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Ricorso contro obbligo di vaccinazione: non si possono contestare solo gli atti applicativi senza impugnare la legge a monte


Inammissibile il ricorso contro obbligo di vaccinazione senza impugnare la legge che lo ha disposto.



Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

Art. 32 Costituzione.


La nostra carta costituzionale stabilisce come diritto inviolabile dell’uomo quello della libertà (art. 13).

Tale diritto trova svariate declinazioni nell’ arco dell’impianto normativo.

In particolare, per quanto ci possa oggi interessare, il richiamato art.32, che assicura la tutela della salute come diritto di ogni individuo e interesse della collettività, ma non impone la cura se un soggetto non la voglia, a meno che ….

… a meno che, appunto, non vi sia una disposizione di legge che lo obblighi.

E veniamo al caso di oggi.

E’ risaputo che la legge 119/2017 abbia statuito plurimi obblighi vaccinali per i minori di età compresa tra zero e sedici anni.

Ne è disceso che alcune amministrazioni locali abbiano subordinato l’erogazioni di certi servizi all’ottemperanza dell’obbligo di vaccinazione.

Possono essere impugnati questi provvedimenti degli enti locali?

Al quesito ha dato risposta il Tar di Trento con una recente ed interessante pronuncia.

La Sentenza riguardava il ricorso promosso da alcuni genitori contro il provvedimento della Giunta provinciale che stabiliva che i soggetti assegnatari dei “buoni servizio”, per attivare l’erogazione dei servizi per i quali sono stati concessi, devono (per i minori di età da 0 a 6 anni) ottemperare a quanto disposto dal decreto legge 7 giugno 2017 n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 2017 n. 119, recante disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci, e che la mancata ottemperanza comporta il non riconoscimento del controvalore dei servizi conciliativi”.

Identico onere per poter ottenere la concessione di contributi per i soggiorni socio-educativi.

I ricorrenti fondavano la propria impugnazione in base ad una articolata esposizione giuridica sulle molteplici disposizioni normative – anche sovranazionali – che avrebbero reso illegittimo il provvedimento della Giunta Trentina.

Il Tribunale, senza entrare in media res sul merito delle contestazioni, ha effettuato un preliminare quanto assorbente rilievo.

Il presupposto perché venga adita la tutela giurisdizionale riposa nell’interesse alla decisione, derivante da una lesione di una posizione giuridica attiva tutelata dall’ordinamento: è necessario, in buona sostanza, verificare la titolarità di una posizione giuridica riconosciuta dall’ordinamento come meritevole di tutela e di un interesse legittimo veicolato nel ricorso.

Ebbene, nel caso di specie i ricorrenti si erano limitati a contestare gli atti normativi locali (giunta provinciale) che trae vano origine dalla richiamata Legge dello Stato n. 119/2017, la cui validità ed efficacia non era stata minimamente revocata in dubbio dall’impugnazione.

Stando così le cose, ad avviso del Giudice amministrativo, l’azione instaurata dai genitori riposava sul dichiarato intento di sottrarsi liberamente all’obbligo di sottoporre in figli minorenni all’obbligo vaccinale e non poteva essere riconosciuta come fondante un interesse tutelabile in giudizio, dato che eliminava la definizione stessa di “legittimo” dell’interesse a ciò abilitante.

Inammissibile il ricorso contro obbligo vaccinazione senza l’impugnazione della legge a monte

Si legga, che interesse si può avere a ricorrere se ci si voglia sottrarre ad una norma la cui legittimità non si contesta?

Astrattamente sarebbe stato necessario contestare in giudizio l’ obbligo posto dalla legge attraverso l’impugnazione dell’atto applicativo(delibera di Giunta Provinciale) nonchè della stessa fonte normativa dell’obbligo (L 119/2017), della quale si deduca l’infrazione al vasta schiera di leggi enucleate nel ricorso.

Quello che non è consentito –ha concluso il Collegio – poiché elide la stessa condizione dell’azione in giudizio, è vantare un intento elusivo della legge quale posizione giuridica meritevole di tutela, come qui è avvenuto.

Poiché il giudizio non può offrire protezione a un interesse deliberatamente e consapevolmente contra legem, non è riconoscibile una posizione legittimante in capo…. ai genitori, che affermano, di avere liberamente scelto di non sottoporre i figli all’obbligo vaccinale, pur affermando di non voler in alcun modo contestare l’obbligatorietà vaccinale contenuta in una legge dello Stato italiano


La Sentenza: Tar Trento 256/2018



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ricorso contro obbligo di vaccinazione

Fare la spesa durante il permesso 104? Se è per assistenza è legittima

E’ possibile fare la spesa durante il permesso 104? se è un mezzo per prestare assistenza a persone con disabilità è legittima.

