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L’ azione per richiedere la qualifica di erede

Soffermiamoci sulla petizione di eredità, ossia lazione per richiedere la qualifica di erede e l’attribuzione della propria quota di patrimonio ereditario.

Perché li uomini dimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio“, scriveva Nicolò Machiavelli.

Esagerato? Neanche tanto.

Come avremo modo di appurare nel corso del seguente articolo, la legge stabilisce che l’azione per richiedere la qualifica di erede e la restituzione del patrimonio di spettanza sia imprescrittibile, non soggetta a prescrizione. proprio come difficilmente scalfibile dal tempo è la ricerca del patrimonio da parte di chi ne ha diritto.

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L’azione per richiedere l’accertamento della propria qualifica di erede è imprescrittibile

Una tutela a 360 gradi a chi – erede che abbia accettato l’eredità o semplicemente chiamato all’eredità, ossia potenziale erede – voglia ottenere la restituzione dei beni ereditari, “contro chiunque possiede tutti o parte “di tali beni, a titolo di erede o senza titolo alcuno (art. 533 cc).

Facciamo un esempio.

Sempronio è padre di due figli, Tizio e Caio.

Morto Sempronio, chiamati all’eredità sono i due discendenti.

Caio, però, sottrae tutti o parte dei beni costituenti il patrimonio lasciato da Sempronio.

Tizio potrà validamente esperire lactio petitio hereditatis, la petizione di eredità, nella quale, per prima cosa dovrà essere accertata la sua qualifica di erede.

In secondo luogo, appurato tale step, e dimostrata lesistenza di beni facente parte del patrimonio ereditario al momento della morte di Sempronio ed il loro possesso da parte di altri, chiederà la restituzione della quota di propria spettanza.

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Tecnicamente l’azione compete all’erede, ossia a chi abbia accettato l’eredità, ma è ritenuto pacifico che l’esercizio dell’azione in esame da parte di chi non abbia provveduto a tale formalità comporti – di per essa – l’accettazione tacita dell’eredità, senza, pertanto, richiedere ulteriori adempimenti.

L’azione potrà essere rivolta contro chiunque abbia il possesso dei beni.

Chiunque: sia erede (coerede) o no, senza alcun titolo.

La giurisprudenza non richiede debbano essere chiamati in giudizio tutti gli eredi, bensi solo colui il quale possegga il bene contestato.

L’azione, lo abbiamo rilevato in apertura, è imprescrittibile.

Tuttavia, a chi non abbia previamente accettato l’eredità e non vi abbia provveduto entro i 10 anni dal momento in cui avrebbe potuto farlo, potrà essere eccepita la prescrizione del diritto ad accettare l’eredità, quella sì da esercitarsi tempestivamente per poter ottenere la qualifica di erede.

Altra circostanza, significativa: l’art. 533 cc fa salvi gli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni.

Tizio, pertanto, potrà agire senza temere in qualsiasi momento per ottenere, previo riconoscimento della qualifica di erede, l’attribuzione del patrimonio ereditario, tuttavia, mettiamo caso, abbia richiesto la condanna alla restituzione del singolo terreno agricolo paterno e siano trascorsi oltre 20 anni dacchè il fratello, o chiunque altro, abbia continuato ad utilizzarlo esclusivamente, come se ne fosse proprietario, i suoi diritti ereditari saranno destinati a soccombere innanzi all’avvenuta usucapione di quel singolo bene.

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L’accordo sull’eredità prima della morte del de cuius

Se tra i futuri eredi – o lo stesso testatore – interviene un accordo sull’eredità prima della morte del de cuius  si configura un patto successorio, dichiarato nullo dalla legge.

Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco, recita un antico motto.

Il codice civile è dello stesso avviso in punto di patti successori, ossia quegli accordi con cui, prima della morte di un soggetto, i futuri – eventuali – eredi contrattino la spartizione del patrimonio del defunto prima ancora che il proprio caro passi a miglior vita.

La scure della nullità si abbatte tanto sui cosiddetti patti dispositivi, quelli poc’anzi esaminati, con cui gli eredi (o presunti tali) contrattino un’eredità non ancora divenuta attuale, quanto i patti abdicativi, tramite i quali uno dei futuri chiamati all’eredità si accorda preventivamente di rinunciare alla stessa, in favore di altri successibili.
Da ultimo, alla medesima sorte, sarà sottoposto il cd patto istitutivo, dove è il soggetto la cui morte darà luogo all’apertura della successione che negozi con chissà chi  il contenuto della proprie disposizioni testamentarie.

La ragione è semplice: tutelare la libertà testamentaria. Principio cardine in ambito successorio.
Un soggetto, qualsiasi soggetto, nel momento in cui disponga dei propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere, deve essere assolutamente sciolto da qualsiasi vincolo, tanto diretto, quanto indiretto e, quindi, anche deve essere sempre nelle condizioni di cambiare idea e revocare quanto disposto in precedenza.

