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Servitù di parcheggio? si può fare

servitù parcheggio
Servitù di parcheggio: da semplice comodità personale…

Servitù di parcheggio: l’apertura della Cassazione

“Non si puo’ parlare di servitù, bensì di un diritto personale a parcheggiare in un determinato posto”.
Su questa falsa riga si attestavano le pronunce giurisprudenziali più o meno recenti.
E la differenza non era di poco conto: il diritto personale è per l’appunto inerente alla persona, sussiste con essa, non è trasmissibile e termina con essa. Il diritto di servitù, invece, è tipico, riguarda un bene, un fondo e in quanto tale resiste ad un eventuale passaggio di proprietà.
Vale a dire: se si trasferisce un bene gravato da servitù, quest’ultima permarrà sull’immobile stesso, anche se ci sarà un nuovo titolare.
La sentenza – spartiacque – è di pochi giorni fa.
Prima non si poteva parlare di servitù di parcheggio: essa era considerata infatti una mera  utilità per il proprietario, che prescindeva quindi da un eventuale vantaggio per il fondo.
Il parcheggio era considerata una comodità per la persona che utilizzava un immobile, ma non una utilitas diretta per il bene stesso.
Ora la Suprema Corte non esclude, in certi casi, la possibilità di ravvisare il carattere di servitù, ossia di un diritto che riguarda la res, l’immobile, al diritto di parcheggiare un veicolo in un determinato fondo.
Esistono, infatti, delle ipotesi in cui vi è un legame “strumentale e oggettivo, diretto e immediato, tra il peso imposto al fondo servente ed il godimento del fondo dominante … sì che l’incremento di utilizzazione deve poter essere conseguito da chiunque sia proprietario del fondo dominante e non essere legato ad una attività personale del soggetto“.
Ecco allora che “in questa prospettiva non può essere escluso il carattere della realità del parcheggio dell’auto sul fondo altrui, quando tale facoltà  sia costruita come vantaggio a favore del fondo, per la sua migliore utilizzazione“.

Servitù di parcheggio 2
… a vantaggio diretto per il fondo.

La Corte fa espressamente riferimento al caso di un’abitazione, avente la possibilità di parcheggio nelle vicinanze. In tale circostanza si potrebbe correttamente parlare di servitù, in quanto da tale possibilità ne deriverebbe un innegabile incremento delle potenzialità abitative dell’immobile.

 

 

La sentenza: Corte di Cassazione 16698/2017

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Usucapione immobiliare: si può usucapire la servitù di distanza anche se l’edificio è abusivo

Usucapione immobiliare: è possibile invocarla per rivendicare il diritto a mantenere l’edificio a distanza inferiore a quella legale anche se l’edificio è abusivo

 

distanze tra costruzioni
Si può usucapire il diritto a mantenere l’immobile a distanza inferiore da quella legale da un altro edificio

E’ un modo di acquisto della proprietà: un diritto posso acquistarlo con una compravendita, posso riceverlo in donazione, in eredità ed anche conseguirlo in virtù di un possesso continuato, pubblico, pacifico ed interrotto per un periodo di tempo stabilito dalla legge e che ordinariamente è pari ad almeno 20 anni. Ecco l’usucapione.

Non necessariamente si acquisisce la titolarità di una res, di un bene fisico: si può usucapire un diritto di passaggio, un diritto di abitazione, una servitù.

Nel caso oggi in esame, Tizio era stato convocato da Caio in giudizio per aver costruito il proprio immobile a distanza inferiore rispetto a quella legale e sul presupposto che l’edificio fosse stato realizzato senza valido titolo edilizio.
Nel costituirsi, il convenuto eccepiva che la costruzione risaliva ad oltre 20 anni prima e che pertanto aveva conseguito il diritto di mantenerla in loco, a quella distanza, per usucapione.
La Corte di Cassazione ha, dato ragione a quest’ultimo,  che chiedeva di poter stare dove era.
Il principio di diritto enunciato dagli ermellini, in buona sostanza, pone l’attenzione sulle conseguenze, meramente pubblicistiche, che la realizzazione di un immobile abusivo comporti, che non intaccano in alcun modo la situazione di fatto che si viene a creare – iure privatorum – con il possesso ultraventennale di un bene.

immobile abusivo
immobile abusivo L’eventuale abusività dell’immobile rivela solo in ambito pubblicistico

Ecco la massima: “E’ ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso ad usucapionem”
La sentenza: Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., 19-01-2017, n. 1395

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Rumori molesti vicino: fino a quando si deve sopportare?

Rumori molesti vicino: capita a tutti di subire la fastidiosa eco di rumori provenienti dal fondo vicino: dal cane che abbaia all’utensile rumoroso, dallo stereo elevato a “manetta” al batti e ribatti del martello sul muro, dalle prove del musicista in erba alla ennesima festa notturna.

rumori molesti vicino
Rumori molesti vicino: fino a quando bisogna sopportarli?

