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A chi spetta la pensione di reversibilità?

A chi spetta la pensione di reversibilità?

 

Un ringraziamento alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

La pensione ai superstiti, è una prestazione che viene riconosciuta ad alcuni familiari del lavoratore o del pensionato deceduto ed iscritto presso una delle gestioni dell’INPS.


Più precisamente si parla di pensione di reversibilità se l’assicurato era già pensionato al momento del decesso e di pensione indiretta qualora l’assicurato lavorasse ancora al momento del decesso.


La pensione ai superstiti spetta:


-al coniuge anche se legalmente separato mentre se già divorziato avrà diritto solo se beneficiario di un assegno divorzile;


-ai figli sino a 26 anni se studenti universitari, sino a 21 anni, se studenti delle superiori, altrimenti sino alla maggiore età, o senza limiti di età se inabili;

– in mancanza, ai genitori over 65 senza pensione o ai fratelli ed alle sorelle inabili.

Le quote della pensione di reversibilità sono differenti a seconda del numero dei concorrenti: ecco il link dell’Inps che compendia gli importi dovuti.

 

pensione reversibilità
A chi spetta la pensione di reversibilità?

 

Ulteriore requisito affinchè possa essere riconosciuta la pensione di reversibilità ai familiari diversi dal coniuge, è la cd. “vivenza a carico” del defunto che si presume per i figli minori mentre negli altri casi dovrà essere provata.


La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 651 del 15.01.2019, ha chiarito quali siano i criteri per l’accertamento del requisito della “inabilità” richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato.


L’accertamento di tale requisito, infatti, deve essere effettuato in modo concretoossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso, di svolgere attività idonee nel quadro dell’art. 36 Costituzione e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico


Più semplicemente,dovremo parlare di inabilità ogni qualvolta le residue capacità lavorative siano talmente esigue da consentire solo lo svolgimento di operazioni elementari, di “un’attività del tutto priva di produttività, oltre che in perdita economica” esercitata esclusivamente all’interno di strutture protette, con esclusione di qualsiasi apprezzabile fonte di guadagno.

 

pensione superstiti


Quanto al requisito della cd. “vivenza a carico”, sarà sufficiente dimostrare che il genitore abbia integrato il reddito del figlio, perché inidoneo a garantire il suo sostentamento.


La Corte di Cassazione, sez. VI Civile, con l’ordinanza n. 26642 del 17.12.2014  ha precisato, infatti, che la cd. “vivenza a carico” non deve necessariamente tradursi in una forma di convivenza o in una situazione di “totale soggezione finanziaria” da parte del figlio essendo necessario, invece, che il genitore deceduto abbia, in vita, offerto un contributo economico prevalente e decisivo per il mantenimento del figlio superstite.


In pratica, l’accertamento della “vivenza a carico” non risulta legato al solo profilo della coabitazione o della totale soggezione economica, ma anche ad ulteriori elementi quali il mancato svolgimento di attività lavorativa da parte dell’aspirante alla pensione e la risalenza della coabitazione.

 

 

 

 

 

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Rifiuto cure da parte dell’Amministratore di sostegno: ci vuole un potere ad hoc

 

 

La Corte Costituzionale si pronuncia sul tema del rifiuto cure da parte dell’amministratore di sostegno e circoscrive il perimetro dei poteri che gli sono attribuiti dalla legge

 

 

Ringraziamo la Collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

 

Come è noto, la recente legge n. 217/2019 – cd testamento biologico – statuendo che ” nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge“, ha riconosciuto la possibilità per “ogni persona capace di agire” di rifiutare, in tutto o in parte .. qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso“.

In buona sostanza, è possibile rifiutare le cure, anche se siano essenziali per la propria sopravvivenza, purchè tale determinazione sia frutto di una libera e consapevole scelta del disponente, maggiorenne, capace di agire, di intendere e di volere.

 

E chi non sia più pienamente capace?

 

Se in passato abbia manifestato con le D.A.T. (disposizioni anticipate di trattamento) le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, queste determinazioni andranno rispettate ed il medico sarà vincolate ad esse, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte,  qualora  appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.

 

 

Per chi non avesse disposto D.A.T., la legge ha statuito che il consenso o il rifiuto delle cure sia prestato dal rappresentante della persona incapace: il tutore per l’interdetto, colui che eserciti la responsabilità genitoriale per il minore, l’amministratore di sostegno.

