili nell’acquisto effettuato.

 

Impugnazione del testamento per incapacità

 


Più complesso è stabilire da quando decorra il termine per poter esercitare questo rimedio.


L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie”, recita l’articolo di legge.


La disposizione è vuoi generica, vuoi sibillina.


Inevitabilmente. Fosse stata più specifica e dettagliata, non avrebbe compreso tutte le situazioni non espressamente stabilite, lasciandone fuori di equipollenti o di non prevedibili, ma altrettanto bisognose di tutela.


Ci pensa la giurisprudenza a dare interpretazione alla legge e ad adattarla al caso concreto.


Ecco, allora, una recente Sentenza della Suprema Corte che ci dà qualche dettaglio in più.


Il casus belli riguardava la richiesta di annullamento di un testamento -, di cui ne era stata appurata la stesura da parte di disponente affetta da incapacità mentale al momento della redazione – proposta a risico, in bilico con lo spirare dei termini prescrizionali.


In prima fase, il Tribunale aveva accolto l’istanza volta ad elidere l’efficacia dell’atto di ultime volontà. La corte d’appello, in sede di impugnazione, confermava tale statuizione, che aveva determinato l’effetto di aprire la successione legittima.


La palla alla Cassazione, che è andata ad esaminare attentamente da quali circostanze, nel caso concreto, era stata determinata la decorrenza del termine di prescrizione.


In particolare, era pacifico che uan delle beneficiarie del testamento impugnato avesse riscosso, fin dall’apertura della successione, i canoni di locazione di un immobile facente parte dei beni caduti in eredità, circostanza – questa – non ritenuta dai giudicati precedenti come “indizio inequivoco della volontà di disporre a titolo esclusivo dei beni ereditari” e conseguentemente “di dare attuazione alle disposizioni testamentarie, in quanto semmai costitutiva in un’attività amministrazione della comune compendio ereditario (per effetto della successione nel contratto di locazione di tutti gli eredi)”.


Ebbene, gli ermellini hanno sottolineato come “per esecuzione del testamento, deve intendersi un’attività diretta alla concreta realizzazione della volontà del testatore come la consegna o l’impossessamento dei beni ereditati o la proposizione delle azioni giudiziarie occorrenti a tale scopo, con la conseguenza che non valgono a far decorrere il detto termine nè la pubblicazione del testamento olografo, che è atto anteriore e soltanto preparatorio alla sua effettiva esecuzione, nè la presentazione della denuncia di successione ed il pagamento dell’imposta, che costituiscono atti dovuti, volti ad evitare conseguenze sfavorevoli alla massa ereditaria”.

 

 

termine impugnazione testamento per incapacità
termine impugnazione testamento per incapacità dalla data di esecuzione delle disposizioni di ultima volontà


Conseguentemente, l’attività di riscossione da parte di un erede dei canoni relativi all’immobile già locato dal testatore costituiva indubbia esecuzione delle relative disposizioni di ultima volontà, dando concreto seguito alla condotta gestionale seguita dalla de cuius, (tra l’altro percependo i relativi frutti come propri), e a nulla rilevando che non fossero intercorsi – in tale contesto – altri atti da cui rinvenire la condotta richiesta dalla legge, in quanto un’esecuzione, seppure parziale, era già idonea a produrre gli effetti prescrittivi indicati.


La Suprema Corte, per inciso, ha sottolineato come il termine prescrizionale – nel caso in cui ci siano più eredi – decorra dal giorno in cui sia stata data, anche da uno soltanto dei chiamati all’eredità, esecuzione alle disposizioni testamentarie, dovendosi tutelare in questo modo le esigenze di certezza nell’acquisizione dei rapporti giuridici, anche dei terzi, risultando altrimenti oltremodo indefinita la qualifica di eredi dei soggetti indicati nel testamento.


Su tali presupposti, è stata cassata la pronuncia che aveva accolto l’azione di annullamento, ritenendola intempestiva, dovendosi far decorrere i termini prescrizionali in data anteriore, sfavorevole al ricorrente che aveva impugnato il testamento, con sua buona pace.

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Termine impugnazione del testamento per incapacità

Mancata accettazione dell’eredità: l’amministrazione dei beni ereditari durante la giacenza.

 

Mancata accettazione dell’eredità. La gestione del patrimonio ereditario durante il termine per accettare.

 

 

Con la morte di una persona si “apre la successione”, ossia il (più o meno) complesso iter di subentro di un soggetto ad un altro nella sua situazione giuridico-patrimoniale.


Dal momento della morte decorrono una serie di termini che la legge fissa relativamente a possibili attività collegate al fenomeno successorio: tra questi – ma ve ne sono molti altri – vi è il termine per accettare l’eredità, che si prescrive in 10 anni dall’apertura della successione. (art. 480 cc). 


Sulle possibili modalità di accettazione o rinuncia all’eredità ci siamo soffermati in altri articoli ( 1).


Tali attività sono rilevanti, non solo per il materiale consolidamento della successione nei rapporti giuridici dal de cuius all’erede, con l’accettazione, ma anche per l’individuazione di eventuali ulteriori successibili, con la rinuncia.


