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Per aprire una finestra è necessario il permesso di costruire

 

Per aprire una finestra è necessario il permesso di costruire.

 

E’ quanto stabilisce il TAR Lazio in una recente sentenza (n. 7818 del 17 giugno 2019) dove ha affrontato il caso di un condominio che aveva realizzato una porta sul prospetto posteriore del fabbricato, con affaccio sul cortile interno, di accesso secondario al medesimo. Il Comune ne aveva ordinato la demolizione perché la porta era stata realizzata senza preventivo permesso di costruire.

 

Per aprire una finestra è necessario il permesso di costruire

 

Il TAR ha rilevato che l’apertura di porte e di finestre sul prospetto di un edificio va sempre qualificato come intervento di ristrutturazione edilizia comportante modifica dei prospetti, assoggettato (tuttora) al regime del permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, primo comma, lett. c), del D.P.R. 6 Giugno 2001 n. 380.

 

Quest’ultimo articolo, in effetti, stabilisce che costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:

gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.

 

 


Da notare però che nella norma in esame la modifica dei prospetti è collegata all’intervento che porti ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Se si modifica solo il prospetto e non il fabbricato quanto stabilisce il TAR sembra eccessivo.


Infatti, va notato che ai sensi dell’art. 22 del Testo Unico Edilizia possono essere realizzati tramite scia gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d) del DPR 370/2001 che comprende anche gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria del fabbricato preesistente.

Se, dunque, tramite semplice Scia è ora possibile addirittura demolire e ricostruire un fabbricato, non pare condivisibile che per l’apertura di una finestra sia necessario il permesso di costruire.

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto attinente la problematica se

Per aprire una finestra è necessario il permesso di costruire

Richiesta rilascio permesso di costruire in forma espressa.

Si può sempre pretendere il rilascio di un permesso di costruire in forma espressa.

In una recente sentenza (TAR Puglia, 20 maggio 2019 n. 725), il giudice amministrativo ha preso in esame un ricorso con cui era stato impugnato il provvedimento di decadenza per omesso avvio dei lavori entro il termine annuale, pronunciato in ordine al permesso di costruire tacito.

Difatti, l’amministrazione comunale a fronte della presentazione dell’istanza di permesso di costruire, aveva serbato silenzio, senza adottare un provvedimento espresso.

La formazione del silenzio assenso è prevista dall’art. 20 del DPR 380/2001 che così recita: “decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali”.

Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti amministrativi e tecnici, sia soggettivi che oggettivi, di accoglibilità, dato che in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei detti presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può validamente formarsi (si veda Cons. St., sez. IV, 12 luglio 2018 n. 4273; Cons. St., sez. IV, 5 settembre 2016 n. 3805).

 

 

Il privato però ha sempre la possibilità di richiedere un provvedimento espresso.

Infatti, osserva TAR Puglia nella sentenza sopra richiamata, deve ritenersi che, “allo stesso modo in cui il legislatore ha previsto, in favore del richiedente il titolo edilizio, per gli interventi sottoposti a S.C.I.A., la facoltà di optare per il permesso di costruire espresso (art. 22, comma 7, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), è quindi da ritenersi che debba essere riconosciuta la facoltà di optare per il permesso di costruite in forma espressa, laddove sia pur prevista la formazione del titolo in forma tacita (e per di più condizionata).

In ultima analisi, va affermato che rimane nella disponibilità del privato l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art. 2, comma 1, legge 7 agosto 1990 n. 241), sancito dalla normativa edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380) come regola generale, laddove sia stata prevista, come regola speciale, ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa, la formazione di un silenzio-assenso, in quanto anche gli strumenti autorizzativi diversi o minori (c.d. S.C.I.A. e C.I.L.A.) sono consentiti solo nei casi speciali espressamente contemplati e fanno comunque salva la possibilità di scelta della richiesta da parte dell’interessato per il rilascio di un provvedimento espresso.

 

Richiesta rilascio permesso di costruire in forma espressa: sempre consentita 

 

In conclusione, secondo il TAR, l’amministrazione comunale, qualora specificamente richiesta e sollecitata, è obbligata a pronunciarsi sul rilascio del permesso edilizio in modo espresso, stante il principio generale imposto dall’art. 2, comma 1, della legge 7 agosto 1990 n. 241 secondo cui ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”.

E, osserva sempre il TAR Puglia, decidendo il caso preso in esame “giammai l’amministrazione comunale può pronunciare una in ordine al titolo edilizio tacito formatosi, qualora sia stato richiesto, più volte nel tempo l’emanazione di un provvedimento espresso”.

