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Chi paga la retta della casa di riposo ed altre preziose informazioni

 

Chi paga la retta della casa di riposo? quali capitoli di spesa sobbarcarsi? il reddito dei familiari fa testo? quale procedura si deve seguire?

 

La guida, preziosa, redatta dalla collega Stefania Cerasoli

 

INDICE

1.COME ENTRARE IN CASA DI RIPOSO
2.COSA PAGO IN CASA DI RIPOSO
3.IL PROBLEMA DELLE LISTE DI ATTESA
4.LA CASA DI RIPOSO MI CHIEDE LA FIRMA DI UN CONTRATTO, POSSO RIFIUTARMI?
5.HO FIRMATO MA ORA NON SONO PIU’ IN GRADO DI PAGARE LA RETTA, POSSO TIRARMI INDIETRO?
6.E SE LA PENSIONE NON BASTA, CHI PAGA LA RETTA DELLA CASA DI RIPOSO?

 

 come entrare in casa di riposo

 


1. COME ENTRARE IN CASA DI RIPOSO ?

Come abbiamo già avuto modo di spiegare (LINK), per entrare in casa di riposo l’anziano che si trova in condizione di bisogno (o chi per esso) deve presentare apposita domanda presso il distretto socio-sanitario di residenza al fine di richiedere la convocazione dell’Unità valutativa multidimensionale distrettuale (Uvmd).


La UVMD, composta da un’équipe di operatori sociali (assistente sociale comunale) e sanitari (medico di famiglia, infermiere, medico di distretto, ecc.), ha il compito di valutare la situazione dell’anziano sotto il profilo sanitario, assistenziale e sociale attraverso la compilazione della cd. scheda Svama.


La scheda Svama è, infatti, una scheda di valutazione che viene compilata dal medico di famiglia, dall’infermiere e dall’assistente sociale del Comune, che riassume tutte le informazioni utili a descrivere, sotto il profilo sanitario e socio-assistenziale nonché delle abilità residue, le condizioni dell’anziano.


Se l’équipe valuta l’inserimento in residenza per anziani come il progetto di assistenza che meglio risponde alle esigenze della persona, questa, sulla base di un punteggio di gravità determinato dalla condizione sanitaria, sociale e dall’assenza di alternative all’istituzionalizzazione, viene inserita in una “graduatoria” unica per tutta l’Ulss (Registro unico della residenzialità).

 

quota sanitaria

 


2. COSA PAGO IN CASA DI RIPOSO ?


Le prestazioni che l’anziano non autosufficiente riceve in una RSA (oggi non si parla più di case di riposo bensì di Residenze Sanitarie Assistenziali) sono qualificate come socio-sanitarie integrate e sono disciplinate dall’art. 3, septies, del Decr.Leg,ivo n. 502/1992.


In particolare, tali prestazioni si distinguono in:


– prestazioni sanitarie a rilevanza sociale di competenza e a carico delle aziende sanitarie locali;


– prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza ed a carico dei comuni con la compartecipazione alla spesa dell’utenza;


– prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria erogate ed a carico del Fondo Sanitario nazionale.


Chiarito questo aspetto, è chiaro cosa debba intendersi per retta e di cosa si componga.


In particolare, la retta nel caso di ricovero in regime convenzionato si compone


della cd. QUOTA SANITARIA a carico del Sistema sanitario regionale ed erogata tramite l’ASL di appartenenza direttamente alla casa di riposo


e da una QUOTA SOCIALE/ALBERGHIERA a carico dei Comuni con la compartecipazione del beneficiario della prestazione.


Nel caso in cui, invece, il ricovero avvenga in regime privato, a carico dell’ utente sarà non solo la quota alberghiera ma anche quella sanitaria.

 

soccorso-istruttorio-appalti-pubblici

 

3. IL PROBLEMA DELLE LISTE DI ATTESA

 

Nel momento in cui, presso una delle strutture indicate dall’utente, tra quelle presenti nell’elenco sottoposto al momento della UVMD, dovesse rendersi disponibile un posto convenzionato, sarà cura della struttura contattare l’utente al fine di valutare l’inserimento.

 

In caso di ricovero in regime convenzionato, quindi, la parte sanitaria della retta sarà riconosciuta e corrisposta direttamente alla struttura dal Sistema sanitario regionale tramite le Asl di appartenenza rimanendo a carico dell’utente e dei Comuni la parte sociale o alberghiera della retta.


È importante precisare, però, che, anche una volta ottenuto l’inserimento nel Registro Unico di Residenzialità, non è detto che il beneficiario riesca ad acquisire immediatamente la cd. impegnativa di residenzialità e, quindi, ad accedere immediatamente ad un posto letto in regime convenzionato.


A fronte di tante richieste, infatti, solo alcune vengono accolte e questo per mancanza di disponibilità delle cd. “quote” regionali sanitarie: il riconoscimento dell’impegnativa di residenzialità avviene, infatti, nei limiti della programmazione di bilancio già stimata dalla Regione in sede di programmazione dei posti letto (anche se si può discutere della legittimità di tali liste di attesa LINK).