Ma fino a quando, e soprattutto, fino a quanto si può/si deve sopportare i rumori molesti del vicino?
La legge, in via generale, disciplina le immissioni – “di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino” – all’art. 844 del codice civile, statuendo che non si possono impedire, e quindi vanno sorbiti, “se non superano la normale tollerabilità”.
Potrebbe sembrare la scoperta dell’acqua calda: se un rumore non è molesto va sopportato, altrimenti si può inibire.
La decisione su i rumori molesti vicino è rimessa al giudice.
In particolare, il Tribunale, in caso di rumori molesti vicino, dovrà tener conto della “condizione dei luoghi“, ove si manifestano le immissioni sonore.

E qui si opera una distinzione: se il rumore proviene da un’attività produttiva oppure da un ambito privato.
Nel primo caso il Giudice dovrà operare un equo contemperamento tra le “esigenze della produzione” e la tutela della quiete del vicino, tenendo ben presente l’eventuale disciplina di leggi e regolamenti specificie dell’ambito che stabiliscano, nell’interesse della collettività, particolari modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di rumori dei vicinitollerabilità.

Le immissioni industriali pertanto, potranno avere soglie più elevate, purchè rientranti nei limiti fissati dalle leggi specifiche, e saranno considerate lecite se non possono essere eliminate o ridotte con misure tecniche non troppo onerose, in quanto la cessazione dell’attività produttiva causa alla collettività un danno più grave del sacrificio inflitto ai proprietari dei fondi vicini.
In ogni caso,  qualsiasi valutazione dovrà attribuire assoluta prevalenza al diritto fondamentale alla salute, da considerarsi valore comunque prevalente rispetto a qualsiasi esigenza della produzione, in quanto funzionale al diritto ad una normale qualità della vita.

In relazione a rumori che provengano da contesti “privati“, vuoi d’abitazione, vuoi da attività comunque non produttive, la discrezionalità è rimessa al Giudice, il quale dovrà valutare il caso concreto, riguardo alla  “condizione dei luoghi”, ossia tenendo come parametro la sensibilità di un uomo medio e la specifica situazione ambientale.

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Disturbo della quiete pubblica : Il figlio fa “fiesta”, mamma e papà rispondono per i rumori molesti.

Disturbo della quiete pubblica: chi risponde se il figlio è minorenne?

disturbo della quiete pubblica
Disturbo della quiete pubblica. Chi ne risponde se chi ne è causa è minorenne?

Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
Si può cioè commettere un reato tramite una condotta inerte a fronte di un evento lesivo.
Per intenderci, si può commettere un omicidio sparando o lasciando morire di fame la vittima.
Si può anche far rumore, provocando disturbo della quiete pubblica, personalmente o lasciando che i figli minorenni facciano “fiesta”.
In ogni caso ne rispondono i genitori, che hanno obblighi educativi nei confronti della prole e pertanto debbono vigilare ed impedire che questi commettano scelleratezze o rechino danni ad altri.
Ciò tanto in sede civile, quanto in ambito penale.

La sentenza, recentissima, della Corte di Cassazione ribadisce il concetto ed il monito ad educare adeguatamente i figli anche nell’ambito del prevenire il disturbo della quiete pubblica naturalmente.
In buona sostanza: il “piccolo di casa”, aveva organizzato un party a casa dei genitori, assenti.
Ne è scaturito un pandemonio, con notevole disturbo del sonno dei vicini.
I genitori vengono tratti a processo davanti al Giudice penale, con l’accusa del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone (art. 659 cp).
Ne è conseguita la condanna, confermata in appello e poi davanti alla Corte Suprema, sul presupposto in base al quale i genitori sono tenuti a mantenere, istruire, educare i figli (art. 147 cc)
Fino a quando essi siano minorenni, dei fatti illeciti ne rispondono madre e padre, a sensi dell’art. 2048 cc, a meno che non provino di non aver impedito l’evento.

Penalmente, a fronte della richiamata disposizione che equipara il non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire al causarlo, i genitori sono stati ritenuti responsabili di aver permesso i disturbanti schiamazzi e rumori da parte del figlio che hanno generato la vicenda.
Ciò non esclude, ovviamente, la concorrente responsabilità del minore, se ultraquattordicenne e capace di intendere e di volere.

Tant’è: culpa in educando et in vigilando.
Bisogna adeguatamente educare i propri figli e vigilare sulle loro azioni.