Un grazie alla collega Stefania Cerasoli per il contributo.

Guido era stato licenziato in quanto, a dire della società datrice di lavoro, aveva utilizzato i permessi di cui alla legge 104/1992 per fini i estranei all’assistenza dei parenti disabili.
Si precisa che Guido usufruiva di tali permessi per assistere la madre e la sorella entrambe in condizioni di handicap grave ex art. 3, comma III, Legge 104/1992.
In particolare, al lavoratore era stato contestato di essersi recato a fare la spesa, che poi aveva portato a casa della madre e della sorella. Il tutto durante l’orario del permesso.

permessi 104 assistenza
fare la spesa durante il permesso104? anche questa è assistenza, se fatta per la persona con disabilità

Il provvedimento, tuttavia, era stato dichiarato illegittimo sia in primo che in secondo grado.

In particolare, secondo la Corte di merito, l’assistenza prevista dalla normativa “non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che il predetto non sia in condizioni di compiere autonomamente, dovendosi configurare l’abuso del diritto ove il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza, da intendere in senso ampio, in favore del familiare”.

Il caso è stato, quindi, portato all’attenzione della Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 23891 del 31.05.2018, ha ritenuto corretto il ragionamento operato dai giudici che l’hanno preceduta e pertanto la legittimità del fare la spesa durante il permesso 104, per fini assistenziali.

Gli Ermellini della Sezione lavoro hanno infatti escluso che si trattasse di una finalizzazione a scopi personali delle ore di permesso da parte del lavoratore. In sede di merito la condotta contestata era stata correttamente ricondotta, in base alle prove raccolte, a specifici interessi e utilità dei congiunti assistiti.

In particolare, in sede istruttoria era stata esclusa la finalizzazione a scopi personali delle ore di permesso di cui il lavoratore aveva usufruito avendo ricollegato, in base alle prove raccolte, “le attività poste in essere dal predetto, come il fare la spesa, l’usare lo sportello Postamat, incontrare il geometra e l’architetto, a specifici interessi ed utilità dei congiunti in tal modo assistiti

abuso permessi 104
Interessante è, inoltre, il passaggio in cui la Corte di Cassazione, evidenzia il disvalore sociale della condotta del lavoratore che usufruisce, anche solo in parte, di permessi per l’assistenza a portatori di handicap al fine di soddisfare proprie esigenze personaliscaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa

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Integrazione retta: il comune non può subordinarla all’assunzione di impegno dei soggetti tenuti agli alimenti

Integrazione retta: è illegittimo il regolamento comunale che imponga la previa richiesta degli alimenti ai familiari da parte dell’interessato.

La collega Stefania Cerasoli ci trasmette il suo contributo e volentieri lo pubblichiamo.

integrazione retta parenti

Marzia è una ragazza affetta da disabilità mentale di grado lieve con dislalia e riconosciuta invalida con riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura del 67%.
Nel mese di luglio del 2005 è stata accolta presso una comunità residenziale a causa delle particolari problematiche familiari che ne condizionavano la crescita e lo sviluppo, nonché l’acquisizione della necessaria autonomia.
Preme evidenziare che proprio il Comune di Desio, comune di residenza di Marzia, si era attivato per la collocazione della stessa presso la comunità assumendosi anche i relativi impegni di spesa.
Nel mese di marzo del 2010, l’amministrazione comunale ha improvvisamente comunicato alla comunità e ai familiari di Marzia che non avrebbe più sostenuto l’onere economico del ricovero e questo a causa della nuova disciplina dettata dal regolamento locale per la concessione dei contributi e sussidi economici a persone fisiche.

In particolare il regolamento comunale, nella sua nuova formulazione, prevedeva che “il richiedente per accedere alla prestazione deve dimostrare di avere preventivamente richiesto gli alimenti agli obbligati e deve presentare idonea dichiarazione dei tenuti per legge attestante l’impegno a partecipare al progetto di aiuto secondo le rispettive possibilità economiche”.

