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Assegnazione della casa familiare: chi paga le spese?

Dopo l’assegnazione della casa familiare chi paga le spese per le utenze e per la manutenzione dell’immobile?

Uno degli aspetti che i coniugi debbono valutare attentamente in sede di separazione è l’assegnazione della casa familiare.

In assenza di accordo, il giudice potrà disporla nel “preminente interesse dei figli”.

Bene, diamo per scontato questo passaggio, su cui ci eravamo soffermati in precedenza, e andiamo ad esaminare un’altra problematica, ricorrente nella fase successiva alla separazione.

Chi sopporterà le spese della casa?

Bollette, rifiuti, tasse, imposte, manutenzione ordinaria, lavori straordinari.

C’è da far girare la testa a pensarci, specie in un ambito assai convulso quale quello che impera durante la crisi coniugale, dove si debbono valutare mille aspetti e quelli di contorno non trovano sempre spazio. E poi la “coperta” è spesso troppo corta per far combaciare tutto.

Teniamo conto che l’assegnazione della casa è un indubbio vantaggio, oltre che per i figli, anche per il coniuge che debba esserne beneficiato, ma è indubbio che mantenere un immobile, spesso di dimensioni consistenti, utilizzato da più persone che consumano, eccome se consumano, e usurano ambienti ed accessori, può essere assai oneroso.

Andiamo con ordine.

Le bollette.

assegnazione casa familiare bollette

Acqua, luce, gas, rifiuti, andranno ascritti al solo coniuge assegnatario della casa.

Come ha rilevato una recentissima pronuncia della Cassazione “L’assegnazione della casa coniugale esonera l’assegnatario esclusivamente dal pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tento nei confronti del proprietario esclusivo dell’immobile assegnato, sicché la gratuità dell’assegnazione dell’abitazione ad uno dei coniugi si riferisce solo all’uso dell’abitazione medesima (per la quale, appunto, non deve versarsi corrispettivo) ma non si estende alle spese correlate a detto uso (ivi comprese quelle che riguardano l’utilizzazione e la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell’abitazione familiare) le quali, son di regola a carico del coniuge assegnatario”. (Cass Civ. 10927/2018)

La porzione di utenze addebitabile ai figli sarà, infatti, da ascrivere al contributo al mantenimento ordinario versato mensilmente dal genitore non assegnatario.

E’ vero che, specie nei mesi invernali, i costi sono destinati a lievitare considerevolmente, ma è altrettanto appurato che durante gli altri mesi, in cui le spese saranno più contenute, sarà buona cura dell’altro genitore risparmiare e mettere fieno in cascina (lo so, in sede di separazione è pressochè impossibile utilizzare la parola “risparmio”).

Spese di manutenzione ordinaria.

Si tratta di pulire la caldaia? Sostituire il lavandino? Tinteggiare i muri interni?

Ci pensa il coniuge che abbia il beneficio dell’abitazione.

Come è stato rilevato da alcune pronunce, il diritto dell’assegnatario corrisponde al diritto reale di abitazione di cui all’art. 1022 c.c., in base al quale nella ripartizione degli oneri di ordinaria e straordinaria manutenzione valgono i medesimi criteri stabiliti in materia di usufrutto.

Per cui: le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa (art. 1004 cc) saranno a carico del coniuge assegnatario.

Spese di manutenzione straordinaria.

assegnazione casa familiare spese straordinarie
assegnazione della casa familiare chi paga le spese ? Spese ordinarie all’assegnatario, straordinarie al proprietario

Rifacimento del tetto, cappotto termico, rinnovamento o manutenzione di infissi, impianti, scale, muri maestri, travi, solai, muri di sostegno o di cinta: sono spese straordinarie che, facendo propri i concetti di cui sopra, andranno ascritti al proprietario dell’abitazione, anche se non sia assegnatario.

Spese condominiali

Seguiranno la ripartizione sopra indicata, in base alla quale alcuni capitoli di spesa andranno addebitati all’inquilino, altri al proprietario.

Piuttosto, è ipotesi frequente che determinate spese condominiali vengano deliberate in un momento e sostenute in epoca successiva.