La sentenza: Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-09-2016) 15-12-2016, n. 53102

 

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Distanze tra edifici e distanze dal confine: una differenza non di poco conto

Distanze tra edifici: il nostro codice civile – art 873 c.c. –  stabilisce che tra costruzioni confinanti debbano intercorrere almeno tre metri di distanza l’una dall’altra, salvo che i regolamenti locali stabiliscano distanze maggiori (e mai inferiori).

Si noti: il legislatore non impone espressamente una distanza dal confine, ma solo le distanze tra edifici.

distanze tra edifici
Distanze tra edifici o distanze dal confine?

Tale precisazione deve essere sottolineata, perchè spesso vi è confusione sul punto.
Infatti, agli articoli seguenti viene disciplinato l’istituto della cd prevenzione: a chi costruisce per primo tra due proprietari di fondi confinanti è concessa una scelta. In primis, può costruire a 1,5 metri dal confine. In questo caso, il vicino potrà edificare osservando quanto meno la medesima distanza.
Chi costruisce per primo può anche farlo a meno di 1,5 metri dal confine: in questo caso all’altro proprietario sono date tre possibilità. O edificherà a 3 metri dall’altra costruzione, oppure potrà chiedere la comunione forzosa del muro della costruzione vicina e avanzare il proprio fabbricato fino ad esso, occupando lo spazio intermedio, dopo avere interpellato il proprietario se preferisca estendere il muro a confine o procedere alla sua demolizione (art. 875 c.c.); in alternativa, potrà costruire in aderenza, senza condividere il muro vicino, pagando solamente il valore del suolo occupato (art. 877 cc).
In buona sostanza, non si devono confondere le norme dettate dal codice in materia di distanze tra edifici, da quelle stabilite eventualmente dagli strumenti urbanistici locali in materia di distanza dal confine, che dovranno essere attentamente valutati al momento di un’edificazione.

Al riguardo, come abbiamo verificato, ben può essere che alcuni regolamenti locali stabiliscano distanze tra costruzioni maggiori rispetto ai tre metri fissati dal codice civile.
Ci si è chiesti se in questo caso potesse valere l’istituto della prevenzione prima delineato.
La giurisprudenza sul punto è stata a lungo ondivaga e contrastante.

distanze tra costruzioni
…non c’è un distacco minimo delle costruzioni dal confine….

A dirimere la questione è intervenuta una recente Sentenza delle Sezioni Unite che hanno ammesso l’applicazione della prevenzione anche nel caso in esame.
I Giudici della Suprema Corte hanno infatti evidenziato che ” Le norme dei regolamenti edilizi che fissano le distanze tra le costruzioni in misura diversa da quelle stabilite dal codice civile, infatti, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 873 c.c., hanno portata integrativa delle disposizioni dettate in materia dal codice civile; e tale portata non si esaurisce nella sola deroga alle distanze minime previste dal codice, ma si estende all’intero impianto di regole e principi dallo stesso dettato per disciplinare la materia, compreso il meccanismo della prevenzione, che i regolamenti locali possono eventualmente escludere, prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza. Ne discende che un regolamento locale che si limiti a stabilire una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide sul principio della prevenzione, come disciplinato dal codice civile, e non preclude, quindi, al preveniente la possibilità di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni, nè al prevenuto la corrispondente facoltà di costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli artt. 874, 875 e 877 c.c.).”

La Sentenza: Cass. civ. Sez. Unite, 19/05/2016, n. 10318

 

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Dichiarazione di Usucapione

Dichiarazione di Usucapione

Si può usucapire un diritto anche con la consapevolezza dell’espresso disaccordo del titolare formale del bene.

Andiamo per gradi.

Come si sa, l’usucapione è un modo di acquisto della proprietà o di altri diritti reali tramite il possesso continuato, pubblico (non clandestino), pacifico (non violento) ed ininterrotto per un periodo di tempo che – salvo alcuni casi particolari – per i beni immobili deve protrarsi per 20 anni.

A quel punto si può fare dichiarazione di usucapione.

Il possessore deve svolgere tale attività come se il bene o il diritto esercitato gli appartenesse.

I latini definivano tale contegno “animus rem sibi habendi”: tradotto, mi comporto come se il bene fosse mio.

dichiarazione di usucapione.
Usucapione: se il proprietario del fondo si oppone al passaggio?

Ebbene, i Giudice della Suprema Corte, in una recente Sentenza, hanno precisato che il possesso, per essere pacifico, non necessariamente deve avvenire col benestare del titolare del diritto che si intende usucapito.

Il caso sottoposto all’attenzione della Cassazione verteva in ordine all’acquisto per usucapione della servitù di passaggio su un fondo i cui titolari avevano contestato, nel tempo, l’esercizio del possesso, con cartelli, lettere e diffide.