La comunità dimetteva quindi Marzia che, ovviamente, proponeva ricorso contro il provvedimento comunale.

integrazione retta alimenti
Il Tar Lombardia, Sezione III, con la sentenza n. 1738 del 04.07.2011, ha dichiarato l’illegittimità di tale disposizione evidenziando che “gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non in grado di provvedere al proprio mantenimento” e che “ se gli obbligati agli alimenti non sono concordi sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di somministrazione degli alimenti, provvede l’autorità giudiziaria” (cfr. artt. 438 e 441 Codice civile).
Il credito alimentare, infatti, è un diritto strettamente personale ed indisponibile e, quindi, è escluso che gli enti erogatori possano sostituirsi al titolare del diritto nell’esercizio dell’azione.

Così come lo stesso titolare non può disporre del proprio credito, che, infatti, non può essere ceduto, né fatto oggetto di compensazione.

A questo si aggiunga, inoltre, che in materia di credito alimentare la potestà regolamentare spetta allo Stato in base all’art. 117, VI comma, della nostra Costituzione, senza alcuna possibilità per gli enti locali di incidere sullo stesso.

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Permessi 104: sì anche per assistere la persona con disabilità nelle visite extra struttura

Permessi 104: non sono riconosciuti se il soggetto con disabilità sia già assistito a tempo pieno in struttura, a meno che non debba uscire per sostenere visite o terapie.

permessi assistenza persone con disabilità

Come noto, i permessi retribuiti di cui alla Legge 104/1992 sono riconosciuti ai lavoratori dipendenti con familiari in condizione di handicap grave, a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno (per le intere 24 ore) presso strutture ospedaliere o simili (pubbliche o private) che assicurino assistenza sanitaria continuativa.

I permessi restano in capo al beneficiario anche nel caso di ricovero a tempo pieno qualora si tratti di un minore con disabilità e i sanitari certifichino il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare; oppure nel caso in cui il disabile si trovi in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine.

I permessi sono, inoltre, riconosciuti quando la persona con disabilità si debba recare al di fuori della struttura che lo accoglie per effettuare delle visite specialistiche e terapie certificate.

permessi visite persona con disabilità
permessi 104: sì per visite extra struttura

Come ha chiarito il Ministero del Lavoro in risposta ad un interpello in data 20.02.2009, n. 13, infatti, “la circostanza che il disabile debba recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie interrompe effettivamente il tempo pieno del ricovero e determina il necessario affidamento del disabile all’assistenza del familiare il quale, ricorrendone dunque gli altri presupposti di legge, avrà diritto alla fruizione dei permessi.

 

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Integrazione retta casa di riposo: illegittimo il regolamento comunale che imponga la partecipazione dei familiari

Integrazione retta casa di riposo: il regolamento comunale che deroga alla normativa nazionale e regionale sull’ISEE è illegittimo

Ringraziamo la Collega Stefania Cerasoli per il presente contributo.

regolamento comunale casa di riposo
integrazione retta casa di riposo: il comune non è tenuto a normare in deroga alle disposizioni regionali

Con la sentenza n. 427 del 12.06.2018, il Tar Marche ha accolto il ricorso che era stato presentato contro il Comune di Ascoli Piceno dai familiari di una persona ricoverata presso una struttura psichiatrica.

Il ricorso aveva ad oggetto il provvedimento con il quale il Comune si era rifiutato di integrare la relativa retta di ricovero sulla base del fatto che il proprio Regolamento Comunale di Sistema Integrato dei Servizi Sociali prevedeva il necessario coinvolgimento dei parenti tenuti agli alimenti ex art 433 c.c.

La Sentenza in commento dichiara, invece, che i Comuni sono obbligati a compartecipare alle spese nel caso in cui i redditi dell’assistito non siano sufficienti e questo sulla base della normativa nazionale sull’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), riguardante la compartecipazione al costo del servizio. (DPCM n. 159 del 2013)

retta casa di riposo
I Comuni, prosegue la sentenza, non possono autonomamente stabilire modi diversi di calcolo del reddito disponibile, in assenza di un’autonoma disciplina regionale sul punto.

Pertanto, il riferimento ai soggetti tenuti agli alimenti, contenuto nel citato regolamento, non può essere inteso come rivolto a soggetti differenti da quelli i cui redditi sono inclusi nell’ISEE, e tanto meno rivolto a tutti i soggetti di cui all’art. 433 del Codice civile.

Il Regolamento comunale dovrà, quindi, essere annullato nella parte in cui nega la compartecipazione comunale sulla base dei redditi posseduti dai soggetti tenuti ad obblighi alimentari ex articolo 433 del Codice civile».

