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Il procedimento per il riconoscimento di patologia dipendente da causa di servizio dei militari

 

 

Il procedimento per il riconoscimento di patologia dipendente da causa di servizio dei militari

 

 

Il d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461 ha distinto in tre rilevanti passaggi il procedimento per il riconoscimento di patologia dipendente da causa di servizio dei militari:

– ha fissato la competenza della Commissione Medica Ospedaliera (C.M.O) a diagnosticare l’infermità, a datarne la insorgenza e la conoscibilità, nonché a classificare l’invalidità permanente da essa derivante, esclusa ogni pronuncia sulla causa di servizio;

– ha attribuito espressamente all’organo collegiale centrale (Comitato per la verifica delle cause di servizio) la pronuncia sulla causa di servizio;

– ha reso vincolante per l’Amministrazione la pronuncia del Comitato per la verifica delle cause di servizio , salva solo la facoltà di chiedere (per una volta) il riesame da parte dello stesso Comitato

 

causa di servizio militari

 

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza (si veda, ad esempio la sentenza del TAR Veneto, n. 1022/2019) “il giudizio finale del Comitato di verifica sulla dipendenza da causa di servizio, che concerne l’accertamento del nesso di causalità tra la patologia insorta ed i fatti di servizio, si impone all’Amministrazione come momento di sintesi e di comparazione dei diversi pareri resi dagli organi consultivi intervenuti nel procedimento stesso

Sempre secondo la giurisprudenza amministrativa il parere del Comitato di verifica assume natura parzialmente vincolante per l’Amministrazione procedente. Nel senso che la stessa non può discostarsene a meno che non ravvisi un’evidente carenza istruttoria ovvero un palese travisamento dei fatti o un’illogicità manifesta in cui sia incorso il predetto organo tecnico; in tali ipotesi, l’Amministrazione ha la possibilità (non già di determinarsi diversamente dall’organo consultivo, ma unicamente) di motivatamente richiedere al Comitato di esprimere un nuovo parere, all’esito del quale adotterà il provvedimento finale sulla domanda sempre in senso conforme al parere del Comitato.

 

riconoscimento causa di servizio
procedimento per il riconoscimento di patologia dipendente da causa di servizio dei militari

 

Il giudice amministrativo ha ulteriormente evidenziato che il positivo riconoscimento della dipendenza di una patologia da causa di servizio consegue all’accertamento dell’effettiva e comprovata riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l’infermità o lesione

In altri termini, non si ritiene sufficiente, a tale fine, la sola “possibile” valenza patogenetica del servizio prestato, ma, di contro, si impone la puntuale verifica, connotata da certezza o da alto grado di credibilità logica e razionale, della valenza del servizio prestato quale fattore eziologicamente assorbente o, quanto meno, preponderante nella genesi della patologia

 

 

 

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procedimento per il riconoscimento di patologia dipendente da causa di servizio dei militari

Detrazione Iva per attività esente: chi svolge un’attività esente da IVA, non può esercitare il diritto alla detrazione della stessa.

 

 

Detrazione Iva per attività esente: esclusa la possibilità di rimborsi.

 

 

La Corte di Cassazione, con l’ ordinanza n. 16443 2019,  ha recentemente affrontato il caso di un contribuente esercente attività medica che aveva presentato istanza di rimborso avente ad oggetto l’IVA corrisposta sugli acquisti di beni strumentali a prestazioni sanitarie con finalità di cura alla persona: prestazioni, queste ultime, che ricadono nel regime di esenzione dell’imposta.

 

A fronte del rigetto dell’Amministrazione finanziaria il contribuente ricorreva in giudizio, ma i giudici, di primo e secondo grado, respingevano il ricorso.

 

Il medico ricorreva quindi in Cassazione, sostenendo che dovrebbero essere esenti da IVA tutti gli acquisti di beni effettuati da un soggetto che pone in essere operazioni esenti, con conseguente obbligo di rimborsargli l’imposta eventualmente addebitatagli.

 

detrazione iva per attività esente

 

La Corte ha però rigettato il ricorso, affermando la conformità con il diritto dell’Unione europea della normativa che nega il diritto alla detrazione dell’IVA assolta per l’acquisto di beni afferenti operazioni esenti.