Quindi, per intenderci, se l’utente viene ad essere contattato dalle strutture prescelte è perché si trova in posizione utile in graduatoria per l’ottenimento dell’impegnativa di residenzialità rientrando, quindi, nei limiti della predetta programmazione di bilancio.


Da quanto detto si deduce che potrebbero trascorrere anche diversi mesi prima dell’ottenimento dell’impegnativa di residenzialità.


E che fare nell’attesa?


Se la famiglia non può attendere, e sempre che ne abbia la disponibilità economica, potrebbe procedere ad un inserimento dell’anziano in via privata e, quindi, facendosi carico sia della quota sociale che della quota sanitaria della retta.

 

dimissioni anziano ospedale


4. LA CASA DI RIPOSO MI CHIEDE LA FIRMA DI UN CONTRATTO, POSSO RIFIUTARMI ?

 


Capita che, una volta contattati dalla struttura perché utilmente collocati in graduatoria, ci si senta dire che l’accoglimento del nostro familiare in struttura sia condizionato alla prestazione di una garanzia.


È importante precisare che, ogni qualvolta l’accesso alla struttura da parte dell’anziano non autosufficiente avvenga in quanto lo stesso si trovi in posizione utile in graduatoria per l’ottenimento dell’impegnativa di residenzialità, il rapporto tra l’utente e la struttura stessa troverà la propria fonte giuridica nelle leggi e nei regolamenti e non in eventuali contratti di ricovero privatistici.


La struttura, quindi, non potrà vantar somme in base ad accordi privati con l’utente e con i parenti di quest’ultimo, invocando di essere un soggetto privato.


Né tantomeno potrà subordinare l’ingresso in struttura alla prestazione di garanzia come si è già avuto modo di chiarire (LINK).


Ovviamente stiamo parlando dell’inserimento in regime convenzionato perché, nel caso di ricovero in regime privato, tutto cambia potendo la struttura, in questo caso, apporre tutte le condizioni possibili all’ingresso in struttura.

 

Risarcimento danni per mancato pagamento assegno di mantenimento


5. HO FIRMATO MA ORA NON SONO PIU’ IN GRADO DI PAGARE, POSSO TIRARMI INDIETRO ?


In ogni caso, anche volendo considerare valido il contratto eventualmente firmato al momento dell’ingresso in regime convenzionato del nostro familiare in struttura, si precisa che è sempre possibile “tornare indietro”.


La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26863/2008, ha statuito, infatti, che gli impegni assunti dai parenti dei ricoverati in una Rsa o altra struttura a titolo di integrazione della retta di degenza sono sempre revocabili.


In particolare, secondo la Corte di Cassazione, tale impegno può configurarsi giuridicamente come obbligazione di garanzia per futuri possibili debiti dell’obbligato, in relazione alla quale la facoltà di recesso è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza. 

In secondo luogo, per i contratti ad esecuzione continuata o periodica,  la facoltà di recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, in sintonia con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, spetta al terzo che assume l’obbligazione altrui.


Sarà, quindi, sufficiente l’invio alla struttura di una lettera a mezzo raccomandata con la quale si comunica la propria volontà di risolvere/recedere/revocare l’impegno economico.


Ovviamente questa scelta va valutata con attenzione in quanto espone il soggetto sottoscrittore al rischio, tutt’altro che remoto, della notifica di un decreto ingiuntivo da parte della struttura ospitante.

 

figli casa di riposo

 

6. E SE LA PENSIONE NON BASTA, CHI PAGA LA RETTA DELLA CASA DI RIPOSO ?

 


Nel caso in cui la pensione del nostro familiare non sia sufficiente a coprire la retta, è possibile presentare istanza di integrazione retta al comune in cui l’anziano risiedeva prima dell’ingresso in struttura.


La Legge n. 328/2000, all’art. 6, IV comma, prevede che “per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica”.


Ovviamente la domanda di integrazione dovrà essere corredata dall’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (meglio noto come ISEE) avente lo scopo di calcolare la capacità reddituale e patrimoniale di un nucleo familiare chiarendo chi può avere diritto ad una prestazione assistenziale gratuita o ad un costo ridotto.


In particolare, l’Isee dovrà essere di tipo “socio sanitario residenze assistenziale” che, alla luce della riforma intervenuta con il DPCM n. 159 del 05.12.2013, oltre a permettere di scegliere il nucleo familiare più ristretto, prevede, in ogni caso, di tenere in considerazione anche la condizione economica dei figli del beneficiario anche se non facenti parte del nucleo familiare.


Precisiamo subito una cosa.


L’art. 2 del D.P.C.M. 159/20139 prevede che “la determinazione e l’applicazione dell’indicatore ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali agevolate, nonché della definizione del livello di compartecipazione al costo delle medesime, costituisce livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”.