Interessante è, infine, il passaggio in cui il Tar obbliga il Comune a lasciare nella disponibilità dell’utente per le spese personali una quota mensile non inferiore alle 250,00 Euro e questo a tutela della dignità della persona.

 

La Sentenza: Tar Marche n. 427/2018

 

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Se l’anziano rifiuta di entrare in casa di riposo l’amministratore di sostegno puo’ imporglielo?

Anziano rifiuta di entrare in casa di riposo:che poteri ha l’ads?

Con decreto del 28.03.2018, il Giudice Tutelare del Tribunale di Vercelli ha ritenuto ammissibile, fra i poteri riconosciuti all’amministratore di sostegno, quello di prestazione del consenso volto all’inserimento del beneficiario in un luogo di cura e questo nonostante il dissenso dal medesimo espresso e senza che sia necessaria una pronuncia d’interdizione.

Anziano si rifiuta di entrare in casa di riposo. Il bisogno non può non trovare risposta

La vicenda riguardava un’anziana signora, affetta da demenza senile e priva di un benché minimo sostegno affettivo-familiare, per la quale era stata disposta la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno.

Il Giudice Tutelare, nel corso di una visita all’anziana, aveva avuto modo di accertare  “la gravissima condizione di precarietà, fragilità ed asservimento della beneficiaria” la quale, pur in possesso di un cospicuo patrimonio, veniva fatta vivere in un appartamentino di servizio rispetto a quella che era la sua abitazione “storica” e di cui era proprietaria a titolo esclusivo e, di fatto, occupata sine titulo dalla “nuora”.

Non solo.

L’anziana, di fatto, viveva segregata in casa, in un’abitazione priva di strumenti di sostegno per persone con ridotta mobilità e senza alcuna possibilità di chiedere aiuto.

La fragilità delle sue condizioni la portavano, inoltre, ad esporsi ingenuamente ed acriticamente a qualunque richiesta di terzi.

Il Giudice Tutelare del Tribunale di Vercelli ha ritenuto di dover dare immediata risposta all’esigenza di tutela dell’anziana attraverso il celere inserimento della stessa in una RSA.

Tale operazione è stata ritenuta del tutto lecita ed ammissibile indipendentemente dal dissenso della beneficiaria.

Come noto, infatti, “la scelta della nomina dell’amministratore di sostegno s’impone laddove la riluttanza della persona fragile si fondi su un senso di orgoglio ingiustificato con il rischio di non dare un’adeguata tutela ai suoi interessi” e soprattutto laddove la volontà della persona non sarebbe in realtà autonoma e consapevole espressione dei propri desideri e interessi, ma soltanto condizionata dalla grave patologia in atto (cfr. Cass. Sez. I, n. 22602/2017)

In caso contrario i poteri dell’amministratore di sostegno sarebbero praticamente inutili, così vanificata la funzione concretamente protettiva della persona, non più autonomamente capace di comprendere cosa sia meglio per sé e per la propria incolumità.

 

 

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L’impegno dei familiari a pagare la casa di riposo è nullo se questa è convenzionata

Impegno dei familiari a pagare la casa di riposo: il regime convenzionato impedisce la configurazione di un contratto privato tra RSA e utente.

Torniamo a parlare di impegno al pagamento della retta della casa di riposo da parte dei familiari dell’ospite, dopo esserci già soffermati in precedenza.

Il caso è ricorrente: un anziano non autosufficiente, a seguito di apposita visita di accertamento, viene inserito in graduatoria per entrare in regime convenzionato in casa di riposo.

Al momento dell’ingresso la struttura chiede la sottoscrizione ai familiari dell’ospite di un contratto, in base al quale essi si impegnano a versare (o ad integrare) la quota alberghiera della retta.

quota alberghiera casa di riposo

Le difficoltà della vita possono comportare che i parenti non siano in grado, e comunque si sottraggano, di onorare tale impegno e di qui parta un decreto ingiuntivo da parte della casa di riposo per recuperare le somme non versate.

Una recente pronuncia del tribunale di Firenze, che ha deciso un caso assolutamente identico a quello appena esposto, dando ragione ai parenti che non volevano pagare la retta, si è soffermata a riflettere sulla natura del rapporto intercorrente tra la struttura e l’ospite della stessa.

