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Edilizia: quando si verifica la difformità totale rispetto al permesso di costruire?

Edilizia: quando si verifica la difformità totale rispetto al permesso di costruire?

La giustizia amministrativa ha recentemente risposto a questa domanda (si veda TAR Napoli, n. 5246 dell’8 novembre 2017) sottolineando come la difformità totale di un intervento edilizio rispetto a quanto autorizzato con il permesso di costruire si verifichi allorché si realizzi un aliud pro alio (una cosa per un’altra) rispetto alla costruzione progettata.

In sostanza, secondo i giudici, “qualora siano ravvisabili opere non rientranti tra quelle consentite che abbiano una loro autonomia e novità oltre che sul piano costruttivo anche su quello della valutazione economico-sociale”.

La fattispecie presa in esame dai giudici partenopei era relativa al titolare di un bar che aveva ottenuto il permesso di costruire per realizzare una tettoia infissa su pali al fine di utilizzarla a servizio dell’impresa del bar.

Il titolare ha poi “completato” l’opera chiudendola ai lati con un muretto ed una struttura in alluminio e vetro e coprendola con lamiere coibentate in sostituzione degli originari teloni.

Il Comune ha così ordinato la demolizione delle opere di trasformazione, ritenendo che si trattasse di un’opera “nuova rispetto a quanto originariamente autorizzato.

Il titolare del bar ha così presentato ricorso al Tar contro l’ordine di demolizione sostenendo che si verterebbe in ipotesi di completamento funzionale della tettoia e quindi si verterebbe nell’ipotesi di difformità parziale dal permesso di costruire. Il TAR, però, ha dato ragione al Comune rilevando come “debba notarsi che le difformità riscontrate dall’amministrazione comunale, puntualmente colpite dall’ordine demolitorio, sono sicuramente ascrivibili alla categoria della totale difformità: infatti, esse comportano cambiamenti delle caratteristiche planovolumetriche e tipologiche della progettata tettoia capaci di dare luogo ad un organismo edilizio totalmente diverso con aggravamento del carico urbanistico originario, attraverso la trasformazione di una struttura aperta adibita a pergolato in una struttura chiusa avente funzione di veranda/salone bar e recante un inevitabile nuovo ingombro di volume”.

Al contrario” – nota sempre il giudice – “il concetto di parziale difformità si riferisce ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza”.

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esproprio: la cessione volontaria conviene?

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la cessione volontaria conviene quando si è d’accordo sull’indennità

Esproprio: la cessione volontaria conviene?

Sì, se si condivide l’indennità offerta dalla Pubblica Amministrazione perché, in tal caso, sono previste delle maggiorazioni a vantaggio di chi decide di cedere volontariamente il bene senza subire tutto il procedimento espropriativo.

 

Ma in che cosa consiste la cessione volontaria del bene?

L’art. 45 del Testo unico sugli espropri stabilisce che il proprietario ha il diritto di stipulare con l’amministrazione che espropria “l’atto di cessione del bene“.

In sostanza, l’atto di cessione è un vero e proprio contratto che intercorre tra proprietario e amministrazione quando vi è accordo sull’indennità.

Presupposti della cessione volontaria sono infatti:

– condivisione dell’indennità: se il proprietario non la condivide , l’amministrazione procede all’esproprio e deposita l’indennità provvisoria. Si apre così una vera e propria fase di opposizione all’indennità;

– deposito della documentazione da parte del proprietario a dimostrazione della libera e piena proprietà del bene.

L’ultimo comma del citato art. 45 prevede una norma pericolosa per il proprietario e cioé: “l’accordo di cessione produce gli effetti del decreto di esproprio e non li perde se l’acquirente non corrisponde la somma entro il termine concordato”.

Che cosa significa tutto ciò? Che, con la firma dell’atto di cessione, si trasferisce definitivamente la proprietà del bene alla Pubblica Amministrazione e, se questa non paga, si può soltanto cercare di esigere il proprio credito: cosa notoriamente non facile quando si ha a che fare con gli enti pubblici.

La cosa migliore, dunque, è quella di farsi pagare contestualmente alla firma dell’atto di cessione e, se ciò non fosse possibile, bisogna porre attenzione a quello che si firma in quanto non conviene accettare i moduli prestampati che vengono presentati dall’Amministrazione, ma conviene redigere un contratto autonomo.

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Esproprio: come si calcola l’indennità?

Esproprio: come si calcola l’indennità?

Questa è la domanda che tutti si pongono quando sta per essere avviato un procedimento espropriativo.

