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Ascensore condominiale per eliminare barriere architettoniche: via libera se non pregiudica l’utilizzabilità degli spazi comuni

L’ascensore condominiale per eliminare barriere architettoniche può creare disagio e minor godimento degli spazi comuni, ma se non ne impedisce la loro utilizzabilità è legittima la sua installazione.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art 2 Costituzione.

Alziamoci in piedi alla parola della Costituzione.

Solidarietà: i padri costituenti hanno imposto a tutti i cittadini un sentimento, la solidarietà, volto a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.


“Roba che se non ci vogliamo bene ci danno una multa”, come salacemente arguiva il noto attore, Roberto Benigni.


Solidarietà, pertanto, risiede anche nell’eliminare le barriere architettoniche che pregiudicano l’inclusione della persona con disabilità.


Il problema è che tale obbligo, in contesti talvolta ristretti e animati come quelli condominiali, dove i diritti dei singoli e quelli comuni di tutti possono, se non collidere, trovare difficile composizione, anima, eccome, i consessi assembleari per scaturire – come se fossero la naturale destinazione – in ingarbugliati meandri giudiziari.

Ascensore condominiale per eliminare barriere architettoniche: dal diritto all’inclusione al pieno godimento degli altri condomini


Facciamo il punto della situazione? Proviamoci.


La partenza è variegata, come le circostanze che contraddistinguono ogni persona non autosufficiente: la vecchiaia debilitante, una malattia risalente, un infortunio paralizzante possono rendere angusto ed inaccessibile lo stesso ambiente dove risieda chi – suo malgrado – si trovi a far fronte ad una disabilità.


Specie se – tra l’androne di ingresso e l’appartamento di abitazione vi siano svariate rampe di scale.
In questo caso, spostarsi, accedere e recedere da casa può risultare impeditivo.


Un aiuto, concreto, può essere l’installazione di un ascensore.


Qui, tuttavia, entrano in gioco diversi fattori da prendere in considerazione: il decoro architettonico dell’edificio, la minorata ampiezza dei pianerottoli interessati dall’innovazione e delle scale coinvolte dall’opera, l’illuminazione deteriorata, il godimento degli spazi compresso, la riluttanza dei condomini a farsi carico di spese per loro non immediatamente necessarie ed indispensabili.


Cosa dice la legge.


Entrano in ballo molteplici discipline normative, codice civile e leggi ad hoc.
In primis, l’art. 1120 cc, a mente del quale “I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136 – maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio – possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto….le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche”.


Quindi, se l’installazione di un ascensore venisse approvata con voti che rappresentino più della metà dei millesimi di proprietà, nessun problema, purchè venga rispettata la norma di chiusura posta dal codice civile: sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.


E se non ci fosse la maggioranza? Oppure se nemmeno venisse dato ascolto alla richiesta del condomino che, trovandosi in condizioni di disabilità, faccia richiesta di installare il salvifico ascensore?


Vi è una normativa specifica, la Legge n. 13/1989, “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”, volta a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata.


E’ stabilito che “nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni – volte ad attuare le innovazioni negli dirette ad eliminare le barriere architettoniche – i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages”.

condominio persone con handicap


In buona sostanza, la persona con disabilità potrà procedere comunque all’esecuzione dell’opera richiesta, con spese a proprio integrale carico, fatta salva la possibilità per gli altri condomini di poterla utilizzare in futuro, purchè rimborsino quota parte delle spese di realizzazione e manutenzione dell’ascensore.


Pare si sia trovata la “quadra” e che problemi non possano sussistere a fronte della chiarezza della legge.


Non è così.


Le facoltà riconosciute alla persona con disabilità debbono comunque preservare alcune indicazioni dettate dal codice civile.
In particolare quelle stabilite dal già menzionato art. 1120 cc., che vieta le innovazioni lesive del decoro architettonico e comunque quelle che rendano parti dell’edificio inservibili all’uso o al godimento da parte degli altri condomini.