 

 

 

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Richiesta rilascio permesso di costruire in forma espressa

Opposizione a revoca porto d’armi

 

 

 

Opposizione a revoca porto d’armi

 

 

Il rilascio o il rinnovo della licenza a portare le armi costituisce una deroga al generale divieto di portare armi, sancito dall’ articolo 699 cod. pen. che punisce con l’arresto fino a 18 mesi “chiunque, senza la licenza dell’Autorità , porta  un’arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa”.

Secondo la giurisprudenza amministrativa, l’eccezione a tale divieto può verificarsi soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse, così da scagionare dubbi o perplessità sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività, dovendo essere garantita anche l’intera, restante massa dei consociati sull’assenza di pregiudizi (di qualsiasi genere) per la loro incolumità ed imponendosi un controllo più penetrante rispetto a quello relativo a provvedimenti permissivi di tipo diverso.

 

opposizione a revoca porto d’armi

 

I provvedimenti concernenti le armi sono, infatti, ispirati in linea generale da una logica preventiva, tale per cui, al fine di giustificare l’adozione dei provvedimenti di revoca della licenza, non è richiesto un comprovato abuso ma è sufficiente un plausibile e motivato convincimento dell’autorità di polizia circa la possibilità di un utilizzo improprio delle armi, tale da integrare un’erosione anche minima del requisito.

 

Dunque, il carattere altamente discrezionale del giudizio in ordine all’affidabilità nell’uso delle armi rende del tutto legittima una valutazione sulla capacità basata su considerazioni probabilistiche.

 

Per giungere alla revoca non  assume alcuna rilevanza il fatto che al soggetto interessato non siano ascrivibili responsabilità penali o illeciti amministrativi. E’ sufficiente, invece, che a carico dello stesso siano configurabili sospetti in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con le altre persone.

Peraltro, tali indizi ben possono essere costituiti anche dalle “frequentazioni” del soggetto interessato con persone gravate da procedimenti penali e di polizia.

 

Sempre la giurisprudenza (si veda TAR Veneto, sentenza n. 658 del 28 maggio 2019) ha però chiarito che il pericolo che costituisce giusta e responsabile preoccupazione per le Autorità incaricate del rispetto dell’ordine pubblico e della incolumità delle persone, non solo deve essere comprovato, ma richiede una adeguata valutazione non del singolo episodio ma anche della personalità del soggetto sospettato che possa giustificare un giudizio necessariamente prognostico sulla sua inaffidabilità, atteso che la mera denuncia all’Autorità giudiziaria non è circostanza che da sola possa giustificare l’adozione di un divieto di detenzione di armi o la revoca ovvero il diniego del porto d’armi.

 

In particolare, se gli elementi che vengono in rilievo attengono a denunce penali, l’Autorità di polizia non può limitarsi a richiamarle acriticamente o a trarre dalle stesse un automatico giudizio negativo, ma deve (anche) vagliare l’esito dei relativi procedimenti penali, specialmente se si tratta di denunce assai risalenti nel tempo, nonchè verificarne con maggiore rigore la rilevanza, avuto, altresì, riguardo alla condotta attuale del richiedente.

In ipotesi del genere, si impone, dunque, una nuova e aggiornata valutazione, tale da integrare – a seguito di approfondimento istruttorio – una motivazione rigorosa che investa, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza e di coerenza, il complesso della condotta di vita recente del soggetto interessato.

 

 

Che cosa possono fare i soggetti destinatari di un provvedimento di revoca della licenza da parte del Questore?

 

Possono: 

1) proporre ricorso gerarchico al Prefetto nel termine di 30 giorni;

2)  proporre ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale ( T.A.R.) nel termine di 60 giorni.

 

 

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PIANO CASA VENETO E CREDITI EDILIZI DA RINATURALIZZAZIONE

Piano casa Veneto 2050 e crediti edilizi da rinaturalizzazione.

 

Una delle novità più interessanti del nuovo piano casa sono i crediti edilizi da rinaturalizzazione previsti dall’art.4 della  legge regionale n. 14 del 4 aprile 2019.

A dire la verità, la figura dei crediti non è nuova nell’ambito della normativa edilizia regionale dato che gli stessi sono previsti anche dall’art. 36 della LR 11 del 2004.

Anche se ormai sono passati più di quindici anni dalla sua entrata in vigore, non si è, però, fatto grande applicazione della normativa relativa ai crediti.