 

La Corte Europea, infatti, ha affermato che il diritto alla detrazione dell’IVA riguarda soltanto i beni ed i servizi che vengono utilizzati ai fini delle operazioni del soggetto passivo assoggettate ad imposizione.

 

Per la Cassazione la previsione di esenzione si riferisce alla fase della rivendita dei beni che sono stati utilizzati per l’esercizio di attività esenti da IVA e non alla fase di acquisto di tali beni da parte del soggetto che pone in essere le operazioni esenti.

 

In sostanza, il meccanismo di esenzione trova applicazione a favore di coloro che – non avendo potuto detrarre l’IVA corrisposta al momento dell’acquisto del bene in ragione di specifiche ragioni di indetraibilità – successivamente decidono di rivendere a terzi detto bene.

 

 

 

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Tributario: il capitale del mutuo deve essere detratto dalla spesa imputata a reddito?

Il capitale del mutuo deve essere detratto dalla spesa imputata a reddito?

In un recente caso preso in esame dalla Corte di Cassazione, l’Amministrazione Finanziaria aveva determinato un maggior reddito derivante dall’acquisto di un fabbricato, con contestuale stipulazione di un mutuo ipotecario per valore pari al prezzo.

La Corte, con la sentenza n. 19192 del 2019 ha rilevato al riguardo che, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca e dimostri che tale tale spesa sia giustificata dall’accensione di un mutuo, la prova contraria a carico del contribuente richiesta può essere assolta mediante la produzione del contratto di mutuo, idoneo a dimostrare la provenienza non reddituale delle somme utilizzate per l’acquisto del bene.

La Corte di Cassazione ha chiarito che l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, ritenendo, tuttavia, sufficiente la prova della sussistenza del mutuo, senza la necessità di dover dimostrare anche le motivazioni dell’erogazione e le garanzie che la supportano.

Secondo il giudice, il mutuo non esclude ma diluisce la capacità contributiva: ne consegue che il capitale mutuato deve essere detratto dalla spesa accertata e imputata a reddito, mentre devono essere aggiunti a essa i ratei maturati e versati per ogni annualità

Rifiuto cure da parte dell’Amministratore di sostegno: ci vuole un potere ad hoc

 

 

La Corte Costituzionale si pronuncia sul tema del rifiuto cure da parte dell’amministratore di sostegno e circoscrive il perimetro dei poteri che gli sono attribuiti dalla legge

 

 

Ringraziamo la Collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

 

Come è noto, la recente legge n. 217/2019 – cd testamento biologico – statuendo che ” nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge“, ha riconosciuto la possibilità per “ogni persona capace di agire” di rifiutare, in tutto o in parte .. qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso“.

In buona sostanza, è possibile rifiutare le cure, anche se siano essenziali per la propria sopravvivenza, purchè tale determinazione sia frutto di una libera e consapevole scelta del disponente, maggiorenne, capace di agire, di intendere e di volere.

 

E chi non sia più pienamente capace?

 

Se in passato abbia manifestato con le D.A.T. (disposizioni anticipate di trattamento) le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, queste determinazioni andranno rispettate ed il medico sarà vincolate ad esse, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte,  qualora  appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.

 

 

Per chi non avesse disposto D.A.T., la legge ha statuito che il consenso o il rifiuto delle cure sia prestato dal rappresentante della persona incapace: il tutore per l’interdetto, colui che eserciti la responsabilità genitoriale per il minore, l’amministratore di sostegno.

Su tale previsione, tuttavia, si è aperta un’intensa discussione, giuridica e morale.

 

Rifiuto cure da parte dell’Amministratore di sostegno

 

Ci si è interrogati se un Amministratore di sostegno, eventualmente investito dal Giudice Tutelare, come spesso avviene, del potere di rappresentanza in materia di prestazione del consenso informato a trattamenti sanitari, potesse spingersi addirittura a rifiutare le cure per il proprio assistito, intervenendo – direttamente o indirettamente – nel percorso clinico e vitale dello stesso.

 

Il Giudice Tutelare di Pavia ha investito della problematica la Corte Costituzionale, sollevando la questione di legittimità della suddetta legge nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la  rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato.

 

 

Nella fattispecie, all’amministratore di sostegno, già nominato circa una decina di anni prima, non era stata attribuita alcuna rappresentanza in ambito sanitario.