Inoltre, va richiamato un altro principio generale, vigente in materia di comunione: ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (1102 cc)


E’ incontestabile che, talora, l’installazione dell’ascensore possa comportare un’invasione di consistenti aree di proprietà condominiale e che, conseguentemente, possa limitare il pieno e pregresso utilizzo delle stesse da parte degli altri compartecipanti.


Ebbene, sul punto è intervenuta pochi giorni fa una sentenza della Corte di Cassazione che aiuta a fare chiarezza.


Il limite fissato dall’art. 1120 c.c. non si indentifica nel semplice disagio ovvero nel minor godimento che l’innovazione procuri al singolo condomino rispetto a quella goduta in precedenza, ma con l‘inutilizzabilità del bene secondo la sua normale destinazione.


L’installazione dell’ascensore nel vano scale che comporti la limitazione, per alcuni condomini, della originaria possibilità di utilizzazione delle scale e dell’andito occupati dall’impianto non rende l’innovazione lesiva del divieto richiamato dall’art. 1120 cc, anche se, se a fronte della minore utilizzabilità delle parti comuni, gli altri comproprietari non abbiano ricevuto alcun vantaggio compensativo. La sola riduzione dei gradini o l’occupazione dello spazio comune, disgiunta dall’accertamento dell’impossibilità di servirsi delle scale o dello spazio condominiale, o dal concreto apprezzamento della riduzione di luminosità alla porzione esclusiva, non consentono di ritenere l’opera in contrasto con il limite imposto dalla legge.

La sentenza: Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 29-11-2018) 12-03-2019, n. 7028

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Ascensore condominiale per eliminare barriere architettoniche

Suddivisione delle spese di installazione, manutenzione e sostituzione dell’ascensore condominiale.

Una recente sentenza della Cassazione ribadisce l’orientamento in tema di suddivisione delle spese di installazione, manutenzione e sostituzione dell’ascensore condominiale.

 

Condominio. Homo condomini lupus.

(Marcello Marchesi, regista-sceneggiatore, 1912-1978).

E’ proprio vero che il tema più scottante in ambito condominiale è quello della ripartizione delle spese.

Per quanto possano intervenire leggi di riforma della materia, sempre resteranno spazi di interpretazione e molteplici potranno essere le occasioni di lite.
Veniamo all’ascensore, anzi, alla suddivisione delle spese di installazione, manutenzione e sostituzione dell’ascensore.

suddivisione spese nuovo ascensore
Se un condominio, originariamente sprovvisto di ascensore, deliberasse l’installazione di un elevatore, le relative spese dovrebbero essere ripartite in base al valore dei millesimi di proprietà di ogni condomino, a sensi dell’art. 1123 cc.
Ferma la possibilità, trattandosi senza dubbio di innovazione gravosa, per i condomini che non intendano trarne vantaggio – leggasi utilizzarlo – di essere esonerati da qualsiasi contributo nella spesa.
L’ascensore, installato nell’edificio dopo la costruzione di quest’ultimo per iniziativa di parte dei condomini, infatti, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l’abbiano impiantato a loro spese. Ciò dà vita nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell’ascensore, che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi. L’art. 1121, comma 3, c.c. fa, infatti, salva agli altri condomini la facoltà di partecipare successivamente all’innovazione, divenendo partecipi della comproprietà dell’opera, con l’obbligo di pagarne pro quota le spese impiegate per l’esecuzione, aggiornate al valore attuale. (Cass. civ. Sez. II Ordinanza, 04/09/2017, n. 20713).

Bene, ora che un bell’ascensore in condominio ce l’abbiamo, ma è necessario provvedere alla sua manutenzione o, addirittura, alla sua sostituzione, come andranno ripartite le spese?

Senz’altro non potrà ignorarsi che il proprietario dell’appartamento al piano terra non utilizzerà l’elevatore, o certamente in maniera minore rispetto a quella dei piani superiori. Così pure il condomino del primo piano rispetto a quello del quinto.

Dobbiamo fare riferimento ad un’altra norma: l’art. 1124 ccLe scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo”.