Vediamo, ora, se avranno maggiore fortuna con la nuova legge sul piano casa che si prefigge di attuare, anche grazie ai crediti, una sorta di pulizia del territorio, attraverso la demolizione e/o sostituzione del patrimonio edilizio degredato o dismesso.

 

Ma vediamo innanzitutto che cosa si intende “per rinaturalizzazione del suolo.

 

PIANO CASA VENETO E CREDITI EDILIZI DA RINATURALIZZAZIONE
PIANO CASA VENETO E CREDITI EDILIZI DA RINATURALIZZAZIONE

 

 

Secondo l’art. 2 di Veneto 2050, la rinaturalizzazione consiste nell’  intervento di restituzione di un terreno antropizzato alle condizioni naturali o seminaturali … attraverso la demolizione di edifici e superfici che hanno reso un’area impermeabile, ripristinando le naturali condizioni di permeabilità, ed effettuando le eventuali operazioni di bonifica ambientale;

 

Il credito edilizio da rinaturalizzazione, sempre secondo l’art. 2, è “la capacità edificatoria riconosciuta dalla strumentazione urbanistica comunale a seguito della completa demolizione dei manufatti incongrui e della rinaturalizzazione del suolo.

La nuova normativa sui crediti, però, non trova immediata applicazione dato che si rimanda ad una specifica delibera che la Giunta regionale dovrà approvare entro agosto 2019. Tale delibera dovrà prevedere una “specifica disciplina per l’attuazione e le modalità operative da osservarsi per attribuire agli interventi demolitori i crediti, ed in particolare dovrà disciplinare:

  • l’attribuzione , a seguito degli interventi demolitori, dei crediti edilizi da rinaturalizzazione, in relazione alle diverse caratteristiche del manufatto incongruo,
  • l’iscrizione dei crediti edilizi in apposita sezione del Registro Comunale Eletronico dei Crediti edilizi;
  • i criteri operativi che i comuni devono osservare per la cessione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione generati da immobili pubblici comunali

 

 

Una volta emanati i criteri i Comuni avranno 12 mesi di tempo (agosto 2020) per provvedere ad una Variante dello strumento urbanistico finalizzata all’individuazione dei manufatti incongrui da demolire. La Variante dovrà poi essere aggiornata periodicamente ogni anno.

La individuazione dei manufatti incongrui potrà avvenire o per diretta individuazione comunale o attraverso un Avviso Pubblico per la presentazione delle istanze da parte dei privati proprietari.

 

 

 

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Insegnante di sostegno scuola paritaria: l’obbligo è come quella pubblica

Insegnante di sostegno scuola paritaria: non vi deve essere differenza con le garanzie offerte dalla scuola pubblica

Ringraziamo la Collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile, con sentenza n. 9966 del 20.04.2017, hanno affermato che, in tema di integrazione scolastica dell’alunno portatore di handicap, la scuola privata paritaria è obbligata a garantire all’alunno con disabilità le medesime prestazioni di sostegno che gli sarebbero assicurate presso la scuola statale, i cui costi sono solo parzialmente coperti dallo Stato a mezzo di contributi all’uopo stanziati.

Costituisce, quindi, discriminazione indiretta, imputabile all’amministrazione statale, l’inottemperanza all’obbligo di erogare le suddette provvidenze che determini una riduzione del servizio educativo ed assistenziale offerto dalla scuola paritaria.

insegnante sostegno scuola privata

Il caso esaminato dalla Corte riguardava un minore affetto da handicap in situazione di gravità che, nel passaggio da una scuola primaria statale ad una scuola privata paritaria, si era visto ridurre le ore di insegnamento scolastico di sostegno previste nel Piano educativo individualizzato (PEI).

Corre onere precisare che il minore aveva frequentato, fino all’anno precedente, la scuola statale primaria di primo grado usufruendo dell’insegnante di sostegno per 22 ore settimanali, di 2 ore di programmazione e di 12 ore con l’educatrice – assistente sociale.

In fase di passaggio alla scuola primaria paritaria parrocchiale, però, nonostante le rassicurazioni ricevute dal dirigente al momento dell’iscrizione, all’alunno erano state riconosciute solo 12 ore settimanali di sostegno, oltre a 3 messe a disposizione dalla scuola e a 12 ore con l’educatrice.

La Legge 10.03.2000, n. 62 “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”, prevede che le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, debbano accogliere chiunque, accettandone il relativo progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap.