Dal momento che il beneficiario si era venuto a trovare successivamente in stato vegetativo, il tribunale di Pavia aveva ritenuto necessario integrare il decreto di nomina, prevedendo anche poteri in ambito sanitario.


Tuttavia, secondo il giudice tutelare, la norma di cui all’art. 3 della legge n. 219/2017, quando stabilisce che l’amministratore di sostegno con potere di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato, verrebbe a violare gli articoli 2, 3, 13, 32 della Costituzione.


In particolare, secondo il Giudice Tutelare, una tale ampia e generica attribuzione di poteri verrebbe ad attribuire all’ADS sostanzialmente “il potere di decidere della vita e della morte dell’amministrato”, senza alcun sindacato da parte dell’autorità giudiziaria.

 

 


Il rifiuto delle cure deve corrispondere alla volontà dell’interessato e dei suoi orientamenti esistenziali: l’amministratore non deve decidere né al posto dell’incapace, né per l’incapace, perché rifiutare le cure è un diritto personalissimo.


Quindi, o la decisione sul rifiuto delle cure risulti dalle DAT o, in mancanza, dovrà essere ricostruita la volontà dell’incapace, mediante indici sintomatici, di elementi presuntivi, o con l’audizione di conoscenti dell’interessato o strumenti di altra natura.


Secondo la Corte Costituzionale si tratta di un presupposto interpretativo erroneo.


Come abbiamo avuto già modo di affermare, (post) l’amministrazione di sostegno è un istituto “duttile, suscettibile di essere plasmato dal giudice sulla necessità del beneficiario” ed avente ad oggetto “le sole categorie di atti al cui compimento l’amministratore sia ritenuto idoneo”.


Del resto l’amministrazione di sostegno, a differenza dell’interdizione e dell’inabilitazione, si propone di “limitare nella minore misura possibile la capacità di agire della persona”.


Alla luce di tali precisazioni, si può affermare che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, le norme censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale.


Nella logica del sistema dell’amministrazione di sostegno, è il giudice tutelare che, con il decreto di nomina, individua l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario.


Spetta al giudice, quindi, il compito di individuare e circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, nell’ottica di apprestare misure volte a garantire la migliore tutela della salute del beneficiario, tenendone pur sempre in conto la volontà, come espressamente prevede l’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017.

 

Rifiuto cure da parte dell’amministratore di sostegno: deve essere investito di specifico potere dal Giudice Tutelare

 

 


Le misure di tutela, quindi, non possono non essere dettate in base alle circostanze del caso di specie e, dunque, alla luce delle concrete condizioni di salute del beneficiario, dovendo il giudice tutelare affidare all’amministratore di sostegno poteri volti a prendersi cura del disabile, più o meno ampi in considerazione dello stato di salute in cui, al momento del conferimento dei poteri, questi versa.


La specifica valutazione del quadro clinico della persona, nell’ottica dell’attribuzione all’amministratore di poteri in ambito sanitario, tanto più deve essere effettuata allorché, in ragione della patologia riscontrata, potrebbe manifestarsi l’esigenza di prestare il consenso o il diniego a trattamenti sanitari di sostegno vitale: in tali casi, infatti, viene a incidersi profondamente su “diritti soggettivi personalissimi”, sicché la decisione del giudice circa il conferimento o no del potere di rifiutare tali cure non può non essere presa alla luce delle circostanze concrete, con riguardo allo stato di salute della persona con disabilità in quel dato momento considerato.


La ratio dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, pertanto, richiede al giudice tutelare di modellare, anche in ambito sanitario, i poteri dell’amministratore sulle necessità concrete del beneficiario, stabilendone volta a volta l’estensione nel solo interesse del disabile.


L’adattamento dell’amministrazione di sostegno alle esigenze di ciascun beneficiario è, poi, ulteriormente garantito dalla possibilità di modificare i poteri conferiti all’amministratore anche in un momento successivo alla nomina, tenendo conto, ove mutassero le condizioni di salute, delle sopravvenute esigenze del beneficiario.


La Corte Costituzionale conclude arrivando a negare che il conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita.


