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Discriminazioni misure urgenti di solidarietà alimentare: il bisogno primario non ammette subordinazioni

 

 

Discriminazioni misure urgenti di solidarietà alimentare: il bisogno primario non ammette subordinazioni

 

Grazie alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 


Con Ordinanza del 30.04.2020, il Tribunale di Ferrara ha dichiarato il carattere discriminatorio della delibera n. 113/2020 della Giunta del cittadina estense avente ad oggetto le linee di indirizzo per l’erogazione delle risorse da destinare a misura urgenti di solidarietà alimentare sotto forma di “buoni spesa” una tantum.


Il Tribunale ha, quindi, condannato il Comune di Ferrara alla riformulazione delle linee di indirizzo per l’erogazione delle risorse da destinarsi a misura urgente di solidarietà alimentare sotto forma di buoni spesa una tantum con eliminazione delle clausole discriminatorie che di seguito si evidenziano.

L’Associazione degli Studi Giuridici sulla Immigrazione, esercitando una azione di tutela collettiva, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 215/2003, ha proposto un ricorso ex art. 700 c.p.c. al fine di ottenere l’accertamento della natura discriminatoria di tale delibera nella parte in cui viene a subordinare l’accesso al predetto strumento assistenziale da parte dello straniero non appartenente alla Unione Europea al possesso di un permesso di lungo soggiorno, oltre che subordinare il contributo alla residenza anagrafica, stabilendo una gradazione interna per la ripartizione delle risorse (prima gli italiani, poi i cittadini comunitari ed infine gli stranieri extracomunitari con permesso di lungo soggiorno).

 

 

Come noto, le fonti che riconoscono il diritto alla assistenza sociale quale garanzia della dignità umana e di sostentamento minimo hanno carattere non solo interno (artt. 2,3 e 38 della Carta Costituzionale), ma anche internazionale (richiamate ex art. 10, II comma della Costituzione, artt. 1, 14 e 26 della CEDU) ed infine comunitario (art. 34 della Carta dei diritti dell’Unione Europea 2) .


È per questo motivo che l’assistenza e la solidarietà sociale devono essere riconosciute non solo al cittadino, ma anche allo Straniero.


Nei limiti in cui poi si riflette sul diritto alla alimentazione, quale bisogno primario di ogni essere umano, la disciplina normativa finisce per incidere su quel “nucleo irriducibile” di diritti fondamentali della persona che lo Stato deve riconoscere a tutti indipendentemente dalle norme che regolano il soggiorno nello Stato (cfr. Corte Costituzionale n. 252/2001)


Del resto non si sta discutendo dell’accesso a prestazioni assistenziali “ordinarie” “ma dell’accesso ad una misura emergenziale tesa a fronteggiare le difficoltà dei soggetti più vulnerabili a soddisfare i propri bisogni primari a causa della situazione eccezionale determinata dall’emergenza sanitaria in atto.

Si tratta del diritto all’alimentazione che costituisce il presupposto per poter condurre un’esistenza minimamente dignitosa e la base dello stesso diritto alla vita e alla salute. Non vi è dubbio, quindi, che si tratta di quel nucleo insopprimibile di diritti fondamentali che spettano necessariamente a tutte le persone in quanto tali (cfr. Tribunale Roma n. 12835/2020).

 

buoni spesa stranieri
Discriminazioni misure urgenti di solidarietà alimentare: il diritto all’alimentazione non ammette subordinazioni

 

Del resto, la stessa Ordinanza introduttiva di tali forme di assistenza (Ordinanza della Protezione Civile n. 658/2020), all’art. 2, VI comma, prevede che il solo criterio contenuto nel provvedimento di determinazione sulle modalità di riconoscimento del beneficio assistenziale è la condizione economica del richiedente, ovvero lo stato di bisogno per soddisfare le necessità più urgenti con priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico.


Nessun elemento ulteriore è ivi contenuto ad ulteriore conferma dell’illegittimità dell’atto amministrativo adottato dal Comune.


Del resto è evidente che l’ottenimento del permesso di soggiorno di lunga durata richieda requisiti minimi di reddito: imporre tale requisito determinerebbe l’esclusione dalla tutela proprio dei soggetti più deboli e fragili.

