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Richiesta rilascio permesso di costruire in forma espressa.

Si può sempre pretendere il rilascio di un permesso di costruire in forma espressa.

In una recente sentenza (TAR Puglia, 20 maggio 2019 n. 725), il giudice amministrativo ha preso in esame un ricorso con cui era stato impugnato il provvedimento di decadenza per omesso avvio dei lavori entro il termine annuale, pronunciato in ordine al permesso di costruire tacito.

Difatti, l’amministrazione comunale a fronte della presentazione dell’istanza di permesso di costruire, aveva serbato silenzio, senza adottare un provvedimento espresso.

La formazione del silenzio assenso è prevista dall’art. 20 del DPR 380/2001 che così recita: “decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali”.

Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti amministrativi e tecnici, sia soggettivi che oggettivi, di accoglibilità, dato che in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei detti presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può validamente formarsi (si veda Cons. St., sez. IV, 12 luglio 2018 n. 4273; Cons. St., sez. IV, 5 settembre 2016 n. 3805).

 

 

Il privato però ha sempre la possibilità di richiedere un provvedimento espresso.

Infatti, osserva TAR Puglia nella sentenza sopra richiamata, deve ritenersi che, “allo stesso modo in cui il legislatore ha previsto, in favore del richiedente il titolo edilizio, per gli interventi sottoposti a S.C.I.A., la facoltà di optare per il permesso di costruire espresso (art. 22, comma 7, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), è quindi da ritenersi che debba essere riconosciuta la facoltà di optare per il permesso di costruite in forma espressa, laddove sia pur prevista la formazione del titolo in forma tacita (e per di più condizionata).

In ultima analisi, va affermato che rimane nella disponibilità del privato l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art. 2, comma 1, legge 7 agosto 1990 n. 241), sancito dalla normativa edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380) come regola generale, laddove sia stata prevista, come regola speciale, ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa, la formazione di un silenzio-assenso, in quanto anche gli strumenti autorizzativi diversi o minori (c.d. S.C.I.A. e C.I.L.A.) sono consentiti solo nei casi speciali espressamente contemplati e fanno comunque salva la possibilità di scelta della richiesta da parte dell’interessato per il rilascio di un provvedimento espresso.

 

Richiesta rilascio permesso di costruire in forma espressa: sempre consentita 

 

In conclusione, secondo il TAR, l’amministrazione comunale, qualora specificamente richiesta e sollecitata, è obbligata a pronunciarsi sul rilascio del permesso edilizio in modo espresso, stante il principio generale imposto dall’art. 2, comma 1, della legge 7 agosto 1990 n. 241 secondo cui ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”.

E, osserva sempre il TAR Puglia, decidendo il caso preso in esame “giammai l’amministrazione comunale può pronunciare una in ordine al titolo edilizio tacito formatosi, qualora sia stato richiesto, più volte nel tempo l’emanazione di un provvedimento espresso”.

 

 

 

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Richiesta rilascio permesso di costruire in forma espressa

PIANO CASA VENETO E CREDITI EDILIZI DA RINATURALIZZAZIONE

Piano casa Veneto 2050 e crediti edilizi da rinaturalizzazione.

 

Una delle novità più interessanti del nuovo piano casa sono i crediti edilizi da rinaturalizzazione previsti dall’art.4 della  legge regionale n. 14 del 4 aprile 2019.

A dire la verità, la figura dei crediti non è nuova nell’ambito della normativa edilizia regionale dato che gli stessi sono previsti anche dall’art. 36 della LR 11 del 2004.

Anche se ormai sono passati più di quindici anni dalla sua entrata in vigore, non si è, però, fatto grande applicazione della normativa relativa ai crediti.

Vediamo, ora, se avranno maggiore fortuna con la nuova legge sul piano casa che si prefigge di attuare, anche grazie ai crediti, una sorta di pulizia del territorio, attraverso la demolizione e/o sostituzione del patrimonio edilizio degredato o dismesso.

 

Ma vediamo innanzitutto che cosa si intende “per rinaturalizzazione del suolo.

