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TAV: COME SI CALCOLA L’INDENNITA’ DI ESPROPRIO

 

TAV: COME SI CALCOLA L’INDENNITA’ DI ESPROPRIO

 

 

L’art. 32 del Decreto del Presidente della Repubblica n.327 del 2001 (Testo unico in materia di espropri) stabilisce che “… l’indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data di emanazione del decreto di esproprio” .


Operazione preliminare è quindi quella di accertare “le caratteristiche del bene” soggetto ad esproprio.


Il Testo unico in materia di espropri prevede tre diverse fattispecie:

a) AREE EDIFICABILI
(art.37 comma 1 del D.P.R. 327 /01)

 

b) AREE LEGITTIMAMENTE EDIFICATE
(art.38 del D.P.R. 327/01)

Sia per le aree edificabili che per quelle già edificate l ‘indennità è determinata nella misura pari al valore venale.

Al fine di stabilire se un’area sia o meno da considerare edificabile, l’art. 37, comma 3 del DPR 327/01 prevede che “… si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione. In ogni caso si esclude il rilievo di costruzioni realizzate abusivamente”.


In base al comma 4, “… non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio… ovvero in base a un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia escluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata“.

 

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c) AREE NON EDIFICABILI


Il Testo unico in materia di espropri, inizialmente, prevedeva che la determinazione dell’indennità da corrispondere nel caso di aree non edificabili (agricole) fosse basata su rigidi criteri tabellari legati al Valore Agricolo Medio (VAM). Il valore del terreno espropriato dipendeva quindi dalla coltura praticata al momento dell’esproprio e non al valore intrinseco del terreno, corrispondendo il valore del terreno al tipo di coltura in atto, in quel momento, nell’area da espropriare.


Con la sentenza n.181/2011 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali i commi 2 e 3 dell’art. 40 del DPR 327/2001 che appunto prevedevano l’impiego del VAM per la determinazione dell’indennità di esproprio, ed ha quindi riagganciato il valore del terreno espropriato al valore venale del terreno; In particolare, la Corte ha sancito che “occorre fare riferimento, per la determinazione dell’indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge


Attualmente si applica il VAM solo per determinare l’indennità aggiuntiva prevista dall’art 40 comma 4 del T.U. espropri.

Tale disposizione stabilisce che “al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale spetta un’indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata”.

ESPROPRIAZIONE PARZIALE


Le cose si complicano quando bisogna determinare l’indennità nel caso dell’espropriazione parziale di un bene unitario, che si verifica quando il procedimento espropriativo non interessa l’intera proprietà ma soltanto una sua parte.


In tal caso, l’art. 33 del Testo unico stabilisce che “nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore”.


In sostanza, si applica il criterio differenziale in base al quale l’indennità si ricava dalla differenza tra il giusto prezzo che l’immobile avrebbe avuto prima dell’espropriazione ed il giusto prezzo della parte residua dopo l’espropriazione stessa, in modo da ristorare l’intera diminuzione patrimoniale, ivi compresa la perdita di valore della porzione residua (non espropriata).


Secondo la giurisprudenza, perché si possa applicare questo criterio devono ricorrere le seguenti condizioni:

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– la parte residua del fondo deve essere intimamente collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale ed obiettivo, tale da conferire all’intero immobile il carattere di un’unità economica e funzionale;


– il distacco di una parte del fondo deve influire oggettivamente (con esclusione, dunque, di ogni valutazione soggettiva), in modo negativo sulla parte residua.

 

 

 

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TAV: COME SI CALCOLA L’INDENNITA’ DI ESPROPRIO

 


Tali condizioni sono chiaramente esplicitate nella sentenza della Corte di Cassazione n. 9567 del 2018 secondo cui “il meccanismo di calcolo differenziale di cui all’art. 33 presuppone un collegamento tra parte residua e parte espropriata, tale da conferire all’intero immobile il carattere di un’unità economica e funzionale, cosicchè il distacco della porzione espropriata abbia influito, oggettivamente in modo negativo sulla quella residua. L’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo per effetto del provvedimento ablativo, deve, infatti, esser ristorata mediante l’indennità, che, com’è noto, deve coprire ogni pregiudizio, diretto ed indiretto, conseguente all’esproprio, tra i quali vi è certamente quello derivante dalla perdita di accesso in zone rimaste intercluse a seguito della realizzazione dell’opera pubblica”.