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Discriminazioni misure urgenti di solidarietà alimentare

Aumento assegno di invalidità? la Corte Costituzionale lancia un messaggio.

Aumento assegno di invalidità: l’attuale importo è inadeguato per la tutela di diritti di rango costituzionale.

 

 

Un ringraziamento alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

La Corte Costituzionale, nella camera di consiglio del 23.06.2020, esaminando una questione di legittimità costituzionale evidenziata dal Corte di Appello di Torino, ha stabilito che l’assegno di invalidità che, come noto, ha un importo pari ad Euro 285,66, è manifestamente inadeguato a garantire alle persone totalmente inabili al lavoro i mezzi necessari per vivere.

 

Secondo la Consulta, quindi, l’importo viene a violare il diritto riconosciuto dall’articolo 38 della Costituzione, secondo cui “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.

 

aumento-invalidità-civile

 

Era stata la Corte di Appello di Torino, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 240 del 03.06.2019,  nel pronunciarsi sul ricorso presentato nell’interesse di una persona affetta da tetraplegia spastica neonatale, incapace di svolgere i più elementari atti quotidiani della vita e di comunicare con l’esterno a definire l’importo della pensione di invalidità “insufficiente a garantire il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita”.

 

In particolare, secondo la Corte di Appello, era ravvisabile un contrasto con il contenuto dell’articolo 3 della Costituzione, per “violazione del principio di uguaglianza, ponendo a confronto l’importo della pensione di inabilità, corrisposta agli inabili a lavoro di età compresa tra i 18 e i 65 anni, e l’importo dell’assegno sociale corrisposto ai cittadini di età superiore a 66 anni in possesso di determinati requisiti reddituali, meno favorevoli di quelli di riferimento per il riconoscimento della pensione di inabilità”.

 

Inoltre, un contrasto veniva rilevato anche nei confronti degli articoli 4 e 28 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità stipulata a New York il 13 dicembre 2006, resa esecutiva in Italia con legge n. 18/2009, nonché con gli articoli 26 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea richiamata dall’art.6 del Trattato di Lisbona.

Tra ricorso e sentenze, nell’ultima ordinanza del 03.06.2020, la Corte di Appello ha deciso di sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla decisione della Consulta.


La Corte Costituzionale, come detto, ha evidenziato come 285,66 euro non siano sufficienti a soddisfare i bisogni primari della vita determinando una violazione del diritto al mantenimento, che la Costituzione all’articolo 38 riconosce agli inabili.

 

Non solo.

 

Viene anche ritenuto ingiusto che l’invalido civile riceva meno benefici rispetto a quanto riconosciuto economicamente ai destinatari dell’assegno sociale, avendo il giudice stabilito la sostanziale similitudine tra le due condizioni.

 

Di conseguenza, il cosiddetto “Incremento al milione” (pari agli attuali 516,46 euro) da tempo riconosciuto, per vari trattamenti pensionistici, dall’articolo 38 della legge n. 448 del 2011,deve essere assicurato agli invalidi civili totali, di cui alla Legge n. 118/1971, art. 12, I comma, senza attendere il raggiungimento del sessantesimo anno di età, attualmente previsto dalla legge.

 

aumento assegno di invalidità: l’attuale importo è insufficiente a garantire la tutela del diritto al mantenimento

 

Questo aumento dovrà d’ora in poi essere garantito (dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza e , quindi, senza effetto retroattivo) a tutti gli invalidi civili totali che abbiano compiuto i 18 anni e che non godano, in particolare, di redditi su base annua pari o superiori a 6.713,98 euro.

 

E’ una goccia nel mare, certo. Ma sappiamo che il mare è composto da tante gocce: un buon inizio, la strada è ancora lunga.

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

aumento assegno di invalidità

Asilo nido e disabilità

Asilo nido e disabilità.

 

Grazie alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

L’integrazione scolastica è fondamentale per lo sviluppo delle potenzialità della persona con handicap nell’ apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione.


Da quanto detto ne deriva che è diritto del bambino con disabilità, anche nella fascia d’età da 0 a 3 anni, ad essere inserito all’asilo nido data l’importante valenza educativa e formativo di questo servizio.

