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Aumento assegno di invalidità? la Corte Costituzionale lancia un messaggio.

Aumento assegno di invalidità: l’attuale importo è inadeguato per la tutela di diritti di rango costituzionale.

 

 

Un ringraziamento alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

La Corte Costituzionale, nella camera di consiglio del 23.06.2020, esaminando una questione di legittimità costituzionale evidenziata dal Corte di Appello di Torino, ha stabilito che l’assegno di invalidità che, come noto, ha un importo pari ad Euro 285,66, è manifestamente inadeguato a garantire alle persone totalmente inabili al lavoro i mezzi necessari per vivere.

 

Secondo la Consulta, quindi, l’importo viene a violare il diritto riconosciuto dall’articolo 38 della Costituzione, secondo cui “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.

 

aumento-invalidità-civile

 

Era stata la Corte di Appello di Torino, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 240 del 03.06.2019,  nel pronunciarsi sul ricorso presentato nell’interesse di una persona affetta da tetraplegia spastica neonatale, incapace di svolgere i più elementari atti quotidiani della vita e di comunicare con l’esterno a definire l’importo della pensione di invalidità “insufficiente a garantire il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita”.

 

In particolare, secondo la Corte di Appello, era ravvisabile un contrasto con il contenuto dell’articolo 3 della Costituzione, per “violazione del principio di uguaglianza, ponendo a confronto l’importo della pensione di inabilità, corrisposta agli inabili a lavoro di età compresa tra i 18 e i 65 anni, e l’importo dell’assegno sociale corrisposto ai cittadini di età superiore a 66 anni in possesso di determinati requisiti reddituali, meno favorevoli di quelli di riferimento per il riconoscimento della pensione di inabilità”.

 

Inoltre, un contrasto veniva rilevato anche nei confronti degli articoli 4 e 28 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità stipulata a New York il 13 dicembre 2006, resa esecutiva in Italia con legge n. 18/2009, nonché con gli articoli 26 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea richiamata dall’art.6 del Trattato di Lisbona.

Tra ricorso e sentenze, nell’ultima ordinanza del 03.06.2020, la Corte di Appello ha deciso di sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla decisione della Consulta.


La Corte Costituzionale, come detto, ha evidenziato come 285,66 euro non siano sufficienti a soddisfare i bisogni primari della vita determinando una violazione del diritto al mantenimento, che la Costituzione all’articolo 38 riconosce agli inabili.

 

Non solo.

 

Viene anche ritenuto ingiusto che l’invalido civile riceva meno benefici rispetto a quanto riconosciuto economicamente ai destinatari dell’assegno sociale, avendo il giudice stabilito la sostanziale similitudine tra le due condizioni.

 

Di conseguenza, il cosiddetto “Incremento al milione” (pari agli attuali 516,46 euro) da tempo riconosciuto, per vari trattamenti pensionistici, dall’articolo 38 della legge n. 448 del 2011,deve essere assicurato agli invalidi civili totali, di cui alla Legge n. 118/1971, art. 12, I comma, senza attendere il raggiungimento del sessantesimo anno di età, attualmente previsto dalla legge.

 

aumento assegno di invalidità: l’attuale importo è insufficiente a garantire la tutela del diritto al mantenimento

 

Questo aumento dovrà d’ora in poi essere garantito (dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza e , quindi, senza effetto retroattivo) a tutti gli invalidi civili totali che abbiano compiuto i 18 anni e che non godano, in particolare, di redditi su base annua pari o superiori a 6.713,98 euro.

 

E’ una goccia nel mare, certo. Ma sappiamo che il mare è composto da tante gocce: un buon inizio, la strada è ancora lunga.

 

 

 

 

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A chi spetta la pensione di reversibilità?

A chi spetta la pensione di reversibilità?

 

Un ringraziamento alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

La pensione ai superstiti, è una prestazione che viene riconosciuta ad alcuni familiari del lavoratore o del pensionato deceduto ed iscritto presso una delle gestioni dell’INPS.


Più precisamente si parla di pensione di reversibilità se l’assicurato era già pensionato al momento del decesso e di pensione indiretta qualora l’assicurato lavorasse ancora al momento del decesso.