Dunque.

Tutti debbono partecipare alle spese.
Tutti.
La Cassazione, al riguardo, ha rilevato che “al pari delle scale, l’impianto di ascensore, in quanto mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, riveste la qualità di parte comune anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poichè pure tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio, con conseguente obbligo gravante anche su detti partecipanti, in assenza di titolo contrario, di concorrere ai lavori di manutenzione straordinaria ed eventualmente di sostituzione dell’ascensore, in rapporto ed in proporzione all’utilità che possono in ipotesi trarne”.
Le modalità di partecipazione alla spesa saranno differenti a seconda dell’altezza di ciascun piano dal suolo. Qui si presume che maggiore sia l’altezza ove sia ubicata l’unità abitativa, tanto più utilizzato sarà l’ascensore condominiale.
Conseguentemente, ferma una quota da suddividersi in base ai millesimi, un’altra parte – la metà – si spartirà a seconda del piano abitativo di collocazione.

Questo criterio andrà utilizzato sia nel caso si debba procedere alla manutenzione dell’ascensore, sia in caso di sostituzione ex novo dell’elevatore.

suddivisione spese manutenzione ascensore

Si possono adottare altri criteri per la ripartizione delle spese?

Tutto è possibile, basta che ci sia l’unanimità dei condomini.

Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello di ripartizione delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori può essere derogato, ma la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione deve essere contenuta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), o in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini”.

La Sentenza: Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 15-06-2018) 12-09-2018, n. 22157.

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Sostituzione di delibera condominiale precedente con una successiva

Non deve essere pronunciato l’annullamento in caso di sostituzione di delibera condominiale precedente con una successiva.

Electa una via, non datur recursus ad alteram, dicevano i romani.

Imboccata una strada, non è più possibile cambiare percorso.

Con buona pace dei nostri illustri predecessori, questo principio non vale per le delibere condominiali.

Oggi ci chiediamo se sia possibile sostituire una delibera assembleare viziata, ritenuta illegittima, con un’altra, successiva, che vi ponga rimedio, soppiantandola.

Il legislatore nulla dice di specifico in proposito.

Troviamo una disposizione simile in materia societaria, laddove è stabilito che “l’annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto. In tal caso il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento dell’eventuale danno” (art. 2377 cc).

Tale disposizione può essere applicata anche in ambito condominiale?
Nel nostro ordinamento è principio stabilito che se una controversia non possa essere decisa con una precisa disposizione si applicano le disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (art. 12 preleggi).

Sostituzione delibera condominiale precedente
Sostituzione delibera condominiale precedente con una successiva. La normativa in materia societaria è applicabile a quella condominiale


Sostituzione delibera condominiale precedente con una successiva: la giurisprudenza ritiene estensibile la normativa societaria a quella condominiale.

I giudici hanno ritenuto pienamente applicabile la disciplina dell’art. 2377 cc alla delibera condominiale.
In particolare, una recente ordinanza della Corte di Cassazione si è trovata a statuire in ordine ad una impugnazione di delibera assembleare da parte di un condomino, ritenuta viziata, mentre – nelle more di giudizio – ne era intervenuta la sostituzione, mediante delibera successiva, che ne aveva sanato gli aspetti critici.
I giudici ermellini hanno ritenuto pienamente corretta la pronuncia del Tribunale di primo grado, e della Corte d’appello poi, che avevano dichiarato la cessazione della materia del contendere a seguito dell’avvenuta sostituzione.
 

sostituzione delibera condominiale precedente
La nuova delibera deve avere il medesimo oggetto ma contenuti incompatibili con quella precedente.

 

In particolare, la Suprema Corte ha statuito  che “si ha sostituzione nel caso in cui la nuova Delibera regoli il medesimo oggetto in termini incompatibili con quelli ipotizzati in precedenza”.

In buona sostanza, perchè la sostituzione produca effetto ed eviti la necessità del suo annullamento, deve avere il medesimo oggetto di quella precedente, ma la statuizione deve essere differente e, ovviamente, conforme alla legge.