La valutazione del giudice toscano è che, in presenza di un cittadino dichiarato non autosufficiente, non si possa parlare di contratto privato fra RSA e utente, laddove siano i Servizi sociali a effettuare il ricovero e il costo della retta giornaliera sia definito nella convenzione fra Comune ed RSA e non fra il privato cittadino e la RSA.

Laddove, quindi, l’ingresso in struttura dell’anziano avvenga in regime convenzionato ossia in virtù dell’impegnativa di residenzialità di cui lo stesso è titolare, le strutture private operano come fossero una Pubblica Amministrazione ed il rapporto con l’utente trova la propria fonte giuridica nelle leggi e non in eventuali contratti di ricovero privatistici.

Il Tribunale di Firenze ha precisato che in regime convenzionato non vi è una contrattazione del prezzo della prestazione sanitaria di assistenza con la RSA, dal momento che l’utente è stato inserito nella relativa graduatoria ad opera dei Servizi sociali del comune di residenza.

Quindi, la struttura non può vantare somme in base ad accordi privati con l’utente e con i parenti di quest’ultimo, invocando di essere un soggetto privato, né tantomeno potrà subordinare l’ingresso in struttura alla prestazione di garanzia.

integrazione retta casa di riposo
impegno dei familiari a pagare la casa di riposo: il rapporto riguarda comune e utente e non la struttura

Molto chiaramente la sentenza precisa che, dal momento che la RSA esercita un pubblico servizio sulla base della convenzione previamente stipulata con la ASL e con il Comune “la fonte giuridica dei guadagni che ne conseguono per la struttura origina da un rapporto di diritto pubblico ed è quindi estranea al rapporto che viene ad intercorrere tra la RSA e l’utenza fruitrice del servizio, perché obbligati al pagamento della retta in favore della RSA sono il Servizio sanitario nazionale per il 50% e per il residuo 50% il Comune che ha inserito nella RSA quel determinato assistito attraverso i suoi servizi sociali perché avente diritto a quella data prestazione assistenziale”.


La sentenza: Tribunale di Firenze 1010/2018

Grazie all’avv. Stefania Cerasoli per il contributo.

 

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Come entrare in casa di riposo? La procedura da seguire

 

 

 

Come entrare in casa di riposo: il riassunto della complessa procedura da seguire

Contributo offerto dalla Collega, Avv. Stefania Cerasoli

 

Qualora si desiderasse inserire in una struttura una persona anziana non auto sufficiente, sarà necessario rivolgersi al distretto socio sanitario di residenza affinché si avvii il relativo procedimento.

 

Convocazione UVMD e scheda SVAMA

 

procedura da seguire per entrare in casa di riposo
come entrare in casa di riposo: dalla richiesta al distretto all’inserimento in struttura

In particolare, si richiederà la convocazione della cd. U.V.M.D (Unità di valutazione multidimensionale distrettuale), composta da un Geriatra, dal Medico di Medicina Generale, dall’Assistente Sociale del Comune di provenienza dell’interessato, dal Caposala degli infermieri del S.I.A.D., dall’Assistente Sociale del Centro Residenziale e da una Segretaria, che avrà il compito di valutare la condizione dell’anziano attraverso la compilazione della cd. Scheda SVAMA (“Scheda per la Valutazione Multidimensionale dell’Anziano veneto).

 

La UVMD, salvo casi di estrema urgenza, viene ad essere convocata entro 30 giorni dal ricevimento della domanda.

La scheda Svama ha il compito di analizzare tutti gli aspetti della vita dell’anziano: salute, autosufficienza, rapporti sociali, situazione economica.

A seguito della valutazione, l’UVMD provvederà a trasmettere, indicativamente entro 10 giorni, il relativo esito, con indicazione specifica del progetto ritenuto rispondente alle esigenze dell’utente.

 

 

Inserimento in graduatoria

Tale progetto potrebbe essere l’inserimento in casa di riposo: in questo caso, l’anziano, sulla base di un punteggio di gravità, verrà ad essere inserito in una “graduatoria” unica per tutta l’Ulss (Registro unico della residenzialità).

Nel momento in cui, presso una delle strutture indicate dall’utente tra quelle presenti nell’elenco sottoposto al momento della UVMD, dovesse rendersi disponibile un posto convenzionato, i familiari saranno contattati dalla casa di riposo al fine di valutare l’inserimento: in questo modo si avrà una notevole agevolazione nel pagamento della retta dal momento che, in caso di posto letto convenzionato, sarà a carico dell’utente solo la parte alberghiera della retta mentre quella sanitaria sarà corrisposta direttamente alla casa di riposo dal Sistema sanitario regionale tramite le Asl di appartenenza.