Quindi, non sono ammessi ISEE “fai da te”, predisposti a livello regionale o, addirittura, comunale, giacché la competenza a disciplinare i contenuti dell’ISEE è riconducibile, in via esclusiva, in capo allo Stato.


L’unica autonomia che hanno le Regioni e i Comuni è di tipo migliorativo nel senso che potranno garantire un trattamento migliorativo rispetto all’ISEE nazionale, ma non certamente peggiorativo rispetto ad esso e questo proprio perché, come già detto, questo rappresenta un “livello essenziale”.

 

chi paga la retta della casa di riposo?


Come già evidenziato, “il nucleo familiare del beneficiario è composto dal coniuge, dai figli minori di anni 18, nonché dai figli maggiorenni” (cfr. art. 6, II comma, del D.P.C.M. n. 159/2013).


Dato il carattere modulare dell’indicatore ISEE, sorge spontanea una domanda: cosa succede nel caso in cui il figlio, non convivente e nelle disponibilità economiche per integrare la retta, si dichiari comunque indisponibile a tale integrazione?


Chi è il soggetto direttamente legittimato ad agire nei suoi confronti? Il Comune o il ricoverato?

Occorre precisare che unico soggetto debitore nei confronti del Comune è il beneficiario della prestazione e, quindi, l’anziano ricoverato.


I parenti dell’anziano non sono direttamente obbligati al pagamento di alcuna quota della retta sociale né verso i Comuni né verso le Rsa, a meno che non si siano autonomamente impegnati.

 

Non solo.


Unicamente il ricoverato, e mai il Comune e tantomeno la struttura, potrà, da solo se ne ha la capacità o tramite un rappresentante legale, chiedere ai figli il pagamento di una somma a titolo di alimenti (art.433 e ss.).


I figli, effettuando spontaneamente (non essendovi alcun obbligo) la consegna del proprio ISEE nei termini che seguono, aiutano il proprio genitore a richiedere un beneficio economico alla prestazione, altrimenti irricevibile, nel senso che se il paziente ha un figlio, in assenza di detta sua componente aggiuntiva, si avrà come conseguenza che la quota sociale della retta sarà posta interamente a carico dell’anziano.

 

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

chi paga la retta della casa di riposo?

Isee familiari casa di riposo: no, se si sono persi i contatti con chi chiede l’inserimento in Rsa

 

Isee familiari casa di riposo: di quali soggetti si deve tener conto?

di Stefania Cerasoli

 

Come abbiamo già avuto modo di chiarire (LINK 1), l’Isee ha l’obiettivo di determinare la quota di compartecipazione dell’utente alla retta alberghiera senza incidere in alcun modo sul diritto alla prestazione di cura e alla presa in carico da parte della sanità.


Quindi, in parole povere, l’ISEE non inciderà sull’ottenimento dell’impegnativa di residenzialità e, quindi, del posto letto in casa di riposo in regime convenzionato.


Sarà, pertanto, obbligatorio, presentare l’ISEE solo nel caso in cui l’anziano intenda presentare richiesta di integrazione retta data l’insufficienza delle proprie disponibilità economiche rispetto all’importo della stessa.


In questo caso, la riforma dell’ISEE, intervenuta con il Decreto n. 159 del 05.12.2013, prevede che, in presenza di figli del beneficiario non inclusi nel nucleo familiare, l’ISEE sia integrato di una “componente aggiuntiva per ciascun figlio, calcolata sulla base della situazione economica dei figli medesimi, avuto riguardo alle necessità del nucleo familiare di appartenenza” (cfr. Decreto n. 159 del 05.12.2013, art. 6, comma III, lett. b).

 familiari casa di riposo


Tale componente aggiuntiva non sarà calcolata, tra gli altri casi, qualora “risulti accertata in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali, la estraneità del figlio in termini di rapporti affettivi ed economici” (cfr. Decreto n. 159 del 05.12.2013, art. 6, comma III, lett. b).


Quindi, il figlio che ritenga di trovarsi in tale situazione, potrà richiedere alla “pubblica autorità competente in materia di servizi sociali” di accertare la sua estraneità, in termini di rapporti affettivi ed economici, nei confronti del genitore che richieda prestazioni erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo.

 

 

isee familiare
Isee familiari casa di riposo: non si tiene conto di chi non abbia avuto contatti con il richiedente l’inserimento

 


In particolare, l’istanza dovrà essere presentata al Dirigente/Responsabile dei Servizi Sociali del Comune avendo cura di allegare tutta la documentazione in grado di dimostrare tale situazione di “estraneità” quali, ad esempio, la denuncia/querela per il reato di cui all’art. 570 C.P. (Violazione degli obblighi di assistenza familiare) o per maltrattamenti e/o violenze perpetrati dal genitore richiedente nei confronti del figlio.

 


Qualora il procedimento amministrativo si concluda con l’accertamento della sussistenza della cd. “estraneità” l’ISEE non sarà integrato della componente aggiuntiva di tale figlio.