L’indennità d’esproprio è il valore dell’area espropriata, determinato secondo i criteri stabiliti dalla legge, che spetta al proprietario per la perdita della proprietà.
A proposito della sua determinazione la legge distingue tra: aree edificabili, aree legittimamente edificate, aree non edificabili.

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Per il calcolo dell’indennità di esproprio bisogna verificare preliminarmente che tipo di area sia interessata dal provvedimento

Per le aree edificabili, cioè quelle non ancora costruite, ma sulle quali è possibile costruire,  l’indennità di espropriazione è determinata nella misura pari al valore venale del bene.

Per le aree legittimamente edificate, cioè già costruite in base a regolare permesso, l’indennità è determinata in misura pari al valore venale della costruzione.

Per le aree non edificabili l’indennità è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore delle costruzioni legittimamente realizzate,

Ma stabilire quando un terreno edificabile non è sempre facile.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’inclusione di un terreno in una categoria (edificabile) piuttosto che in un’altra (non edificabile) va effettuata avendo come riferimento un unico criterio distintivo: quello dell’edificabilità legale.

In base a tale criterio, sempre secondo la Cassazione, “un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici nel momento in cui inizia la procedura espropriativa”.

Vanno invece escluse le possibilità legali di edificazione tutte quelle volte in cui per il piano regolatore vigente all’epoca in cui deve compiersi l’esproprio, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo pubblico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.).

Queste classificazioni comportano un vincolo di destinazione che impedisce ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione.

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Bocciatura annullata se il genitore separato non viene informato

Il Tar Friuli Venezia Giulia, con una sentenza di qualche giorno fa, ha annullato la bocciatura di un ragazzo che frequentava la scuola media, perché il genitore separato non era stato informato. Il giudice ha preso in esame il caso di una scuola che, pur a conoscenza della circostanza che era stato disposto l’affidamento congiunto ad entrambi i genitori di uno studente, aveva informato esclusivamente la madre in ordine al negativo rendimento scolastico. Così facendo, sottolinea il giudice amministrativo, la scuola ha violato il principio di bigenitoralità, che si attua attraverso l’affidamento condiviso. Con l’affidamento condiviso entrambi i genitori esercitano congiuntamente e separatamente la responsabilità genitoriale e debbono prendere, di comune accordo, tutte le decisioni di maggiore interesse per i figli, come quelle relative alla scuola, alla salute e alle scelte educative. Bigenitorialità tuttavia non significa trascorrere uguale tempo con entrambi i genitori, ma significa partecipazione attiva da parte di entrambi i genitori nel progetto educativo, di crescita, di assistenza della prole, in modo da creare un rapporto equilibrato che in nessun modo risenta dell’evento della separazione.

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Entrambi i genitori devono essere messi in condizione di esercitare la propria responsabilità genitoriale

Non sempre l’affido condiviso – inteso come scelta del principio di bigenitorialità – può essere la scelta migliore per il minore. Infatti, in sede di separazione il giudice quando adotta i provvedimenti relativi alla prole deve farlo nell’esclusivo interesse morale e materiale della stessa. In altri termini, deve valutare se affidarli ad entrambi o ad uno solo di essi, stabilire i tempi e le modalità di permanenza presso ciascun genitore, determinare la misura del mantenimento… In ambito scolastico il principio di bigenitorialità è tutelato anche da una circolare del Ministero dell’Istruzione (la numero 5336 del 2015). Con questa circolare, il Ministero ha voluto fornire al personale scolastico informazioni in ordine alla corretta applicazione del diritto del bambino a ricevere cure, educazione ed istruzione da entrambe i genitori anche se separati. Tornando al caso in esame, il giudice ha accolto il ricorso proposto dal padre ed ha quindi annullato la bocciatura in quanto il comportamento della scuola, che ha tenuto informato soltanto un genitore affidatario in ordine alle difficoltà del figlio, ha impedito all’altro genitore di attuare tutta una serie di rimedi che, con buona probabilità, avrebbero permesso al ragazzo di recuperare.

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Annullamento bocciatura

vincolo paesaggistico: sanzione anche se non c’è danno ambientale

Il Tar Veneto in una recente sentenza ( la numero 919 del 27 settembre 2017) ha statuito che in caso di abuso in zona soggetta a vincolo paesaggistico la sanzione è irrogabile anche se non è riscontrabile un effettivo e concreto danno ambientale.
Nel caso preso in esame dal Tar, il ricorrente aveva abusivamente ampliato il piano interrato della propria abitazione e, in relazione a ciò, aveva ottenuto un parere favorevole alla compatibilità paesaggistica.
A tal proposito, l’art. 164 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio stabilisce che “qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione“.