 

L’ordinanza della Corte di Cassazione:  n 8515/2018

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Costruzione sul terreno condominiale: appartiene a tutti i condomini

Costruzione sul terreno condominiale: opera il principio dell’accessione.

Omne quod inaedificatur solo cedit. Tutto ciò che è edificato sul suolo appartiene al proprietario del terreno.

Lo dicevano i romani. Lo stabilisce il codice civile all’art. 934 cc, disciplinando l’istituto dell’accessione: “Qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo , … salvo che risulti diversamente dal titolo  o dalla legge“.

E se le opere venissero realizzate da un terzo?

In questo caso,  “il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarleart. 936 cc.

Con una precisazione, anzi due:

1. se il proprietario preferisce di ritenerle, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d’opera oppure l’aumento di valore recato al fondo. Se il proprietario del fondo domanda che siano tolte, esse devono togliersi a spese di colui che le ha fatte. Questi può inoltre essere condannato al risarcimento dei danni. 2. Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni ed opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede. Da ultimo: la rimozione non può essere domandata trascorsi sei mesi  dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione.

costruzione eseguita su terreno condominiale
Costruzione sul terreno condominiale. In base al principio dell’accessione, la costruzione eseguita su un fondo appartiene al proprietario del terreno

Costruzione sul terreno condominiale

Ma se l’opera fosse realizzata non già su un terreno di proprietà esclusiva, ma su un fondo “condominiale” da parte di un condomino, chi potrà esserne considerato proprietario? Qui il contrasto giurisprudenziale della costruzione sul terreno condominiale. Un indirizzo riteneva applicabile il principio dell’accessione e, pertanto, tutti i condomini si dovrebbero ritenere proprietari del nuovo bene. Un altro e più recente orientamento propendeva per ascrivere la proprietà al solo condomino costruttore.

Le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con una pronuncia di qualche giorno fa, hanno risolto il contrasto, propendendo per il primo orientamento riguardante la costruzione sul terreno condominiale. L’opera realizzata da un condomino sul terreno in comunione appartiene a tutti i condomini.

Costruzione sul terreno condominiale
Se la costruzione è sul terreno condominiale apparterrà a tutti i condomini.

La menzionata sentenza va più in profondità e precisa: – la nuova opera deve essere autorizzata dall’assemblea condominiale, nelle modalità stabilite dagli art. 1120 e 1121 cc  in materia di innovazioni (e sempre che non pregiudichi il godimento della cosa comune da parte di alcuno dei comproprietari). – se non fosse stata autorizzata, o fosse pregiudizievole delle ragioni di qualche condomino, deve essere demolita, su richiesta dei comproprietari che ne abbiano interesse. – se non fosse richiesta la demolizione, o addirittura l’opera fosse stata autorizzata, il proprietario che l’abbia edificata potrà chiedere il rimborso a carico degli altri condomini – ed in proporzione alle rispettive quote di proprietà – delle spese sostenute per la costruzione.

La sentenza: Cassazione Civile, Sezioni Unite, 16 febbraio 2018, n. 3873

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Impugnazione di delibera condominiale da parte dell’usufruttuario.

Impugnazione di delibera condominiale da parte dell’usufruttuario: una pronuncia interessante dopo la riforma.

Ubi commoda, ibi incommoda, dicevano i latini. Dove ci sono gli onori conseguentemente arriveranno gli oneri.

E viceversa: chi si sobbarca un peso, deve beneficiare dei relativi vantaggi.

E’ la considerazione fatta propria da una recente pronuncia del Tribunale di Massa, chiamato a decidere sul diritto di impugnazione di delibera assembleare da parte dell’usufruttuario.