Riepiloghiamo per arrivare al nocciolo della questione che oggi ci interessa:


dall’apertura della successione (morte del de cuius) il chiamato all’eredità (ossia il potenziale erede legittimo o testamentario) ha dieci anni di tempo per accettare, trascorsi i quali perde tale diritto. Se accetta diviene in tutto e per tutto erede, se rinuncia altri al posto suo saranno individuati con criteri che la legge espressamente disciplina.


Dieci anni.


Gli altri possibili eredi, ossia gli ulteriori chiamati che diventerebbero eredi se il primo chiamato non accettasse, potrebbero rimanere sulla graticola per un periodo non indifferente.

 

eredità giacente


Non solo.


E che ne sarebbe dei beni ereditari (e anche dei crediti e debiti ereditari) in tutto questo tempo che il chiamato può darsi per accettare?


Al primo quesito rispondiamo: azione interrogatoria.


Si tratta di un rimedio giudiziale che la legge (art. 481 cc) ha individuato per eliminare lo stallo conseguente al protrarsi nel tempo della scelta per il chiamato all’eredità di accettarla o meno.


E così, “Chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare”.


Si tratta, in buona sostanza, di un rimedio volto ad abbreviare il termine decennale su iniziativa di chi vi abbia interesse, tramite un provvedimento giudiziale.


Sarà il giudice a valutare se chi eserciti tale azione vi abbia interesse o meno.

Generalmente possono praticarla sia i chiamati ulteriori (che, si noti e non è indifferente, incorrono nella prescrizione ad accettare l’eredità nel medesimo termine fissato per il primo chiamato: dieci anni dalla morte del de cuius, non già dal verificarsi del loro possibile subentro), sia eventuali creditori, tanto del defunto quanto del possibile erede, sia i legatari, che proprio dall’erede potrebbero percepire il lascito particolare loro effettuato.

 

azione interrogatoria


L‘istanza per la fissazione del termine deve essere proposta con ricorso al tribunale dove si è aperta la successione (ultimo domicilio del de cuius), il quale stabilirà la data entro la quale il chiamato debba effettuare l’eventuale accettazione.


Quest’ultimo potrà accettare anche con beneficio d’inventario (link) entro il medesimo termine, eventualmente potrà chiedere una proroga se dovesse essere insufficiente per espletare tale formalità.


Per inciso, il chiamato non deve trovarsi nel possesso dei beni ereditari, altrimenti la legge stabilisce che decorsi tre mesi dall’apertura della successione senza che questi abbia chiesto l’inventario, si considererà erede puro e semplice.


Ove questi non si pronunci nel termine assegnato dal Tribunale decadrà dal diritto di accettare e vi sarà la delazione ad altri chiamati ulteriori.


E nel caso di mancata accettazione dell’eredità senza che sia stata esercitata alcuna azione d’impulso da parte di possibili interessati, che ne sarà delle sorti dei beni ereditari, dei crediti da riscuotere, dei debiti da pagare durante l’inerzia del chiamato?

 


Anche questa ipotesi è stata prevista dal codice civile (art 528 cc ) che la denomina “eredità giacente” ed occupa lo spazio temporale intercorrente dalla morte del de cuius all’eventuale accettazione (o prescrizione del diritto di accettare).


Il tribunale su istanza delle persone interessate o d’ufficio, potrà nominare un curatore dell’eredità.


Il decreto di nomina dovrà essere iscritto nel registro delle successioni per rendere nota la circostanza.


Quali sono gli obblighi del curatore.


Innanzitutto, egli dovrà operare l’inventario dell’eredità, attivo e passivo, così da cristallizzare la situazione patrimoniale giacente.


Successivamente, il curatore dovrà prendere possesso dei beni ereditari, esercitando – se del caso – le dovute azioni possessorie a loro tutela.


La presa in possesso dei beni ereditari è strumentale all’amministrazione dei medesimi da parte sua, tanto ordinaria – per la quale potrà muoversi con autonomia e senza vincoli particolari (ad es. concedendo in locazione i beni immobili, riscuotendone i canoni, provvedere alla manutenzione dei beni, pagare utenze, rate di mutuo, versare le tasse o imposte) – quanto straordinaria, facendosi autorizzare dal Tribunale.

 

curatore eredità
mancata accettazione dell’eredità: può essere nominato un curatore per amministrare l’eredità giacente


Più in particolare, dovrà essere chiesto ed autorizzato ogni atto di alienazione, di sottoposizione a pegno o ipoteca dei beni ereditari, nonché qualsiasi transazione ad essa attinente.


Per quanto riguarda i beni mobili, che nel corso del tempo potrebbero essere soggetti a dispersione, riduzione di valore, alterazione, sottrazione, deperimento, deve esserne promossa la vendita da parte dal curatore nei trenta giorni successivi alla formazione dell’inventario, salvo che il giudice, con decreto motivato, non disponga altrimenti.


Per gli immobili, in assenza delle urgenze dianzi indicate, la vendita potrà essere solo eventuale e sarà legata a particolari necessità esistenti o che si verranno a verificare, quali – ad esempio – il pagamento dei debiti ereditari o degli oneri legati all’amministrazione dell’eredità.


Sia ben chiaro: Il curatore può provvedere al pagamento dei debiti ereditari e dei legati solamente previa autorizzazione del tribunale.