Su tale previsione, tuttavia, si è aperta un’intensa discussione, giuridica e morale.

 

Rifiuto cure da parte dell’Amministratore di sostegno

 

Ci si è interrogati se un Amministratore di sostegno, eventualmente investito dal Giudice Tutelare, come spesso avviene, del potere di rappresentanza in materia di prestazione del consenso informato a trattamenti sanitari, potesse spingersi addirittura a rifiutare le cure per il proprio assistito, intervenendo – direttamente o indirettamente – nel percorso clinico e vitale dello stesso.

 

Il Giudice Tutelare di Pavia ha investito della problematica la Corte Costituzionale, sollevando la questione di legittimità della suddetta legge nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la  rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato.

 

 

Nella fattispecie, all’amministratore di sostegno, già nominato circa una decina di anni prima, non era stata attribuita alcuna rappresentanza in ambito sanitario.


Dal momento che il beneficiario si era venuto a trovare successivamente in stato vegetativo, il tribunale di Pavia aveva ritenuto necessario integrare il decreto di nomina, prevedendo anche poteri in ambito sanitario.


Tuttavia, secondo il giudice tutelare, la norma di cui all’art. 3 della legge n. 219/2017, quando stabilisce che l’amministratore di sostegno con potere di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato, verrebbe a violare gli articoli 2, 3, 13, 32 della Costituzione.


In particolare, secondo il Giudice Tutelare, una tale ampia e generica attribuzione di poteri verrebbe ad attribuire all’ADS sostanzialmente “il potere di decidere della vita e della morte dell’amministrato”, senza alcun sindacato da parte dell’autorità giudiziaria.

 

 


Il rifiuto delle cure deve corrispondere alla volontà dell’interessato e dei suoi orientamenti esistenziali: l’amministratore non deve decidere né al posto dell’incapace, né per l’incapace, perché rifiutare le cure è un diritto personalissimo.


Quindi, o la decisione sul rifiuto delle cure risulti dalle DAT o, in mancanza, dovrà essere ricostruita la volontà dell’incapace, mediante indici sintomatici, di elementi presuntivi, o con l’audizione di conoscenti dell’interessato o strumenti di altra natura.


Secondo la Corte Costituzionale si tratta di un presupposto interpretativo erroneo.


Come abbiamo avuto già modo di affermare, (post) l’amministrazione di sostegno è un istituto “duttile, suscettibile di essere plasmato dal giudice sulla necessità del beneficiario” ed avente ad oggetto “le sole categorie di atti al cui compimento l’amministratore sia ritenuto idoneo”.


Del resto l’amministrazione di sostegno, a differenza dell’interdizione e dell’inabilitazione, si propone di “limitare nella minore misura possibile la capacità di agire della persona”.


Alla luce di tali precisazioni, si può affermare che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, le norme censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale.


Nella logica del sistema dell’amministrazione di sostegno, è il giudice tutelare che, con il decreto di nomina, individua l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario.


Spetta al giudice, quindi, il compito di individuare e circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, nell’ottica di apprestare misure volte a garantire la migliore tutela della salute del beneficiario, tenendone pur sempre in conto la volontà, come espressamente prevede l’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017.

 

Rifiuto cure da parte dell’amministratore di sostegno: deve essere investito di specifico potere dal Giudice Tutelare

 

 


Le misure di tutela, quindi, non possono non essere dettate in base alle circostanze del caso di specie e, dunque, alla luce delle concrete condizioni di salute del beneficiario, dovendo il giudice tutelare affidare all’amministratore di sostegno poteri volti a prendersi cura del disabile, più o meno ampi in considerazione dello stato di salute in cui, al momento del conferimento dei poteri, questi versa.


La specifica valutazione del quadro clinico della persona, nell’ottica dell’attribuzione all’amministratore di poteri in ambito sanitario, tanto più deve essere effettuata allorché, in ragione della patologia riscontrata, potrebbe manifestarsi l’esigenza di prestare il consenso o il diniego a trattamenti sanitari di sostegno vitale: in tali casi, infatti, viene a incidersi profondamente su “diritti soggettivi personalissimi”, sicché la decisione del giudice circa il conferimento o no del potere di rifiutare tali cure non può non essere presa alla luce delle circostanze concrete, con riguardo allo stato di salute della persona con disabilità in quel dato momento considerato.