Non solo.

Vi sono esigenze anche di ordine pubblico: a tutti deve essere dato di poter decidere con avvedutezza in merito alla possibile accettazione dell’eventuale chiamata ereditaria, in base agli elementi attuali che avrà a disposizione in quel momento, senza obbligarsi, ex ante, ad accettare, privarsi, cedere o ricevere posizioni giuridiche vincolanti e si dovranno, pertanto, impedire atti di prodigalità o atti abdicativi di rilevanza economica troppo avventati e senza la possibilità di un’adeguata e concreta valutazione della loro effettiva portata.

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I patti successori possono essere istitutivi, dispositivi o abdicativi

Alcuni casi in cui si è rinvenuto patto successorio sono stati:
– L’intestazione di alcuni beni ad un soggetto, dandogli mandato di trasferirne ad altri la proprietà una volta intervenuto l’evento morte del primo disponente ( Trib. Roma Sez. VIII, 29/10/2016)
– l’accordo, intervenuto prima della morte del genitore, con cui quest’ultimo, assieme ai suoi due figli, avevano stabilito modalità divisorie riguardanti sia beni oggetto di una futura vendita in loro favore, sia il patrimonio che i medesimi avrebbero ricevuto alla morte del padre (Cass. civ. Sez. II, 15/07/2016, n. 145669.
– l’accordo col quale i contraenti si attribuiscono le quote di proprietà di un immobile oggetto dell’altrui futura successione “mortis causa”, pattuendo di rimanere in comunione (Cass. civ. Sez. II, 15/07/2016, n. 14566)
– la rinuncia preventiva alla quota di comproprietà derivante da una futura eventuale successione ( Cass. civ. Sez. II, 25/02/2015, n. 3819)
– la rinuncia da parte del legittimario e dei suoi eredi il suo erede al diritto di chiedere la riduzione delle donazioni finché vive il donante, nemmeno se effettuata con dichiarazione espressa, né prestando il proprio assenso alla donazione (Trib. Treviso Sez. I, 01/04/2010)
– una convenzione con la quale alternativamente si istituisce un erede o un legato ovvero ci si impegna a farlo in un successivo testamento (Cass. civ. Sez. II, 03/03/2009, n. 5119)

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Il codice ha inteso tutelare al massimo la libertà testamentaria

Per altro verso, si è ritenuto non configurino patti successori:
– L’assunzione tra fratelli dell’obbligo di conguaglio per la differenza di valore dei beni loro donati in vita dal genitore, non concernendo i diritti spettanti sulla futura successione “mortis causa” del genitore (Cass. civ. Sez. II, 27/11/2015, n. 24291).
– La clausola, contenuta in un contratto di mutuo, ove si preveda che il mutuatario sia liberato dall’eventuale debito residuo alla data della morte del mutuante,trattandosi di un negozio inter vivos di remissione di debito immediatamente produttivo di effetti e non di un negozio mortis causa (Trib. Udine, 20/10/2014)
– la clausola statutaria di società a responsabilità limitata che sancisca il divieto del trasferimento delle quote per causa di morte se non a favore del coniuge e dei discendenti in linea retta dei soci fondatori e il subentro dei soci superstiti ( in quanto il vincolo che ne deriva a carico reciprocamente dei soci è destinato a produrre effetti solo dopo il verificarsi della vicenda successoria e dopo il trasferimento (per legge o per testamento) della partecipazione agli eredi, con la conseguenza che la morte di uno dei soci costituisce soltanto il momento a decorrere dal quale può essere esercitata l’opzione per l’acquisto suddetto, senza che ne risulti incisa la disciplina legale della delazione ereditaria o che si configurino gli estremi di un patto di consolidazione delle azioni fra soci) Cass. civ. Sez. I, 12/02/2010, n. 3345

Un’ interessantissima sentenza del Tribunale di Vicenza, Sez. II, 02/02/2016, ci indica quali criteri si debbano tenere in considerazione per l’individuazione di un patto successorio:

1) se il vincolo giuridico creato con la pattuizione abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta;

2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa;

3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così, dello ius poenitendi;

4) se l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa;

5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato

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Rumori molesti: quale tutela?

Rumori molesti, facciamo il punto sulla tutela in tema di immissioni acustiche.

Va innanzitutto detto che il diritto al tranquillo godimento della dimora è tutelato sia dalla legislazione europea che da quella nazionale.

Per quel che concerne la normativa europea, secondo la Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo devono essere considerate condotte lesive del (tutelato dall’articolo 8 della convenzione europea) non solo l’accesso non autorizzato agli spazi di privata dimora, ma anche le immissioni di rumore, di odori e le altre forme di interferenza nel godimento della propria dimora.