Le norme censurate, infatti, si limitano a disciplinare il caso in cui l’amministratore di sostegno abbia ricevuto anche tale potere: spetta al giudice tutelare, tuttavia, attribuirglielo in occasione della nomina – laddove in concreto già ne ricorra l’esigenza, perché le condizioni di salute del beneficiario sono tali da rendere necessaria una decisione sul prestare o no il consenso a trattamenti sanitari di sostegno vitale – o successivamente, allorché il decorso della patologia del beneficiario specificamente lo richieda.

 

La sentenza della Corte Costituzionale  n. 144 del 13.06.2019

 

 

 

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la GUIDA ALL’INGRESSO IN CASA DI RIPOSO

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Cosa rischiamo ad uscire senza documenti?

Uscire senza documenti. 

Pubblichiamo un contributo della Collega Stefania Cerasoli.

L’essere privi di un documento non costituisce di per sé reato a differenza del rifiutarsi di fornire le proprie generalità, condotta punita, ai sensi dell’ art. 651 C.P.,  “con l’arresto fino ad un mese o con l’ammenda fino a 206, 00 euro”.

uscire senza carta d'identità
Uscire senza documenti: un conto è non averli con sè, altro è rifiutarsi di fornire le proprie generalità

Nessuno di noi penserebbe di guidare un’auto senza avere con sé la patente.

Eppure tanti di noi, quando si apprestano ad uscire di casa, non si preoccupano di accertare se hanno in tasca i documenti relativi alla propria identità.

E se durante la nostra passeggiata venissimo fermati dalla Polizia o dai Carabinieri, a quali conseguenze andremmo incontro?

L’essere privi di un documento non costituisce di per sé reato a differenza, invece, del rifiutarsi di fornire le proprie generalità, condotta punita, ai sensi dell’art. 651 C.P.,  “con l’arresto fino ad un mese o con l’ammenda fino a 206, 00 euro”.

È importante precisare che la richiesta debba provenire “da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni”.

Pertanto, qualora la richiesta provenisse da un agente in borghese, perché possa dirsi legittima, questi dovrà identificarsi e fornire il numero di matricola, l’indicazione del corpo di appartenenza nonché del tesserino di riconoscimento. 
 
In mancanza di tali adempimenti, il cittadino non sarà tenuto a fornire alcuna informazione.
 
Pertanto, qualora fossimo fermati dalla Polizia o dai Carabinieri senza i nostri documenti d’identità, non saremmo passibili di alcuna conseguenza penale se, richiesti di fornire le nostre generalità, provvederemo senza alcun problema collaborando.

In caso contrario, invece, l’agente sarà legittimato ad  accompagnarci, anche con l’uso della forza, presso la più vicina caserma.

documento riconoscimento

Tra i soggetti che rivestono la qualifica di pubblico ufficiale, troviamo anche il controllore del treno o dell’autobus: nel caso, quindi, di un viaggiatore trovato sprovvisto del titolo di viaggio, il controllore che intenda elevare la relativa sanzione avrà tutto il potere di chiedere al cittadino di fornire le proprie generalità.

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Notifica di cartella di pagamento tramite pec: nulla se in formato pdf senza firma digitale del responsabile del procedimento

Se viene prescelta la notifica di cartella di pagamento tramite pec, vi sono precisi requisiti di formalità da rispettare.

Il gatto firma ogni suo pensiero con la coda.“ Ramón Gómez De La Serna, scrittore spagnolo (1888-1963).

Il funzionario dell’Agenzia delle Entrate firma la cartella di pagamento notificata a mezzo pec con la firma digitale. Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, sentenza 615/2017.

Il parallelismo è ardito e chiediamo scusa, ma rende l’idea.

L’evoluzione dei mezzi di comunicazione ha consentito di snellire e velocizzare le procedure per raggiungere le persone.

notifica tramite mail

Prima a recapitare una lettera ci pensava solo il postino, ora basta un click ed il gioco è fatto.

La speditezza delle nuove tecnologie talora si scontra con la pesantezza della burocrazia e contro schemi monolitici difficili da scalfire.

Alcuni paletti, tuttavia, debbono essere mantenuti: pena l’incertezza dei rapporti che conseguono a comunicazioni solamente virtuali.

Tra questi capisaldi un ruolo basilare lo riveste la sottoscrizione dei documenti che si recapitano.