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La violazione di legge comporta la sanzione a prescindere da un danno concreto

Sulla base di tale articolo, l’autorità amministrativa ha comunque irrogato una consistente sanzione pecuniaria che è stata appunto impugnata davanti il TAR, dove si è sostenuto che il fatto di aver ottenuto un parere ambientale favorevole avrebbe dimostrato che l’abuso non aveva arrecato alcun danno al paesaggio e che, pertanto, la sanzione pecuniaria non sarebbe stata applicabile.
Il Tar, però, ha respinto il ricorso richiamando quella consolidata giurisprudenza che si è formata in materia secondo cui le somme dovute a titolo di sanzione per gli abusi commessi in zone soggette a vincolo paesaggistico devono essere corrisposte anche quando non sia riscontrabile un effettivo danno ambientale, essendo sufficiente il fatto di aver comunque posto in essere un abuso.

appalti: irregolare convocazione per la seduta pubblica

Appalti: cosa succede in caso di irregolare convocazione per la seduta pubblica destinata all’apertura delle offerte economiche?

La regola generale della pubblicità della seduta di gara implica e presuppone necessariamente l’obbligo della stazione appaltante di portare preventivamente a conoscenza dei concorrenti il giorno, l’ora e il luogo dello svolgimento delle sedute pubbliche, in modo da garantire loro l’effettiva possibilità di parteciparvi.

Ricordiamo brevemente come  avviene la procedura di gara.

La stazione appaltante provvede, in seduta pubblica, all’apertura dei plichi delle diverse offerte che (di norma) contengono tre buste: la busta A (documentazione amministrativa), la busta B (documentazione tecnica) e la busta C (offerta economica).

La stazione appaltante, disposta l’idonea conservazione delle buste (C) contenenti le offerte economiche, procede quindi all’apertura delle buste (A), contenenti la documentazione amministrativa per verificarne il contenuto e per consentire la successiva verifica dei requisiti generali previsti dalla normativa sugli appalti pubblici  e dei requisiti speciali, dettati dagli atti di gara, nonché di tutte le altre condizioni dettate per la partecipazione alla gara.

L’amministrazione procede poi, sempre in seduta pubblica, all’apertura delle buste (B), contenenti la documentazione tecnica, per prendere atto del relativo contenuto e per verificare l’effettiva presenza dei documenti richiesti nel bando (o nella lettera di invito) e nel disciplinare di gara (schede tecniche, relazioni tecniche illustrative, certificazioni tecniche etc.).

Anche tale documentazione è poi conservata in plico sigillato.

Dopo la preliminare fase di verifica dei contenuti dell’offerta, si passa alla seconda fase di valutazione delle offerte tecniche.

A tale seconda fase provvede l’apposita Commissione tecnica.

In una o più sedute riservate, la Commissione verifica quindi la conformità tecnica delle offerte e valuta le stesse, assegnando i relativi punteggi sulla base di quanto previsto dal disciplinare di gara.

Completato l’esame dell’offerta tecnica, l’amministrazione procede, nuovamente in seduta pubblica, ad informare i partecipanti delle valutazioni compiute, a dare notizia di eventuali esclusioni e a dare lettura dei punteggi assegnati dalla Commissione sulle offerte tecniche dei concorrenti non esclusi.

Quindi, verificata l’integrità del plico contenenti le buste con le offerte economiche (e l’integrità delle singole buste), l’amministrazione procede all’apertura delle stesse con la lettura delle singole offerte, con l’indicazione dei ribassi offerti e dei conseguenti prezzi netti e la determinazione (matematica) dei punteggi connessi ai prezzi.
Il seggio di gara formula quindi la graduatoria finale sulla base della somma dei punteggi assegnati per l’offerta tecnica e per l’offerta economica e procede all’aggiudicazione provvisoria in favore dell’offerta che ha raggiunto il maggiore punteggio complessivo.

irregolare convocazione seduta
La convocazione comunicata ad un indirizzo pec errato rende irregolare la procedura