A livello nazionale, è consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione quello secondo cui, a fronte delle immissioni acustiche, esistono due livelli di tutela: un regime pubblicistico che tutela la quiete pubblica e un regime civilistico, che tutela i rapporti tra privati. Secondo la Corte però l’eventuale rispetto dei limiti posti dalla normativa pubblicistica non fa venire meno l’illiceità della immissione da un punto di vista civilistico. Sotto tale punto di vista, infatti, il criterio per stabilire se un rumore è molesto non è quello del rispetto della normativa pubblicistica, ma quello della normale tollerabilità stabilito dall’articolo 844 codice civile e, in relazione a ciò, la Corte ha rilevato che “il superamento della soglia codicistica di tollerabilità delle immissioni ben può essere riscontrata pur nell’accertato rispetto di limiti di cui alla normativa tecnica” (Corte di Cassazione, n. 20927 del 2015).

Ancora più chiaramente, la Corte ha affermato che “in materia di immissioni, mentre è illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi in concreto alla stregua dei principi di cui all’art. 844 Codice civile” (Cassazione, n. 8474 del 2015).

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Rumori molesti: doppia valutazione, pubblicistica e civilistica

Dunque, in sintesi, secondo la giurisprudenza della suprema Corte ben possono essere intollerabili (perché lesive, in concreto, del diritto ad una normale qualità della vita) quelle immissioni che pur rispettano la normativa tecnica (come ad esempio i regolamenti comunali sull’inquinamento acustico).

Il citato articolo 844 c.c. stabilisce poi che il giudice deve contemperare le esigenze della produzione con quelle della proprietà , tenendo eventualmente conto della priorità di un determinato uso.

In relazione a tale contemperamento, la Suprema Corte ha già somministrato un criterio guida, cui orizzontare il prudente apprezzamento del giudice, chiarendo che tale formula “deve essere interpretata, tenendo conto che il limite della tutela della salute e dell’ambiente è da considerarsi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento del diritto ad una normale qualità della vita.” (così Cassazione, n. 5564 del 2010)

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Sopraelevazione del fabbricato e distanza dall’edificio confinante

Sopraelevazione del fabbricato e distanza dall’edificio confinante: facciamo il punto. Il quesito è se, in caso di sopraelevazione del proprio immobile tale che la nuova costruzione sopraelevata risulti più alta dell’edificio confinante, si debba comunque rispettare la distanza di 10 metri prevista dal DM 1444 del 1969, dato che le parti dei due stabili non si fronteggiano. L’art. 9 del D.M. sopra citato prescrive per le nuove costruzioni “la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”.

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La distanza si computa solo tra pareti munite di finestre qualificabili come vedute

La finalità del DM n. 1444 del 1968 di prescrivere precise distanze tra fabbricati è quella di garantire sia l’interesse pubblico ad un ordinato sviluppo dell’edilizia, sia quello alla salute dei cittadini, evitando il prodursi di intercapedini malsane e lesive della salute degli abitanti degli immobili.

Secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa, le opere costruite in sopraelevazione rispetto ad un edificio preesistente costituiscono “nuova costruzione” e pertanto sono soggette alla disciplina sulle distanze. In merito, poi, alle modalità di calcolo della distanza, il Consiglio di Stato ha più volte statuito che “la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti deve computarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano (si veda, per tutte, Consiglio di Stato n. 2086 del 2017) E’ stato poi precisato che nel computo delle distanze vanno considerati tutti gli elementi costruttivi avanti i caratteri della solidità, stabilità e della immobilizzazione (in tal senso, Consiglio di Stato n. 2861 del 2015). La giurisprudenza ha, inoltre, chiarito, che la regola del rispetto della distanza dei dieci metri, di cui all’art. 9 del D.M. n.1444/1968 si riferisce esclusivamente a pareti munite di finestre qualificabili come vedute (secondo l’art. 900 Codice Civile sono vedute le finestre che permettono di affacciarsi sul fondo del vicino e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente) e e non ricomprende anche quelle su cui si aprono finestre aventi caratteristiche di luce (quelle cioé che non permettono l’affaccio sul fondo del vicino).

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rent to buy: quando conviene?