Come una volta era impensabile che un provvedimento o una qualsiasi determinazione non fossero vergati da chi li avesse emanati, per attestare – fino a querela di falso – la paternità dell’atto recapitato, anche oggi è indispensabile poter risalire con certezza all’autore di determinate comunicazioni importanti, che – nel mare magnum delle mail di spam che si ricevono quotidianamente- rischiano di togliere credibilità ed autorevolezza alle nuove metodologie di circolazione delle informazioni.

E’ il caso della notifica di cartella di pagamento tramite pec.

La legge (art 26 DPR 602/1973) consente la notifica della cartella a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta.  

Ebbene, si sono moltiplicati i casi in cui sia stata adottata tale metodologia di notifica, ma che la pec non contenesse l’originale dell’atto emesso, ma solo una copia, in semplice formato pdf, priva di firma elettronica digitale ed attestazione di conformità.

Ne sono conseguite impugnazioni e le prime sentenze non hanno tardato a mettere in chiaro le cose.

Una recente pronuncia della Commissione Tributaria di Vicenza, (n. 615/2017) allineandosi su altre sentenze del medesimo tenore statuite da differenti uffici giudiziari (CTP Milano n. 1023/2017; CTP Savona n. 200/2017 e, successiva, CTP Treviso n 55/2018) ha posto rilievo sul fatto che in base al Codice dell’Amministrazione Digitale (DPR 82/2005) iI documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale soddisfa il requisito legale della forma scritta se formato nel rispetto di apposite regole tecniche che garantiscano l’identificabilita’ dell’autore e l’integrita’ del documento.

firma digitale
notifica di cartella di pagamento tramite pec: necessaria la sottoscrizione tramite firma certificata per garantire l’originalità del documento e la paternità dell’estensore

A parere della Commissione “la notificazione per posta elettronica certificata della cartella di pagamento in formato pdf, senza l’estensione pdf7” ossia quella conseguente all’avvenuta sottoscrizione con firma certificata del documento “ non sia valida e di conseguenza rende illegittime le cartelle impugnate, allegate alla pec, in tale formato”.

La certificazione della firma, inserita nella cd “busta crittografica” che contiene al suo interno il documento originale, garantisce “da un lato l’integrità ed immodificabilità del documento informatico e, dall’altro, quanto alla firma digitale, l’identificabilità del suo autore e, conseguentemente, la paternità dell’atto”.

Siamo sicuri che l’Agenzia delle Entrate correrà ai ripari per ovviare a tale procedura ritenuta non corretta, ma siamo altrettanto sicuri, in attesa di verificare l’evoluzione della giurisprudenza in merito, che la conoscenza di queste statuizioni sarà utile a chi abbia ricevuto in questi giorni una cartella di pagamento notificata secondo tale modalità, censurata dalle preposte autorità giudiziarie.

Per una consulenza in materia di impugnazione della cartella di pagamento notificata a mezzo pec da parte degli avvocati Berto, clicca qui.

Studio Legale Berto: Avvocati a Vicenza

Avvocati a Vicenza, cosa significa?

Vicenza è storicamente una città laboriosa, di valori, di idee.avvocati a vicenza

E’ noto come la provincia veneta abbia costituito – e sia ancora – un traino per l’economia italiana.

Purtroppo, negli ultimi anni, la crisi ha toccato pesantemente le tasche e le risorse della nostra popolazione.

Non la speranza.

Non la voglia di mettersi in discussione e ripartire.

I professionisti del territorio debbono saper mantenere la relazione e l’equilibrio tra la migliore tradizione di questa terra e le mutate condizioni economiche e di mercato.

Ecco perché essere avvocati a Vicenza significa, prima di tutto, ascoltare e capire le esigenze e le aspettative della clientela.

Scegliere se tenere la massima fermezza e lottare nell’agone giudiziario oppure ricercare strenuamente una dignitosa mediazione, un compromesso tra il risultato migliore ed un costo sostenibile. Financo consigliare di desistere, laddove anche la sentenza più favorevole lascerebbe a mani – e a tasche – vuote il cliente vittorioso.

Avvocati a Vicenza per la famiglia.

avvocati a Vicenza famigliaEssere avvocati a Vicenza significa saper leggere la crisi anche in ambiti diversi da quelli imprenditoriali e del mondo del lavoro.