Purtroppo, possono trascorrere diversi mesi prima che l’anziano possa accedere ad un posto letto convenzionato.

come entrare in casa di riposo: lo schema
Come entrare in casa di riposo: lo schema

 

E nel frattempo cosa si potrà fare?

Organizzare un servizio di assistenza a domicilio tramite una badante, cosa che,  molto spesso, non si concilia con le condizioni di salute dell’anziano.

Se sussistano le disponibilità economiche, si potrà inserire l’anziano in casa di riposo fuori convenzione, prendendo contatti direttamente con la casa di riposo: si tratta, però, di una scelta molto dispendiosa dal momento che , in questo caso, sarà a carico dell’utente, e della sua famiglia, sia la parte alberghiera che la parte sanitaria della retta.

Il suggerimento è quello di richiedere una revisione della valutazione al responsabile UVMD cercando di motivare,  non solo sotto il profilo sanitario ma anche sotto quello sociale, l’emergenza dell’inserimento in casa di riposo.

 

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Il risarcimento danni per omessa diagnosi malattia terminale

Anche se la malattia terminale non lasci spazio alla speranza è configurabile un danno da perdita di chance esistenziali.

Nel nostro ordinamento sta prendendo sempre più piede un nuovo criterio per definire il concetto salute.

Salute, infatti, non significa solo “stare bene“, nel senso di non avere malattie, ma anche stare bene con se stessi nel momento della malattia.
Laddove, in precedenza, tale concetto era emarginato soltanto all’ambito fisico della persona, ora è esteso anche a quello psichico: anche quando si abbia un male, financo incurabile, si ha diritto ad avere la migliore percezione di se stessi, a godere della vita con tutte le attribuzioni, le risorse e le possibilità che siano consentite, a svolgere tutte le scelte che siano concretamente permesse.
Ecco, allora, che in ipotesi di omessa diagnosi di una malattia terminale, con una prognosi senz’altro infausta, il mancato -tempestivo – accertamento in termini diagnostici da parte del medico curante, pur non avendo nesso causale con l’evento morte, può legittimare la richiesta di risarcimento danni per perdita di chance esistenziali.

risarcimento danni per omessa diagnosi malattia terminale 2
Risarcimento danni per omessa diagnosi malattia terminale: una nuova concezione del diritto alla salute.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha efficacemente statuito in ordine alla domanda di risarcimento danni per omessa diagnosi di malattia terminale invocata dalle figlie di un paziente oncologico i cui medici che lo avevano in cura avevano accertato con colpevole ritardo il processo patologico in atto.

Laddove, in precedenza, il Tribunale e la Corte d’appello avevano deciso che nulla potesse essere liquidato, poichè il defunto, anche se la malattia fosse stata diagnosticata prima, non avrebbe potuto nutrire speranze di sopravvivenza, i giudici della Suprema Corte hanno rinvenuto come, al contrario, fosse concedibile il risarcimento del danno, “consistito nell’imposizione di una condizione esistenziale di materiale impedimento a scegliere cosa fare nell’ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all’esito infausto, ovvero di programmare il suo essere persona e, dunque, l’esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche in vista e fino a quell’esito“.

Non solo.

I giudici ermellini hanno rilevato che nella fattispecie sussisteva non tanto un danno per perdita di possibilità esistenziali alternative, quanto derivante dalla violazione di un diritto autentico, qual è l’autodeterminazione.
E’ stato evidenziato, infatti, che  “non solo l’eventuale scelta di procedere (in tempi più celeri possibili) all’attivazione di una strategia terapeutica, o la determinazione per la possibile ricerca di alternative d’indole meramente palliativa, ma anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico (senza ricorrere all’ausilio di alcun intervento medico) in attesa della fine, appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali che il velo d’ignoranza illecitamente indotto dalla colpevole condotta dei medici convenuti ha per sempre impedito che si attuassero come espressioni di una scelta personale“.

risarcimento danni per omessa diagnosi malattia terminale Vicenza
L’omessa diagnosi di malattia terminale, pur non determinando la morte, può legittimare il risarcimento del danno per lesione del diritto all’autodeterminazione personale. Libertà di compiere le proprie scelte di vita fino alla fine e non subire passivamente la malattia.