Se in passato l’asilo nido veniva considerato solo come un momento di socializzazione prima dell’ingresso della scuola elementare, oggi siamo tutti convinti della sua importanza e valore pedagogico.


La legge n. 517 del 04.08.1977, oltre ad abolire le classi differenziali per gli alunni cd. “svantaggiati”, viene ad indicare gli strumenti utili all’integrazione così da consentire a tutti gli alunni con handicap di avere accesso alle scuole elementari ed alle scuole medie inferiori, quali:

• La presenza di classi costituite da un massimo di 20 alunni;

• La presenza di insegnanti di sostegno specializzati;

• Il sostegno specialistico da parte degli enti locali e dello Stato.

 

Persona con disabilità asilo nido
Asilo nido e disabilità: ai comuni spettano i programmi di integrazione

 


Con l’approvazione della Legge n. 104/1992, all’art. 12, si vengono finalmente a riconoscere le finalità educative e formative degli asili nido sancendo il diritto all’educazione e all’istruzione del bambino con disabilità anche nella fascia di età da 0 a 3 anni.


Più precisamente, la Legge n.104/92, individua l’integrazione scolastica come passaggio fondamentale per lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione.


A tale scopo, nei casi di maggiore gravità, è la legge stessa a stabilire “priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici”.


Questo, in parole povere, significa che i minori con disabilità grave hanno diritto di priorità di accesso agli asili nido.


La legge stabilisce inoltre che gli enti locali e le ASL debbano provvedere all’adeguamento dell’organizzazione e del funzionamento degli asili nido alle esigenze dei bambini con disabilità, al fine di avviarne la socializzazione e l’integrazione, anche con il supporto di operatori, assistenti e personale docente specializzato.


È compito dei Comuni, quindi, provvedere alla costituzione di asili nido che perseguano le finalità inclusive del sistema formativo, mettendo al centro le esigenze di integrazione di tutti i bambini, nelle particolari ed individuali specificità.


Chiarito che l’inserimento all’asilo nido del bambino con disabilità deve essere garantito dal Comune che eroga il servizio, veniamo a concentraci sul costo di tale servizio.


Da più parti, si sente sostenere il diritto alla gratuità di tale frequenza.


Non è possibile dare una risposta


L’eventuale riduzione o esenzione dal pagamento della retta, infatti, sono oggetto di disciplina dei singoli comuni che, di regola, stabiliscono il tetto, le scadenze e altri parametri.


Di norma, per i bambini con disabilità, i Comuni sono tenuti, come visto, a prevedere la priorità nelle graduatorie nell’accesso al nido mente il pagamento della retta mensile dipenderà dall’Isee non essendo, in assoluto, dipendente dalla disabilità.

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Asilo nido e disabilità

Disabilità: mancata attuazione progetto individuale costituisce illecito amministrativo risarcibile

 

Mancata attuazione progetto individuale: il danno va risarcito

 

Si ringrazia la collega, Avv. Stefania Cerasoli, per il prezioso contributo.

 

L’art. 14 della Legge 08.11.2000 n. 328 prevede che “per realizzare la piena integrazione delle persone disabili, nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale”.

In particolare, questo piano comprende “oltre alla valutazione diagnostico-funzionale o al Profilo di funzionamento, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, il Piano educativo individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale”.

 

mancato rispetto pai

Si tratta di un intervento molto importante in quanto ha il fine di garantire un miglioramento della qualità della vita della persona con disabilità.

E non darvi attuazione, una volta stabiliti gli interventi e redatto il progetto individuale, costituisce un illecito amministrativo.

Il genitore di una minore con handicap grave aveva richiesto ed ottenuto la redazione di un progetto individuale ex art. 14 legge 328/00.

Tale progetto, nonostante il suo accoglimento, non era mai stato concretamente attuato dal Comune e dalla Usl locale.