La famiglia, nucleo primo ed insostituibile della nostra popolazione, sta verificando negli ultimi anni nuove e differenti incursioni alla sua stabilità.

Le difficoltà economiche hanno portato i cittadini a mettersi in gioco, cercando lavoro fuori città, anche all’estero, o declinando gli ambiti di competenza acquisiti, nella ricerca di nuove risorse, di nuovi spazi di inserimento.

La famiglia ha cominciato,così, ad essere considerata un ostacolo per il mondo del lavoro, un freno agli svariati impegni che condizionano la vita quotidiana della coppia.

Il ruolo della donna: grazie alla presa di coscienza dei propri diritti la figura della donna, prima interamente dedita alla famiglia, ai figli e alla casa, si è sganciata da questi vincoli e la sua presenza all’interno della famiglia si è progressivamente modificata.

I nuovi ruoli acquisiti nel campo sociale, politico ed economico richiedono una revisione degli equilibri sui quali, fino a poco tempo fa, si reggeva la famiglia tradizionale.

E’ noto come facciano fatica a conciliarsi per la donna le legittime aspettative di realizzazione nel mondo del lavoro ed i naturali desideri di maternità, messi troppo spesso in secondo piano e relegati ad ipotesi eventuali e conseguenti ad una piena indipendenza economica e sociale.

avvocati vicenza specializzati in diritto di famigliaEd i nonni? Santi nonni. Da figura di appoggio e satellitare alla nuova famiglia costituita, sono diventati elementi imprescindibili per consentire alle giovani – ed anche non più giovani – coppie di poter materialmente lavorare e gestire gli ambiti basilari della propria giornata, tramite supporti economici di vario genere – per la casa, per l’attività, per far fronte ai debiti – e servizi che definire di babysitteraggio significherebbe simulare il ruolo preponderante e di primo piano che hanno acquisito per l’educazione e la cura dei nipoti.

I giovani

A questa situazione di work in progress si riallaccia il comportamento dei giovani, che non avendo figure di riferimento salde all’interno del primo nucleo familiare, le cercano all’esterno, ma così facendo “si estraniano dalla famiglia” facendole perdere sempre più il suo valore e significato originario.

Gli avvocati a Vicenza debbono pertanto saper leggere questa nuova realtà e sapersi porre come mediatori di posizioni meritevoli di tutela, nella ricerca di assemblare nuovi tipi di equilibri, tenendo ben presente che le ripercussioni della crisi familiare, abbinate a quelle della crisi economica, rischiano di spazzar via anche i basilari fondamenti della vita della persona.

Avvocati a Vicenza per il territorio

La provincia di Vicenza è da sempre centro naturale di un territorio caratterizzato da una preziosa diversità di ambienti: la fascia delle Prealpi, i colli Berici, le vallate dell’Agno, le terre bagnate dai fiumi Retrone, Bacchiglione e Brenta.

Ogni area è connotata da problematiche e peculiarità che la contraddistinguono dalle altre.

Le zone di montagna richiedono una particolare attenzione alle questioni riguardanti l’equilibrio tra lo sviluppo sostenibile e la conservazione del patrimonio culturale e ambientale, con i suoi ecosistemi.

Le aree rurali, caratterizzate da un’attività agricola intensiva e medio intensiva, ma progressivamente svuotate di forza lavoro, atteso il progressivo ed irreversibile aumento dell’età media dei coltivatori e la scongiurabile contrazione dei residenti, per la mancanza di una domanda di lavoro adeguata e di servizi alla popolazione.

avvocati vicenza proprietà e diritti realiLe zone urbane, connotate da una maggiore offerta di servizi, attesa la concentrazione, specie nelle aree periferiche, delle attività lavorativa aziendali ed industriali, ma anche da un forte aumento del costo degli immobili e degli affitti che determina una riduzione del numero di residenti e, quindi, marcati fenomeni di pendolarismo dal centro alla periferia verso il centro.

Gli avvocati a Vicenza debbono saper considerare le realtà tipiche di ogni zona e calarsi nella dimensione culturale ed economica locale per poter ascoltare – comprendere – realizzare le aspettative dei clienti.