Nel sistema così delineato, la scuola statale e quella paritaria devono garantire i medesimi standard qualitativi: il sostegno scolastico degli alunni con disabilità è presupposto e condizione indefettibile per il riconoscimento, e il mantenimento, della parità della scuola privata “dovendo questa in ogni caso garantire al minore portatore di handicap le medesime condizioni di frequenza e di apprendimento assicurate dalla scuola statale, e quindi il sostegno specializzato nella misura necessaria, secondo quanto stabilito in sede di piano educativo individualizzato”.

insegnante sostegno
Insegnante sostegno scuola paritaria: eventuali limitazioni costituiscono discriminazione indiretta sanzionabile

La Corte ben evidenzia come il PEI obblighi l’amministrazione scolastica a garantire il supporto per il numero di ore programmato “senza lasciare ad essa il potere discrezionale di ridurne l’entità in ragione delle risorse disponibili”.

Pertanto, la condotta dell’amministrazione scolastica che non garantisca il sostegno pianificato “si risolve nella contrazione del diritto del disabile alla pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico, la quale, ove non accompagnata dalla corrispondente riduzione dell’offerta formativa per gli alunni normodotati, concretizza discriminazione indiretta”.

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Insegnante di sostegno scuola paritaria

Nuovo piano casa Veneto 2050: le principali novità

Nuovo Piano Casa Veneto: ecco le novità da sapere.

 

Il Consiglio Regionale del Veneto, nella seduta del 27 marzo 2019, ha approvato la ”  legge veneto 2050: politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11″.

 

Si tratta di una legge che, come si legge nella relazione della Seconda Commissione consigliare che ha preceduto l’approvazione, “da una parte si pone in continuità con la legge regionale n. 14 del 2009 (cd “piano casa”) in quanto mira a sostenere il settore edilizio, dall’altro intende decisamente superarla in coerenza e attuazione della legge regionale per il contenimento del consumo di suolo (legge regionale n. 14 del 2017), implementandone gli aspetti di riqualificazione edilizia, ambientale ed urbanistica”.

In particolare” – si legge sempre nella relazione – la legge mira “a promuovere operazioni di rinaturalizzazione del suolo occupato da manufatti incongrui, mediante la loro demolizione ed il riconoscimento di specifici crediti edilizi da rinaturalizzazione”.

 

nuovo piano casa veneto

 

Le novità più significative.

Oltre alla premialità derivante da rinaturalizzazione, rispetto al “vecchio piano casa” riguardano innanzitutto la percentuale “base” di ampliamento che viene ridotta dal 20% al 15%.

 

Ampliamento, poi, che viene consentito in presenza di due condizioni: che la parte ampliata presenti caratteristiche costruttive che soddisfino la prestazione energetica in classe a 1 e che vengano utilizzate tecnologie che prevedano l’uso di fonti energetiche rinnovabili.

 

Queste condizioni, che nel “vecchio” piano casa consentivano di aumentare la percentuale di ampliamento, ora sono necessarie per avere l’ampliamento “base”.

 

L’ampliamento, inoltre, non può più consistere, come in precedenza, nella realizzazione di un corpo edilizio separato, ma soltanto “in aderenza, in sopraelevazione o utilizzando un corpo edilizio già esistente all’interno dello stesso lotto”.

 

Sia l’edificio che l’ampliamento, infine, devono insistere in zona territoriale omogenea propria (la l.r. 14 prevedeva, invece, che nel caso di ampliamento in aderenza, questo potesse anche trovarsi in zona impropria).

 

Piano Casa Veneto 50
Nuovo piano casa Veneto : ampliamenti nei limiti del 15% e con caratteristiche volte al risparmio energetico e fonti rinnovabili

Una delle problematiche maggiormente dibattute in vigenza del vecchio piano casa concerneva la deroga alle distanze previste dagli strumenti urbanistici.

Ora, Veneto 2050 sembra aver superato la questione nel senso che non consente più la suddetta deroga.

 

L’art. 11 prevede infatti che “gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 possono derogare ai parametri edilizi di superficie, volume ed altezza” (e quindi non distanze) “previsti dai regolamenti e strumenti urbanistici comunali, nonché, in attuazione dell’articolo 2 bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ai parametri edilizi di altezza, densità e distanze di cui agli articoli 7,8 e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, purché, in tali ultimi casi, nell’ambito di strumenti urbanistici di tipo attuativo con previsioni planivolumetriche che consentano una valutazione unitaria e complessiva degli interventi”.

 

 

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Blocco SCIA dopo i 30 giorni. E’ legittimo?

