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No all’amministratore di sostegno se la prodigalità non dipende da deficit mentali

Vivere al di sopra delle proprie possibilità non è sufficiente per la nomina di amministratore di sostegno.

 

Bacco, tabacco e venere riducono l’uomo in cenere.

Il vecchio adagio è valido per ogni epoca, anche se sono sempre più coloro i quali sostengano che sia proprio l’assenza di tali passioni a sortire gli stessi effetti. Ma non è questo il punto.

Può una “vita di eccessi“, alla ricerca della felicità tramite “viaggi, serate, donne“, legittimare la nomina di un amministratore di sostegno per chi – a tal fine – impieghi molto più denaro di quello che sarebbe consigliato spendere?

Può la prodigalità di per se’ sola determinare il ricorso ad una tutela per chi ne sia “affetto”?

Il Gudice Tutelare di Modena risponde negativamente.

Più di preciso: il nostro legislatore ha inteso prevedere il menzionato beneficio per coloro i quali siano affetti (tra l’altro) da “infermità o menomazione psichica“.

 

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Diritto di sperperare: in assenza di deficit psichico da arginare, il giudice non può intervenire

La semplice inclinazione a spendere, sia pur in ecceso e ben oltre la propria capacità reddituale e tenore di vita, non può legittimare il ricorso all’istituto di protezione in difetto di alcun connotato di alterazione psico fisica.

Diversamente argomentando si aprirebbe la strada ad una concezione paternalistica del Giudice Tutelare, volta a conferirgli compiti educativi o volti ad emendare errori e danni frutto di scelte consapevoli del soggetto che le abbia poste in essere.

Tale impostazione sarebbe, altresì, contraria alla “prospettiva costituzionalmente orientata alla protezione della dignità e libertà umana in tutte le sue forme e manifestazioni, anche in quella di sperpero“.

Di qui la considerazione che “il comportamento prodigale di consapevole dilapidazione del proprio patrimonio, rientra in una sfera di libertà dell’uomo che l’ordinamento non può e non deve comprimere, pena la riemersione di una concezione dello stato etico“.

In conclusione, come ebbe modo di rilevare Mahatma Gandhi “Non vale la pena avere la libertà se questo non implica avere la libertà di sbagliare“.

L’ordinanza del Tribunale di Modena 3 novembre 2017 

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Famiglie con persone anziane a Vicenza: i dati

Dal sito del Comune apprendiamo i dati relativi a famiglie con persone anziane a Vicenza, ossia nuclei familiari nell’ambito dei quali vi siano soggetti che abbiano superato i 65 anni di età.
Il rapporto evince una proiezione abbastanza omogenea per il periodo 2007-2016, ma con un aumento, lieve, sempre maggiore in ambito numerico.
L’ultimo rilevamento si riferisce all’anno scorso, il 2016, e i dati fissano in 12.555 le famiglie con 1 anziano, in 6.717 le famiglie con 2 anziani, in 60 le famiglie con 3 anziani e solo (o ben) 2 quelle con 4 anziani.
L’aumento dell’età anagrafica  lascia presupporre e confidare che nei prossimi anni si assisterà ad un ulteriore crescita dei dati sopra riportati.
Per converso, ad un aumento degli anni di vita non corrisponde un immutato benessere delle condizioni psico fisiche dell’anziano.
Divengono, altresì, di sempre maggior costante attualità e pressante urgenza il reperimento di misure ed interventi volti a favorire l’assistenza della persona con difficoltà legate all’età: anche in ambito familiare.
In questa sede è utile ricordare che la Legge 104 riconosce il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa al  lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di eta’ oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

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La crescita dell’età anagrafica comporta l’esigenza di implementare le misure di assistenza con persone con difficoltà

Si noti: persona con handicap è definito – in via generale – quella che accusi “una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
Nel novero possono, pertanto, rientrarvi gli anziani che accusino situazioni di difficoltà sopra indicate.
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Il nuovo decreto sui vaccini obbligatori: le conseguenze per la mancata ottemperanza

Vaccini obbligatori: tra il vociferare ed il sentito dire, finalmente la parola alla legge.

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Quali sono le conseguenze se non vaccino mio figlio?

E’ stato approvato dal Consiglio dei Ministri del 19 maggio il Decreto Legge sui vaccini obbligatori.
In sintesi, è prevista una nutrita schiera di vaccini obbligatori per bambini e ragazzi dai 0 ai 16 anni.