 

PIANO CASA VENETO E CREDITI EDILIZI DA RINATURALIZZAZIONE
PIANO CASA VENETO E CREDITI EDILIZI DA RINATURALIZZAZIONE

 

 

Secondo l’art. 2 di Veneto 2050, la rinaturalizzazione consiste nell’  intervento di restituzione di un terreno antropizzato alle condizioni naturali o seminaturali … attraverso la demolizione di edifici e superfici che hanno reso un’area impermeabile, ripristinando le naturali condizioni di permeabilità, ed effettuando le eventuali operazioni di bonifica ambientale;

 

Il credito edilizio da rinaturalizzazione, sempre secondo l’art. 2, è “la capacità edificatoria riconosciuta dalla strumentazione urbanistica comunale a seguito della completa demolizione dei manufatti incongrui e della rinaturalizzazione del suolo.

La nuova normativa sui crediti, però, non trova immediata applicazione dato che si rimanda ad una specifica delibera che la Giunta regionale dovrà approvare entro agosto 2019. Tale delibera dovrà prevedere una “specifica disciplina per l’attuazione e le modalità operative da osservarsi per attribuire agli interventi demolitori i crediti, ed in particolare dovrà disciplinare:

  • l’attribuzione , a seguito degli interventi demolitori, dei crediti edilizi da rinaturalizzazione, in relazione alle diverse caratteristiche del manufatto incongruo,
  • l’iscrizione dei crediti edilizi in apposita sezione del Registro Comunale Eletronico dei Crediti edilizi;
  • i criteri operativi che i comuni devono osservare per la cessione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione generati da immobili pubblici comunali

 

 

Una volta emanati i criteri i Comuni avranno 12 mesi di tempo (agosto 2020) per provvedere ad una Variante dello strumento urbanistico finalizzata all’individuazione dei manufatti incongrui da demolire. La Variante dovrà poi essere aggiornata periodicamente ogni anno.

La individuazione dei manufatti incongrui potrà avvenire o per diretta individuazione comunale o attraverso un Avviso Pubblico per la presentazione delle istanze da parte dei privati proprietari.

 

 

 

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Nuovo piano casa Veneto 2050: le principali novità

Nuovo Piano Casa Veneto: ecco le novità da sapere.

 

Il Consiglio Regionale del Veneto, nella seduta del 27 marzo 2019, ha approvato la ”  legge veneto 2050: politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11″.

 

Si tratta di una legge che, come si legge nella relazione della Seconda Commissione consigliare che ha preceduto l’approvazione, “da una parte si pone in continuità con la legge regionale n. 14 del 2009 (cd “piano casa”) in quanto mira a sostenere il settore edilizio, dall’altro intende decisamente superarla in coerenza e attuazione della legge regionale per il contenimento del consumo di suolo (legge regionale n. 14 del 2017), implementandone gli aspetti di riqualificazione edilizia, ambientale ed urbanistica”.

In particolare” – si legge sempre nella relazione – la legge mira “a promuovere operazioni di rinaturalizzazione del suolo occupato da manufatti incongrui, mediante la loro demolizione ed il riconoscimento di specifici crediti edilizi da rinaturalizzazione”.

 

nuovo piano casa veneto

 

Le novità più significative.

Oltre alla premialità derivante da rinaturalizzazione, rispetto al “vecchio piano casa” riguardano innanzitutto la percentuale “base” di ampliamento che viene ridotta dal 20% al 15%.

 

Ampliamento, poi, che viene consentito in presenza di due condizioni: che la parte ampliata presenti caratteristiche costruttive che soddisfino la prestazione energetica in classe a 1 e che vengano utilizzate tecnologie che prevedano l’uso di fonti energetiche rinnovabili.

 

Queste condizioni, che nel “vecchio” piano casa consentivano di aumentare la percentuale di ampliamento, ora sono necessarie per avere l’ampliamento “base”.

 

L’ampliamento, inoltre, non può più consistere, come in precedenza, nella realizzazione di un corpo edilizio separato, ma soltanto “in aderenza, in sopraelevazione o utilizzando un corpo edilizio già esistente all’interno dello stesso lotto”.

 

Sia l’edificio che l’ampliamento, infine, devono insistere in zona territoriale omogenea propria (la l.r. 14 prevedeva, invece, che nel caso di ampliamento in aderenza, questo potesse anche trovarsi in zona impropria).