I versamenti potranno essere effettuati nella misura e nel tempo in cui i creditori si faranno vivi, mantenendo salvi eventuali privilegi che essi abbiano.


Se però qualcuno dei creditori o dei legatari farà opposizione, il curatore non potrà procedere ad alcun pagamento, ma dovrà provvedere alla liquidazione dell’eredità facendosi assistere da un notaio e provvedendo alla graduazione dei crediti.


In ogni caso, il curatore è sempre tenuto a rendere il conto della propria amministrazione, al giudice (che ha, anzi, esplicito obbligo di vigilanza), durante il suo operato, a chi ne abbia interesse, al termine dell’incarico.


Durata del mandato.


Il curatore cessa dalle sue funzioni quando l’eredità sia stata accettata. (532 cc).


In tal caso, dovrà consegnare i beni al legittimo erede, senza che sia necessaria un’esplicita autorizzazione in tal senso da parte del Tribunale, ma essendo sufficiente che la prova e la validità dell’accettazione sia stata acquisita.

Se più sono gli eredi, è verosimile che la distribuzione dei beni avvenga in base alla quota a ciascuno spettante, anche a seguito di un progetto di distribuzione.

 

 

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mancata accettazione dell’eredità – eredità giacente

I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore? La rappresentazione

 

I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore? La rappresentazione

 


Non c’è bisogno di essere morto per lasciare un’eredità…..
(Onyi Anyado)

 

….Si può rinunziare alla propria. (art 467 cc)

 

Oggi ci soffermiamo ad analizzare il caso in cui chi sia potenziale erede, vuoi perchè sia stato indicato come tale in un testamento, vuoi perchè – in assenza di un atto di ultime volontà – lo sia per legge, non possa (ad esempio perchè premorto) o non voglia (rinunziando) accettare l’eredità.


In tali ipotesi il nostro codice civile contempla l’istituto della rappresentazione che comporta la facoltà per i discendenti del chiamato all’eredità di subentrargli nel luogo e nel grado ove, appunto, non ne avesse avuto accesso lui personalmente.


Si tratta di una chiamata “indiretta”, in quanto il soggetto “rappresentante”, altrimenti escluso dalla successione, vi accede in forza di un’accettazione altrui che non ha avuto luogo.


Andiamo con ordine.


Quando si verifica la rappresentazione?


L’istituto è applicabile tanto alla successione legittima quanto a quella testamentaria.

In quest’ultimo caso è necessario che il de cuius non abbia disposto altrimenti, ossia non abbia espressamente preveduto l’ipotesi della mancata accettazione del diretto chiamato, disponendo la sua sostituzione .

 

successione per rappresentazione

 


L’ipotesi per le quali il primo chiamato non effettui l’accettazione possono essere varie. Tra queste:


– la premorienza. Tizio, figlio di Caio, muore prima del padre e conseguentemente non potrà accettare l’eredità di costui.


Allorquando Tizio morisse dopo Caio, ma prima di aver accettato l’eredità di quest’ultimo, si determinerà la trasmissione ai suoi eredi (a tutti, e quindi anche ad eventuali non discendenti) della possibilità di succedere a Caio. (art 479 cc)  


rinuncia. Tizio manifesta formalmente la propria volontà di non accettare l’eredità di Caio.


Indegnità del rappresentato, che non potrà succedere per aver compiuto uno degli illeciti contemplati all’art. 463 cc


perdita del diritto di accettare del primo beneficiario, perchè, ad esempio, egli non vi abbia provveduto entro il termine  fissato dall’autorità giudiziaria su richiesta di chiunque vi abbia interesse.

 

rappresentazione ereditaria


Quali soggetti subentrano al primo beneficiario?


La rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli anche adottivi, del defunto, e, nella linea collaterale a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto.


Cosa significa: il primo chiamato “rappresentato”, che non accetta, deve essere figlio o fratello del defunto.


In questo caso, i discendenti possono accettare l’eredità al posto del genitore.


Muore Caio. Tizio, suo figlio, non può accettare. Possono succedere per rappresentazione i figli di Tizio.

Alla stessa stregua se Tizio fosse il fratello di Caio.


Pare essere escluso che nella qualifica di “rappresentato” possano essere compresi soggetti diversi da quelli indicati, come ad esempio i nipoti.


La giurisprudenza, limitata, più recente opta – infatti – per un’ interpretazione restrittiva rilevando che “L’ambito di applicazione della rappresentazione, sia nella successione legittima che in quella testamentaria, è circoscritto dall’art. 468 c.c., nel senso che essa ha luogo a favore dei discendenti del chiamato che, nella linea retta, sia figlio e, in quella collaterale, fratello o sorella del defunto; ne consegue che sono esclusi dalla rappresentazione i discendenti del nipote ex sorore istituito erede testamentario”. Cass. civ. Sez. II Sent., 30/12/2011, n. 30551.


Fino a quale grado di parentela in linea retta opera la rappresentazione?


La rappresentazione ha luogo in infinito, siano uguali o disuguali il grado dei discendenti e il loro numero in ciascuna stirpe. non si segue quindi la regola generale che il grado più prossimo esclude quello più remoto.