L’interesse per il provvedimento prende le mosse dalla recente riforma del condominio, a mente della quale se – come prima – all’usufruttuario compete il diritto di voto negli affari che attengono l’ordinaria amministrazione e nelle altre deliberazioni tale diritto spetti ai proprietari, entrambi, ecco la novità, risponderanno solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all’amministrazione.

impugnazione delibera condominiale da parte dell usufruttuario
Impugnazione di delibera condominiale da parte dell’usufruttuario Se vi è responsabilità solidale per la contribuzione condominiale, sussisterà il diritto all’impugnazione della delibera anche in capo all’usufruttuario

 

Conseguenze.

Tale previsione, espressamente contenuta nell’art. 63 disp. att. codice civile, comporta – per il tribunale toscano – un’importante conseguenza.

Se, infatti, di un onere condominiale rispondano i due soggetti  – proprietario ed usufruttuario – solidalmente, il diritto all’impugnazione di una delibera che statuisca tale onere spetterà ad entrambi.

Nel caso di specie, l’usufruttuario di un’abitazione condominiale aveva impugnato una delibera che aveva statuito circa lavori di straordinaria amministrazione del fabbricato.

Il giudice ha ritenuto che sussistesse la legittimazione in capo all’attore all’azione intrapresa, seppur riguardante un oggetto estraneo all’esercizio del suo diritto di voto, proprio perchè la statuizione assembleare avrebbe potuto gravare anche su di lui, seppur in via solidale.

La Sentenza, Tribunale di Massa, sentenza 6 novembre 2017

 

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Impugnazione delibera condominiale: l’attore vittorioso non partecipa alle spese legali del condominio.

Nellimpugnazione delibera condominiale si assiste ad una scissione tra singoli gruppi di partecipanti in  contrasto tra loro con l’inevitabile addebito delle spese alla sola parte soccombente.

Far causa, vincerla ma essere costretti pure a pagare il legale di controparte….il paradosso è  bloccato da una recentissima sentenza della Cassazione.

Normalmente e di regola chi perde la causa si assume le spese di lite, proprie e della controparte.
In un condominio, tuttavia, si assiste ad una sorta di duplicazione: chi impugna una delibera diviene avversario di un soggetto – il condominio appunto – di cui esso stesso è parte costituente ed integrante.
Sarà tenuto, in caso di vittoria, a corrispondere la propria quota parte delle spese condominiali per l’assistenza in giudizio del condominio  stesso?
No ed il motivo è presto detto.

spese condominiali
Con l’impugnazione della delibera condominiale si assiste ad una separazione tra gli interessi del condominio e quelli del condominio

Con la causa si verifica una sorta di scissione tra attore e convenuto,  in quanto portatori di interessi contrapposti ed in forza della quale non sarà possibile assistere ad alcuna commistione in tema di ripartizione delle spese di lite.
I giudici della Suprema Corte, infatti, hanno statuito che sia “da considerare nulla per impossibilità dell’oggetto la deliberazione dell’assemblea che, con riferimento ad un giudizio che veda contrapposti il condominio ed un singolo condomino, ponga anche a carico di quest’ultimo, pro quota, l’obbligo di contribuire alle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore o del consulente tecnico di parte nominati in tale processo, trattandosi di spese per prestazioni rese a tutela di un interesse comunque opposto alle specifiche ragioni personali del singolo condomino“.

La Sentenza: Cassazione civile, sez. II, ordinanza 23 gennaio 2018, n. 1629

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Immobile acquistato all’asta e spese condominiali

Immobile acquistato all’asta e spese condominiali

Comprare un immobile all’asta può risultare molto conveniente, dato che i prezzi sono crollati e possono essere oggetto di ulteriori ribassi in caso in cui precedenti aste fossero andate deserte.
Alcune avvertenze ed attenzioni sono comunque d’obbligo per non incorrere in sorprese sgradite.
Oggi ci occupiamo delle spese condominiali arretrate poste a carico dell’unità abitativa oggetto di pignoramento e vendita.
In tali casi troverà applicazione la norma prevista dall’art. 63 disp. att. cc, in base alla quale “Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente“.
Un biennio, pertanto.

Immobile acquistato all’asta e spese condominiali: si applica l’art. 63 disp att. cc.