 

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Isee familiari casa di riposo

Per scaricare GRATUITAMENTE

la GUIDA ALL’INGRESSO IN CASA DI RIPOSO

Isee casa di riposo: se non viene presentato si perde l’accesso in regime convenzionato?

 

Isee casa di riposo: se non viene presentato si perde l’accesso in regime convenzionato?

 

Ringraziamo la collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

 

Come abbiamo già avuto modo di rilevare (Link 1), per poter essere accolti in una casa di riposo è necessario presentare richiesta di valutazione (tecnicamente si parla di UVMD) al competente distretto socio-sanitario, in modo tale che una commissione (composta da medici ed assistenti sociali) possa valutare il grado di non autosufficienza del nostro familiare.


Al termine di tale valutazione, l’anziano sarà inserito in una graduatoria unica per tutte le Ulss del territorio.

 


Nel momento in cui, presso una delle strutture indicate dall’utente tra quelle presenti nell’elenco sottoposto al momento della UVMD, dovesse rendersi disponibile un posto convenzionato, i familiari saranno contattati dalla casa di riposo al fine di valutare l’inserimento.

 

 casa di riposo regime convenzionato isee

 

Come noto, le prestazioni ricevute in una Residenza Sanitaria Assistenziale (d’ora in poi RSA) sono qualificate come socio-sanitarie integrate e sono disciplinate dall’art. 3 del Decr. Leg.ivo n. 502/1992 ss.mm.


La retta di ricovero, quindi, si compone di una quota sanitaria (generalmente corrispondente al 50% dell’intero ed a carico del Sistema sanitario regionale) e da una quota alberghiera a carico dei Comuni con la compartecipazione dell’utente e determinata in base all’Isee socio-sanitario.


La percentuale di suddivisione economica fra la quota sanitaria/quota alberghiera segue la tipologia di prestazioni erogate (DPCM, 14 febbraio 2011).


Per quanto si ritenga che le liste di attesa relative al Registro unico della residenzialità siano illegittime (Link), è evidente che fino a quando il punteggio dell’anziano non permetterà di accedere all’accoglimento in regime convenzionato, tutta la retta (e non solo la parte alberghiera) sarà a carico dello stesso e della sua famiglia.


Quello che, invece, con questo articolo si vuole evidenziare è che l’ottenimento della quota sanitaria (e, quindi, del ricovero in regime convenzionato) non ha alcun legame con l’Isee presentato.

 

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Isee casa di riposo: se non viene presentato si perde il diritto all’integrazione per la quota alberghiera, non per quella sanitaria.

 


Anzi a voler essere più precisi, l’Isee potrebbe anche non essere presentato avendo l’unico fine di stabilire in che modo suddividere la quota alberghiera fra Comune ed utente nel caso in cui quest’ultimo intenda avvalersi del beneficio dell’integrazione comunale.


Chi non presenta l’Isee, quindi, ha lo stesso diritto di essere ricoverato in una RSA di chi lo presenta con l’unica differenza che non godrà dell’integrazione comunale al pagamento della quota alberghiera.

 

 

 

 

 

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Isee casa di riposo

Recesso impegno di pagamento casa di riposo da parte dei familiari

 

Recesso impegno di pagamento casa di riposo da parte dei familiari

 

Un ringraziamento alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

Il tribunale di Biella è intervenuto sull’annoso tema relativo alla legittimità o meno del recesso unilaterale da parte del familiare relativamente all’impegno di pagamento sottoscritto al momento dell’inserimento dell’anziano parente in casa di riposo.

 

Del resto, l’impatto sociale ed economico della non autosufficienza sulla famiglia è a dir poco devastante.


Il Tribunale  piemontese, con la sentenza n. 118 del 01.03.2019, ha annullato un decreto ingiuntivo di circa 11.000 Euro notificato alla figlia di un’anziana ricoverata in una RSA e che non riusciva più a pagare la retta per il ricovero del genitore.

Questa signora, dopo aver comunicato alla RSA di voler recedere dall’impegno di pagamento sottoscritto al momento dell’inserimento della madre in struttura, si era vista notificare un decreto ingiuntivo al quale, ovviamente, si era opposta.

 

Recesso impegno di pagamento casa di riposo da parte dei familiari
Recesso impegno di pagamento casa di riposo da parte dei familiari

 


Il Tribunale di Biella, uniformandosi all’orientamento giurisprudenziale che ha avuto inizio con la sentenza n. 26863 del 10.11.2008 della Corte di Cassazione, III Sezione Civile, ha stabilito che nulla è dovuto da parte del parente che si era obbligato qualora questi abbia esercitato il diritto di recesso.

 

In primis, infatti, l’impegno assunto dai familiari con la sottoscrizione del contratto è qualificato come assunzione di un’obbligazione di garanzia per futuri possibili  debiti dell’obbligato, garanzia in relazione alla quale la facoltà di recesso è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza.