 

 

Gli avvocati Berto, a Vicenza e fuori Vicenza, offrono consulenza ed assistenza giuridica in ambito del diritto civile, amministrativo, familiare, della proprietà, commerciale, socio-sanitario adeguata al passo dei tempi.

Per un primo contatto o appuntamento con lo Studio Legale Berto, avvocati a Vicenza, clicca qui.

Lo Studio Legale Berto cambia sede

Dopo anni trascorsi all’ombra della Basilica Palladiana, lo Studio Legale Berto cambia sede.
In realtà il trasferimento è pochi metri più in la, sempre lungo la più bella via di Vicenza.
Il nuovo indirizzo è Contrà Porti n. 38.
Per raggiungere l’ufficio basta seguire le indicazioni che si trovano a questo link.
I riferimenti mail e telefonici rimangono gli stessi, eccezion fatta per il fax che avrà questo numero 04441830766.
Nella speranza che l’offerta professionale possa essere sempre più in linea con le esigenze e le aspettative della clientela, gli avvocati dello Studio Legale Berto augurano a tutti una buona ripresa delle attività dopo la pausa estiva.

Vaccini obbligatori: il decreto è legge

Legge vaccini obbligatori: riprendiamo il discorso.

Ci eravamo lasciati – clicca qui per il precedente post –  quando era stato licenziato dal Governo il decreto legge sui vaccini obbligatori: il provvedimento è stato definitivamente approvato dalla Camera ed ora è legge ( DECRETO-LEGGE 7 giugno 2017, n. 73)

Quali – in sintesi – le novità principali?

1. Obbligo per i minori con un’età compresa tra 0 e 16 anni di sottoporsi alle seguenti vaccinazioni : a)  anti-poliomielitica; b)  anti-difterica; c)  anti-tetanica; d)  anti-epatite B; e)  anti-pertosse; f)  anti-Haemophilus influenzae tipo b; g)  anti-meningococcica B; h)  anti-meningococcica C; i)  anti-morbillo; l)  anti-rosolia; m)  anti-parotite; n)  anti-varicella.

numero vaccini obbligatori
il numero di vaccini obbligatori è superiore a quello previgente

Tali immunizzazioni, oltre ad essere obbligatorie, saranno anche gratuite. Chi avvesse naturalmente contratto una delle predette malattie, sarà esonerato dal relativo vaccino, dietro certificazione del medico curante, attestante il positivo decorso e guarigione.

2. Per i genitori che non osservassero tali obblighi vaccinali, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento a euro settemilacinquecento. Attenzione: gli esercenti la responsabilità genitoriale non incorreranno nella sanzione se, una volta richiamati – a seguito di formale contestazione – da parte dell’asl locale ad adempiere agli obblighi di legge, vi provvederanno in tempo utile, ossia entro i limiti di tempo stabiliti per la valida immunizzazione in base all’età del figlio.

3. al momento dell’iscrizione dei figli, rientranti nel range di età sopra indicato, alla scuola  – sia pubblica o paritaria – i genitori dovranno allegare ai dirigenti scolastici idonea documentazione comprovante l’avvenuta vaccinazione nei termini di legge. Per l’anno scolastico 2017/2018, la documentazione deve essere presentata entro il 10 settembre 2017. Tale documentazione potrà essere sostituita da autocertificazione rilasciata dai genitori, attestante l’adempimento. Tuttavia, la sostituzione non sarà a tempo indeterminato, in quanto la documentazione dovrà comunque essere rilasciata entro il 10 luglio dell’anno successivo.

4. Molto importante:  Per i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie, la presentazione della documentazione costituisce requisito di accesso.

vaccini obbligatori scuola infanzia
Vaccini obbligatori: requisito per l’accesso alla scuola per l’infanzia

Per gli altri gradi di istruzione, la presentazione della documentazione non costituisce requisito di accesso alla scuola o agli esami, ma darà luogo alla procedura di contestazione/sanzione di cui abbiamo accennato al punto 2. 5. Non v’è un esplicito riferimento o menzione alla sospensione della responsabilità genitoriale – la vecchia patria potestà – in capo ai genitori inadempienti, ma semplicemente la previsione della segnalazione al Tribunale dei Minorenni per “i provvedimenti di competenza”. Il testo della legga pubblicato in Gazzetta ufficiale clicca qui