Attenzione, la norma prevede una solidarietà tra acquirente e venditore, ossia entrambi saranno tenuti a pagare l’intero, salvo eventuale rivalsa verso l’altro.

 

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Immobile acquistato all’asta e spese condominiali: l’acquirente è tenuto a pagare per il biennio precedente

Ora, acquistare un immobile all’asta comporta la soggezione dell’acquirente a tale disposizione, a nulla rilevando che l’acquisto sia avvenuto con modalità differenti rispetto ad una tradizionale compravendita.
L’evidente particolarità, che rende più complessa tale situazione, è che difficilmente l’acquirente potrà rivalersi nei confronti del precedente proprietario, oggetto dell’esecuzione pignoratizia, per il recupero degli importi (biennali) che sarebbero stati di sua competenza, essendo stato con tutta probabilità espropriato di ogni bene aggredibile su cui soddisfarsi.

Una recente sentenza del Tribunale di Parma (n. 1386/2017) ha avuto modo di ribadire quanto rilevato innanzi, trovandosi a disciplinare una vertenza nell’ambito della quale il condominio aveva addirittura imputato al nuovo acquirente anche gli oneri derivanti da esercizi più risalenti al biennio dall’acquisto.

La deliberazione non è annullabile, ma radicalmente nulla

in quanto introduce criteri di ripartizione delle spese difformi rispetto a quelli stabiliti dalla legge.

In particolare, è stata censurata la prospettazione secondo cui, come per ogni cosa caduta in comunione, il proprietario nuovo sarebbe responsabile per ogni debito pregresso, come prevederebbe lart. 1104 del codice civile (“Il cessionario del partecipante è tenuto in solido con il cedente a pagare i contributi da questo dovuti e non versati”).

Tale fattispecie, prevista nell’ambito della comunione, sarebbe valida se non fosse fatta salva l’applicazione delle norme specificamente sancite in tema di condominio (art. 1139 cc), che sono ben chiare nel limitare la responsabilità del nuovo condomino rispetto ai debiti pregressi del suo dante causa.

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Condominio: ripartizione delle spese di riscaldamento centralizzato

E’ nulla la delibera che imponga arbitrarie modifiche ai criteri di ripartizione delle spese di riscaldamento centralizzato E’ arrivato, finalmente, l’autunno, che porta freschezza dopo la torrida estate e, con lui, riaffiorano le mai sopite questioni attinenti la gestione del riscaldamento centralizzato. Oggi ci occupiamo di esaminare come debbano essere suddivise le spese per il servizio di riscaldamento negli immobili condominiali che non siano dotati di autonomo allaccio. La previsione normativa da richiamare è l’art. 1123 cc, in base alla quale “le spese necessarie … per la prestazione dei servizi nell’interesse comune … sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.. Se si tratti da di cose destinate a servire i condomini in misura diversa le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascun può farne“.

avvocati condominio vicenza
Ripartizione pro quota millesimale, salvo che sia possibile determinare l’effettivo utilizzo delle unità abitative

Ebbene, se ne trae che tale compendio di spesa debba essere suddiviso pro quota millesimale. A meno che… … a meno che, in primis, alcuni condomini non abbiano eseguito il distacco delle proprie unità abitative dal sistema di riscaldamento centralizzato. In questo caso, sarebbe possibile appurare la proporzione dell’utilizzo del servizio di tali utenti, sicchè per essi si determinerebbe con precisione il carico di spesa. Si eviterebbe, in tal modo, anche un indebito arricchimento, rispettivamente, a favore e a discapito dei singoli partecipanti. Tali condomini, tuttavia, saranno tenuti sempre a partecipare – pro quota millesimale –  alle spese di manutenzione dell’impianto stesso. La suddivisione delle spese commisurata alla quota di partecipazione dei singoli condomini sarà applicabile, pertanto, in ogni caso ove non sia possibile accertare tramite appositi sistemi di misurazione, la quantità di calore erogato alla singola unità abitativa. E’ possibile modificare tale criterio di ripartizione delle spese di riscaldamento centralizzato? Il codice risponde affermativamente, inserendo – accanto alla previsione generale – l’apposito inciso “salva diversa convenzione“. Circa le modalità di approvazione di una ripartizione convenzionale di spesa, diversa da quella codicistica, va annotato che la giurisprudenza richiede l‘unanimità del consenso dei condomini, non già la semplice maggioranza.