La pensione ai superstiti spetta:


-al coniuge anche se legalmente separato mentre se già divorziato avrà diritto solo se beneficiario di un assegno divorzile;


-ai figli sino a 26 anni se studenti universitari, sino a 21 anni, se studenti delle superiori, altrimenti sino alla maggiore età, o senza limiti di età se inabili;

– in mancanza, ai genitori over 65 senza pensione o ai fratelli ed alle sorelle inabili.

Le quote della pensione di reversibilità sono differenti a seconda del numero dei concorrenti: ecco il link dell’Inps che compendia gli importi dovuti.

 

pensione reversibilità
A chi spetta la pensione di reversibilità?

 

Ulteriore requisito affinchè possa essere riconosciuta la pensione di reversibilità ai familiari diversi dal coniuge, è la cd. “vivenza a carico” del defunto che si presume per i figli minori mentre negli altri casi dovrà essere provata.


La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 651 del 15.01.2019, ha chiarito quali siano i criteri per l’accertamento del requisito della “inabilità” richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato.


L’accertamento di tale requisito, infatti, deve essere effettuato in modo concretoossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso, di svolgere attività idonee nel quadro dell’art. 36 Costituzione e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico


Più semplicemente,dovremo parlare di inabilità ogni qualvolta le residue capacità lavorative siano talmente esigue da consentire solo lo svolgimento di operazioni elementari, di “un’attività del tutto priva di produttività, oltre che in perdita economica” esercitata esclusivamente all’interno di strutture protette, con esclusione di qualsiasi apprezzabile fonte di guadagno.

 

pensione superstiti


Quanto al requisito della cd. “vivenza a carico”, sarà sufficiente dimostrare che il genitore abbia integrato il reddito del figlio, perché inidoneo a garantire il suo sostentamento.


La Corte di Cassazione, sez. VI Civile, con l’ordinanza n. 26642 del 17.12.2014  ha precisato, infatti, che la cd. “vivenza a carico” non deve necessariamente tradursi in una forma di convivenza o in una situazione di “totale soggezione finanziaria” da parte del figlio essendo necessario, invece, che il genitore deceduto abbia, in vita, offerto un contributo economico prevalente e decisivo per il mantenimento del figlio superstite.


In pratica, l’accertamento della “vivenza a carico” non risulta legato al solo profilo della coabitazione o della totale soggezione economica, ma anche ad ulteriori elementi quali il mancato svolgimento di attività lavorativa da parte dell’aspirante alla pensione e la risalenza della coabitazione.

 

 

 

 

 

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Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità

Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità

Ringraziamo la collega Avv. Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità, disciplinato dal D.lgs. 26.03.2001 n. 151, art. 42 ss.mm., consiste nella possibilità di astenersi dal lavoro, per un periodo massimo di due anni nell’intera vita lavorativa, per i familiari, appunto, di una persona con disabilità.

L’ordine di priorità è: coniuge o parte dell’unione civile, genitori, figli, fratelli e sorelle. Rimane ferma la condizione dell’assenza di ricovero con le eccezioni che vedremo in seguito.

Tale astensione è frazionabile anche a giorni (non a ore) ed è retribuita con un’indennità che corrisponde alle voci fisse e continuative dell’ultimo stipendio dando diritto all’accredito dei contributi figurativi ai fini pensionistici.

Nell’ordine il congedo straordinario spetta: al coniuge, ai genitori, ai figli, ai fratelli e sorelle, ad altri parenti e affini, conviventi, sino al terzo grado (nel caso in cui siano assenti, o in una situazione giuridica assimilabile all’assenza, i familiari più prossimi).

 

congedo straordinario

Il requisito della convivenza è necessario qualora a richiedere il congedo siano: il coniuge,la parte dell’unione civile, i figli, i fratelli/sorelle o i parenti/affini entro il terzo grado del disabile grave.

Ove per convivenza si intende, in via esclusiva, la residenza, ritenendo a tale fine sufficiente anche la residenza nel medesimo stabile, stesso numero civico, anche se non nello stesso interno.