 

Secondo la Cassazione, inoltre, il parente che si è precedentemente vincolato avrà la “facoltà del recesso unilaterale, prevista ex art.1373 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, che rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, in sintonia con i principi di buona fede nell’esecuzione del contratto”.

 

 

 

 

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Recesso impegno di pagamento casa di riposo da parte dei familiari

Dimissioni dall’ospedale anziano non autosufficiente

Dimissioni dall’ospedale anziano non autosufficiente.

 

Ringraziamo la collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

 

Gli anziani non autosufficienti, se ricoverati in ospedale, non possono essere dimessi prima che siano state assicurate e organizzate dall’Asl di residenza le cure domiciliari o, se non sia possibile il rientro a domicilio, individuata una struttura residenziale.

 

L’art. 32 della nostra Costituzione sancisce che sia compito della Repubblica tutelare “la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.


Il Servizio sanitario nazionale garantisce, quindi, il diritto alle cure attraverso le Regioni e le Aziende sanitarie locali.


E’ importante evidenziare che il diritto alla salute è riconosciuto a tutti senza alcuna distinzione tra malattie acute e malattie croniche, come la non autosufficienza che colpisce i nostri anziani.


In particolare, la Legge n. 833 del 23.12.1978, specifica che le ASL siano obbligate a provvedere alla “tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione”.

E questo qualunque siano “le cause, la fenomenologia e la durata” delle malattie.

dimissioni anziano ospedale


I nostri anziani, quindi, hanno diritto, come qualsiasi altro cittadino, ad essere assistiti perché, se è vero che, in quanto non autosufficienti cronici, non possono guarire è altrettanto vero che hanno diritto ad essere curati.


E questo senza limiti di durata.


Per quanto l’ospedalizzazione dell’anziano può spesso rivelarsi rischiosa dato l’elevato rischio di infezioni  , altrettanto rischiosa può rivelarsi la tendenza generalizzata alla riduzione del tempo di degenza in ospedale.


Gli anziani non autosufficienti, infatti, sono malati in condizioni di maggior debolezza e fragilità se ancora bisognosi di cure.


Dobbiamo sempre ricordare che nessun malato, quindi anche l’anziano non autosufficiente, può essere dimesso dall’ospedale qualora necessiti ancora di cure sanitarie.


A meno che gli sia stata garantita la continuità delle cure a domicilio o in altre strutture.


Esistono, infatti, strutture (di riabilitazione o di lungodegenza) che hanno il preciso compito di gestire la fase post acuta della malattia e dunque in dimissione dall’ospedale per acuti.


Per quanto ai familiari spesso si comunichi che il ricovero in queste strutture non possa superare i 30-60 giorni, è importante evidenziare che, qualora la condizione del malato non sia compatibile con il trasferimento presso altre strutture sociosanitarie o a domicilio, il ricovero può essere prolungato.

 

 dimissioni ospedale non autosufficiente
Dimissioni dall’ospedale anziano non autosufficiente


L’art. 30 del DPCM 12.01.2017, “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502”, (meglio noto come Nuovi Lea), prevede, infatti, che sia compito del Servizio Sanitario Nazionale garantire alle persone non autosufficienti:


a) trattamenti estensivi di cura e recupero funzionale in caso di patologie che, pur non presentando particolari criticità e sintomi complessi, richiedono elevata tutela sanitaria con continuità assistenziale e presenza infermieristica sulle 24 ore.


b) trattamenti di lungoassistenza, recupero e mantenimento funzionale, ivi compresi interventi di sollievo per chi assicura le cure.


Il primo tipo di intervento è a totale carico del Servizio sanitario nazionale mentre i trattamenti di lungoassistenza prevedono una sua compartecipazione per una quota pari al 50% per cento della tariffa giornaliera.


Prima di accettare la dimissione del nostro anziano dall’ospedale dovremo, quindi, avere cura di valutare ogni singola conseguenza delle nostre decisioni, soprattutto nel caso in cui il quadro clinico sia tutt’altro che stabile.


In particolare dovremo chiederci se la soluzione che ci viene prospettata al momento della dimissione sia davvero rispondente al bisogno del nostro familiare e se saremo in grado di farvi fronte.


Perché con l’accettazione della dimissione e con il rientro a domicilio del nostro familiare, ci assumeremo la responsabilità della continuità terapeutica che, invece, fino al momento del ricovero è a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale.


Nel caso in cui i dubbi siano superiori alle certezze, quindi, ricordiamoci che è sempre possibile opporsi alle dimissioni o al trasferimento in altra struttura che ci appaia motivatamente inadeguata.

 

 

 

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Dimissioni dall’ospedale anziano non autosufficiente

A chi spetta la pensione di reversibilità?

A chi spetta la pensione di reversibilità?

 

Un ringraziamento alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

La pensione ai superstiti, è una prestazione che viene riconosciuta ad alcuni familiari del lavoratore o del pensionato deceduto ed iscritto presso una delle gestioni dell’INPS.