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Per la modifica dei criteri di ripartizione è necessaria l’unanimità dei consensi

Come, infatti, recentissimamente evidenziato dalla Corte di Cassazione, (Sent. 04-08-2017, n. 19651) “L’adozione di regole contrattuali di ripartizione delle spese condominiali incide sui diritti dominicali dei singoli condomini, e non può, quindi, rientrare nelle competenze dell’assemblea relative alla gestione delle cose comuni”. “Sono dunque da considerare nulle per impossibilità dell’oggetto, e non meramente annullabili, e perciò impugnabili indipendentemente dall’osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137 c.c., comma 2, tutte le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell’autonomia negoziale“. Nella fattispecie, le spese di riscaldamento centralizzato erano state suddivise non già pro quota millesimale, ma in parti uguali tra tutti i condomini. Per una consulenza in materia di condominio, clicca qui

Inerzia del condominio ed interventi urgenti sulle parti comuni

Quella macchia d’umidità nell’androne: tutti ci passano e nessuno fa qualcosa..
E quelle tegole sul tetto.. stanno per cadere! Dobbiamo aspettare che ci scappi il morto prima di sostituirle?
Alzi la mano il condomino che non si è posto domande simili nel corso della sua esperienza.
Verrebbe da dire “ci penso io, poi chiederò il rimborso delle spese”.
Ma come si può procedere?
Una freschissima sentenza della Cassazione ci aiuta a fare il punto sulla questione.
Se gli interventi necessari sono assolutamente urgenti, il singolo condomino – a mente dell’art. 1134 cc. – può assumere la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea.
La ratio è abbastanza intuibile: campa cavallo se fosse necessario venisse indetta la convocazione dei condomini prima di porre mano a qualcosa di indifferibile.
Si può provvedere singolarmente e poi chiedere il rimborso delle spese.
Attenzione – è utile ribadirlo – spese u-r-g-e-n-t-i,  cioè tali da non potersi differire senza danno alle cose comuni; che non consentano, quindi, di avvertire l’amministratore, in quanto ricollegabili ad un evento improvviso ed imprevedibile.
Viceversa, se si trattasse di rimedi, pur utili e contigenti, ma dilazionabili il tempo necessario per procedere collegialmente o tramite l’amministrazione, in tal caso è opportuno procedere con le formalità necessarie.
Se ciò nonostante, infatti, si fosse provveduto autonomamente ad effettuare le opere ritenute utili, non si potrà chiederne il rimborso agli altri condomini.
Cosa succede se non ci dovesse essere amministratore di condominio? e se l’assemblea non prendesse posizione sugli interventi relativi alle parti comuni ammalorate?
Fermo quanto evidenziato relativamente all’urgenza, il singolo condomino potrà adire il giudice per ottenere una pronuncia che gli consenta di intervenire.
L’art. 1105 cc, infatti, statuisce che “Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero, se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore“.
La sentenza: Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-04-2017, n. 9177

Impugnazione delibera assembleare da parte del condomino assente

Impugnazione delibera assembleare, vediamo entro quando è possibile farlo.

impugnazione delibera assembleare
Da quando decorre detto termineper l’impugnazione della delibera assembleare?

E’ difficile andare d’accordo tra coniugi: figuriamoci in un consorzio sociale, come quello condominiale, in cui la vita comune è forzata, non ci si è scelti e quindi si possono avere opinioni radicalmente diverse.
Il legislatore ne è ben consapevole e stabilisce – accanto ai criteri con cui devono essere approvate le statuizioni assembleari – anche le modalità tramite le quali si può giungere all’impugnazione delibera assembleare che si considera invalida.
L’art. 1137 stabilisce che “contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni“.
Trenta giorni, pertanto, e non di più.
Da quando decorre detto termineper l’impugnazione della delibera assembleare?