In definitiva, la determinazione dell’indennità di esproprio di un bene unitario o di parte di esso, sia esso edificabile o non edificabile, è ormai sempre calcolata in base al valore venale del bene al momento dell’esproprio.

 

 

 

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TAV: COME SI CALCOLA L’INDENNITA’ DI ESPROPRIO

Decadenza vincolo espropriativo: quali conseguenze?

 

Decadenza vincolo espropriativo: nessuna reviviscenza delle  precedenti destinazioni

 

L’art. 9 del Testo Unico sulle espropriazioni (DPR 327/2001) stabilisce che “un bene è sottoposto al vincolo preordinato all’esproprio quando diventa efficace l’atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità“.

 

Il secondo comma dell’articolo in esame stabilisce poi che “il vincolo preordinato all’esproprio ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera“.

 

Al riguardo, va osservato che i vincoli urbanistici si dividono sostanzialmente in due categorie: quelli ablativi e quelli di tipo conformativo.

 

I vincoli ablativi sono quelli preordinati all’espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, fino alla privazione dello jus aedificandi

 

I vincoli conformativi sono quelli che non comportano la perdita definitiva della proprietà privata, ma impongono limitazioni e condizioni restrittive agli interventi edilizi in funzione degli obiettivi di tutela dell’interesse pubblico (Es: vincolo paesaggistico, forestale, idrogeologico, rischio idraulico, fascia elettrodotto, ecc).

 

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Decadenza vincolo espropriativo: quali conseguenze?

 

Ora, l’art. 9 si riferisce soltanto ai vincoli ablativi che hanno una durata di cinque anni da quando vengono previsti dallo strumento urbanistico (mentre quelli conformativi sono a tempo indeterminato).

 

Ma che cosa accade se entro il quinquennio non viene emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera?

 

Il comma 4 dell’art. 9 stabilisce che “il vincolo preordinato all’esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1 e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard“.

 

Ma se il vincolo non viene reiterato, che cosa accade all’area interessata?

 

Secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa (si veda ad esempio Consiglio di Stato, sentenza 28 novembre 2019, n. 8125) “la decadenza del vincolo espropriativo, tuttavia, non comporta, di per sé, il riespandersi delle precedenti destinazioni di zona. Alla decadenza dello stesso per inutile decorso del tempo non si verifica, infatti, alcuna reviviscenza della pregressa destinazione. L’inutile decorso di un quinquennio, in difetto di una legittima reiterazione, ne comporta quindi la decadenza, ma l’area già vincolata non riacquista automaticamente l’antecedente sua destinazione urbanistica, ma si configura come area non urbanisticamente disciplinata, ossia come c.d. zona bianca. Rispetto a tali zone, allorché cessino gli effetti dei preesistenti vincoli, l’Amministrazione comunale deve esercitare la sua discrezionale potestà urbanistica, attribuendo agli stessi una congrua destinazione, eventualmente anche a seguito di una istanza degli interessati volta ad ottenere l’emanazione degli atti necessari a conferire una nuova destinazione urbanistica all’area divenuta priva di disciplina“.

 

 

 

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Esproprio parziale: indennità per la perdita di valore della parte non espropriata

Esproprio parziale: indennità per la perdita di valore della parte non espropriata.

In materia di espropriazione per pubblica utilità, uno dei casi che si verifica frequentemente è quello relativo all’espropriazione parziale di un bene unitario. Ciò si verifica ad esempio nel caso di fabbricato privato di parcheggio o di garage (in quanto oggetto di esproprio) o di azienda agricola privata di approvigionamento idrico (in quanto la parte residua viene separata dalla strada che è stata realizzata a seguito della procedura espropriativa).

In tali casi la legge prevede che per determinare il valore della parte espropriata occorre tenere conto della relativa diminuzione di valore di quella residua.

L’art. 33 del Testo Unico sugli espropri stabilisce, infatti, che nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, “il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore”.

Nella determinazione dell’indennità si deve tenere conto anche della diminuzione di valore della parte residua non soggetta ad esproprio

Ciò significa, in poche parole, che, nella determinazione dell’indennità, si deve tener conto non solo del valore della parte espropriata ma anche del risarcimento per la perdita di valore della parte non soggetta ad esproprio.

La Corte di Cassazione, in una recentissima sentenza (la n. 18220 dell’11.7.2018) ha avuto modo di chiarire il deprezzamento che abbiano subito le parti residue del bene espropriato rientra nell’unica indennità di espropriazione, non essendo concepibili, due distinte somme, imputate l’una a titolo di indennità di espropriazione e l’altra a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento subito dai residui terreni.