Più precisamente si parla di pensione di reversibilità se l’assicurato era già pensionato al momento del decesso e di pensione indiretta qualora l’assicurato lavorasse ancora al momento del decesso.


La pensione ai superstiti spetta:


-al coniuge anche se legalmente separato mentre se già divorziato avrà diritto solo se beneficiario di un assegno divorzile;


-ai figli sino a 26 anni se studenti universitari, sino a 21 anni, se studenti delle superiori, altrimenti sino alla maggiore età, o senza limiti di età se inabili;

– in mancanza, ai genitori over 65 senza pensione o ai fratelli ed alle sorelle inabili.

Le quote della pensione di reversibilità sono differenti a seconda del numero dei concorrenti: ecco il link dell’Inps che compendia gli importi dovuti.

 

pensione reversibilità
A chi spetta la pensione di reversibilità?

 

Ulteriore requisito affinchè possa essere riconosciuta la pensione di reversibilità ai familiari diversi dal coniuge, è la cd. “vivenza a carico” del defunto che si presume per i figli minori mentre negli altri casi dovrà essere provata.


La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 651 del 15.01.2019, ha chiarito quali siano i criteri per l’accertamento del requisito della “inabilità” richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato.


L’accertamento di tale requisito, infatti, deve essere effettuato in modo concretoossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso, di svolgere attività idonee nel quadro dell’art. 36 Costituzione e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico


Più semplicemente,dovremo parlare di inabilità ogni qualvolta le residue capacità lavorative siano talmente esigue da consentire solo lo svolgimento di operazioni elementari, di “un’attività del tutto priva di produttività, oltre che in perdita economica” esercitata esclusivamente all’interno di strutture protette, con esclusione di qualsiasi apprezzabile fonte di guadagno.

 

pensione superstiti


Quanto al requisito della cd. “vivenza a carico”, sarà sufficiente dimostrare che il genitore abbia integrato il reddito del figlio, perché inidoneo a garantire il suo sostentamento.


La Corte di Cassazione, sez. VI Civile, con l’ordinanza n. 26642 del 17.12.2014  ha precisato, infatti, che la cd. “vivenza a carico” non deve necessariamente tradursi in una forma di convivenza o in una situazione di “totale soggezione finanziaria” da parte del figlio essendo necessario, invece, che il genitore deceduto abbia, in vita, offerto un contributo economico prevalente e decisivo per il mantenimento del figlio superstite.


In pratica, l’accertamento della “vivenza a carico” non risulta legato al solo profilo della coabitazione o della totale soggezione economica, ma anche ad ulteriori elementi quali il mancato svolgimento di attività lavorativa da parte dell’aspirante alla pensione e la risalenza della coabitazione.

 

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

A chi spetta la pensione di reversibilità?

Benefici fiscali Legge dopo di noi: se la disabilità grave è riconosciuta successivamente all’istituzione del trust?

 

Benefici fiscali legge dopo di noi: anche se la disabilità grave è riconosciuta dopo l’atto istitutivo del trust?

 

Ringraziamo la collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

 

Con provvedimento n. 513 dell’11.12.2019, l’Agenzia delle Entrate ha risposto all’interpello presentato dal genitore di un ragazzo con disabilità interessato a conoscere quali requisiti dovessero sussistere per poter fruire dell’esenzione dall’imposta sulle successioni e sulle donazioni, nel caso di beni e diritti conferiti in trust a soggetti con disabilità.


La legge n. 112 del 22.06.2016, meglio nota come Legge sul Dopo di Noi, prevede, infatti, che i beni e i diritti conferiti in trust istituiti in favore di persone con disabilità grave siano esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni.


La possibilità di accedere a tali esenzioni ed agevolazioni è subordinata all’accertamento della grave disabilità, secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma III, della legge 104/1992.

 

dopo di noi

 

La possibilità di beneficiare dell’esonero dalle imposte sulle successioni e donazioni, così come dell’applicazione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa, si applicherà, inoltre, nel rispetto delle seguenti condizioni:


• istituzione del trust con atto pubblico;


• individuazione nell’atto istitutivo, in modo chiaro ed univoco, dei soggetti coinvolti e dei rispettivi ruoli, dei bisogni specifici delle persone con disabilità grave nonché delle attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni delle persone assistite;


• individuazione nell’atto istitutivo degli obblighi e delle modalità di rendicontazione a carico del trustee;


• il patrimonio conferito nel trust deve essere destinato esclusivamente alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust;


• individuazione nell’atto istitutivo del soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte all’atto dell’istituzione del trust;


• previsione nell’atto istitutivo del termine finale della durata del trust (…) nella data della morte della persona con disabilità grave;


• previsione nell’atto istitutivo della destinazione del patrimonio residuo.

 

L’interpello proposto dal padre del ragazzo con disabilità richiedeva risposta al seguente quesito: è possibile richiedere i benefici fiscali legge dopo di noi  prima che sia accertato lo stato di grave disabilità?