 

Piano Casa Veneto 50
Nuovo piano casa Veneto : ampliamenti nei limiti del 15% e con caratteristiche volte al risparmio energetico e fonti rinnovabili

Una delle problematiche maggiormente dibattute in vigenza del vecchio piano casa concerneva la deroga alle distanze previste dagli strumenti urbanistici.

Ora, Veneto 2050 sembra aver superato la questione nel senso che non consente più la suddetta deroga.

 

L’art. 11 prevede infatti che “gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 possono derogare ai parametri edilizi di superficie, volume ed altezza” (e quindi non distanze) “previsti dai regolamenti e strumenti urbanistici comunali, nonché, in attuazione dell’articolo 2 bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ai parametri edilizi di altezza, densità e distanze di cui agli articoli 7,8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, purché, in tali ultimi casi, nell’ambito di strumenti urbanistici di tipo attuativo con previsioni planivolumetriche che consentano una valutazione unitaria e complessiva degli interventi”.

 

 

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Blocco SCIA dopo i 30 giorni. E’ legittimo?

Blocco SCIA dopo i 30 giorni: il punto sulla giurisprudenza

Secondo l’art. 19 della Legge 7 agosto 1990 n. 241, la Pubblica Amministrazione, qualora manchino i requisiti necessari per la presentazione di una Scia, nel termine di 60 giorni dalla ricevimento della segnalazione, “adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e degli eventuali effetti dannosi”.

Sempre l’art. 19 prevede che nei casi di Scia in materia edilizia, il termine è ridotto a 30 giorni.

Ma cosa accade se un Comune ordina di non effettuare i lavori dopo la scadenza del termine?

Secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa (vedi da ultimo TAR Puglia, Bari, 7.1.2019,n. 9) è illegittimo il provvedimento con il quale un Comune diffida a non effettuare i lavori, qualora tale provvedimento sia stato adottato successivamente allo spirare del termine di 30 giorni previsto dalla legge.

blocco scia dopo i 30 giorni
Blocco SCIA dopo i 30 giorni è illegittimo, ma può essere avviato il procedimento amministrativo ordinario.

Nel caso affrontato dal TAR Puglia, un Comune, a fronte di una segnalazione acquisita al protocollo comunale in data 4.12, aveva adottato e notificato il provvedimento di diffida in data 5.1 e quindi dopo 32 giorni dalla presentazione della segnalazione.

In tal caso, osservano i giudici amministrativi, una volta scaduto il termine previsto dalla legge si consolida la legittimazione del privato ad eseguire l’intervento edilizio ed il Comune non può più bloccare i lavori.

Va tuttavia precisato che, una volta decorso il termine per ordinare la diffida, non è che il Comune rimanga completamente privo di poteri: se, infatti, ritiene che la Scia non rispetti le previsioni di legge, deve iniziare un vero e proprio procedimento volto a verificare se sussistono le condizioni previste per l’annullamento d’ufficio.

In tal caso, però, l’Amministrazione comunale potrà procedere all’annullamento solo dopo aver comunicato alla parte interessata l‘avvio del procedimento amministrativo e solo dopo aver verificato se sussistono “ragioni di interesse pubblico“.

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Blocco SCIA dopo i 30 giorni

Doppia conformità sanatoria edilizia: è sempre necessaria?

Doppia conformità sanatoria edilizia: il punto della giurisprudenza

La cd “doppia conformità” costituisce – anche secondo la giurisprudenza più recente (si veda, per esempio, TAR Milano, sentenza del 4.12.2018) – un requisito dal quale non si può prescindere ai fini del rilascio della sanatoria di opere edilizie.

In sostanza, il TAR boccia la cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale” che si avrebbe quando l’opera abusivamente realizzata verrebbe sanata sulla base del solo riscontro della conformità agli strumenti urbanistici vigenti.

doppia conformità sanatoria edilizia
doppia conformità sanatoria edilizia: no alla sola sanatoria giurisprudenziale

In tal caso, mancherebbe, dunque, la doppia conformità perché l’opera risulterebbe in contrasto con la normativa urbanistica vigente al momento della sua realizzazione.

Secondo il TAR è “legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite abusivamente, qualora le stesse non risultassero conformi tanto alla normativa vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria”.

Sempre secondo il TAR, la sanatoria giurisprudenziale finirebbe per dar luogo ad “un atto atipico che si collocherebbe al di fuori di qualsiasi previsione normativa e che pertanto non potrebbe ritenersi ammesso nel nostro ordinamento”.