Anche qui la legge parla chiaro: dalla data della deliberazione per i condomini presenti, che abbiano manifestato il proprio dissenso o si siano astenuti. Da quella della comunicazione della deliberazione assembleare per gli assenti.

Non entriamo nel merito relativamente a quando una statuizione condominiale possa ritenersi annullabile, o, peggio ancora, radicalmente nulla.
Su questo si è ampiamente dibattuta la Cassazione, giungendo pur tuttavia a dei punti fermi.
Ciò su cui è interessante riflettere è il “quando” si possa ritenere validamente comunicata al condomino assente la delibera assembleare per l’utile decorrenza del termine sopra indicato.

  • Se il destinario ha ricevuto e firmato la ricevuta di ritorno della missiva – raccomandata – nulla quaestio. Nessun problema.

Se fosse assente al momento della “notifica”, le cose si complicano.

delibera assembleare
Non sono d’accordo su quanto deliberato in assemblea dagli altri condomini, entro quando posso impugnare la delibera?

Da una parte si può richiamare, infatti, la presunzione legale di conoscenza (art. 1335), vigente in tema di contratti, per la quale   ogni  dichiarazione diretta a una determinata persona si reputa conosciuta nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario  se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
Sia o non sia presente nell’abitazione.

Dall’altra parte, è utile soffermarsi su un diritto fondamentale, inviolabile, riconosciuto dalla Costituzione, che è quello alla difesa, in ogni stato e grado del procedimento.

  • In forza di ciò, a tutela dei diritti del destinatario, il  “dies a quo” per l’impugnativa della deliberazione sarà fatto decorrere dal momento in cui il plico contenente la delibera sarà stato ritirato presso l’ufficio postale.

Qualcuno potrebbe obiettare che, allora, tanto vale per il destinatario non andare mai a ritirare la comunicazione, cosicchè sarà sempre tempestiva ogni impugnazione dal momento che essa decorrerà dall’effettivo ritiro.

Errore.

  • Una recente pronuncia della Cassazione ha stabilito – tra l’altro argomentando in pieno favore per l’orientamento più garantista tra quelli accennati – che in tale circostanza ben si potrà applicare quanto statuito in materia di notifica a mezzo posta degli atti giudiziari: e cioè, allorchè l’atto non venga di fatto recapitato all’indirizzo ma venga compiuto solo un tentativo di recapito stante l’assenza del destinatario o delle persone abilitate alla ricezione, “la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata” – Comunicazione avvenuto deposito,  ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore.

comunicazione delibera assembleare
La raccomandata si deve ritirare entro 10 giorni

In tale maniera si attua un “bilanciamento tra l’interesse del notificante e quello del notificatario“, in quanto da un lato si impedirebbe di “consentire al destinatario dell’atto di porre nel nulla gli effetti della comunicazione omettendo di recarsi a ritirare l’atto presso l’ufficio postale“, dall’altro sarebbe ossequiata “la funzione propria della notificazione“, che  “è quella di portare l’atto a conoscenza del destinatario, al fine di consentire l’instaurazione del contraddittorio e l’effettivo esercizio del diritto di difesa“.

Ergo: se il destinatario della comunicazione si rifiuti di riceverla o non si rinvenga presente, per temporanea assenza, presso l’indirizzo di residenza/domicilio, il postino gli comunicherà il tentativo di notifica del piego e del suo deposito presso l’ufficio postale , mediante avviso in busta chiusa a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento che dovrà essere affisso alla porta d’ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione, invitandolo  a provvedere al ricevimento del piego a lui destinato
Decorsi dieci giorni dalla spedizione di tale (seconda) raccomandata senza che ne sia stata curato il ritiro, la comunicazione si avrà per conosciuta.

La sentenza : Cass. civ. Sez. II, 14/12/2016, n. 25791

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