Recentemente il giudice amministrativo (TAR Puglia, Lecce, sentenza n. 1434 del 2017) si è trovato di fronte al caso di una ditta che non aveva partecipato alla seduta pubblica in quanto l’ente appaltante aveva inviato la lettera di convocazione ad un indirizzo pec errato.
In tal caso, il giudice amministrativo ha sentenziato che tutta la gara è da rifare in quanto ha ritenuto di aderire al costante orientamento per cui “la regola generale della pubblicità della gara, segnatamente con riguardo al momento dell’apertura delle buste contenenti le offerte (economiche), implica necessariamente l’obbligo del seggio di gara di portare preventivamente a conoscenza dei concorrenti il giorno, l’ora e il luogo della seduta della commissione di gara, in modo da garantire loro l’effettiva possibilità di presenziare allo svolgimento delle operazioni di apertura dei plichi pervenuti alla stazione appaltante, atteso che tale adempimento risulta implicitamente necessario ai fini dell’integrazione del carattere di pubblicità della seduta
Nelle gare pubbliche” – osserva ancora il TAR “la pubblicità delle sedute risponde all’esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell’interesse pubblico alla trasparenza ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato; trattasi di regola che costituisce corretta interpretazione dei principi comunitari e di diritto interno in materia di trasparenza e di pubblicità nelle gare per i pubblici appalti
In sostanza, secondo il giudice amministrativo, la pubblicità della procedura soddisfa due importanti principi:
– la parità del trattamento dei ricorrenti
– l’interesse pubblico alla trasparenza ed all’imparzialità dell’azione amministrativa.
Il TAR ha quindi concluso evidenziando che la violazione della regola della pubblicità della seduta comporta l’invalidità di tutti gli atti della procedura.

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Beni ambientali: interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica

Beni ambientali: interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica

Il DPR n. 31 del 2017 contiene il Regolamento “recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”.

In particolare, l’art. 2 stabilisce che “ Non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all’Allegato A“.

Tale allegato contiene un lungo elenco di interventi che non sarebbero soggetti ad autorizzazione paesaggistica.

L’uso del condizionale è, però, d’obbligo in quanto molte voci dell’elenco sono caratterizzate dalla presenza di specifiche condizioni e particolari presupposti per l’operatività dell’esclusione della preventiva autorizzazione paesaggistica.

Sulla concreta applicazione del Regolamento, il Mibact (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) ha anche emanato una circolare interpretativa (la n. 42 del 21 luglio 2017) che, per quel che qui interessa, ha affrontato il problema di chi debba e di come debbano essere accertati i presupposti e le condizioni per l’operatività della “liberalizzazione” degli interventi e delle opere ricomprese nell’allegato A.

Orbene” – si legge testualmente nella circolare – “il sistema dell’allegato A, postula, trattandosi di interventi liberi, per i quali è per l’appunto esclusa la previa autorizzazione paesaggistica, che sia affidata al privato proprietario, possessore o detentore del bene ( e da questi effettuata, personalmente o mediante i suoi tecnici di fiducia) la valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti e delle condizioni alle quali le singole voci subordinano l’effetto di esclusione della previa autorizzazione”.

Il punto problematico” – osserva sempre la circolare – riguarda, evidentemente, il modo attraverso il quale il privato possa e debba procedere a questa assunzione di autoresponsabilità. Il regolamento del 2017, infatti, non prevede alcun adempimento preventivo (ad esempio, una sorta di c.i.l.a. paesaggistica)”.

“Tale scelta” – si legge sempre nella circolare – è stata dettata dall’esigenza di non introdurre ulteriori adempimenti a carico dei privati, che avrebbero potuto in non pochi casi sovrapporsi a quelli già previsti per la materia edilizia”.

Avvocati amministrativisti vicenza
Interventi esclusi dalla autorizzazione paesaggistica: al privato ogni responsabilità

 

Ora, se, da un lato, appare senz’altro condivisibile la volontà di non appesantire ulteriormente le pratiche edilizie, dall’altro lato, appare evidente che, in tal modo, si fa gravare tutta sul privato (e sul suo tecnico) la responsabilità di verificare se sono rispettate tutte le condizioni e i presupposti previsti nel citato allegato A (che, talvolta, non sono di immediata comprensione).

E la scelta del privato potrebbe avere  conseguenze anche rilevanti.

Qualora, infatti, si realizzasse un intervento ritenuto libero e che invece non rispettasse tutte le condizioni, ci si troverebbe di fronte ad un intervento per il quale sarebbe stato necessario ottenere la preventiva autorizzazione paesaggistica: ed in relazione al quale troverebbero applicazione le relative sanzioni.

Piano Casa e fascia di rispetto stradale

 

Piano Casa e fascia di rispetto stradale: facciamo il punto .

 

Secondo la Regione Veneto il Piano Casa non si dovrebbe applicare ad immobili ricadenti nella fascia di rispetto.

La risposta, negativa, è stata data ad un quesito sottoposto da un Comune tramite un semplice parere

Al riguardo, la Regione ha ricordato che, secondo l’art. 9 della LR 14/09, i benefici previsti dal Piano Casa non si applicano agli edifici ricadenti nelle aree di inedificabilità assoluta.