 

legge dopo di noi benefici fiscali
Benefici fiscali legge dopo di noi: la risposta dell’Agenzia dell’Entrate per disabilità grave accertata successivamente al conferimento

 

Nonostante, infatti,  la necessità di entrambi i presupposti per beneficiare delle agevolazioni del “dopo di noi” – l’inserimento nell’atto istitutivo del trust delle clausole riportanti le condizioni sopra riportate e lo stato di grave disabilità –  non è specificato che tali presupposti debbano entrambi sussistere sin dal momento costitutivo. Se ne dedurrebbe che la sopravvenienza di uno dei presupposti e nello specifico della disabilità grave conduca all’applicazione del regime agevolato per gli atti di dotazione successivi a tale sopravvenienza.

 

La risposta dell’Agenzia delle Entrate è stata chiarissima: l’atto di dotazione contestuale alla costituzione del trust non può usufruire delle  agevolazioni previste dalla legge n. 112 del 2016, qualora al beneficiario non sia ancora stato riconosciuto uno stato di disabilità grave.

 

Ottenuto il riconoscimento dello stato di disabilità grave di cui alla legge n. 104 del 1992, e ove la certificazione stessa attesti che lo stato di disabilità grave sussisteva alla data di istituzione del trust, il contribuente istante potrà chiedere il rimborso dell’importo pari alla differenza tra l’imposta pagata al momento della dotazione iniziale di beni del trust e l’imposta prevista per i conferimenti ed i trasferimenti di beni in favore del trust



 

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Esenzione d’imposta legge dopo di noi

Disabilità: mancata attuazione progetto individuale costituisce illecito amministrativo risarcibile

 

Mancata attuazione progetto individuale: il danno va risarcito

 

Si ringrazia la collega, Avv. Stefania Cerasoli, per il prezioso contributo.

 

L’art. 14 della Legge 08.11.2000 n. 328 prevede che “per realizzare la piena integrazione delle persone disabili, nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale”.

In particolare, questo piano comprende “oltre alla valutazione diagnostico-funzionale o al Profilo di funzionamento, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, il Piano educativo individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale”.

 

mancato rispetto pai

Si tratta di un intervento molto importante in quanto ha il fine di garantire un miglioramento della qualità della vita della persona con disabilità.

E non darvi attuazione, una volta stabiliti gli interventi e redatto il progetto individuale, costituisce un illecito amministrativo.

Il genitore di una minore con handicap grave aveva richiesto ed ottenuto la redazione di un progetto individuale ex art. 14 legge 328/00.

Tale progetto, nonostante il suo accoglimento, non era mai stato concretamente attuato dal Comune e dalla Usl locale.

 

mancata attuazione progetto individuale: condanna al risarcimento del danno e all’esecuzione del programma

Il Tribunale di Marsala, con la sentenza n. 3666 del 12.04.2019, ha condannato il Comune di residenza della minore con disabilità al pagamento, non solo dei danni patrimoniali subiti dalla madre (che aveva sostenuto delle spese per il servizio di educativa domiciliare privato che dovevano, invece, essere erogate gratuitamente) ma anche di quelli non patrimoniali subiti dalla minore consistenti “nella violazione di interessi fondamentali attinenti alla persona e, in particolare, al diritto della minore medesima alla effettività dell’integrazione nel contesto sociale di riferimento per l’utente “.

E questo perchè “una volta definito l’iter procedimentale con la predisposizione del PAI e l’individuazione dei servizi sorge il diritto ad ottenere la concreta erogazione delle prestazioni pianificate”.

 

Fermo, ci mancherebbe, l’obbligo di dare concreta esecuzione alle prestazioni indicate nel PAI.

 

 

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mancata attuazione progetto individuale

Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità

Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità

Ringraziamo la collega Avv. Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità, disciplinato dal D.lgs. 26.03.2001 n. 151, art. 42 ss.mm., consiste nella possibilità di astenersi dal lavoro, per un periodo massimo di due anni nell’intera vita lavorativa, per i familiari, appunto, di una persona con disabilità.

L’ordine di priorità è: coniuge o parte dell’unione civile, genitori, figli, fratelli e sorelle. Rimane ferma la condizione dell’assenza di ricovero con le eccezioni che vedremo in seguito.

Tale astensione è frazionabile anche a giorni (non a ore) ed è retribuita con un’indennità che corrisponde alle voci fisse e continuative dell’ultimo stipendio dando diritto all’accredito dei contributi figurativi ai fini pensionistici.

Nell’ordine il congedo straordinario spetta: al coniuge, ai genitori, ai figli, ai fratelli e sorelle, ad altri parenti e affini, conviventi, sino al terzo grado (nel caso in cui siano assenti, o in una situazione giuridica assimilabile all’assenza, i familiari più prossimi).

 

congedo straordinario

Il requisito della convivenza è necessario qualora a richiedere il congedo siano: il coniuge,la parte dell’unione civile, i figli, i fratelli/sorelle o i parenti/affini entro il terzo grado del disabile grave.