Preme evidenziare che il congedo straordinario spetta al genitore anche nel caso in cui l’altro genitore non ne abbia diritto, ad esempio perché lavoratore autonomo.

Resta inteso che, qualora entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti, il congedo spetterà in via alternativa alla madre o al padre. Infatti, la persona con disabilità non potrà essere assistita contemporaneamente o in momenti diversi dai due genitori lavoratori essendo concessi, per ogni persona con disabilità, solo due anni di congedo complessivi nell’arco dell’intera vita lavorativa.

Quindi, per intenderci, due lavoratori dipendenti, figli di una persona con disabilità, non potranno usufruire di due anni d’assenza ciascuno per assistere lo stesso genitore ma solo ed unicamente di due anni in totale, fermo restando che i due anni sono da intendersi come massimo utilizzabile, per ciascun dipendente, nell’intero arco della vita lavorativa.

 

assistenza familiare disabile
Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità

Così come, nel caso in cui entrambi i genitori siano in situazione di disabilità grave, lo stesso lavoratore non potrà usufruire di un “raddoppio”: un ulteriore periodo biennale per l’altro genitore in situazione di disabilità grave è ipotizzabile solo per l’altro figlio (o familiare), con decurtazione di eventuali periodi da lui utilizzati a titolo di permessi per gravi e documentati problemi familiari.

Peraltro, il congedo straordinario, così come avviene per i permessi Legge 104, è riconosciuto a un solo lavoratore per l’assistenza alla stessa persona con handicap grave.

Di conseguenza, se esiste già un referente unico titolare di permessi per l’assistenza al disabile, un eventuale periodo di congedo straordinario può essere autorizzato solo in favore dello stesso referente (salvo limitate eccezioni).

Ulteriore presupposto per il riconoscimento del congedo straordinari è la mancanza di ricovero a tempo pieno (quindi per tutte le 24 ore) del familiare in situazione di disabilità grave.

In tal caso è evidente la non necessità del beneficio, essendo il proprio caro seguito per l’intero arco della giornata.

 

 

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Congedo straordinario per assistenza a genitore non convivente?

Congedo straordinario per assistenza a genitore non convivente: costituzionalmente illegittima la norma che lo preclude

Anche il figlio non convivente può godere del congedo straordinario
per assistere il genitore malato.

a cura dell’ Avv. Stefania Cerasoli

Un agente penitenziario aveva chiesto di poter usufruire del congedo straordinario retribuito per poter assistere il padre gravemente malato ai sensi dell’art. 42 del D.lgs. 26.03.2001 n. 151Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53

Il Ministero della giustizia, dopo avere riscontrato che il lavoratore e il genitore da assistere non convivevano, rigettava l’istanza.


L’agente presentava, quindi, ricorso avanti il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione III, che sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del D.lgs. 26.03.2001 n. 151, nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo straordinario per l’assistenza a genitore con handicap in situazione di gravità accertata, la preesistente convivenza dei figli con il soggetto da assistere.


In particolare, secondo il Tribunale lombardo, in questo modo si verrebbe a violare “il combinato disposto di cui agli artt. 2, 29 e 32 della Costituzione” che affida a ogni componente della famiglia il compito di assistere il familiare in condizione di disabilità. Al “dovere di solidarietà, che vincola comunitariamente ogni congiunto” corrisponde il “il diritto del singolo di provvedere all’assistenza materiale e morale degli altri membri, ed in particolare di quelli più deboli e non autosufficienti, secondo le proprie infungibili capacità”.

congedo parentale non convivente


La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 232 del 7 dicembre 2018, in primo luogo evidenzia come il requisito della convivenza ex ante, inteso come criterio prioritario per l’identificazione dei beneficiari del congedo straordinario per l’assistenza a genitore con handicap in situazione di gravità accertata, si riveli idoneo a garantire, in linea tendenziale, il miglior interesse del familiare con disabilità.


La stessa Corte, però, afferma che tale presupposto non può assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico.


Tale preclusione è illegittima in quanto sacrifica in maniera irragionevole e sproporzionata l’effettività dell’assistenza e dell’integrazione del disabile nell’ambito della famiglia.