La rappresentazione avviene per stirpi, vale a dire per gruppi di discendenti di ciascun chiamato, e non rileva per l’operare dell’istituto che siano uguali o disuguali il grado (di parentela con il defunto) dei discendenti e il loro numero;
conseguentemente, il discendente del figlio o del fratello o della sorella potrà succedere al de cuius anche se, per ipotesi, presenti un grado di parentela estremamente remoto.


Se uno stipite ha prodotto più rami, la suddivisione avviene per stirpi anche in ciascun ramo, e per capi tra i membri del medesimo ramo.


Facciamo un esempio.
Caio muore e lascia due figli, Tizio e Sempronio. Quest’ultimo ha a sua volta due figli, Mevio e Quinto. Se Sempronio dovesse rinunziare alla successione l’eredità di Caio si dividerebbe ugualmente in due parti, metà a Tizio, l’altra verrebbe divisa tra Mevio e Quinto.

 

 

rinuncia eredità discendenti
I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore che vi abbia rinunciato o non possa farlo

 

Si tengono in considerazione eventuali donazioni effettuate dal de cuius al rappresentato?


Come abbiamo visto in altri contributi (1, 2) le donazioni effettuate in vita dal de cuius costituiscono una sorta di anticipo di eredità. Esse possono rientrare in gioco al momento dell’apertura della successione vuoi in virtù dell’istituto della collazione, vuoi perchè hanno leso i diritti dei legittimari alla loro quota di riserva.


Ebbene, allorquando il soggetto chiamato all’eredità non intendesse o non potesse accettare, i discendenti che succedono per rappresentazione sono tenuti alla collazione  delle donazioni fatte al rappresentato dal de cuius, anche se abbiano rinunciato all’eredità di questo (art. 740 cc).


Dal par loro, ai rappresentanti sarà riservata la medesima iniziativa contemplata per il soggetto rappresentato per agire in riduzione contro le disposizioni lesive dei diritti della quota di legittima. (art 576 cc

 

 

 

 

 

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I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore

Benefici fiscali Legge dopo di noi: se la disabilità grave è riconosciuta successivamente all’istituzione del trust?

 

Benefici fiscali legge dopo di noi: anche se la disabilità grave è riconosciuta dopo l’atto istitutivo del trust?

 

Ringraziamo la collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

 

Con provvedimento n. 513 dell’11.12.2019, l’Agenzia delle Entrate ha risposto all’interpello presentato dal genitore di un ragazzo con disabilità interessato a conoscere quali requisiti dovessero sussistere per poter fruire dell’esenzione dall’imposta sulle successioni e sulle donazioni, nel caso di beni e diritti conferiti in trust a soggetti con disabilità.


La legge n. 112 del 22.06.2016, meglio nota come Legge sul Dopo di Noi, prevede, infatti, che i beni e i diritti conferiti in trust istituiti in favore di persone con disabilità grave siano esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni.


La possibilità di accedere a tali esenzioni ed agevolazioni è subordinata all’accertamento della grave disabilità, secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma III, della legge 104/1992.

 

dopo di noi

 

La possibilità di beneficiare dell’esonero dalle imposte sulle successioni e donazioni, così come dell’applicazione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa, si applicherà, inoltre, nel rispetto delle seguenti condizioni:


• istituzione del trust con atto pubblico;


• individuazione nell’atto istitutivo, in modo chiaro ed univoco, dei soggetti coinvolti e dei rispettivi ruoli, dei bisogni specifici delle persone con disabilità grave nonché delle attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni delle persone assistite;


• individuazione nell’atto istitutivo degli obblighi e delle modalità di rendicontazione a carico del trustee;


• il patrimonio conferito nel trust deve essere destinato esclusivamente alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust;


• individuazione nell’atto istitutivo del soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte all’atto dell’istituzione del trust;


• previsione nell’atto istitutivo del termine finale della durata del trust (…) nella data della morte della persona con disabilità grave;


• previsione nell’atto istitutivo della destinazione del patrimonio residuo.

 

L’interpello proposto dal padre del ragazzo con disabilità richiedeva risposta al seguente quesito: è possibile richiedere i benefici fiscali legge dopo di noi  prima che sia accertato lo stato di grave disabilità?

 

legge dopo di noi benefici fiscali
Benefici fiscali legge dopo di noi: la risposta dell’Agenzia dell’Entrate per disabilità grave accertata successivamente al conferimento

 

Nonostante, infatti,  la necessità di entrambi i presupposti per beneficiare delle agevolazioni del “dopo di noi” – l’inserimento nell’atto istitutivo del trust delle clausole riportanti le condizioni sopra riportate e lo stato di grave disabilità –  non è specificato che tali presupposti debbano entrambi sussistere sin dal momento costitutivo. Se ne dedurrebbe che la sopravvenienza di uno dei presupposti e nello specifico della disabilità grave conduca all’applicazione del regime agevolato per gli atti di dotazione successivi a tale sopravvenienza.

 

La risposta dell’Agenzia delle Entrate è stata chiarissima: l’atto di dotazione contestuale alla costituzione del trust non può usufruire delle  agevolazioni previste dalla legge n. 112 del 2016, qualora al beneficiario non sia ancora stato riconosciuto uno stato di disabilità grave.