Ove per convivenza si intende, in via esclusiva, la residenza, ritenendo a tale fine sufficiente anche la residenza nel medesimo stabile, stesso numero civico, anche se non nello stesso interno.

Preme evidenziare che il congedo straordinario spetta al genitore anche nel caso in cui l’altro genitore non ne abbia diritto, ad esempio perché lavoratore autonomo.

Resta inteso che, qualora entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti, il congedo spetterà in via alternativa alla madre o al padre. Infatti, la persona con disabilità non potrà essere assistita contemporaneamente o in momenti diversi dai due genitori lavoratori essendo concessi, per ogni persona con disabilità, solo due anni di congedo complessivi nell’arco dell’intera vita lavorativa.

Quindi, per intenderci, due lavoratori dipendenti, figli di una persona con disabilità, non potranno usufruire di due anni d’assenza ciascuno per assistere lo stesso genitore ma solo ed unicamente di due anni in totale, fermo restando che i due anni sono da intendersi come massimo utilizzabile, per ciascun dipendente, nell’intero arco della vita lavorativa.

 

assistenza familiare disabile
Il congedo straordinario per l’assistenza di familiari con disabilità

Così come, nel caso in cui entrambi i genitori siano in situazione di disabilità grave, lo stesso lavoratore non potrà usufruire di un “raddoppio”: un ulteriore periodo biennale per l’altro genitore in situazione di disabilità grave è ipotizzabile solo per l’altro figlio (o familiare), con decurtazione di eventuali periodi da lui utilizzati a titolo di permessi per gravi e documentati problemi familiari.

Peraltro, il congedo straordinario, così come avviene per i permessi Legge 104, è riconosciuto a un solo lavoratore per l’assistenza alla stessa persona con handicap grave.

Di conseguenza, se esiste già un referente unico titolare di permessi per l’assistenza al disabile, un eventuale periodo di congedo straordinario può essere autorizzato solo in favore dello stesso referente (salvo limitate eccezioni).

Ulteriore presupposto per il riconoscimento del congedo straordinari è la mancanza di ricovero a tempo pieno (quindi per tutte le 24 ore) del familiare in situazione di disabilità grave.

In tal caso è evidente la non necessità del beneficio, essendo il proprio caro seguito per l’intero arco della giornata.

 

 

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congedo straordinario per l’assistenza di familiari di persone con disabilità

Non c’è l’insegnante di sostegno? L’alunno con disabilità ha diritto comunque di andare a scuola!

 

Il diritto ad andare a scuola non deve venir meno perchè non c’è l’insegnante di sostegno

 

 

Ringraziamo la Collega Avv. Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

Ogni anno a settembre, all’inizio del nuovo anno scolastico si ripresenta l’annoso problema della carenza degli insegnanti di sostegno.


Da un sondaggio effettuato recentemente dalla Fish (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), è emerso che, su 1.600 famiglie interpellate, il 41% denuncia “ la mancanza della figura del sostegno


Di particolare gravità è la circostanza che, di queste famiglie circa il “ 30% dichiara di essere stato invitato a non portare a scuola il proprio figlio o a ridurne la frequenza.”


È evidente che un invito di questo tipo costituisce una grave discriminazione che pregiudica in maniera significativa il diritto allo studio in senso lato.


Se la scuola funziona per gli altri bambini, è evidente che debba funzionare anche per l’alunno con disabilità.

 

non c'è l'insegnante di sostegno
non c’è l’insegnante di sostegno: e l’inclusione?

 


Del resto, l’insegnante di sostegno non è l’insegnante dell’alunno con disabilità bensì è un insegnante affidato alla classe per promuovere il suo processo di inclusione.


In poche parole l’alunno con disabilità è affidato, come tutti gli altri, alla scuola e non all’insegnante di sostegno o all’operatore.


Quindi, la mancanza dell’insegnante di sostegno non può comportare per l’alunno l’impossibilità di frequentare la scuola o riduzioni di orario della frequenza.


In conclusione, se l’insegnante di sostegno non c’è, l’alunno con disabilità ha il pieno diritto di andare a scuola e sarà compito dei docenti accoglierlo così come accolgono tutti gli altri bambini.


La scuola deve funzionare per tutti, nessuno escluso e che ogni disagio derivante dalla carenza di personale deve ricadere eventualmente sull’intera comunità scolastica e non solo su alcuni.


Ogni condotta che si scosti dal principio egualitario non solo inibisce ogni possibilità di reale inclusione, ma viene anche a compromettere l’esercizio dei diritti di base sanciti dalla stessa Costituzione.


Ricordiamo, infine, che una tale comportamento è censurabile anche ai sensi e per gli effetti della legge 01.03.2006, n. 67Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni“.

 

Quindi… A settembre la campanella suona per tutti.

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avv. Berto in materia di

inclusione: non c’è l’insegnante di sostegno