La mancata ottemperanza a tale obbligatorietà comporterà tre ordini di conseguenze:

  •   la possibile sospensione della “potestà genitoriale” dei genitori renitenti.
  • l’erogazione di una sanzione pecuniaria amministrativa da € 500 ad € 7500.
  • l’impossibilità di iscrivere ad asili nido e alle scuole per l’infanzia – pubbliche o private –  i bimbi non vaccinati.

L’obbligo di vaccinazione in Italia potrà essere differito o venir meno  “solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate e attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta”.

Il precetto avrà decorrenza a partire dal prossimo anno scolastico.

Lo schema riassuntivo del Decreto Legge al seguente link del Ministero della Salute

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Amministrazione di sostegno e cure mediche

Amministrazione di sostegno e cure mediche.

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Amministrazione di sostegno e cure mediche, cosa può fare?

Nel nostro ordinamento giuridico la salute è riconosciuta come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività.
Paritetico ed altrettanto inviolabile è il diritto alla liberta personale, tanto che nessuno può essere sottoposto senza volerlo a trattamento sanitario, se non nei casi previsti dalla legge.
Entra allora in gioco il concetto di consenso informato, ossia il diritto riconosciuto ad ogni persona di ricevere innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento sanitario e sulle sue conseguenze e i suoi rischi.
Alla stregua di tale informazione, la persona interessata potrà prestare il proprio consenso al trattamento ed in qualsiasi momento, liberamente, ritirare tale assenso.

Ovviamente la manifestazione del consenso deve essere legata ad una capacità del soggetto a determinarsi.

Fatto salvo, sempre e comunque, l’obbligo di coinvolgimento ed informazione di qualsiasi soggetto incapace nella procedura sanitaria a cui deve essere sottoposto, allorquando esso non abbia la capacità di dare consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge (Convenzione di Oviedo).

Il nostro ordinamento prevede alcune misure di protezione di soggetti privi in tutto o in parte di autonomia.
Tra queste, oltre a interdizione ed inabilitazione, vi è l’amministrazione di sostegno.
Quindi vi è l’amministratore di sostegno anche per le cure mediche.
Tale assitenza può essere riconosciuta a chi, per infermità, menomazione psichica o fisica, si trovi nell’impossibilità, anche temporanea o parziale, di provvedere ai propri interessi.

La figura dell’amministratore di sostegno non ha incarichi tassativamente e preventivamente fissati dalla legge, ma saranno di volta in volta individuati dal Giudice Tutelare, caso per caso, come un “abito su misura”.
Tra questi poteri può sussistere quello di prestare il consenso informato al trattamento sanitario: quello, cioè, senza il quale, un soggetto non in grado di determinarsi validamente non può essere sottoposto ad interventi sulla sua persona (fatte salve ipotesi attinenti allo stato di necessità, di cui non trattiamo in questa sede).

A donor is wheeled to an operating room
L’amministratore di sostegno deve sempre agire nell’interesse del beneficiario anche per le cure mediche

Più arresti giurisprudenziali hanno confermato la validità di tale tipo di consenso manifestato dall’amministratore di sostegno, se investito di preciso potere.
Anzi.
Una recente pronuncia del Tribunale di Modena sull’amministratore di sostegno e cure mediche, ha statuito che “quando il paziente difetta di capacità di autodeterminazione, non essendo possibile porre in essere atti costrittivi del suo volere, se non nei limiti di legittimità di un eventuale t.s.o., la dimissione ospedaliera ed il trasferimento in altro luogo di cura possono essere disposti unicamente da un sostituto/rappresentante legittimamente nominato” dal giudice tutelare, nella specie dall’amministratore di sostegno.
Si ricordi: la decisione di quest’ultimo dovrà essere presa nell’esclusivo interesse del beneficiario e tenendo sempre in assoluto conto dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni.