 

Ottenuto il riconoscimento dello stato di disabilità grave di cui alla legge n. 104 del 1992, e ove la certificazione stessa attesti che lo stato di disabilità grave sussisteva alla data di istituzione del trust, il contribuente istante potrà chiedere il rimborso dell’importo pari alla differenza tra l’imposta pagata al momento della dotazione iniziale di beni del trust e l’imposta prevista per i conferimenti ed i trasferimenti di beni in favore del trust



 

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la GUIDA ALL’INGRESSO IN CASA DI RIPOSO

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Esenzione d’imposta legge dopo di noi

Obbligo restituzione beni donati da parte degli eredi: una collazione indigesta

 

 

Collazione ereditaria. la restituzione beni donati da parte degli eredi.

 

 

Non accettare quello che non puoi restituire.
(H. I. Khan)

 

 

Lo avevamo detto (post 1, 2): la donazione effettuata agli eredi necessari costituisce un anticipo di eredità. Si presume, cioè, che il de cuius, con le liberalità fatte in vita, abbia semplicemente voluto compiere delle attribuzioni patrimoniali gratuite in anticipo sulla futura successione.


Si evita, così, che per effetto delle donazioni poste in essere dal defunto prima della morte, gli eredi conseguano in definitiva più o meno di quanto sia loro dovuto in funzione dell’entità delle rispettive quote.


Per rendere effettivo il rispetto di questo equilibrio, il legislatore ha disciplinato l’istituto della collazione (737 e ss cc), che consiste nel conferimento, nella massa ereditaria, di beni o di valori ricevuti in vita dal defunto a titolo di liberalità, da parte dei figli o del coniuge.

 


Andiamo con ordine.

 

 

collazione ereditaria

 


Chi sono i soggetti tenuti a restituire le donazioni?


L’obbligo di conferimento è in capo solamente ai congiunti più stretti del defunto: i figli ed il coniuge, purchè, ovviamente, abbiano accettato l’eredità e siano, quindi, coeredi.


La collazione opera solamente nei rapporti interni tra queste categorie di soggetti – figli e coniuge – e non attiene quelli concernenti altri soggetti, ad esempio altri eredi con differente grado di parentela o addirittura non parenti, i quali, pertanto, non potranno trarre vantaggi da tale istituto.


Se, conseguentemente, vi dovesse essere concorso tra parenti tenuti alla collazione ed altri che non fossero tenuti, si dovranno operare due distinte masse: quella che contenga i conferimenti donativi e quella senza tali apporti, riguardando, la prima, i soli figli e coniuge, l’altra tutti gli altri coeredi.

 

Quali donazioni comprende la collazione e quali sono escluse?

 

Rientrano nell’obbligo di conferimento tutte le donazioni, dirette (ossia avvenute tramite formale contratto predisposto con atto pubblico alla presenza di due testimoni) oppure indirette, vale a dire realizzate tramite altre modalità, che abbiano comunque l’effetto di comportare l’arricchimento del beneficiario e il corrispettivo impoverimento del donante.


Si precisa che rientra nella collazione qualunque tipo di bene, mobile o immobile.

 

conferimento per imputazione

 

Per espressa previsione di legge, art. 738 cc, non sono soggette a collazione le donazioni di modico valore fatte al coniuge, tenuto tuttavia conto delle condizioni economiche del donante e del numero delle liberalità intercorse.
Ancora, l’erede non è tenuto a conferire le donazioni fatte ai suoi discendenti o al coniuge, ancorché succedendo a costoro ne abbia conseguito il vantaggio (739 cc).


Non sono soggette a collazione le spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per malattia, né quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze.

Le spese per il corredo nuziale e quelle per l’istruzione artistica o professionale sono soggette a collazione solo per quanto eccedono notevolmente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto.

 

Come avviene il conferimento delle donazioni?

 

La collazione di un bene immobile si fa o col rendere il bene in natura – ossia materialmente mettendolo a disposizione dei coeredi – o con l’imputarne il valore alla propria porzione, a scelta dell’erede donatario.


Se l’immobile è stato alienato o ipotecato, la collazione si fa soltanto con l’imputazione.


Ai fini della stima del valore dell’immobile sarà necessario fare riferimento al momento dell’apertura della successione.


Se, tuttavia, il coerede donatario abbia nel frattempo effettuato delle migliorie al bene immobile da stimare, il valore di queste andrà dedotto in suo favore dall’onere di conferimento.


Al contrario, qualora l’immobile abbia accusato deterioramenti dovuti a colpa del donatario, questi dovrà conferire il relativo rimborso.


Per quanto riguarda i beni mobili, la collazione si fa soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi avevano al tempo dell’aperta successione con riguardo allo stato in cui si trovano dopo essere state nel frattempo utilizzate.

 

 

Modifica assegno di separazione o divorzio Gli importi già percepiti non vanno restituiti

 


La collazione del danaro donato si opera prendendo una minore quantità del danaro che si trova nell’eredità. Quando tale danaro non basta e il donatario non vuole conferire altro danaro o titoli dello Stato, sono prelevati mobili o immobili ereditari, in proporzione delle rispettive quote.