home-158089_960_720Come funziona il rent to buy e quando conviene stipularlo?
Il rent to buy, o affitto con riscatto, è uno strumento contrattuale che permette di stipulare un contratto di affitto che poi si potrà trasformare in una compravendita.
L’acquisto non è comunque obbligatorio ma costituisce soltanto un‘opzione legata alla locazione.
In sostanza, il contratto si articola in due fasi: la prima è quella dell‘utilizzo dell’immobile tramite la locazione, la seconda è quella del trasferimento della proprietà dell’immobile ed è solo eventuale.
Il canone da versare mensilmente è però superiore a quello di una normale locazione: una parte costituisce l’affitto, l’altra costituirà un acconto sul prezzo finale dell’immobile.
Il contratto di rent to buy può essere stipulato per qualsiasi tipo di immobile: ad uso residenziale, commerciale, produttivo, direzionale, ed anche con riguardo a terreni.
I vantaggi del rent to buy: il contratto consente di bloccare il nuovo immobile cominciando a versare un canone periodico, evitando così di diventare allo stesso tempo proprietario di due diverse case, con conseguente imposizione fiscale; di avere più tempo per realizzare la vendita di quella vecchia a un prezzo più congeniale alle proprie aspettative e, conseguentemente, di evitare nell’immediato gli oneri finanziari derivati dall’accensione di un mutuo, diminuendo al contempo quello che sarà l’importo da richiedere in prestito per acquistare quella nuova.
Cosa succederebbe se il conduttore decidesse di non acquistare l’immobile? Se il conduttore decidesse di non procedere all’ acquisto, il contratto, alla scadenza del termine convenuto, cesserà di produrre ogni effetto.
Di conseguenza il concedente avrà diritto:
– alla riconsegna dell’immobile;
– a trattenere i canoni sino a quel momento pagati per l’intera componente riferita all’ utilizzo, mentre dovrà restituire al conduttore la parte della componente da imputare a corrispettivo della vendita nella misura stabilita in contratto.
Chi paga le imposte legate al possesso dell’immobile?
Nel periodo dell’utilizzo, le imposte legate al possesso dell’immobile (ad esempio l’IMU) sono a carico del proprietario, come nel caso dei contratti  di locazione. La TASI, invece, va pagata in parte dal proprietario e in parte dal conduttore, secondo le percentuali fissate da ciascun comune. La TARI (tassa sui rifiuti) è invece a carico del conduttore, che in quanto detentore dell’immobile, si avvale del servizio di raccolta dei rifiuti.

Usucapione: come si interrompe?

Usucapione: come si interrompe? Vediamo innanzitutto in cosa consiste.

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usucapione è il possesso di un bene in modo pacifico, continuo e non interrotto per il tempo stabilito dalla legge

L’usucapione è un metodo legale di acquisto della proprietà altrui attraverso il . In pratica è necessario che qualcuno si impossessi del bene altrui, utilizzandolo come se fosse l’effettivo proprietario, in modo indisturbato, per 20 anni nel caso di acquisto della proprietà (mobili o immobili), 15 per i fondi rustici, 10 per i beni mobili registrati (come, ad esempio, le automobili).   La Corte di Cassazione, anche recentemente (ordinanza 20611 del 31 agosto 2017) ha statuito che né la diffida né la messa in modo sono sufficienti  ad interrompere l’usucapione? Per la Suprema Corte  possono avere efficacia interruttiva solo atti che comportino per il possessore la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, come la notifica dell’atto di citazione con il quale venga richiesta la consegna materiale di tutti i beni immobili sui quali si vanti un diritto di proprietà, per esempio, perché passati in proprietà esclusiva con sentenza passata in giudicato per effetto di divisione in lotti di un compendio ereditario. Secondo la Cassazione non è sufficiente neppure l’atto di disposizione da parte del proprietario, poiché la vendita in favore di altri soggetti, anche se conosciuta dal possessore, non esercita alcuna incidenza sulla situazione di fatto utile ai fini dell’usucapione, rappresentando, rispetto al possessore, un cosa ininfluente. Ma allora che cosa deve fare il proprietario per interrompere l’usucapione? Sotto un profilo pratico, si può agire nel seguente modo:

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Usucapione, in assenza di riconoscimento del proprio diritto, inevitabile la causa in Tribunale
  • – se c’è la collaborazione del possessore e, quindi, i rapporti con il titolare sono pacifici: sarà sufficiente far firmare a questi una dichiarazione con cui egli riconosce espressamente all’effettivo proprietario tutti i diritti sul bene, ammettendo di poterne disporre solo in virtù del consenso del primo;
  • – se non c’è la collaborazione del possessore: si potrà notificare a questi un atto di citazione con cui il proprietario chiede la restituzione del proprio bene. Si tratta dell’atto che serve per intraprendere la normale causa in tribunale: un rimedio estremo, ma l’unico utile a rivendicare il diritto ed a conseguire il bene.

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Vizi dell’immobile venduto:un’interessante pronuncia

Una recente pronuncia della Cassazione fa il punto sui rimedi riconosciuti all’acquirente per i vizi dell’immobile venduto.

Comprare una casa e scoprire che, nonostante le rassicurazioni del venditore, faccia acqua da tutte le parti.

Come comportarsi? Quale tutela per l’acquirente?

La pronuncia n. 18891/2017  della Suprema Corte è assolutamente significativa.
In primis, il compratore potrebbe esercitare le azioni previste dalla legge in materia di compravendita: egli dovrà denunciare eventuali vizi entro 8 giorni dalla scoperta (si noti, decorrenti da  quando ne abbia acquisito certezza obiettiva e completa).