Ora, secondo l’ente amministrativo anche le fasce di rispetto previste dal Codice della Strada sarebbero inedificabili e, quindi, sarebbero escluse dall’applicazione del piano casa le costruzioni ubicate nelle zone di protezione delle strade.

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Secondo un parere della Regione Veneto non si potrebbe applicare il Piano Casa agli immobili ricadenti in fasce di rispetto stradale

Secondo la Regione non si potrebbe applicare il piano casa neppure nell’ipotesi in cui l’ampliamento si configurasse quale “corpo separato” e venisse realizzato al di fuori della fascia di rispetto stradale “per carenza del presupposto di applicabilità previsto dalla legge”, dato che l’edificio principale si troverebbe in zona vincolata.

Ora, se appare senz’altro condivisibile l’interpretazione regionale qualora si volesse realizzare l’ampliamento all’interno della fascia di rispetto (cosa espressamente vietata dal Codice della Strada, che non consente di realizzare nuove costruzioni o ampliamenti delle stesse), troppo restrittiva sembrerebbe quella relativa ai corpi separati realizzati al di fuori della fascia di rispetto stradale, dato che in questo caso non verrebbe in alcun modo pregiudicata la finalità della fascia di rispetto, che è quella di permettere un futuro allargamento della sede stradale.

Sarà, come al solito, la giurisprudenza del TAR a stabilire se l’interpretazione regionale è  troppo restrittiva e, per il momento, non si rinvengono sentenze sul punto.

 

Gli enti del terzo settore

Ultimamente si sente tanto parlare di terzo settore: ma quali sono gli enti che rientrano in tale categoria?
A dare una definizione giuridica ci pensa ora il cosiddetto Codice del Terzo settore, pubblicato il 2 agosto 2017, che all’art. 4 precisa che “sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”.
L’art. 4 contiene anche una definizione negativa nel senso che prevede espressamente che “non sono enti del Terzo settore” le amministrazioni pubbliche, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro.
Il successivo articolo 5 stabilisce poi che “gli enti del Terzo settore esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. L’articolo precisa che si considerano di interesse generale le attività aventi ad oggetto: i servizi socio sanitari, la formazione, l’accoglienza umanitaria, la cooperazione allo sviluppo, la ricerca scientifica, l’organizzazione di attività culturali, la gestione di attività sportive dilettantistiche.
Le associazioni e le fondazioni del terzo settore possono acquistare la personalità giuridica mediante l’iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore.
Sarà il notaio, come prevede l’articolo 20 del Codice, che verificata la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la costituzione dell’ente, ed in particolare dalle disposizioni del presente Codice con riferimento alla sua natura di ente del Terzo settore, a depositare l’atto costitutivo presso il competente ufficio del registro unico nazionale.

Esclusione da concorso scolastico per malfunzionamento sistema informatico.

L’ esclusione da concorso scolastico per malfunzionamento del sistema informatico è illegittima.
E’ quanto ha sentenziato il Tar Lombardia, con la recente sentenza n. 1449 del 27.6.2017, che ha dichiarato l’illegittimità dell’esclusione da una procedura concorsuale disposta a causa della cancellazione /annullamento della domanda di partecipazione.

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Esclusione da concorso scolastico: illegittima se dipende da malfunzionamento sistema informatico

Nel caso preso in esame dal TAR, il Ministero dell’Istuzione aveva attribuito la responsabilità del mancato inserimento della domanda della concorrente proprio a quest’ultima, evidenziando che la domanda, pur correttamente inoltrata, sarebbe stata cancellata a causa di alcune operazioni effettuate dalla ricorrente.
Il Giudice, però, non ha condiviso la tesi del Ministero ed ha attribuito l’errore a un malfunzionamento del sistema in quanto la domanda di partecipazione era stata regolarmente protocollata.
Se, dunque, ha osservato il TAR, a seguito dell’attribuzione del numero di protocollo, eventuali operazioni avevano causato la cancellazione della domanda, ciò non era certo dipeso dalla concorrente.

Del resto anche TAR Puglia (sentenza 768 del 2016) aveva evidenziato che “in tema di pubblici concorsi, il mancato inserimento di un nominativo negli elenchi dei candidati ammessi per malfunzionamento tecnico del sistema telematico, con sostanziale provvedimento di esclusione del candidato, stride con il principio fondamentale secondo il quale l’utilizzo dello strumento informatico e dei mezzi di comunicazione telematica devono categoricamente essere considerati come serventi rispetto all’attività amministrativa”.

La sentenza : Tar Lombardia n. 1449 del 27.6.2017

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