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Tfr dopo la morte del lavoratore: un caso di successione anomala

TFR (Trattamento di fine rapporto) dopo la morte del lavoratore: un caso di successione anomala.

Partiamo dal dato normativo.

Art. 2122 cc.In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli articoli 2118 e 2120 devono corrispondersi al coniuge  ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado  e agli affini  entro il secondo  grado”.
Le indennità citate in tale articolo sono quelle equivalenti alla retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso nonchè il TFR ovvero il trattamento di fine rapporto.
Alcune particolarità.
E’ la legge stessa che stabilisce a chi spetti il tfr dopo la morte del lavoratore: cioè  al coniuge, figli e (se conviventi) parenti entro il terzo grado e affini di secondo.
Al defunto non è data possibilità di decidere una diversa destinazione del tfr, a meno che non sussistano le riportate categorie di  familiari: in tal caso potrà decidere per testamento i beneficiari.
In difetto di tale indicazione e “In mancanza delle persone indicate nel primo comma, le indennità sono attribuite secondo le norme della successione legittima“.
Altra peculiarità.
La legge, dopo aver stabilito a chi spetterà il tfr dopo la morte del lavoratore, determina anche – seppur in via generica – la relativa distribuzione tra i beneficiari. Lo stesso art. 2122 cc, infatti, prevede che “La ripartizione delle indennità, se non vi è accordo tra gli aventi diritto, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno“.
Con una precisazione, valida per ogni patto successorio (questo il link dove se ne è discusso) “È nullo ogni patto anteriore alla morte del prestatore di lavoro circa l’attribuzione e la ripartizione delle indennità”.

Il contrasto

Dottrina e giurisprudenza si sono (come allo stato attuale) a lungo scornate per definire la  natura del diritto nascente del tfr dopo la morte del lavoratore.
Due, infatti, sono gli orientamenti.
1) il diritto a percepire le indennità è un diritto personale dei beneficiari, che non è da considerarsi successorio, ma semplicemente nascente dal decesso (“nascente dal decesso”: ci si scusi per l’accostamento) del prestatore di lavoro. Per cui sarebbe originario, in capo ai familiari, e non derivato per successione.
2) la versione opposta considera tali devoluzioni come diritti ereditari, seppur in un ambito di successione anomala (ossia, disciplinata differentemente dai criteri ordinari) su beni (le indennità) separati dal resto del patrimonio relitto (che seguirà le regole di una successione normale).
Tale prospettazione deriva dalla considerazione che le indennità siano maturate vivente l’originario beneficiario – il lavoratore – e conseguentemente debbano essere trasferite, come un patrimonio già formatosi agli eredi.
Tfr dopo la morte del lavoratore
Tfr dopo la morte del lavoratore. Due contrapposti orientamenti circoscrivono il diritto alle indennità nell’ambito successorio, oppure ad un acquisto proprio dei beneficiari
Non solo.
Il richiamo ad attribuzioni da eseguirsi in base alle norme della successione legittima, in assenza dei soggetti indicati nel primo comma dell’art. 2122 cc., sembrerebbe definirne il contesto operativo e la natura ereditaria della devoluzione di tali indennità.

Le conseguenze

Seguire uno o l’altro orientamento porterebbe a conseguenze   di non poco conto.
Se, infatti, tali emolumenti economici spettino agli indicati familiari come un loro diritto proprio, e non ereditario, allora potrebbero conseguirli anche se avessero rifiutato l’eredità.
Alcune sentenze hanno, conseguentemente stabilito che, nel caso in cui il datore di lavoro vantasse crediti nei confronti del prestatore, poi deceduto, non potrebbe compensarli con le indennità da corrispondere ai nuovi beneficiari, proprio perchè separate dal contesto successorio.
Ragionando di conseguenza, gli importi dovuti a tale titolo non potrebbero essere aggrediti dai creditori del de cuius, proprio perchè appartenenti ad altri soggetti, indipendentemente dallo stato del dante causa.
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Le conseguenze che derivano dai due orientamenti non sono di poco conto nel caso in cui le indennità dovessero essere aggredite dai creditori del lavoratori.
Diversamente ragionando, e seguendo la prospettazione agitata dal secondo orientamento, che incanala il fenomeno nell’ambito successorio, non si giungerebbe alle considerazione ed agli effetti sopra indicati: ma con altre
conseguenze.
Ad esempio, gli ascendenti (non conviventi) del defunto, esclusi dalla menzionata previsione normativa, in assenza dell’esistenza dei richiamati familiari, potrebbero includere nella loro quota di legittima (intoccabile) anche le indennità dovute per la conclusione del rapporto lavorativo, cosicchè, se  fossero state attribuite per testamento ad altri soggetti, così da determinare una lesione della porzione spettante agli eredi legittimari, potrebbero agire in riduzione per essere reintegrati dei loro diritti.

Il coniuge divorziato

Da ultimo,  una considerazione sui diritti spettanti al coniuge divorziato nel merito del tfr dopo la morte del lavoratore.
Come è noto, la legge n 898 del 1978 (legge sul divorzio) riconosce al coniuge divorziato che non sia passato a nuove nozze e che percepisca un assegno divorzile, una quota pari al 40 % dell’indennità di fine rapporto spettante all’ex coniuge, riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso col matrimonio.
Tale attribuzione spetta anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza divorzile.
Bene.
Quidi iuris, nel caso in cui deceda l’ex coniuge?
Secondo la prevalente giurisprudenza, (ex multis Cass. civ. Sez. I, 10/01/2005, n. 285) “L’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze ha diritto ad una percentuale dell’indennità percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, ogni qualvolta il trattamento di fine rapporto sia comunque spettante al lavoratore, anche se non ancora percepito, non assumendo alcun rilievo che il trattamento stesso sia divenuto esigibile per decesso del lavoratore“.

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