In secondo luogo egli dovrà agire per chiedere alternativamente la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo entro un anno dalla consegna del bene.
La corte ha precisato specificatamente che l’anno non dovrà essere fatto risalire dalla scoperta dei vizi, ma dalla consegna del bene. Quest’aspetto deve essere ben chiaro per evitare possibili ed irreparabili fraintendimenti. Per cui se la consegna del bene fosse avvenuta il 14 marzo 2017 ed i vizi fossero stati compiutamente scoperti il 25 maggio del medesimo anno, la denuncia dei vizi dovrà essere effettuata entro il 2 giugno e l’eventuale causa intrapresa entro il 25 maggio dell’anno successivo.

 

azioni contro il venditore
Vizi dell’immobile venduto: oltre alle azioni previste in materia di compravendita, potrà essere chiesto l’annullamento del contratto in caso di dolo

Altro rimedio: il compratore potrebbe chiedere l’annullamento del contratto se il venditore gli avesse non solo occultato l’esistenza dei vizi lamentati, ma anche con artifizi o raggiri dolosamente indotto ad acquistare il bene difettoso.
L’azione sarebbe esperibile entro 5 anni che decorrerebbero dalla scoperta dei difetti stessi, (in questo caso potrebbe essere analogicamente applicata la sospensione della prescrizione, che la legge riconosce allorquando il debitore abbia dolosamente occultato l’esistenza del debito, e fino alla scoperta di esso).
Si noti, l’annullamento comporterebbe lo scioglimento della vendita con efficacia retroattiva, con la retrocessione del bene in capo all’originario proprietario ed il rimborso – con eventuale risarcimento danni – di quanto ricevuto come corrispettivo.

 

Altro rimedio- e qui la specifica più interessante – potrebbe essere l’esercizio contro il venditore dell’azione di responsabilità che la legge prescrive in capo al costruttore in caso di rovina o difetto di beni immobili.
Per lungo tempo tale eventualità non era riconosciuta all’acquirente contro il venditore che non fosse stato anche costruttore del bene venduto, in quanto l’azione era ritenuta disciplinante “esclusivamente la responsabilità dell’appaltatore, qualità non rivestita dalla parte venditrice”.
Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto di estenderla anche al venditore allorquando a la abbia fatta eseguire, sotto la sua supervisione o direzione dei lavori, oppure ne abbia commissionato la ristrutturazione, come nel caso preso in esame nel provvedimento in commento.

 

Vizi immobile venduto anche 1669 cc
E’ riconosciuta la garanzia ex art. 1669 cc se il venditore ha curato e diretto i lavori di costruzione e ristrutturazione dell’immobile

Secondo i Giudici ermellini, infatti, l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 c.c., nonostante la collocazione della norma tra quelle in materia di appalto, può essere esercitata, in ragione della sua natura extracontrattuale, non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera, ed abbia perciò esercitato un potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, tale da rendergli addebitabile l’evento dannoso (così Cass. Sez. 2, 17/04/2013, n. 9370; Cass. Sez. 2, 16/02/2012, n. 2238; Cass. Sez. 2, 29/03/2002, n. 4622). La responsabilità del venditore, in ordine alla conseguenze dannose dei gravi difetti di costruzione incidenti profondamente sugli elementi essenziali dell’opera e che influiscono sulla durata e solidità della stessa, compromettendone la conservazione, è configurabile sia quando questi abbia costruito l’immobile e lo abbia poi alienato all’acquirente, sia quando il medesimo venditore abbia incaricato un terzo appaltatore della costruzione del bene prima della sua vendita (arg. da Cass. Sez. 2, 16/02/2006, n. 3406).
L’azione è, poi, è esperibile, ricorrendone tutte le  condizioni, anche in caso di vendita di opere oggetto di ristrutturazione edilizia e, in genere, di  interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.
Il rimedio è esercitabile, nel termine di dieci anni dal compimento dell’opera, purchè sia stata fatta denunzia entro un anno dalla scoperta dei vizi e deve essere azionato entro un anno da tale denuncia.

La Sentenza: Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 23-05-2017) 28-07-2017, n. 18891

 

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Impugnazione del testamento: i termini da rispettare

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Impugnazione del testamento: occorre distinguere la tipologia di invalidità….

Cosa non deve sfuggire per l’impugnazione del testamento.

Tutti possono sbagliare: anche il testatore nel momento del confezionamento delle sue ultime volontà.


I vizi che possono colpire il testamento possono essere più o meno gravi, dando luogo a diverse fattispecie di invalidità.

 

Tralasciando questioni che attengono alla capacità mentale del disponente, (per le quali ci soffermiamo in questo post)  avremo  un testamento olografo nullo se – ad esempio – battuto a macchina o scritto da mano terza, o ancora privo di sottoscrizione o contenente condizioni illecite, che sono state l’unico motivo che abbia determinato la redazione di tale atto.