La ratio dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, pertanto, richiede al giudice tutelare di modellare, anche in ambito sanitario, i poteri dell’amministratore sulle necessità concrete del beneficiario, stabilendone volta a volta l’estensione nel solo interesse del disabile.


L’adattamento dell’amministrazione di sostegno alle esigenze di ciascun beneficiario è, poi, ulteriormente garantito dalla possibilità di modificare i poteri conferiti all’amministratore anche in un momento successivo alla nomina, tenendo conto, ove mutassero le condizioni di salute, delle sopravvenute esigenze del beneficiario.


La Corte Costituzionale conclude arrivando a negare che il conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita.


Le norme censurate, infatti, si limitano a disciplinare il caso in cui l’amministratore di sostegno abbia ricevuto anche tale potere: spetta al giudice tutelare, tuttavia, attribuirglielo in occasione della nomina – laddove in concreto già ne ricorra l’esigenza, perché le condizioni di salute del beneficiario sono tali da rendere necessaria una decisione sul prestare o no il consenso a trattamenti sanitari di sostegno vitale – o successivamente, allorché il decorso della patologia del beneficiario specificamente lo richieda.

 

La sentenza della Corte Costituzionale  n. 144 del 13.06.2019

 

 

 

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Esclusione capacità testamentaria del beneficiario di amministratore di sostegno

E’ legittimo un provvedimento di esclusione della capacità testamentaria del beneficiario di amministratore di sostegno?

Ringraziamo per il contributo la Collega Stefania Cerasoli.

Il giudice tutelare del Tribunale di Ravenna aveva disposto, nel decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno in favore di B.E., le limitazioni e i divieti previsti dal codice civile nei confronti degli interdetti con riguardo alla capacità di donare e di testare.

Il beneficiario proponeva reclamo che veniva respinto e del caso veniva, quindi, investita la Corte di Cassazione.


In particolare, secondo il ricorrente tale limitazione costituiva violazione degli artt. 407 e 411 c.c., secondo i quali sarebbe esclusa la possibilità di estendere d’ufficio al beneficiario dell’amministrazione di sostegno le misure dettate per l’interdetto e per l’inabilitato.


Una siffatta estensione, difatti, avrebbe comportato – secondo il ricorrente – lo snaturamento della funzione protettiva dell’istituto, tendenzialmente volto alla conservazione della capacità di agire.


La censura è stata tuttavia respinta dalla Suprema Corte, secondo cui la ratio dell’amministrazione di sostegno deve essere individuata nell’esigenza di offrire, a chi si trovi nell’impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi, uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità d’agire.

divieto testamento amministratore di sostegno
Esclusione capacità testamentaria del beneficiario di amministratore di sostegno: sì se è a protezione degli interessi del soggetto tutelato


Del resto, è noto come la misura dell’amministrazione di sostegno sia caratterizzata da una maggiore flessibilità rispetto agli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, in quanto maggiormente idonea ad adeguarsi alle specifiche esigenze del soggetto protetto e rispetto alle quali se ne determina l’ambito di applicazione.
Per cui nell’escludere la possibilità di estendere in via analogica al beneficiario dell’amministrazione di sostegno l’incapacità prevista dall’art. 591 comma 2 c.c. per l’interdetto, occorre tuttavia ammettere che il giudice tutelare possa imporre al beneficiario, mediante il provvedimento di nomina dell’amministratore o successivamente, una limitazione della capacità di testare o di fare donazioni laddove “le condizioni psicofisiche dell’interessato appaiano compromesse in misura tale da indurre a ritenere che egli non sia in grado di esprimere una libera e consapevole volontà testamentaria.


E’ difatti vero che, “in presenza di situazioni di eccezionale gravità, tali da indurre a ritenere che il processo di formazione e manifestazione della volontà possa andare incontro a turbamenti per l’incidenza di fattori endogeni o esterni, l’esclusione a priori della capacità di testare o donare può rivelarsi uno strumento di tutela efficace non solo nell’interesse di coloro che aspirano alla successione, ma anche dello stesso beneficiario, potenzialmente esposto a pressioni e condizionamenti.”

donazione amministratore di sostegno

Ad opinione dello scrivente, va sottolineata l’eccezionalità della limitazione: non è possibile parlare, infatti, di tutela di interessi successori in capo ai potenziali eredi.
Il soggetto da tutelare con la misura in esame è sempre e solo il beneficiario di amministratore di sostegno.