Del resto, secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la ragionevolezza della regola della doppia conformità discende dall’esigenza di evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito  ciò che risulta illecito (e punibile) e, inoltre, di dissuadere dall’intenzione di commettere abusi, poiché chi costruisce sine titulo è consapevole di essere tenuto alla demolizione, anche in presenza di una sopraggiunta modificazione favorevole dello strumento urbanistico.

sanatoria edilizia

In sostanza, secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa, l’istituto della c.d. ‘sanatoria giurisprudenziale’ deve considerarsi normativamente superato, in quanto il permesso in sanatoria è ottenibile soltanto in presenza dei presupposti espressamente delineati dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto, sia della presentazione della domanda.

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in materia di doppia conformità sanatoria edilizia

entrata in vigore del Regolamento Edilizio Tipo in Veneto

entrata in vigore del Regolamento Edilizio Tipo in Veneto

La Giunta Regionale del Veneto, con deliberazione n. 1896 del 22 novembre 2017, ha recepito il Regolamento Edilizio Tipo adottato dalla Conferenza Unificata Governo, Regioni ed Autonomie locali nella seduta del 20 ottobre 2016.

Il regolamento è costituito dallo schema di regolamento edilizio tipo e dai relativi allegati, recanti le definizioni uniformi e la raccolta delle disposizioni sovraordinate in materia edilizia.

La delibera regionale n. 1896 ha stabilito che il termine entro il quale i Comuni adeguano i propri regolamenti edilizi allo schema di regolamento edilizio tipo e relativi allegati, recepiti dal presente provvedimento, è di  centottanta giorni decorrenti dalla data della presente deliberazione (22 novembre 2017);

I Comuni quindi hanno tempo fino al 21 maggio 2018 per adeguare i propri regolamenti: ma cosa accade dopo?

entrata in vigore del regolamento edilizio tipo in Veneto
entrata in vigore del regolamento edilizio tipo in Veneto: entro il 21 maggio i comuni dovranno adeguarsi

La Regione ha previsto una normativa transitoria, stabilendo che, al fine di limitare i possibili effetti dell’adeguamento sui procedimenti in itinere “le definizioni uniformi non si applicano ai procedimenti in corso alla data di approvazione del provvedimento comunale, ovvero allo scadere del termine assegnato per provvedere all’adeguamento”.

In particolare, viene precisato che per procedimento in corso si intendono i seguenti casi:

titoli abilitativi edilizi, i cui procedimenti siano stati avviati con la presentazione allo sportello unico della domanda di permesso di costruire ovvero delle comunicazioni o segnalazioni, comunque denominate, corredate dagli eventuali elaborati richiesti dalla vigente normativa;

piani urbanistici attuativi, i cui procedimenti siano stati avviati con la presentazione al Comune della proposta corredata dagli elaborati necessari ai sensi dell’articolo 19, comma 2, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11;

nel caso di opere abusive, i cui procedimenti siano già stati avviati con la con la presentazione allo sportello unico della domanda di sanatoria, corredata dagli eventuali elaborati richiesti dalla vigente normativa.

Che cosa succede se i Comuni non si adeguano entro il termine stabilito dalla Regione?

La Conferenza Unificata che ha adottato il regolamento edilizio tipo ha previsto che, decorso il termine fissato nell’atto regionale di recepimento entro il quale i Comuni sono tenuti ad adeguare i propri regolamenti edilizi, le definizioni uniformi e le disposizioni sovraordinate in materia edilizia trovano diretta applicazione prevalendo sulle disposizioni comunali con esse incompatibili;

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piano casa e deroga agli strumenti urbanistici

Piano casa e deroga agli strumenti urbanistici.

Quali previsioni dello strumento urbanistico comunale possono essere derogate con il Piano casa?

A questa domanda ha  risposto il  TAR Veneto che, in una recente sentenza (la numero 219 del 2018), ha chiarito quali previsioni della normativa edilizia comunale possono essere derogate con il piano casa.