La pronuncia: Trib. Modena Sez. II, 18/03/2016

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Permessi Legge 104 anche al convivente

Permessi Legge 104 anche al convivente? Da oggi è possibile

Permessi Legge 104
Anche se sei convivente hai diritto ai permessi legge 104

La Legge 20 maggio 2016 n. 76 (cosiddetta legge sulle unioni civili) aveva introdotto una disparità di trattamento tra le convivenze di fatto e le unioni civili (persone dello stesso sesso unite civilmente).
In particolare, la Legge n. 76 aveva previsto che, entro certi limiti, le disposizioni della Legge 104 si applicassero anche alle unioni civili: ma non alle convivenze di fatto.
E’ dunque intervenuta la Corte Costituzionale a porre in evidenza come fosse costituzionalmente illegittimo non includere il convivente di fatto tra i soggetti beneficiari dei permessi di assistenza.
A seguito di tale sentenza l’INPS interviene ora (con circolare n. 38 del 27 febbraio 2017) a regolare amministrativamente la concreta fruizione dei permessi, anche con riguardo alle convivenze di fatto.
Al riguardo, l’istituto previdenziale sottolinea che “il diritto ad usufruire dei permessi (di cui all’art. 33, comma 3 della legge 104/92) per assistere il disabile in situazione di gravità può essere concesso, in alternativa, al coniuge, alla parte dell’unione civile, al convivente di fatto, al parente o all’ affine entro il secondo grado”.

 

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il conferimento di incarico di responsabile di struttura complessa secondo la riforma Balduzzi

La disciplina degli incarichi dirigenziali nel comparto della sanità è stata caratterizzata, sin dalle sue origini, dalla presenza di rilevanti tratti di specialità rispetto alla normativa racchiusa nel decreto legislativo 165/2001, recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”
La disciplina in oggetto si è, infatti, sin dai suoi esordi caratterizzata per la rilevanza assegnata all’elemento della “fiducia” in sede di scelta dei dirigenti, in ossequio al paradigma aziendalistico accolto dalle riforme degli anni Novanta.
Dietro quella stagione di riforme vi era la ferma convinzione che il settore pubblico potesse essere migliorato trasponendovi concetti imprenditoriali propri del settore privato: e ciò avrebbe dovuto innalzare il livello di efficacia e di efficienza dei servizi, deburocratizzandoli e depoliticizzandoli.
Uno dei primi terreni di sperimentazione fu proprio il settore della sanità, dove, non a caso, si è parlato di aziendalizzazione del servizio sanitario.
Tale impianto aziendalistico postulava il riconoscimento in capo al direttore generale di amplissimi poteri di gestione, tramite l’intestazione al vertice aziendale delle prerogative riferite, tra l’altro, all’adozione dell’atto aziendale, all’individuazione degli uffici ed alla nomina dei relativi responsabili.
Il riconoscimento di tali ampi poteri si giustificava con la necessità di rendere effettiva, e concretamente azionabile, la responsabilità manageriale del direttore generale .
Anche per le nomine aziendali si affermò il convincimento che la responsabilità del direttore generale richiedesse per essere attivata un certo margine di discrezionalità nella scelta dei più stretti collaboratori sanitari.
Per la verità, le scelte inizialmente compiute dal d.lgs 502/1992 in parte contraddicevano questa idea: il potere riconosciuto in capo al direttore generale nella nomina dei dirigenti di secondo livello (oggi di struttura complessa) veniva, infatti, circondato da garanzie di trasparenza e di imparzialità tali da renderlo sostanzialmente vincolato agli esiti di vere e proprie procedure concorsuali.
Nella sua versione originaria l’art. 15, comma 3, d.lgs 502/1992 prevedeva, infatti, per la nomina di dirigenti di secondo livello un procedimento selettivo di tipo tradizionale, articolato nelle diverse fasi della pubblicazione dell’avviso nella Gazzetta Ufficiale, della designazione della commissione di esperti e della formazione della graduatoria di merito, cui faceva seguito la designazione del responsabile ad opera del direttore generale.
Tale modello di designazione venne, tuttavia, ben presto giudicato poco coerente con la logica manageriale sottesa al d. lgs 502/1992.
Per questo motivo il testo dell’art. 15 d. lgs 502/1992 venne in parte qua modificato già nell’anno successivo, per effetto del decreto delegato 7 dicembre 1993, n. 517, prevedendosi una revisione sostanziale del ruolo della commissione di esperti, non più chiamata a formare una graduatoria, ma soltanto a valutare l’idoneità all’incarico dei singoli candidati.
Il potere di nomina, prima vincolato, diviene, per effetto delle modifiche, discrezionale, assumendo così caratteri tali da consentire al direttore generale di instaurare con il nominato un rapporto essenzialmente fiduciario.
Le scelte del legislatore divennero, se possibile, ancor più nette con la c.d. riforma ter del servizio sanitario nazionale ( d. lgs 229/1999), per effetto della quale venne modificata la composizione della commissione di esperti, in guisa da rafforzarne la componente direttamente designata dal direttore generale.
In tale contesto, la giurisprudenza riconduceva il conferimento dell’incarico nell’alveo degli atti assunti dalla p.a. con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, con conseguente devoluzione del relativo contenzioso alla cognizione del giudice ordinario. Si veda, ex multis Consiglio di Stato, sez. V, decisione 05.02.2007 n° 432, secondo cui la procedura svolta a norma dell’art. 15-ter del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, introdotto dal d.lgs. 19 giugno 1999 n. 229, per il conferimento di incarico di direzione di struttura complessa, non può farsi rientrare nella figura del concorso per l’assunzione al pubblico impiego.