Gli eredi che dovessero essere lesi da disposizioni testamentarie viziate da incapacità mentale potranno sempre far ricorso alle ordinarie e specifiche azioni loro riconosciute dalla legge in materia (art 591 cc).

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 12460 del 21.05.2018

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Se l’anziano rifiuta di entrare in casa di riposo l’amministratore di sostegno puo’ imporglielo?

Anziano rifiuta di entrare in casa di riposo:che poteri ha l’ads?

Con decreto del 28.03.2018, il Giudice Tutelare del Tribunale di Vercelli ha ritenuto ammissibile, fra i poteri riconosciuti all’amministratore di sostegno, quello di prestazione del consenso volto all’inserimento del beneficiario in un luogo di cura e questo nonostante il dissenso dal medesimo espresso e senza che sia necessaria una pronuncia d’interdizione.

Anziano si rifiuta di entrare in casa di riposo. Il bisogno non può non trovare risposta

La vicenda riguardava un’anziana signora, affetta da demenza senile e priva di un benché minimo sostegno affettivo-familiare, per la quale era stata disposta la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno.

Il Giudice Tutelare, nel corso di una visita all’anziana, aveva avuto modo di accertare  “la gravissima condizione di precarietà, fragilità ed asservimento della beneficiaria” la quale, pur in possesso di un cospicuo patrimonio, veniva fatta vivere in un appartamentino di servizio rispetto a quella che era la sua abitazione “storica” e di cui era proprietaria a titolo esclusivo e, di fatto, occupata sine titulo dalla “nuora”.

Non solo.

L’anziana, di fatto, viveva segregata in casa, in un’abitazione priva di strumenti di sostegno per persone con ridotta mobilità e senza alcuna possibilità di chiedere aiuto.

La fragilità delle sue condizioni la portavano, inoltre, ad esporsi ingenuamente ed acriticamente a qualunque richiesta di terzi.

Il Giudice Tutelare del Tribunale di Vercelli ha ritenuto di dover dare immediata risposta all’esigenza di tutela dell’anziana attraverso il celere inserimento della stessa in una RSA.

Tale operazione è stata ritenuta del tutto lecita ed ammissibile indipendentemente dal dissenso della beneficiaria.

Come noto, infatti, “la scelta della nomina dell’amministratore di sostegno s’impone laddove la riluttanza della persona fragile si fondi su un senso di orgoglio ingiustificato con il rischio di non dare un’adeguata tutela ai suoi interessi” e soprattutto laddove la volontà della persona non sarebbe in realtà autonoma e consapevole espressione dei propri desideri e interessi, ma soltanto condizionata dalla grave patologia in atto (cfr. Cass. Sez. I, n. 22602/2017)

In caso contrario i poteri dell’amministratore di sostegno sarebbero praticamente inutili, così vanificata la funzione concretamente protettiva della persona, non più autonomamente capace di comprendere cosa sia meglio per sé e per la propria incolumità.

 

 

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No all’amministratore di sostegno se la prodigalità non dipende da deficit mentali

Vivere al di sopra delle proprie possibilità non è sufficiente per la nomina di amministratore di sostegno.

 

Bacco, tabacco e venere riducono l’uomo in cenere.

Il vecchio adagio è valido per ogni epoca, anche se sono sempre più coloro i quali sostengano che sia proprio l’assenza di tali passioni a sortire gli stessi effetti. Ma non è questo il punto.

Può una “vita di eccessi“, alla ricerca della felicità tramite “viaggi, serate, donne“, legittimare la nomina di un amministratore di sostegno per chi – a tal fine – impieghi molto più denaro di quello che sarebbe consigliato spendere?

Può la prodigalità di per se’ sola determinare il ricorso ad una tutela per chi ne sia “affetto”?

Il Gudice Tutelare di Modena risponde negativamente.

Più di preciso: il nostro legislatore ha inteso prevedere il menzionato beneficio per coloro i quali siano affetti (tra l’altro) da “infermità o menomazione psichica“.

 

amministratore di sostegno vicenza
Diritto di sperperare: in assenza di deficit psichico da arginare, il giudice non può intervenire

La semplice inclinazione a spendere, sia pur in ecceso e ben oltre la propria capacità reddituale e tenore di vita, non può legittimare il ricorso all’istituto di protezione in difetto di alcun connotato di alterazione psico fisica.