 

Dispensa dalla collazione e rinuncia alla collazione.


Il donante, al momento dell’attribuzione o anche in sede testamentaria o con separato atto, può dispensare dal conferimento il donatario.


In tal caso la dispensa avrà l’effetto di esonerare il coerede dalla restituzione del bene o del valore del bene nei soli limiti della quota disponibile (art 737 cc). Solamente l’eccedenza rispetto a tale quota dovrà essere restituita alla massa ereditaria.


Gli eredi possono anche rinunciare ad avvalersi della collazione.


La Corte di Cassazione ha ritenuto che i coeredi siano nella piena facoltà di procedere alla divisione tra loro dell’asse ereditario senza applicare le disposizioni che regolano l’istituto. Deve infatti rilevarsi il carattere dispositivo delle norme che regolano l’ istituto e la correlativa mancanza di un divieto giuridico (Cass. Civ 22911/2017)




Due precisazioni conclusive.


Affinchè si possa dare luogo alla collazione è necessario che il defunto abbia lasciato una pur minima disponibilità di beni al momento della morte, tale da creare la comunione ereditaria tra i successori.
Se, infatti, l’asse sia stato esaurito con donazioni in vita e conseguentemente manchi un relictum, non si avrà luogo ad alcuna divisione e nemmeno alla collazione che in essa trova presupposto. Si tratterà solamente di valutare l’esperibilità di eventuale azione di riduzione per gli eredi che siano stati lesi nella propria quota di legittima.

 

 restituzione donazioni collazione
Obbligo restituzione beni donati da parte degli eredi: la collazione ereditaria


Parimenti non si avrà luogo alla collazione allorquando il testatore abbia provveduto ad assegnare non già quote del proprio patrimonio, bensì singoli beni, evitando così la formazione della comunione ereditaria.


Si potrà evitare la collazione e trattenere quanto ricevuto in donazione, rinunciando all’eredità, precludendo in tal modo la possibilità d’ instaurazione della comunione ereditaria.

 

 

 

Per una consulenza da parte degli avvocati Berto in materia di

Obbligo restituzione beni donati da parte degli eredi

Il ritrovamento di un nuovo testamento.

 

 

Quali conseguenze comporta il ritrovamento di un nuovo testamento sulla distribuzione dei beni ereditari già avvenuta.

 

 

Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per cosi dire morto; i suoi occhi sono spenti.
(Albert Einstein)

 

Oggi ci soffermiamo ad analizzare l’ipotesi in cui la sorpresa l’ha fatta proprio il morto, avendo confezionato un (nuovo?) testamento di cui nessuno sapeva (o voleva far sapere) l’esistenza.

 

Bene, partiamo con un po’ di adrenalina.


Il compianto ci ha lasciati già da qualche anno.


I beni caduti in successione sono già stati spartiti tra gli eredi, vuoi quelli legittimi perchè un testamento non c’era (o si pensava non ci fosse), vuoi quelli testamentari, sulla scorta dell’unico testamento conosciuto.

Poi … ta da!


Tra le pagine impolverate di un libro, dimenticato su uno scaffale, salta fuori una carta, stropicciata, ingiallita, con degli scritti vergati a mano da una grafia che conosciamo: quella del nostro caro defunto.


Il suo testamento.

Apriti cielo.

 

 

trovare un nuovo testamento


Che cosa succede col ritrovamento di un nuovo testamento?


Varie possono essere le ipotesi, di cui ne abbozziamo solo alcune.

– Prima ipotesi.


Il testamento ritrovato ha data anteriore a quello in base a cui si è svolta la successione.


Se le disposizioni in esso contenute sono radicalmente incompatibili con quelle del successivo, varrà quest’ultimo con cui il de cuius, in buona sostanza, ha revocato tacitamente le (a questo punto non più) ultime volontà precedenti.


Se, invece, le disposizioni tra i due testamenti non fossero incompatibili, ma tra loro intrecciabili e integranti, allora potranno essere intese come un unico atto, da rispettare integralmente.


Ad esempio. Con un testamento il disponente ha nominato erede universale Tizio, con l’altro ha conferito un legato a Caio.

Potranno essere osservate entrambe le disposizioni testamentarie, non incompatibili tra loro, salvo non sia stato effettuato un espresso accenno alla revoca del testamento precedente.

 

revoca tacita testamento


– Seconda ipotesi.


Il ritrovamento di un nuovo testamento successivo a quello in base al quale si è svolta la successione.


Varrà quanto detto sopra, in merito alla revoca tacita (link 1, 2 , 3) oppure no delle disposizioni precedenti.


Potrebbe essere che il de cuius abbia inteso mantenere l’indicazione degli eredi già effettuata in precedenza, mutandone solo l’assetto delle rispettive quote.

In tal caso sarà necessario integrare o diminuire le rispettive porzioni, fino a farle conformare alla volontà testamentaria.


Il caro defunto potrebbe aver ingarbugliato la situazione, confezionando un testamento successivo del tutto incompatibile con il precedente, che sarà da considerarsi revocato, istituendo come eredi o beneficiari soggetti diversi da quelli considerati in prima battuta.

Non solo.