Il testamento sarà annullabile se, ad esempio, privo di data, oppure se stilato da soggetto che fosse incapace di intendere al momento in cui lo ha scritto, o per vizio del volere.
Da ultimo, anche se tecnicamente non è corretto parlare di invalidità, il testamento potrebbe contenere delle disposizioni lesive dei diritti di alcune categorie di eredi, denominati legittimari, e potrebbe dar luogo ad una iniziativa volta a richiedere il ristoro delle ragioni successorie di questi soggetti.

 

Impugnazione  del testamento: termini di prescrizione

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… e i termini di decorrenza per agire.

Bene, si tengano in considerazione tre termini.


1. L’azione per impugnare un testamento nullo non è soggetta a prescrizione.
Si potrà sempre invocare tale suprema invalidità, salva l’eventuale eccezione da parte del soggetto avvantaggiato dall’atto nullo di rivendicare l’usucapione di quanto ricevuto, qualora ve ne fossero i presupposti.

2. Per impugnare un testamento annullabile occorre agire entro 5 anni.
La decorrenza di tale termine varia a seconda delle circostanze, e può partire, ad esempio, dal momento in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie (nel caso di testamento redatto da incapace, o per uno  con data difettosa), oppure dal momento in cui si è avuta notizia della violenza, del dolo o dell’errore in caso di vizio del volere.


3. Il termine per l’impugnazione del testamento lesivo dei diritti spettanti ai legittimari, vuoi perchè disponente quote inferiori a quelle di legge, vuoi perchè totalmente escludente taluni soggetti aventi diritto, è di dieci anni e decorre – in base alle pronunce più attestate in merito – dal giorno dell’apertura della successione, ossia dalla morte del testatore.

 

 

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Danno da vacanza rovinata: facciamo il punto

Danno da vacanza rovinata: una sintesi sulle norme più importanti da conoscere.

Pronti, via. Si parte. Finalmente….ma poi…. un disguido, un ritardo, o peggio, una fregatura e la vacanza agognata si trasforma in un incubo.
Facciamo il punto sulle principali nozioni da sapere con riferimento ai diritti di chi viaggia.
1. il contratto deve avere forma scritta.
L’art. 35 del Codice del Turismo, stabilisce che “Il contratto di vendita di pacchetti turistici e’ redatto in forma scritta in termini chiari e precisi. Al turista deve essere rilasciata una copia del contratto stipulato e sottoscritto dall’organizzatore o venditore“.