In altre parole, porre la preesistente convivenza come “prerequisito” indispensabile per il godimento del beneficio determinerebbe “una visione statica e presuntiva dell’organizzazione familiare, che può rivelarsi incompatibile con la necessità di prendersi cura, dall’oggi al domani, di una persona divenuta gravemente disabile”.


Secondo la Corte, inoltre, tale visione risulterebbe anche non coerente con il “moderno dispiegarsi dell’esistenza umana”.


Le necessità che conducono i figli ad allontanarsi dal nucleo familiare di origine non possono “costituire ostacolo alla concreta attuazione dell’inderogabile principio solidaristico di cui all’art. 2 Costituzione” giacché è proprio l’assenza di convivenza a imporre al figlio “di richiedere il congedo straordinario, non avendo altro modo di prestare assistenza continuativa al genitore disabile che si trovi nella situazione di non avere nessun altro famigliare in grado di fornire adeguato sostegno”.


La disposizione censurata, inoltre, nel subordinare la concessione del congedo straordinario al requisito della convivenza, si porrebbe «in contrasto con il combinato disposto di cui agli artt. 2 e 3 Costituzione».

congedo assistenza genitore non autosufficiente
Congedo straordinario per assistenza a genitore non convivente: illegittima l’esclusione. 

La normativa in esame, infatti, verrebbe a richiedere un “requisito ulteriore rispetto a quanto previsto dalla disciplina di altri istituti aventi la medesima finalità assistenziale” come i permessi disciplinati dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che prescindono dal presupposto della convivenza.


Sarebbe irragionevole una disciplina difforme “di istituti preordinati alla tutela dei medesimi valori costituzionali, attuati attraverso il medesimo strumento solidaristico della famiglia” e tale irragionevolezza sarebbe palese nel caso di specie, che vede il ricorrente, pur beneficiario dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, escluso dal congedo straordinario in ragione della mancanza di una convivenza preesistente.


Alla luce di queste considerazioni, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma V, del D.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non annovera tra i beneficiari del congedo straordinario ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.

Interessante è, infine, la considerazione che la Corte costituzionale fa nella parte finale della sentenza.


Nella disciplina di sostegno alle famiglie che si prendono cura del familiare con disabilità convergono non soltanto i valori della solidarietà familiare, ma anche “un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale” e impongono l’interrelazione e l’integrazionetra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela”.
Il tutto in linea:
con la Carta sociale europea che, all’art. 15, garantisce alla persona con disabilità “l’effettivo esercizio del diritto all’autonomia, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità”;
-con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, all’art. 26, “tutela il diritto delle persone -con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”;
-con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità che, nel preambolo, prescrive di assicurare alle famiglie, “nucleo naturale e fondamentale della società”, la protezione e l’assistenza indispensabili per “contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità”.

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Congedo straordinario per assistenza a genitore non convivente

Fare la spesa durante il permesso 104? Se è per assistenza è legittima

E’ possibile fare la spesa durante il permesso 104? se è un mezzo per prestare assistenza a persone con disabilità è legittima.

Un grazie alla collega Stefania Cerasoli per il contributo.

Guido era stato licenziato in quanto, a dire della società datrice di lavoro, aveva utilizzato i permessi di cui alla legge 104/1992 per fini i estranei all’assistenza dei parenti disabili.
Si precisa che Guido usufruiva di tali permessi per assistere la madre e la sorella entrambe in condizioni di handicap grave ex art. 3, comma III, Legge 104/1992.
In particolare, al lavoratore era stato contestato di essersi recato a fare la spesa, che poi aveva portato a casa della madre e della sorella. Il tutto durante l’orario del permesso.

permessi 104 assistenza
fare la spesa durante il permesso104? anche questa è assistenza, se fatta per la persona con disabilità

Il provvedimento, tuttavia, era stato dichiarato illegittimo sia in primo che in secondo grado.

In particolare, secondo la Corte di merito, l’assistenza prevista dalla normativa “non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che il predetto non sia in condizioni di compiere autonomamente, dovendosi configurare l’abuso del diritto ove il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza, da intendere in senso ampio, in favore del familiare”.