“Il direttore generale” – secondo la sentenza in esame – “ infatti, compie la scelta del sanitario cui conferire l’incarico all’interno di una rosa individuata dalla commissione prevista dalla norma ricordata, la quale non opera una valutazione comparativa dei candidati e non redige una graduatoria di merito, ma esprime esclusivamente un giudizio di idoneità. In altri termini manca, nella procedura di affidamento dell’incarico, una valutazione dei candidati sotto il profilo della maggiore o minore idoneità all’esercizio delle funzioni da assegnare, che il connotato tipico della procedura concorsuale”.

“L’incarico, quindi,” – continua il giudice amministrativo -viene conferito sulla base di una scelta di carattere fiduciario, affidata alla responsabilità del direttore generale, senza che la legge indichi i criteri da seguire, onde è da escludere che l’atto costituisca esercizio di attività amministrativa in senso pubblicistico, rientrando piuttosto in una scelta riconducibile alla capacità di diritto privato dell’Amministrazione”.
Senonché l’assenza di reali forme di procedimentalizzazione del potere di nomina è stata col tempo giudicata quale concausa del crescente livello di politicizzazione delle nomine aziendali, anche al livello della media dirigenza aziendale.
In tale quadro si viene ad inserire la c.d. riforma Balduzzi.
La relazione illustrativa presentata alle Camere per la conversione in legge del d.l. 13 settembre 2012, n. 158 individua apertis verbis le ragioni dell’intervento di riforma nella necessità di porre rimedio alle inefficienze organizzative indotte, in diverse realtà sanitarie regionali, da fenomeni di eccessiva politicizzazione delle nomine.
L’obiettivo dichiarato dal legislatore è, dunque, quello di riequilibrare il rapporto tra indirizzo politico e gestione delle aziende sanitarie, introducendo maggiori garanzie di trasparenza e di imparzialità nella nomina dei dirigenti.
In coerenza con la necessità di assicurare, già nell’immediato, una netta cesura rispetto al pregresso quadro ordinamentale, il legislatore ha così introdotto delle ragguardevoli modifiche alla procedura di conferimento dell’incarico di struttura complessa.

Le novità di maggiore interesse riguardano le modifiche apportate alla struttura stessa della procedura di selezione che non è più, come prima, finalizzata alla mera verifica di idoneità dei candidati.

L’operato della commissione che si estrinseca sostanzialmente nell’effettuazione di valutazioni tecniche riferite ai curricula, ai titoli professionali ed alle risultanze dei colloqui – si conclude infatti (come emerge chiaramente dal testo dell’art. 15, comma 7 bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, introdotto dal decreto Balduzzi)  con la formazione di una graduatoria  e con la comunicazione al direttore generale di una rosa composta da tre soli candidati, diversamente graduati in ragione del punteggio loro assegnato.

Ora, è da ritenere che le modifiche strutturali apportate dal legislatore statale  al procedimento di conferimento dell’incarico abbiamo modificato la natura stessa della procedura: non vi è dubbio infatti che, sulla scorta della nuova regolamentazione, l’individuazione del soggetto destinatario dell’incarico avvenga sulla base di una procedura comparativa che prende avvio con la pubblicazione di un bando, si snoda in una fase di valutazione tecnica e si conclude con la formazione di una graduatoria.

Dall’introduzione di tali importanti novità ne consegue la riconduzione del conferimento dell’incarico di struttura complessa nell’alveo delle procedure selettive finalizzate all’assunzione, devolute dall’art. 63, comma 4, d. lgs 165/2001 alla cognizione del giudice amministrativo.