Diversamente argomentando si aprirebbe la strada ad una concezione paternalistica del Giudice Tutelare, volta a conferirgli compiti educativi o volti ad emendare errori e danni frutto di scelte consapevoli del soggetto che le abbia poste in essere.

Tale impostazione sarebbe, altresì, contraria alla “prospettiva costituzionalmente orientata alla protezione della dignità e libertà umana in tutte le sue forme e manifestazioni, anche in quella di sperpero“.

Di qui la considerazione che “il comportamento prodigale di consapevole dilapidazione del proprio patrimonio, rientra in una sfera di libertà dell’uomo che l’ordinamento non può e non deve comprimere, pena la riemersione di una concezione dello stato etico“.

In conclusione, come ebbe modo di rilevare Mahatma Gandhi “Non vale la pena avere la libertà se questo non implica avere la libertà di sbagliare“.

L’ordinanza del Tribunale di Modena 3 novembre 2017 

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Amministrazione di sostegno e cure mediche

Amministrazione di sostegno e cure mediche.

amministratore di sostegno e cure mediche
Amministrazione di sostegno e cure mediche, cosa può fare?

Nel nostro ordinamento giuridico la salute è riconosciuta come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività.
Paritetico ed altrettanto inviolabile è il diritto alla liberta personale, tanto che nessuno può essere sottoposto senza volerlo a trattamento sanitario, se non nei casi previsti dalla legge.
Entra allora in gioco il concetto di consenso informato, ossia il diritto riconosciuto ad ogni persona di ricevere innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento sanitario e sulle sue conseguenze e i suoi rischi.
Alla stregua di tale informazione, la persona interessata potrà prestare il proprio consenso al trattamento ed in qualsiasi momento, liberamente, ritirare tale assenso.

Ovviamente la manifestazione del consenso deve essere legata ad una capacità del soggetto a determinarsi.

Fatto salvo, sempre e comunque, l’obbligo di coinvolgimento ed informazione di qualsiasi soggetto incapace nella procedura sanitaria a cui deve essere sottoposto, allorquando esso non abbia la capacità di dare consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge (Convenzione di Oviedo).

Il nostro ordinamento prevede alcune misure di protezione di soggetti privi in tutto o in parte di autonomia.
Tra queste, oltre a interdizione ed inabilitazione, vi è l’amministrazione di sostegno.
Quindi vi è l’amministratore di sostegno anche per le cure mediche.
Tale assitenza può essere riconosciuta a chi, per infermità, menomazione psichica o fisica, si trovi nell’impossibilità, anche temporanea o parziale, di provvedere ai propri interessi.

La figura dell’amministratore di sostegno non ha incarichi tassativamente e preventivamente fissati dalla legge, ma saranno di volta in volta individuati dal Giudice Tutelare, caso per caso, come un “abito su misura”.
Tra questi poteri può sussistere quello di prestare il consenso informato al trattamento sanitario: quello, cioè, senza il quale, un soggetto non in grado di determinarsi validamente non può essere sottoposto ad interventi sulla sua persona (fatte salve ipotesi attinenti allo stato di necessità, di cui non trattiamo in questa sede).

A donor is wheeled to an operating room
L’amministratore di sostegno deve sempre agire nell’interesse del beneficiario anche per le cure mediche

Più arresti giurisprudenziali hanno confermato la validità di tale tipo di consenso manifestato dall’amministratore di sostegno, se investito di preciso potere.
Anzi.
Una recente pronuncia del Tribunale di Modena sull’amministratore di sostegno e cure mediche, ha statuito che “quando il paziente difetta di capacità di autodeterminazione, non essendo possibile porre in essere atti costrittivi del suo volere, se non nei limiti di legittimità di un eventuale t.s.o., la dimissione ospedaliera ed il trasferimento in altro luogo di cura possono essere disposti unicamente da un sostituto/rappresentante legittimamente nominato” dal giudice tutelare, nella specie dall’amministratore di sostegno.
Si ricordi: la decisione di quest’ultimo dovrà essere presa nell’esclusivo interesse del beneficiario e tenendo sempre in assoluto conto dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni.

La pronuncia: Trib. Modena Sez. II, 18/03/2016

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