Da segnalare l’ultima considerazione della Corte ” anche la sofferenza e il dolore, là dove coscientemente e consapevolmente non curati o alleviati, acquistano un senso ben differente, sul piano della qualità della vita, se accettati come fatto determinato da una propria personale opzione di valore nella prospettiva di una fine che si annuncia (più o meno) imminente, piuttosto che vissuti, passivamente, come segni misteriosi di un’inspiegabile, insondabile e angosciante, ineluttabilità delle cose. Rilievo che vale a tradursi in una specifica percezione del sè quale soggetto responsabile, e non mero oggetto passivo, della propria esperienza esistenziale“.

Per dirla con le parole dello scrittore e saggista francese Paul Bourget “Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare come si è vissuto“.

La sentenza della Corte di Cassazione: Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 24-01-2018) 23-03-2018, n. 7260  

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Integrazione retta casa di riposo: l’impegno dei familiari è nullo se condizione per l’accesso alla struttura convenzionata

 

Retta casa di riposo: se la struttura è convenzionata, non può subordinare l’accoglimento dell’anziano alla prestazione di una garanzia dell’integrazione da parte dei familiari.

 

Con sentenza num. 560 pubblicata il 12.03.2018, il Tribunale di Padova ha revocato il decreto ingiuntivo che era stato notificato al figlio di un’anziana ricoverata in una casa di riposo e notificatogli in quanto aveva interrotto di integrare la retta di ricovero.

Come noto, per accedere alle strutture residenziali l’anziano che si trova in condizione di bisogno deve presentare apposita domanda presso il distretto socio-sanitario di residenza al fine di richiedere la convocazione dell’Unità valutativa multidimensionale distrettuale (Uvmd).

Tale UVMD ha il compito di valutare la situazione dell’anziano sotto il profilo sanitario, assistenziale e sociale attraverso la compilazione della cd. scheda Svama.

La scheda Svama è, infatti, una scheda di valutazione che viene compilata dal medico di famiglia, dall’infermiere e dall’assistente sociale del Comune, che riassume tutte le informazioni utili a descrivere, sotto il profilo sanitario e socio-assistenziale nonché delle abilità residue, le condizioni dell’anziano.

Se l’équipe valuta l’inserimento in residenza per anziani come il progetto di assistenza che meglio risponda alle esigenze della persona, questa, sulla base di un punteggio di gravità determinato dalla condizione sanitaria, sociale e dall’assenza di alternative all’istituzionalizzazione, viene inserita in una “graduatoria” unica per tutta l’Ulss (Registro unico della residenzialità).

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integrazione retta casa di riposo: nulla la garanzia prestata dai familiari se condizione per l’ingresso in struttura convenzionata

Nel momento in cui, presso una delle strutture indicate dall’utente tra quelle presenti nell’elenco sottoposto al momento della UVMD, dovesse rendersi disponibile un posto convenzionato, sarà cura della struttura contattare l’utente al fine di valutare l’inserimento.

La sentenza emessa dal tribunale padovano ha precisato che, ogni qualvolta l’accesso alla struttura da parte dell’anziano non autosufficiente avvenga in quanto lo stesso è titolare della cd. impegnativa di residenzialità, il rapporto tra l’utente e la struttura stessa troverà la propria fonte giuridica nelle leggi e nei regolamenti e non in eventuali contratto di ricovero privatistici.

La struttura, quindi, non potrà vantar somme in base ad accordi privati con l’utente e con i parenti di quest’ultimo, invocando di essere un soggetto privato.

Né tantomeno potrà subordinare l’ingresso in struttura alla prestazione di garanzia per l’integrazione retta casa di rioposo da parte dei familiari, come, invece, avvenuto nel caso oggetto della sentenza che commentiamo.

Molto chiaramente il provvedimento precisa che “l’aver concepito l’assistenza come un servizio da prestare solo a condizione che fosse assicurata la copertura economica da parte di un soggetto terzo rappresenta certamente una condotta che confligge con la normativa dettata in materia di prestazioni socio-sanitarie in quanto, diversamente opinando, si verrebbe a far dipendere il rapporto pubblicistico dalla contrattazione privata, in evidente spregio dell’art. 32 della Costituzione.”

Va da sé che il negozio di garanzia intervenuto tra le parti è da considerarsi nullo per contrarietà a norme imperative ai sensi d

 

ell’art. 1418 c.c.

 

 

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