Il ritrovamento di un nuovo testamento avviene casualmente, quando i piatti sono stati già lavati, ossia quando i beni ereditari sono stati attribuiti ai primi (apparenti) destinatari del lascito.


Sub ipotesi uno.


I primi eredi cortesemente cedono il passo ai nuovi nominati ed attribuiscono loro tutto ciò che gli spetta.


Bene. Evviva.


Sub ipotesi due.


Gli (ex) eredi di “primo scritto”, chiamiamoli impropriamente così, non vogliono mollare l’osso.


Ai nuovi istituiti non rimarrà che adire il Tribunale ed esercitare la cd “petitio hereditatis”, un’azione specificamente disciplinata dall’art. 533 cc, in base al quale L’erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno , allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi”.

Procediamo con ordine.

E’ un’azione che spetta all’erede.

Ad un soggetto, cioè, che non solo sia stato istituito tale dalla legge o da una disposizione testamentaria, ma che abbia anche accettato l’eredità.


Si noti. La circostanza di esercitare in giudizio tale azione comporta di per sé un’accettazione tacita dell’eredità.


L’azione potrà essere svolta contro chi abbia il possesso dei beni ereditari senza titolo, vuoi perchè non ne sia mai esistito uno, vuoi perchè fosse titolo fallace, come quello oggetto della nostra attenzione.


Quali prove? Il soggetto che invocherà l’azione dovrà provare:
– di essere erede, vuoi per successione legittima o testamentaria.
– la morte del de cuius.
– l’appartenenza dei beni posseduti all’asse ereditario.

 

trovare un altro testamento
ritrovamento di un nuovo testamento

 


E’ un’azione simile a quella di rivendicazione, riconosciuta al proprietario che invochi il proprio diritto contro chi possegga o detenga i suoi beni (art. 948 cc  ), ma da questa molto differente in relazione al carico probatorio.


Al rivendicante spetta, come è noto, la cosiddetta probatio diabolica di dimostrare la legittimità di tutti gli acquisti a titolo derivativo precedenti, sino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario.


A chi esercita la “petitio” no, sarà sufficiente allegare il proprio titolo e l’ascrivibilità dei beni reclamati al patrimonio ereditario.


Tutto qua? Facile facile?


Anche no, perchè alle ipotesi appena accennate se ne possono aggiungere altre da far girare la testa.

Chi ha pazienza di leggere ci segua.

Sub Sub ipotesi 1.


Il tempo trascorso fino alla scoperta del nuovo testamento non è indifferente.


L’azione di petizione di eredità non è prescrittibile, lo dice la legge stessa.


Ciò che si prescrive è il diritto di accettare l’eredità, presupposto per l’esercizio dell’azione indicata, che il codice civile fissa in dieci anni dall’apertura della successione, ossia dalla morte del de cuius. (art. 480 cc)


Ed allora?

Allora pace. Il nuovo chiamato all’eredità non potrà esercitare la sua azione di rivendica perchè prescritto sarà da considerarsi, dopo dieci anni, il diritto ad accettare. Così si è pronunciata la Cassazione (n 264/2013  ) con una sentenza nemmeno molto risalente, che ha risolto un contrasto precedente.


Sub sub ipotesi 2


Tra eredi nuovi ed eredi vecchi si è già svolta una causa, prima che saltasse fuori il secondo testamento, proprio per dirimere la controversia relativa ai rispettivi diritti successori, verosimilmente basata su testamento precedente o addirittura in assenza.


A sentenza passata in giudicato che ha statuito sulle rispettive qualifiche di eredi, entra in ballo il ritrovamento di un nuovo testamento.


In tal caso, gli eredi di seconda istituzione (chiamiamo così quelli designati dal secondo atto di ultime volontà) non potranno azionare la “petitio hereditatis” di cui abbiamo trattato prima, proprio perchè la statuizione del giudice si è già consolidata.

Ad essi spetterà, semmai, la possibilità di agire in “revocazione”, altra particolare azione riconosciuta dalla legge in casi assai particolare, ma con l’arduo onere di dimostrare la data di scoperta del nuovo testamento e, comunque, che il rinvenimento non fosse possibile per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario (art. 395 cpc). 


Hai voglia.


Per dettagli, Cass. Civ. N 3655/2017 

 

 

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ritrovamento di un nuovo testamento

Il testamento può revocare i beneficiari dell’assicurazione sulla vita?

 

La risposta è affermativa: il testamento può revocare i beneficiari dell’assicurazione sulla vita, ma a volte le cose sono più complicate di quanto sembri.

 

Limitare il dono in anticipo dicendo: arriverò fin lì, ma non oltre, significa non dare assolutamente nulla.
SAN FRANCESCO D’ASSISI

 

Se il poverello d’Assisi avesse considerato anche l’ipotesi in cui il dono, oltre ad essere limitato, si fosse potuto anche revocare, è proprio il caso di dirlo, “apriti cielo”.

 

L’assicurazione sulla vita a favore di terzi, configuriamola giuridicamente come donazione oppure no (che dibattito al riguardo!), è un sicuro beneficio per i soggetti designati.

 

 


Ma può essere revocato, indicando altri beneficiari.


Facciamo il punto.