Danno da vacanza rovinata
Contratto in forma scritta e con indicazioni chiare

2. Chiarezza.
Tra le tante indicazioni, il contratto deve contenere:
a) destinazione, durata, data d’inizio e conclusione, qualora sia previsto un soggiorno frazionato, durata del medesimo con relative date di inizio e fine;
b) nome, indirizzo, numero di telefono ed estremi dell’autorizzazione all’esercizio dell’organizzatore o dell’intermediario che sottoscrive il contratto;
c) prezzo del pacchetto turistico, modalita’ della sua revisione, diritti e tasse sui servizi di atterraggio, sbarco ed imbarco nei porti ed aeroporti e gli altri oneri posti a carico del turista;
d) importo, comunque non superiore al venticinque per cento del prezzo, da versarsi all’atto della prenotazione, nonche’ il termine per il pagamento del saldo; il suddetto importo e’ versato a titolo di caparra ma gli effetti di cui all’articolo 1385 del codice civile non si producono qualora il recesso dipenda da fatto sopraggiunto non imputabile, ovvero sia giustificato dal grave inadempimento della controparte;
e) estremi della copertura assicurativa obbligatoria e delle ulteriori polizze convenute con il turista;
f) mezzi, caratteristiche e tipologie di trasporto, data, ora, luogo della partenza e del ritorno, tipo di posto assegnato;
g) ove il pacchetto turistico includa il trasporto aereo, il nome del vettore e la sua eventuale non conformita’ alla regolamentazione dell’Unione europea;
h) ove il pacchetto turistico includa la sistemazione in albergo, l’ubicazione, la categoria turistica, il livello, l’eventuale idoneita’ all’accoglienza di persone disabili, nonche’ le principali caratteristiche, la conformita’ alla regolamentazione dello Stato membro ospitante, i pasti forniti;
i) itinerario, visite, escursioni o altri servizi inclusi nel pacchetto turistico, ivi compresa la presenza di accompagnatori e guide turistiche;
l) termine entro cui il turista deve essere informato dell’annullamento del viaggio per la mancata adesione del numero minimo dei partecipanti eventualmente previsto;
m) accordi specifici sulle modalita’ del viaggio espressamente convenuti tra l’organizzatore o l’intermediario e il turista al momento della prenotazione;
n) eventuali spese poste a carico del turista per la cessione del contratto ad un terzo;
o) termine entro il quale il turista deve presentare reclamo per l’inadempimento o l’inesatta esecuzione del contratto;
3) Prima del viaggio:
Prima dell’inizio del viaggio l’organizzatore e l’intermediario comunicano al turista per iscritto le seguenti informazioni:
a) orari, localita’ di sosta intermedia e coincidenze;
b) generalita’ e recapito telefonico di eventuali rappresentanti locali dell’organizzatore o dell’intermediario ovvero di uffici locali contattatili dal turista in caso di difficolta’;
c) recapito telefonico dell’organizzatore o dell’intermediario utilizzabile in caso di difficolta’ in assenza di rappresentanti locali;
d) per i viaggi ed i soggiorni di minorenne all’estero, recapiti telefonici per stabilire un contatto diretto con questi o con il responsabile locale del suo soggiorno;
e) la facolta’ di sottoscrivere un contratto di assicurazione a copertura delle spese sostenute dal turista per l’annullamento del contratto o per il rimpatrio in caso di incidente o malattia.
Quando il contratto e’ stipulato nell’imminenza della partenza, le indicazioni di cui sopra devono essere fornite contestualmente alla stipula del contratto.
E’ fatto comunque divieto di fornire informazioni ingannevoli sulle modalita’ del servizio offerto, sul prezzo e sugli altri elementi del contratto qualunque sia il mezzo mediante il quale dette informazioni vengono comunicate al turista.
4. Cessione del contratto
Il turista, per un qualche imprevisto, potrebbe non poter più prendere parte alla vacanza.
In questo caso egli puo’ sostituire a se’ un terzo che soddisfi tutte le condizioni per la fruizione del servizio, nei rapporti derivanti dal contratto, ove comunichi per iscritto all’organizzatore o all’intermediario, entro e non oltre quattro giorni lavorativi prima della partenza, di trovarsi nell’impossibilita’ di usufruire del pacchetto turistico e le generalita’ del cessionario.
Resta inteso che il cedente ed il cessionario sono solidamente obbligati nei confronti dell’organizzatore o dell’intermediario al pagamento del prezzo e delle spese ulteriori eventualmente derivanti dalla cessione.
5 Modifiche delle condizioni contrattuali.
Circostanza che è frequente causa di incomprensioni e controversie tra il consumatore ed il professionista
E’ espressamente stabilito che:
Prima della partenza l’organizzatore o l’intermediario che abbia necessita’ di modificare in modo significativo uno o piu’ elementi del contratto, ne da’ immediato avviso in forma scritta al turista, indicando il tipo di modifica e la variazione del prezzo che ne consegue.
– Ove il turista non accetti la proposta di modifica puo’ recedere, senza pagamento di penali.
In tal caso egli ha diritto di usufruire di un altro pacchetto turistico di qualita’ equivalente o superiore senza supplemento di prezzo o di un pacchetto turistico qualitativamente inferiore, previa restituzione della differenza del prezzo, oppure gli e’ rimborsata, entro sette giorni lavorativi dal momento del recesso o della cancellazione, la somma di danaro gia’ corrisposta. Ha diritto inoltre ad essere risarcito di ogni ulteriore danno dipendente dalla mancata esecuzione del contratto.
In ogni caso egli deve comunicare la propria scelta all’organizzatore o all’intermediario entro due giorni lavorativi dal momento in cui ha ricevuto l’avviso della modifica
Dopo la partenza, quando una parte essenziale dei servizi previsti dal contratto non puo’ essere effettuata, l’organizzatore predispone adeguate soluzioni alternative per la prosecuzione del viaggio programmato non comportanti oneri di qualsiasi tipo a carico del turista, oppure rimborsa quest’ultimo nei limiti della differenza tra le prestazioni originariamente previste e quelle effettuate, salvo il risarcimento del danno.
– Se non e’ possibile alcuna soluzione alternativa o il turista non l’accetta per un giustificato motivo, l’organizzatore gli mette a disposizione un mezzo di trasporto equivalente per il ritorno al luogo di partenza o ad altro luogo convenuto, e gli restituisce la differenza tra il costo delle prestazioni previste e quello delle
prestazioni effettuate fino al momento del rientro anticipato.