Se al momento della loro approvazione la famiglia era unita sotto lo stesso tetto e, poi, al momento in cui debbano essere pagate la separazione sia avvenuta ed un solo coniuge, con i figli, dimori nella casa familiare, chi dovrà sostenerle?

Anche qui la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi, rilevando che “l’obbligazione di ciascun condomino di contribuire alle spese per la conservazione dei beni comuni nasce nel momento in cui è’ necessario eseguire le relative opere, mentre la delibera dell’assemblea di approvazione della spesa rende liquido il debito”.

Per cui l’anteriorità della delibera condominiale sulle spese che debbano sostenersi rispetto all’assegnazione della casa esclude che l’assegnatario sia tenuto al pagamento delle stesse a prescindere che sia poi quest’ultimo l’effettivo soggetto che benefici dell’esecuzione dei lavori.

Dovrà provvedervi il coniuge proprietario.

Con un’altra interessante precisazione.

Allorquando l’altro coniuge, non proprietario, abbia contribuito a far fronte a tali spese, questi, in sede di separazione, non potrà chiederne il rimborso, essendo tali oneri stati sostenuti per contribuire ai bisogni della famiglia e, pertanto, non rimborsabili (vedasi apposito post)

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Litigare davanti ai figli può costituire reato?

Litigare davanti ai figli: la violenza assistita, se ripetuta ed idonea a ledere la stabilità emotiva della prole, può realizzare il reato di maltrattamenti in famiglia.

Ne stanno parlando pure Di Maio e Salvini, in questo periodo così tumultuoso per le sorti del nostro paese: gli effetti negativi delle crisi familiari debbono essere arginati, soprattutto a tutela dei figli, specie minori, tanto è che nel loro “contratto di governo” i due esponenti politici stanno “valutando l’introduzione di norme volte al contrasto del grave fenomeno dell’alienazione parentale”. 

In attesa di capire quali possano essere gli interventi legislativi promessi e, soprattutto, di appurarne la loro eventuale – ma auspicabile – efficacia, ci soffermiamo a riflettere su un altro fenomeno, purtroppo, assai diffuso: quello delle liti accese tra genitori cui sono testimoni inermi i figli.

Litigi davanti ai figli: è reato?

Arriva l’estate, la bella stagione. Col caldo si aprono le finestre, anche a notte inoltrata. Capita di sovente che la brezza della sera si accompagni al rumore di urla, insulti, pianti e frastuoni provenienti da abitazioni vicine, che prima non si udivano, perché col freddo ci si rinchiudeva in casa, ma ora non si riescono ad ignorare.

Il pensiero degli astanti correrà, allora, ai figli dei litiganti, spettatori inermi di un spettacolo a cui chiunque vorrebbe essere esentato ad assistere.

Può essere ammessa una condotta simile? E’ giuridicamente lecito mantenere comportamenti che potrebbero ledere la stabilità emotiva di bambini o adolescenti in età evolutiva, con gravi ripercussioni, appurabili anche in età adulta?

La risposta è, ovviamente, negativa, ma il percorso per arrivarci non è così agevole.

Non c’è, infatti, una norma che espressamente venga a punire – di per se stessa – la cd “violenza assistita”, che attualmente è una semplice circostanza aggravante di altri reati commessi in presenza o in danno di un minore di anni 18 (art. 61, n 11 quinquies cp). 

maltrattamenti in famiglia
Chiunque, maltratta una persona della famiglia … è punito con la reclusione da due a sei anni.

Maltrattamenti in famiglia

Un’interessante – quanto recentissima – Sentenza della Corte di Cassazione ha inserito la fattispecie nell’ambito del delitto di “maltrattamenti in famiglia” (Art. 572 cp)

Come accennato, l’approdo non è stato così scontato ed il motivo è presto detto.

Il reato di maltrattamenti riguarda colui che, appunto, maltratta una persona della famiglia.

I maltrattamenti sembrano presupporre una condotta attiva di atteggiamenti vessatori – fisici e/o psicologici – rivolti alla persona offesa. Ma se tali comportamenti non siano diretti verso i figli ma alla persona del coniuge e i minori si limitino ad essere spettatori passivi di tali condotte violente e offensive potrebbe sorgere qualche dubbio in ordine alla integrazione del reato nei confronti della prole.