 

mancata attuazione progetto individuale: condanna al risarcimento del danno e all’esecuzione del programma

Il Tribunale di Marsala, con la sentenza n. 3666 del 12.04.2019, ha condannato il Comune di residenza della minore con disabilità al pagamento, non solo dei danni patrimoniali subiti dalla madre (che aveva sostenuto delle spese per il servizio di educativa domiciliare privato che dovevano, invece, essere erogate gratuitamente) ma anche di quelli non patrimoniali subiti dalla minore consistenti “nella violazione di interessi fondamentali attinenti alla persona e, in particolare, al diritto della minore medesima alla effettività dell’integrazione nel contesto sociale di riferimento per l’utente “.

E questo perchè “una volta definito l’iter procedimentale con la predisposizione del PAI e l’individuazione dei servizi sorge il diritto ad ottenere la concreta erogazione delle prestazioni pianificate”.

 

Fermo, ci mancherebbe, l’obbligo di dare concreta esecuzione alle prestazioni indicate nel PAI.

 

 

Per una consulenza da parte degli avvocati Berto in materia di

mancata attuazione progetto individuale

Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità

Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità

Ringraziamo la collega Avv. Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità, disciplinato dal D.lgs. 26.03.2001 n. 151, art. 42 ss.mm., consiste nella possibilità di astenersi dal lavoro, per un periodo massimo di due anni nell’intera vita lavorativa, per i familiari, appunto, di una persona con disabilità.

L’ordine di priorità è: coniuge o parte dell’unione civile, genitori, figli, fratelli e sorelle. Rimane ferma la condizione dell’assenza di ricovero con le eccezioni che vedremo in seguito.

Tale astensione è frazionabile anche a giorni (non a ore) ed è retribuita con un’indennità che corrisponde alle voci fisse e continuative dell’ultimo stipendio dando diritto all’accredito dei contributi figurativi ai fini pensionistici.

Nell’ordine il congedo straordinario spetta: al coniuge, ai genitori, ai figli, ai fratelli e sorelle, ad altri parenti e affini, conviventi, sino al terzo grado (nel caso in cui siano assenti, o in una situazione giuridica assimilabile all’assenza, i familiari più prossimi).

 

congedo straordinario

Il requisito della convivenza è necessario qualora a richiedere il congedo siano: il coniuge,la parte dell’unione civile, i figli, i fratelli/sorelle o i parenti/affini entro il terzo grado del disabile grave.

Ove per convivenza si intende, in via esclusiva, la residenza, ritenendo a tale fine sufficiente anche la residenza nel medesimo stabile, stesso numero civico, anche se non nello stesso interno.

Preme evidenziare che il congedo straordinario spetta al genitore anche nel caso in cui l’altro genitore non ne abbia diritto, ad esempio perché lavoratore autonomo.

Resta inteso che, qualora entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti, il congedo spetterà in via alternativa alla madre o al padre. Infatti, la persona con disabilità non potrà essere assistita contemporaneamente o in momenti diversi dai due genitori lavoratori essendo concessi, per ogni persona con disabilità, solo due anni di congedo complessivi nell’arco dell’intera vita lavorativa.

Quindi, per intenderci, due lavoratori dipendenti, figli di una persona con disabilità, non potranno usufruire di due anni d’assenza ciascuno per assistere lo stesso genitore ma solo ed unicamente di due anni in totale, fermo restando che i due anni sono da intendersi come massimo utilizzabile, per ciascun dipendente, nell’intero arco della vita lavorativa.

 

assistenza familiare disabile
Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità

Così come, nel caso in cui entrambi i genitori siano in situazione di disabilità grave, lo stesso lavoratore non potrà usufruire di un “raddoppio”: un ulteriore periodo biennale per l’altro genitore in situazione di disabilità grave è ipotizzabile solo per l’altro figlio (o familiare), con decurtazione di eventuali periodi da lui utilizzati a titolo di permessi per gravi e documentati problemi familiari.

Peraltro, il congedo straordinario, così come avviene per i permessi Legge 104, è riconosciuto a un solo lavoratore per l’assistenza alla stessa persona con handicap grave.

Di conseguenza, se esiste già un referente unico titolare di permessi per l’assistenza al disabile, un eventuale periodo di congedo straordinario può essere autorizzato solo in favore dello stesso referente (salvo limitate eccezioni).

Ulteriore presupposto per il riconoscimento del congedo straordinari è la mancanza di ricovero a tempo pieno (quindi per tutte le 24 ore) del familiare in situazione di disabilità grave.