Blocco SCIA dopo i 30 giorni: il punto sulla giurisprudenza

Secondo l’art. 19 della Legge 7 agosto 1990 n. 241, la Pubblica Amministrazione, qualora manchino i requisiti necessari per la presentazione di una Scia, nel termine di 60 giorni dalla ricevimento della segnalazione, “adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e degli eventuali effetti dannosi”.

Sempre l’art. 19 prevede che nei casi di Scia in materia edilizia, il termine è ridotto a 30 giorni.

Ma cosa accade se un Comune ordina di non effettuare i lavori dopo la scadenza del termine?

Secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa (vedi da ultimo TAR Puglia, Bari, 7.1.2019,n. 9) è illegittimo il provvedimento con il quale un Comune diffida a non effettuare i lavori, qualora tale provvedimento sia stato adottato successivamente allo spirare del termine di 30 giorni previsto dalla legge.

blocco scia dopo i 30 giorni
Blocco SCIA dopo i 30 giorni è illegittimo, ma può essere avviato il procedimento amministrativo ordinario.

Nel caso affrontato dal TAR Puglia, un Comune, a fronte di una segnalazione acquisita al protocollo comunale in data 4.12, aveva adottato e notificato il provvedimento di diffida in data 5.1 e quindi dopo 32 giorni dalla presentazione della segnalazione.

In tal caso, osservano i giudici amministrativi, una volta scaduto il termine previsto dalla legge si consolida la legittimazione del privato ad eseguire l’intervento edilizio ed il Comune non può più bloccare i lavori.

Va tuttavia precisato che, una volta decorso il termine per ordinare la diffida, non è che il Comune rimanga completamente privo di poteri: se, infatti, ritiene che la Scia non rispetti le previsioni di legge, deve iniziare un vero e proprio procedimento volto a verificare se sussistono le condizioni previste per l’annullamento d’ufficio.

In tal caso, però, l’Amministrazione comunale potrà procedere all’annullamento solo dopo aver comunicato alla parte interessata l‘avvio del procedimento amministrativo e solo dopo aver verificato se sussistono “ragioni di interesse pubblico“.

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Blocco SCIA dopo i 30 giorni

Doppia conformità sanatoria edilizia: è sempre necessaria?

Doppia conformità sanatoria edilizia: il punto della giurisprudenza

La cd “doppia conformità” costituisce – anche secondo la giurisprudenza più recente (si veda, per esempio, TAR Milano, sentenza del 4.12.2018) – un requisito dal quale non si può prescindere ai fini del rilascio della sanatoria di opere edilizie.

In sostanza, il TAR boccia la cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale” che si avrebbe quando l’opera abusivamente realizzata verrebbe sanata sulla base del solo riscontro della conformità agli strumenti urbanistici vigenti.

doppia conformità sanatoria edilizia
doppia conformità sanatoria edilizia: no alla sola sanatoria giurisprudenziale

In tal caso, mancherebbe, dunque, la doppia conformità perché l’opera risulterebbe in contrasto con la normativa urbanistica vigente al momento della sua realizzazione.

Secondo il TAR è “legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite abusivamente, qualora le stesse non risultassero conformi tanto alla normativa vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria”.

Sempre secondo il TAR, la sanatoria giurisprudenziale finirebbe per dar luogo ad “un atto atipico che si collocherebbe al di fuori di qualsiasi previsione normativa e che pertanto non potrebbe ritenersi ammesso nel nostro ordinamento”.

Del resto, secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la ragionevolezza della regola della doppia conformità discende dall’esigenza di evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito  ciò che risulta illecito (e punibile) e, inoltre, di dissuadere dall’intenzione di commettere abusi, poiché chi costruisce sine titulo è consapevole di essere tenuto alla demolizione, anche in presenza di una sopraggiunta modificazione favorevole dello strumento urbanistico.

sanatoria edilizia

In sostanza, secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa, l’istituto della c.d. ‘sanatoria giurisprudenziale’ deve considerarsi normativamente superato, in quanto il permesso in sanatoria è ottenibile soltanto in presenza dei presupposti espressamente delineati dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto, sia della presentazione della domanda.

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in materia di doppia conformità sanatoria edilizia

Bocciatura scuola media: la valutazione deve essere complessiva e ad ampio raggio

Bocciatura scuola media: occorre fare riferimento a periodi più ampi rispetto al singolo anno scolastico. 

a cura dell’avv. Stefania Cerasoli.