danno da vacanza rovinata reclamo
Attenzione a tempi e modi per il reclamo

6 Diritto di recesso
Quando il turista recede dal contratto  o il pacchetto turistico viene cancellato prima della partenza per qualsiasi motivo, tranne che per colpa del turista, questi ha diritto di usufruire di un altro pacchetto turistico di qualita’ equivalente o superiore senza supplemento di prezzo o di un pacchetto turistico qualitativamente inferiore, previa restituzione della differenza del prezzo, oppure gli e’ rimborsata, entro sette giorni lavorativi dal momento del recesso o della cancellazione, la somma di danaro gia’ corrisposta.
7 Mancato o inesatto adempimento
Anche questa ipotesi è frequentemente richiamata nelle controversie turistiche.
In caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, l’organizzatore e l’intermediario sono tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive responsabilita’. Si considerano inesatto adempimento le difformita’ degli standard qualitativi del servizio promessi o pubblicizzati.
L’organizzatore o l’intermediario che si avvale di altri prestatori di servizi e’ comunque tenuto a risarcire il danno sofferto dal turista, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti.
Nel caso in cui l’inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico non sia di scarsa importanza, il turista puo’ chiedere, oltre ed indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilita’ dell’occasione perduta.
Il diritto al risarcimento per danni alla persona del turista si prescrive in tre anni dalla data del rientro del turista nel luogo di partenza, salvo il termine di diciotto (per trasporto fuori Europa) o dodici mesi (intra Europa) per quanto attiene all’inadempimento di prestazioni di trasporto comprese nel pacchetto turistico.
Il diritto al risarcimento per danni non inerenti alla persona si prescrive in un anno dal rientro del turista nel luogo della partenza.
8 Reclamo
Per poter ottenere quanto sopra e far valere i suoi diritti il turista deve contestare ogni mancanza nell’esecuzione del contratto mediante tempestiva presentazione di reclamo affinche’ l’organizzatore, il suo rappresentante locale o l’accompagnatore vi pongano tempestivamente rimedio.
Il turista puo’ altresi’ sporgere reclamo mediante l‘invio di raccomandata o di altri mezzi che garantiscono la prova dell’avvenuto ricevimento, all’organizzatore o all’intermediario, entro dieci giorni lavorativi dalla data di rientro nel luogo di partenza.
La mancata presentazione del reclamo puo’ essere valutata come ipotesi di concorso di colpa nell’inadempimento o nel danno o comunque potrebbe precludere il risarcimento per omessa diligenza nell’evitare il danno lamentato ( che se si fosse immediatamente segnalato non si sarebbe verificato o per lo meno sarebbe stato mitigato)
9 Fondo di garanzia
In caso di insolvenza o di fallimento del venditore o dell’organizzatore, il rimborso del prezzo versato ed il rimpatrio del consumatore nel caso di viaggi all’estero, nonche’ per fornire una immediata disponibilita’ economica in caso di rientro forzato di turisti da Paesi extracomunitari in occasione di emergenze, imputabili o meno al comportamento dell’organizzatore, è operativo un  fondo nazionale di garanzia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per lo sviluppo e la competitivita’ del turismo.
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Servitù di parcheggio? si può fare

servitù parcheggio
Servitù di parcheggio: da semplice comodità personale…

Servitù di parcheggio: l’apertura della Cassazione

“Non si puo’ parlare di servitù, bensì di un diritto personale a parcheggiare in un determinato posto”.
Su questa falsa riga si attestavano le pronunce giurisprudenziali più o meno recenti.
E la differenza non era di poco conto: il diritto personale è per l’appunto inerente alla persona, sussiste con essa, non è trasmissibile e termina con essa. Il diritto di servitù, invece, è tipico, riguarda un bene, un fondo e in quanto tale resiste ad un eventuale passaggio di proprietà.
Vale a dire: se si trasferisce un bene gravato da servitù, quest’ultima permarrà sull’immobile stesso, anche se ci sarà un nuovo titolare.
La sentenza – spartiacque – è di pochi giorni fa.
Prima non si poteva parlare di servitù di parcheggio: essa era considerata infatti una mera  utilità per il proprietario, che prescindeva quindi da un eventuale vantaggio per il fondo.
Il parcheggio era considerata una comodità per la persona che utilizzava un immobile, ma non una utilitas diretta per il bene stesso.
Ora la Suprema Corte non esclude, in certi casi, la possibilità di ravvisare il carattere di servitù, ossia di un diritto che riguarda la res, l’immobile, al diritto di parcheggiare un veicolo in un determinato fondo.
Esistono, infatti, delle ipotesi in cui vi è un legame “strumentale e oggettivo, diretto e immediato, tra il peso imposto al fondo servente ed il godimento del fondo dominante … sì che l’incremento di utilizzazione deve poter essere conseguito da chiunque sia proprietario del fondo dominante e non essere legato ad una attività personale del soggetto“.
Ecco allora che “in questa prospettiva non può essere escluso il carattere della realità del parcheggio dell’auto sul fondo altrui, quando tale facoltà  sia costruita come vantaggio a favore del fondo, per la sua migliore utilizzazione“.

Servitù di parcheggio 2
… a vantaggio diretto per il fondo.

La Corte fa espressamente riferimento al caso di un’abitazione, avente la possibilità di parcheggio nelle vicinanze. In tale circostanza si potrebbe correttamente parlare di servitù, in quanto da tale possibilità ne deriverebbe un innegabile incremento delle potenzialità abitative dell’immobile.

 

 

La sentenza: Corte di Cassazione 16698/2017

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