Come noto, l’art. 6 della LR 14/2009 prevede che “le disposizioni della presente legge di carattere straordinario prevalgono sulle norme dei regolamenti degli enti locali e sulle norme tecniche dei piani e regolamenti urbanistici contrastanti con esse.

piano casa e deroga dagli strumenti urbanistici
Piano casa e deroga agli strumenti urbanistici: possibile solo per i parametri edilizi di superficie, volume, altezza e distanza, anche dai confini

Nel caso preso in esame dal TAR i ricorrenti avevano presentato ad un Comune un progetto che, in applicazione della normativa sul piano casa, prevedeva delle deroghe al piano degli interventi. Piano che indicava esattamente il sedime dell’edificio da realizzare e dell’area da destinare a standard ammettendo solo modeste modifiche alla localizzazione della sagoma prevista.

In particolare, il progetto presentato dai ricorrenti prevedeva una maggiore volumetria e l’occupazione di gran parte dell’area che il piano degli interventi destinava a servizi pubblici.

Il TAR ha chiarito che le norme del piano casa sono di stretta interpretazione nel senso che la deroga ha ad oggetto esclusivamente i parametri di regolamento o di piano che fissano la quantità di volume o di superficie. Altre tipologie di deroga sono astrattamente possibili solo se siano specificamente previste dalla legge regionale”

Lo stesso articolo delle legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, chiarisce sempre il TAR Veneto, che reca un’interpretazione autentica della legge regionale sul piano casa, rafforza tale conclusione. Infatti, tale articolo indica espressamente quale debba intendersi per il legislatore l’oggetto e la latitudine della deroga (riferita “ai parametri edilizi di superficie, volume, altezza e distanza, anche dai confini, previsti dai regolamenti e dalle norme tecniche di attuazione di strumenti urbanistici e territoriali).

Così il TAR ha respinto il ricorso rilevando che, in mancanza di norma nella legge sul piano casa che consenta di derogare alle destinazioni d’uso e alle funzioni impresse a singole aree dal piano degli interventi non è possibile ipotizzare una loro derogabilità.

Andrea Berto

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Piano casa ed edifici crollati

Piano casa ed edifici crollati: possibile l’applicazione?  A questa domanda il TAR Veneto ha recentemente risposto di .

Secondo il giudice amministrativo (sentenza n. 1063 dell’8 novembre scorso) per la normativa regionale sul piano casa un edificio crollato può essere considerato come esistente.

Il giudice, al riguardo, ha osservato che “la problematica relativa alla nozione di nella prospettiva del legislatore regionale del piano casa rileva ai fini dell’applicabilità agli edifici in corso di realizzazione, perché la legge piano casa si applica agli edifici esistenti alla data del 31 ottobre 2013”.

In quest’ottica, la circolare regionale n. 1 del 13 novembre 2014, ha precisato che, in mancanza di una definizione nella legge della nozione di “edificio esistente” alla quale riferirsi, è possibile in via analogica riferirsi all’elaborazione giurisprudenziale intervenuta in materia di condono che ha precisato che, per considerarsi esistente, l’edificio deve essere perlomeno caratterizzato dalla presenza delle strutture portanti e della copertura, mentre non è richiesta l’agibilità”.

Tuttavia, come visto, tutti questi aspetti attengono in modo espresso all’applicabilità della legge sul piano casa rispetto agli immobili in corso di realizzazione: mentre mancano specifiche previsioni inerenti la diversa problematica attinente all’eventuale utilizzabilità di edifici crollati o demoliti”.

Rispetto a questi ultimi, in mancanza di disposizioni regionali di segno diverso, è pertanto condivisibile la tesi che ritiene applicabile agli edifici crollati o demoliti il medesimo regime previsto dall’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR 6 giugno 2001, n. 380 e successive modificazione che, in via generale, qualifica come interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, a condizione che “sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

piano casa ed edifici crollati
Piano casa ed edifici crollati: possibile l’applicazione se ne è appurabile la precedente consistenza.

Nel caso di specie, osserva il TAR, che “dalla documentazione fotografica allegata alla pratica edilizia che rappresenta il manufatto come era in origine e dalle mura perimetrali e dai pilastri rimasti, trattandosi di un edificio adibito a magazzino dalla struttura regolare essendo a pianta rettangolare con unica falda inclinata di copertura, è stato possibile ricostruire con esattezza la sagoma, la superficie ed il volume originari, e pertanto l’immobile, alla luce del combinato disposto tra la normativa statale sopravvenuta che ha ridefinito la nozione di ristrutturazione e quella regionale sul piano casa legittimamente è stato considerato come “esistente” ai fini dell’applicazione della normativa sul piano casa”.