Il caso è stato, quindi, portato all’attenzione della Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 23891 del 31.05.2018, ha ritenuto corretto il ragionamento operato dai giudici che l’hanno preceduta e pertanto la legittimità del fare la spesa durante il permesso 104, per fini assistenziali.

Gli Ermellini della Sezione lavoro hanno infatti escluso che si trattasse di una finalizzazione a scopi personali delle ore di permesso da parte del lavoratore. In sede di merito la condotta contestata era stata correttamente ricondotta, in base alle prove raccolte, a specifici interessi e utilità dei congiunti assistiti.

In particolare, in sede istruttoria era stata esclusa la finalizzazione a scopi personali delle ore di permesso di cui il lavoratore aveva usufruito avendo ricollegato, in base alle prove raccolte, “le attività poste in essere dal predetto, come il fare la spesa, l’usare lo sportello Postamat, incontrare il geometra e l’architetto, a specifici interessi ed utilità dei congiunti in tal modo assistiti

abuso permessi 104
Interessante è, inoltre, il passaggio in cui la Corte di Cassazione, evidenzia il disvalore sociale della condotta del lavoratore che usufruisce, anche solo in parte, di permessi per l’assistenza a portatori di handicap al fine di soddisfare proprie esigenze personaliscaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa

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Permessi 104: sì anche per assistere la persona con disabilità nelle visite extra struttura

Permessi 104: non sono riconosciuti se il soggetto con disabilità sia già assistito a tempo pieno in struttura, a meno che non debba uscire per sostenere visite o terapie.

permessi assistenza persone con disabilità

Come noto, i permessi retribuiti di cui alla Legge 104/1992 sono riconosciuti ai lavoratori dipendenti con familiari in condizione di handicap grave, a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno (per le intere 24 ore) presso strutture ospedaliere o simili (pubbliche o private) che assicurino assistenza sanitaria continuativa.

I permessi restano in capo al beneficiario anche nel caso di ricovero a tempo pieno qualora si tratti di un minore con disabilità e i sanitari certifichino il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare; oppure nel caso in cui il disabile si trovi in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine.

I permessi sono, inoltre, riconosciuti quando la persona con disabilità si debba recare al di fuori della struttura che lo accoglie per effettuare delle visite specialistiche e terapie certificate.

permessi visite persona con disabilità
permessi 104: sì per visite extra struttura

Come ha chiarito il Ministero del Lavoro in risposta ad un interpello in data 20.02.2009, n. 13, infatti, “la circostanza che il disabile debba recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie interrompe effettivamente il tempo pieno del ricovero e determina il necessario affidamento del disabile all’assistenza del familiare il quale, ricorrendone dunque gli altri presupposti di legge, avrà diritto alla fruizione dei permessi.

 

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Permessi Legge 104 anche al convivente

Permessi Legge 104 anche al convivente? Da oggi è possibile

Permessi Legge 104
Anche se sei convivente hai diritto ai permessi legge 104

La Legge 20 maggio 2016 n. 76 (cosiddetta legge sulle unioni civili) aveva introdotto una disparità di trattamento tra le convivenze di fatto e le unioni civili (persone dello stesso sesso unite civilmente).
In particolare, la Legge n. 76 aveva previsto che, entro certi limiti, le disposizioni della Legge 104 si applicassero anche alle unioni civili: ma non alle convivenze di fatto.
E’ dunque intervenuta la Corte Costituzionale a porre in evidenza come fosse costituzionalmente illegittimo non includere il convivente di fatto tra i soggetti beneficiari dei permessi di assistenza.
A seguito di tale sentenza l’INPS interviene ora (con circolare n. 38 del 27 febbraio 2017) a regolare amministrativamente la concreta fruizione dei permessi, anche con riguardo alle convivenze di fatto.
Al riguardo, l’istituto previdenziale sottolinea che “il diritto ad usufruire dei permessi (di cui all’art. 33, comma 3 della legge 104/92) per assistere il disabile in situazione di gravità può essere concesso, in alternativa, al coniuge, alla parte dell’unione civile, al convivente di fatto, al parente o all’ affine entro il secondo grado”.

 

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