In tal caso è evidente la non necessità del beneficio, essendo il proprio caro seguito per l’intero arco della giornata.

 

 

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congedo straordinario per l’assistenza di familiari di persone con disabilità

Non c’è l’insegnante di sostegno? L’alunno con disabilità ha diritto comunque di andare a scuola!

 

Il diritto ad andare a scuola non deve venir meno perchè non c’è l’insegnante di sostegno

 

 

Ringraziamo la Collega Avv. Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

Ogni anno a settembre, all’inizio del nuovo anno scolastico si ripresenta l’annoso problema della carenza degli insegnanti di sostegno.


Da un sondaggio effettuato recentemente dalla Fish (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), è emerso che, su 1.600 famiglie interpellate, il 41% denuncia “ la mancanza della figura del sostegno


Di particolare gravità è la circostanza che, di queste famiglie circa il “ 30% dichiara di essere stato invitato a non portare a scuola il proprio figlio o a ridurne la frequenza.”


È evidente che un invito di questo tipo costituisce una grave discriminazione che pregiudica in maniera significativa il diritto allo studio in senso lato.


Se la scuola funziona per gli altri bambini, è evidente che debba funzionare anche per l’alunno con disabilità.

 

non c'è l'insegnante di sostegno
non c’è l’insegnante di sostegno: e l’inclusione?

 


Del resto, l’insegnante di sostegno non è l’insegnante dell’alunno con disabilità bensì è un insegnante affidato alla classe per promuovere il suo processo di inclusione.


In poche parole l’alunno con disabilità è affidato, come tutti gli altri, alla scuola e non all’insegnante di sostegno o all’operatore.


Quindi, la mancanza dell’insegnante di sostegno non può comportare per l’alunno l’impossibilità di frequentare la scuola o riduzioni di orario della frequenza.


In conclusione, se l’insegnante di sostegno non c’è, l’alunno con disabilità ha il pieno diritto di andare a scuola e sarà compito dei docenti accoglierlo così come accolgono tutti gli altri bambini.


La scuola deve funzionare per tutti, nessuno escluso e che ogni disagio derivante dalla carenza di personale deve ricadere eventualmente sull’intera comunità scolastica e non solo su alcuni.


Ogni condotta che si scosti dal principio egualitario non solo inibisce ogni possibilità di reale inclusione, ma viene anche a compromettere l’esercizio dei diritti di base sanciti dalla stessa Costituzione.


Ricordiamo, infine, che una tale comportamento è censurabile anche ai sensi e per gli effetti della legge 01.03.2006, n. 67Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni“.

 

Quindi… A settembre la campanella suona per tutti.

 

 

 

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inclusione: non c’è l’insegnante di sostegno

Permessi 104: sì anche per assistere la persona con disabilità nelle visite extra struttura

Permessi 104: non sono riconosciuti se il soggetto con disabilità sia già assistito a tempo pieno in struttura, a meno che non debba uscire per sostenere visite o terapie.

permessi assistenza persone con disabilità

Come noto, i permessi retribuiti di cui alla Legge 104/1992 sono riconosciuti ai lavoratori dipendenti con familiari in condizione di handicap grave, a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno (per le intere 24 ore) presso strutture ospedaliere o simili (pubbliche o private) che assicurino assistenza sanitaria continuativa.

I permessi restano in capo al beneficiario anche nel caso di ricovero a tempo pieno qualora si tratti di un minore con disabilità e i sanitari certifichino il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare; oppure nel caso in cui il disabile si trovi in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine.

I permessi sono, inoltre, riconosciuti quando la persona con disabilità si debba recare al di fuori della struttura che lo accoglie per effettuare delle visite specialistiche e terapie certificate.

permessi visite persona con disabilità
permessi 104: sì per visite extra struttura

Come ha chiarito il Ministero del Lavoro in risposta ad un interpello in data 20.02.2009, n. 13, infatti, “la circostanza che il disabile debba recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie interrompe effettivamente il tempo pieno del ricovero e determina il necessario affidamento del disabile all’assistenza del familiare il quale, ricorrendone dunque gli altri presupposti di legge, avrà diritto alla fruizione dei permessi.

 

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