In primo e secondo grado di giudizio, si era negato potesse essere configurato acquisito il diritto, in quanto il comportamento non certo inerte dei proprietari del fondo precludeva la sussistenza dei requisiti della continuità (non interruzione) e pacificità dell’attività avversaria.

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Dichiarazione di usucapione?

Il giudizio di legittimità ha ribaltato tali provvedimenti: per escludere la sussistenza del possesso utile all’usucapione non è sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l’altrui proprietà del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per i fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l’animus possidendi non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facoltà.

Un possesso, poi, potrà considerarsi pacifico, seppur avvenuto nonostante la contraria volontà del titolare del bene: quel che rileva è, infatti, il contegno del possessore e non già la volontà contraria del proprietario.

Tale ultima circostanza, poi, affinchè possa considerarsi interruttiva della continuità del possesso, dovrà essere avvenuta secondo criteri tassativamente imposti dalla legge, tra i quali non rientrano di certo quelli considerati nel caso di specie.

La Sentenza: Cass. civ. Sez. II, Sent., 18-10-2016, n. 21015

Costruzione Altana – lastrico solare: il singolo condomino non può asservirlo a proprio esclusivo uso e consumo.

Costruzione Altana – lastrico solare

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Costruzione Altana: le sentenze
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Lastrico solare…si può?

E’ una fattispecie abbastanza ricorrente: specie in Veneto e nella bella Venezia dove si usa godere il bel panorama sulla città, posizionando sulle parti più alte di edifici delle “altane“, ossia delle sorti di loggette in legno, che consentono la sosta “belvedere” ed il riparo dal sole.
Tutto lecito – salve eventuali considerazioni di carattere urbanistico in ordine alla natura di dette costruzioni – per chi dimori in un edificio esclusivamente personale; non più se ci si trovi in ambito condominiale e l’assemblea abbia già manifestato parere contrario alla posa del manufatto.
Sul punto è tornata a pronunciarsi la Corte di Cassazione con una recente pronuncia, con la quale ha sottolineato l’interpretazione del principio secondo cui è consentito al singolo condomino l’utilizzazione della cosa comune con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, nonchè la possibilità di effettuare un uso più intenso della cosa stessa purchè siano combinati  al rispetto delle concorrenti utilizzazioni – attuali o potenziali – da parte degli altri condomini e senza che sia alterato l’equilibrio nella possibilità di accedere al godimento del bene.
Per converso deve qualificarsi come illegittima la trasformazione della terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, risultando così alterata la destinazione della cosa comune a detrimento della possibile sua utilizzazione da parte degli altri inquilini.
Posizionando un manufatto così ingombrante, il singolo partecipante asservirebbe a proprio utilizzo esclusivo un bene – la terrazza – che anche gli altri condomini hanno diritto di utilizzare, vuoi, ad esempio, per posizionarvi antenne, stendere i panni, effettuare riparazioni del tetto,eccetera.
Non si verterebbe, infatti, nell’ipotesi di un migliore godimento della cosa comune da parte del singolo comproprietario – fattispecie consentita dalla legge (art. 1102 cc) – bensì nell’appropriazione di una parte di un bene condominiale che verrebbe così sottratto alla disponibilità degli altri.
La sentenza : Cass. Civ. n. 23243/2016

Le migliorie del bene concesso in comodato alla coppia convivente non devono essere rimborsate

Una coppia decide di andare a convivere nell’appartamento di proprietà del padre di lei, concesso in comodato.
Il compagno, per rendere l’immobile più conforme alle loro esigenze e desideri, investe una cospicua somma di denaro per apportarvi le migliorie del caso.
Dopo qualche mese, a seguito di una crisi relazionale, l’uomo interrompe il rapporto e se ne va di casa. A quel punto vuole essere rimborsato per i soldi impiegati nelle opere di un appartamento non suo e, a fronte del diniego del mancato suocero, lo cita in giudizio.

Ebbene, la Cassazione (Sez. III, Sent. 30-06-2015, n. 13339) ha stabilito che nessuna somma debba essere restituita, in quanto il contratto di comodato – lo si ricorda, essenzialmente gratuito – impone il rimborso a favore del comodatario, ossia di colui il quale riceve in prestito il bene, delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, mentre sono escluse quelle impiegate per servirsene.

E’ stata esclusa, pertanto, la possibilità che possa spettare un qualche rimborso (neppure nella forma dell’indennità o dell’indennizzo) per esborsi che, ancorchè abbiano determinato un miglioramento, non siano risultati necessari per far fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione della cosa.

E’ stato, infatti, notato che “”il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante.

Ne consegue che, se un genitore concede un immobile in comodato per l’abitazione della costituenda famiglia, egli non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie nè urgenti, sostenute da uno dei coniugi comodatari durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell’abitazione coniugale”