In conclusione, secondo il TAR, bisogna distinguere tra edifici in corso di realizzazione che si considerano come “esistenti” se hanno almeno le strutture portanti e la copertura ed edifici crollati o demoliti che, ai fini dell’applicazione del piano casa, sono considerati esistenti se è possibile accertarne la preesistente consistenza.

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Edilizia: quando si verifica la difformità totale rispetto al permesso di costruire?

Edilizia: quando si verifica la difformità totale rispetto al permesso di costruire?

La giustizia amministrativa ha recentemente risposto a questa domanda (si veda TAR Napoli, n. 5246 dell’8 novembre 2017) sottolineando come la difformità totale di un intervento edilizio rispetto a quanto autorizzato con il permesso di costruire si verifichi allorché si realizzi un aliud pro alio (una cosa per un’altra) rispetto alla costruzione progettata.

In sostanza, secondo i giudici, “qualora siano ravvisabili opere non rientranti tra quelle consentite che abbiano una loro autonomia e novità oltre che sul piano costruttivo anche su quello della valutazione economico-sociale”.

La fattispecie presa in esame dai giudici partenopei era relativa al titolare di un bar che aveva ottenuto il permesso di costruire per realizzare una tettoia infissa su pali al fine di utilizzarla a servizio dell’impresa del bar.

Il titolare ha poi “completato” l’opera chiudendola ai lati con un muretto ed una struttura in alluminio e vetro e coprendola con lamiere coibentate in sostituzione degli originari teloni.

Il Comune ha così ordinato la demolizione delle opere di trasformazione, ritenendo che si trattasse di un’opera “nuova rispetto a quanto originariamente autorizzato.

Il titolare del bar ha così presentato ricorso al Tar contro l’ordine di demolizione sostenendo che si verterebbe in ipotesi di completamento funzionale della tettoia e quindi si verterebbe nell’ipotesi di difformità parziale dal permesso di costruire. Il TAR, però, ha dato ragione al Comune rilevando come “debba notarsi che le difformità riscontrate dall’amministrazione comunale, puntualmente colpite dall’ordine demolitorio, sono sicuramente ascrivibili alla categoria della totale difformità: infatti, esse comportano cambiamenti delle caratteristiche planovolumetriche e tipologiche della progettata tettoia capaci di dare luogo ad un organismo edilizio totalmente diverso con aggravamento del carico urbanistico originario, attraverso la trasformazione di una struttura aperta adibita a pergolato in una struttura chiusa avente funzione di veranda/salone bar e recante un inevitabile nuovo ingombro di volume”.

Al contrario” – nota sempre il giudice – “il concetto di parziale difformità si riferisce ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza”.

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vincolo paesaggistico: sanzione anche se non c’è danno ambientale

Il Tar Veneto in una recente sentenza ( la numero 919 del 27 settembre 2017) ha statuito che in caso di abuso in zona soggetta a vincolo paesaggistico la sanzione è irrogabile anche se non è riscontrabile un effettivo e concreto danno ambientale.
Nel caso preso in esame dal Tar, il ricorrente aveva abusivamente ampliato il piano interrato della propria abitazione e, in relazione a ciò, aveva ottenuto un parere favorevole alla compatibilità paesaggistica.
A tal proposito, l’art. 164 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio stabilisce che “qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione“.

avvocato amministrativo vicenza
La violazione di legge comporta la sanzione a prescindere da un danno concreto

Sulla base di tale articolo, l’autorità amministrativa ha comunque irrogato una consistente sanzione pecuniaria che è stata appunto impugnata davanti il TAR, dove si è sostenuto che il fatto di aver ottenuto un parere ambientale favorevole avrebbe dimostrato che l’abuso non aveva arrecato alcun danno al paesaggio e che, pertanto, la sanzione pecuniaria non sarebbe stata applicabile.
Il Tar, però, ha respinto il ricorso richiamando quella consolidata giurisprudenza che si è formata in materia secondo cui le somme dovute a titolo di sanzione per gli abusi commessi in zone soggette a vincolo paesaggistico devono essere corrisposte anche quando non sia riscontrabile un effettivo danno ambientale, essendo sufficiente il fatto di aver comunque posto in essere un abuso.