 

Luca è uno studente di prima media con diverse sufficienze nelle cosiddette materie fondamentali ma con insufficienze, invece, in altre. Nel secondo quadrimestre la situazione peggiora e la valutazione finale esprime un grado di preparazione “insufficiente”.

ricorso bocciatura scuola media
Bocciatura scuola media: la valutazione deve essere ad ampio raggio e non concentrata su un periodo di difficoltà

Dopo una serie di interventi da parte del giudice amministrativo arriviamo all’ordinanza num. 5169 del 24.10.2018 con la quale il Consiglio di Stato ha affermato che “l’ammissione alla classe successiva nella scuola secondaria di primo grado deve fondarsi su un giudizio che faccia riferimento unitario e complessivo a periodi più ampi rispetto al singolo anno scolastico, e ciò anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline.”

In particolare il Consiglio di Stato fa espresso riferimento alla Circolare num. 1865 del 10.10.2017, con la quale il Ministero della Pubblica Istruzione ha affermato l’ammissione alle classi seconda e terza di scuola secondaria di primo grado quale principio generale. E questo anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline. Pertanto, l’alunno viene ammesso alla classe successiva anche se in sede di scrutinio finale viene attribuita una valutazione con voto inferiore a 6/10 in una o più discipline da riportare sul documento di valutazione.

In sede di valutazione, quindi, dovranno essere presi in considerazione periodi più ampi rispetto al singolo anno scolastico: qualora, quindi, il profitto del primo quadrimestre sia positivo e vi è stata una regressione nel secondo quadrimestre, sarà necessaria un’indagine più ampia valutando i risultati conseguiti nelle varie materie curriculari ed in scala biennale.

A fondamento di tali principi si invoca la necessità di evitare danni gravi, quali lo sradicamento dei rapporti tra coetanei e l’interruzione dei processi di apprendimento, su percorsi non solo di nozioni, ma anche di esperienze e metodo.

ricorso bocciatura scolastica

Tra l’altro – e per inciso – la scuola, a seguito della valutazione periodica e finale,  deve provvedere a segnalare tempestivamente ed opportunamente alle famiglie delle alunne e degli alunni eventuali livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione e. nell’ambito della propria autonomia didattica ed organizzativa, attiva specifiche strategie e azioni che consentano il miglioramento dei livelli di apprendimento.

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Esproprio parziale: indennità per la perdita di valore della parte non espropriata

Esproprio parziale: indennità per la perdita di valore della parte non espropriata.

In materia di espropriazione per pubblica utilità, uno dei casi che si verifica frequentemente è quello relativo all’espropriazione parziale di un bene unitario. Ciò si verifica ad esempio nel caso di fabbricato privato di parcheggio o di garage (in quanto oggetto di esproprio) o di azienda agricola privata di approvigionamento idrico (in quanto la parte residua viene separata dalla strada che è stata realizzata a seguito della procedura espropriativa).

In tali casi la legge prevede che per determinare il valore della parte espropriata occorre tenere conto della relativa diminuzione di valore di quella residua.

L’art. 33 del Testo Unico sugli espropri stabilisce, infatti, che nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, “il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore”.

Nella determinazione dell’indennità si deve tenere conto anche della diminuzione di valore della parte residua non soggetta ad esproprio

Ciò significa, in poche parole, che, nella determinazione dell’indennità, si deve tener conto non solo del valore della parte espropriata ma anche del risarcimento per la perdita di valore della parte non soggetta ad esproprio.

La Corte di Cassazione, in una recentissima sentenza (la n. 18220 dell’11.7.2018) ha avuto modo di chiarire il deprezzamento che abbiano subito le parti residue del bene espropriato rientra nell’unica indennità di espropriazione, non essendo concepibili, due distinte somme, imputate l’una a titolo di indennità di espropriazione e l’altra a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento subito dai residui terreni.

La giurisprudenza ha inoltre messo in evidenza che l’espropriazione parziale si configura quando la parte espropriata e la parte non espropriata siano elementi di un unicum sotto il profilo funzionale ed economico ed il distacco dell’una influisca oggettivamente in modo negativo sull’altra.

Nella determinazione dell’indennità va poi ricompresa ogni ipotesi di diminuzione di valore della parte non interessata dall’espropriazione: si prescinde, in tale valutazione, dal dato catastale della particella, dovendocisi riferire al concetto di proprietà e al nesso funzionale tra ciò che è stato oggetto di esproprio e ciò che è rimasto nella disponibilità dell’espropriato: tanto più ove si tratti di suoli a destinazione agricola, in cui rileva l’unitarietà costituita dalla destinazione a servizio dell’azienda agricola.