La giurisprudenza ha inoltre messo in evidenza che l’espropriazione parziale si configura quando la parte espropriata e la parte non espropriata siano elementi di un unicum sotto il profilo funzionale ed economico ed il distacco dell’una influisca oggettivamente in modo negativo sull’altra.

Nella determinazione dell’indennità va poi ricompresa ogni ipotesi di diminuzione di valore della parte non interessata dall’espropriazione: si prescinde, in tale valutazione, dal dato catastale della particella, dovendocisi riferire al concetto di proprietà e al nesso funzionale tra ciò che è stato oggetto di esproprio e ciò che è rimasto nella disponibilità dell’espropriato: tanto più ove si tratti di suoli a destinazione agricola, in cui rileva l’unitarietà costituita dalla destinazione a servizio dell’azienda agricola.

esproprio: la cessione volontaria conviene?

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la cessione volontaria conviene quando si è d’accordo sull’indennità

Esproprio: la cessione volontaria conviene?

Sì, se si condivide l’indennità offerta dalla Pubblica Amministrazione perché, in tal caso, sono previste delle maggiorazioni a vantaggio di chi decide di cedere volontariamente il bene senza subire tutto il procedimento espropriativo.

 

Ma in che cosa consiste la cessione volontaria del bene?

L’art. 45 del Testo unico sugli espropri stabilisce che il proprietario ha il diritto di stipulare con l’amministrazione che espropria “l’atto di cessione del bene“.

In sostanza, l’atto di cessione è un vero e proprio contratto che intercorre tra proprietario e amministrazione quando vi è accordo sull’indennità.

Presupposti della cessione volontaria sono infatti:

– condivisione dell’indennità: se il proprietario non la condivide , l’amministrazione procede all’esproprio e deposita l’indennità provvisoria. Si apre così una vera e propria fase di opposizione all’indennità;

– deposito della documentazione da parte del proprietario a dimostrazione della libera e piena proprietà del bene.

L’ultimo comma del citato art. 45 prevede una norma pericolosa per il proprietario e cioé: “l’accordo di cessione produce gli effetti del decreto di esproprio e non li perde se l’acquirente non corrisponde la somma entro il termine concordato”.

Che cosa significa tutto ciò? Che, con la firma dell’atto di cessione, si trasferisce definitivamente la proprietà del bene alla Pubblica Amministrazione e, se questa non paga, si può soltanto cercare di esigere il proprio credito: cosa notoriamente non facile quando si ha a che fare con gli enti pubblici.

La cosa migliore, dunque, è quella di farsi pagare contestualmente alla firma dell’atto di cessione e, se ciò non fosse possibile, bisogna porre attenzione a quello che si firma in quanto non conviene accettare i moduli prestampati che vengono presentati dall’Amministrazione, ma conviene redigere un contratto autonomo.

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Esproprio: come si calcola l’indennità?

Esproprio: come si calcola l’indennità?

Questa è la domanda che tutti si pongono quando sta per essere avviato un procedimento espropriativo.

L’indennità d’esproprio è il valore dell’area espropriata, determinato secondo i criteri stabiliti dalla legge, che spetta al proprietario per la perdita della proprietà.
A proposito della sua determinazione la legge distingue tra: aree edificabili, aree legittimamente edificate, aree non edificabili.

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Per il calcolo dell’indennità di esproprio bisogna verificare preliminarmente che tipo di area sia interessata dal provvedimento

Per le aree edificabili, cioè quelle non ancora costruite, ma sulle quali è possibile costruire,  l’indennità di espropriazione è determinata nella misura pari al valore venale del bene.

Per le aree legittimamente edificate, cioè già costruite in base a regolare permesso, l’indennità è determinata in misura pari al valore venale della costruzione.

Per le aree non edificabili l’indennità è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore delle costruzioni legittimamente realizzate,

Ma stabilire quando un terreno edificabile non è sempre facile.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’inclusione di un terreno in una categoria (edificabile) piuttosto che in un’altra (non edificabile) va effettuata avendo come riferimento un unico criterio distintivo: quello dell’edificabilità legale.

In base a tale criterio, sempre secondo la Cassazione, “un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici nel momento in cui inizia la procedura espropriativa”.

Vanno invece escluse le possibilità legali di edificazione tutte quelle volte in cui per il piano regolatore vigente all’epoca in cui deve compiersi l’esproprio, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo pubblico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.).

Queste classificazioni comportano un vincolo di destinazione che impedisce ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione.

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