La legge dispone che sia “valida l’assicurazione sulla vita a favore di un terzo”. Art. 1920 cc.

 

Come si può effettuare la designazione?

 

  1. Direttamente nel contratto di assicurazione 
  2.  con successiva dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore 
  3. per testamento.

 

Cosa deve indicare la designazione?

 

Le possibilità sono due: o il disponente esprime precisamente l’esatto identificativo del beneficiario, oppure può determinarlo genericamente (ad esempio, gli eredi legittimi).

 

Il disponente può cambiare idea e revocare / modificare i beneficiari?

 

Può farlo: la designazione del beneficiario è revocabile con le forme con le quali può essere fatta. Si noti, non è necessario che ci sia esatta corrispondenza tra le modalità prescelte per la designazione e quelle di revoca, ma che quest’ultima sia effettuata o tramite modifica contrattuale, o tramite comunicazione scritta all’assicurazione, oppure per testamento.

 

Che tipo di diritto acquisisce il beneficiario?


Innanzitutto, fino al verificarsi della morte del disponente non acquisisce che una semplice aspettativa. Aspettativa che può essere disattesa dalle mutate volontà del soggetto che abbia inteso beneficiarlo.


Questo tipo di contratto è particolare rispetto al generico contratto a favore di terzi, ove l’accettazione della disposizione effettuata dal beneficiario rende irrevocabile l’assegnazione.

Qui l’eventuale accettazione non comporta alcunchè ed il disponente può mutare indicazione, fatta eccezione per l’ipotesi in cui egli stesso abbia rinunziare al potere di revoca. In questo caso tale determinazione dovrà avere forma scritta e vincolerà la designazione una volta che sarà stata accettata.

Gli eredi del disponente non possono modificare la designazione.


Va, anche, sottolineata una circostanza di vitale (stiamo parlando di assicurazione vita) importanza per quanto oggi ci troviamo allegramente a discutere. “Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione”: art. 1921 cc.

Cosa vuol dire?


Che il beneficio che ne sarà conseguito non avverrà iure hereditatis, a titolo e secondo le leggi della successione, bensi iure proprio, ossia in virtù di un contratto, a suo favore, tra vivi.

Cosa cambia?

Che il gruzzolo di cui all’assicurazione non transiterà nel patrimonio da tenersi in considerazione ai fini dell’eredità, essendo semplicemente l’oggetto di un’obbligazione, esterna al fenomeno successorio, a favore del beneficiario, a cui direttamente andrà assegnato l’importo, in barba agli eredi.


Questi ultimi potranno avanzare eventuali recriminazioni in relazioni ad eventuali lesioni della loro quota di legittima solamente con riferimento agli importi pagati dal defunto a titolo di premio di polizza. Tali somme, e non l’indennità successiva, potranno essere considerate delle donazioni indirette, in quanto tali eventualemente riducibili (cass. Civ. 26606/2016)

 

il testamento può revocare i beneficiari dell’assicurazione sulla vita

 

Ed ora arriviamo al guazzabuglio.

 

Mettiamo che il disponente abbia indicato come beneficiari i propri “eredi legittimi”, ma che poi, per testamento, abbia nominato un diverso erede universale: chi sarà il beneficiario della polizza?


Gli eredi legittimi, indicati nella designazione, oppure l’erede testamentario, divenuto unico erede, bypassando quelli che avrebbero avuto titolo per successione legittima?


Ce lo dice la Cassazione, con una recentissima ed interessantissima pronuncia. (n. 25635/2018)


Se si considera che il beneficario dell’assicurazione acquista un diritto personale, svincolato dal fenomeno successorio, l’indicazione dei beneficiari nella persona degli eredi legittimi non vale a sottoporre la vicenda contrattuale sotto l’egida della successione, in quanto è semplicemente un modo di individuare i soggetti a vantaggio dei quali andrà la disposizione: né più né meno.


Ben potranno coesistere, pertanto, la figura dell’erede universale, che sarà destinatario del patrimonio lasciato dal defunto, e dei beneficiari dell’assicurazione, individuati in coloro che sarebbero stati gli eredi legittimi se non ci fosse stato il testamento, a prescindere dal fatto che, con tale atto, possano essere stati estromessi dall’eredità.


Nè si potrà rinvenire nella disposizione testamentaria successiva alla designazione dei beneficiari come revoca di quest’ultima.


Al riguardo gli ermellini sottolineano che si potrebbe addivenire ad un simile risultato se nel testamento si fosse inteso far espresso riferimento ai nuovi beneficiari dell’assicurazione. In difetto, l’istituzione di erede testamentario non vale a revoca di designazione, tacita o espressa come la si voglia intendere.


Quanto spetterà agli eredi legittimi, indicati come beneficiari dell’assicurazione?


Proprio per il fatto che essi acquistano un diritto personale e non successorio, le regole della successione legittima si applicheranno solo per individuare i possibili eredi legittimi beneficiati, ma non troveranno richiami le quote (eventualmente diverse) che la legge per esse contempla.
In poche parole, a meno che il disponente non abbia disposto suddivisioni particolari, agli eredi legittimi spetterà la medesima quota di indennità.

 

 

 

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testamento può revocare i beneficiari dell’assicurazione sulla vita