La Cassazione non ha questi dubbi.

Il caso in esame riguardava due genitori, animati da un’accesissima ostilità e disaccordo, che – ben guardandosi dal simulare le loro liti ai figli minori – li costringevano “a presenziare alle reiterate manifestazioni di reciproca conflittualità realizzate nell’ambito del rapporto di convivenza (….) mediante ripetuti episodi di aggressività fisica e psicologica, con condotte vessatorie e continui litigi, minacce e danneggiamenti di suppellettili”.

Ebbene, non si trattava di verificare se tali comportamenti avrebbero potuto legittimare la configurazione del reato di maltrattamenti di un genitore nei confronti dell’altro – rispetto al quale ben si sarebbe potuta invocare l’aggravante della violenza assistita dai minori (per un reato, lo si ripete, avente come persona offesa il coniuge) – bensì si doveva vagliare se la fattispecie criminosa si sarebbe potuta richiamare nei confronti dei figli, nelle loro vesti di spettatori loro malgrado alle invettive di mamma e papà.

La Corte di Cassazione ha propeso per considerare integrato il reato di maltrattamenti nei confronti dei figli.

Maltrattattare è anche far assistere ai litigi

Litigare davanti ai figli
Litigare davanti ai figli può integrare il reato di maltrattamenti

Per gli ermellini “non è revocabile in dubbio che il delitto di maltrattamenti possa essere configurato anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano (solo) indirettamente quali involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri fra i genitori che si svolgano all’interno delle mura domestiche, cioè allorquando essi siano vittime di c.d. violenza assistita. La condotta di chi costringa minore, suo malgrado, a presenziare – quale mero testimone – alle manifestazioni di violenza, fisica o morale, è certamente suscettibile di realizzare un’offesa al bene tutelato dalla norma (la famiglia), potendo comportare gravi ripercussioni negative nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata”.

La Cassazione, ancora, rileva come costituisca “approdo ormai consolidato della scienza psicologica che anche bambini molto piccoli, persino i feti ancora nel grembo materno, siano in grado di percepire quanto avvenga nell’ambiente in cui si sviluppano e, dunque, di comprendere e di assorbire gli avvenimenti violenti che ivi si svolgano, in particolare le violenze subite dalla madre, con ferite psicologiche indelebili ed inevitabili riverberi negativi per lo sviluppo della loro personalità.”.

Da ultimo, e per precisione, va sottolineato come sia stato evidenziato dai Supremi Giudici come il reato di maltrattamenti imponga, per la sua realizzazione, non già un isolato od occasionale comportamento vessatorio, ma “una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo”.

La Sentenza: Cass., VI pen., sent. n. 18833/2018 

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Quando matura il diritto a quota di Tfr in caso di divorzio?

Quando matura il diritto a quota di Tfr in caso di divorzio?

Stanno a dieta tutta la vita e appena le lasci vogliono decine di milioni per gli alimenti, diceva un noto autore televisivo per scimmiottare le problematiche patrimoniali che sorgono al termine di un matrimonio.

E’ noto a tutti che in sede divorzile debbano essere affrontate una serie di condizioni d’ambito economico, tra le quali il contributo al mantenimento dei figli, l’eventuale corresponsione di un assegno divorzile, la suddivisione dell’indennità di fine rapporto.

In relazione al TFR la Legge sul divorzio stabilisce che  “Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio“.

Andando per ordine.

A chi spetta

Solo in caso di divorzio, all’ex coniuge. Pertanto non è possibile una statuizione nell’ambito di una separazione, che non comporta lo scioglimento del vincolo.

La giurisprudenza ha, tuttavia,  ritenuto che la percezione del TFR possa legittimare la revisione dell’assegno di mantenimento statuito in sede di separazione, incidendo sulla situazione economica del coniuge che lo abbia conseguito.
Non solo. L’indennità può essere riconosciuta solo al (ex) coniuge che non sia passato a nuove nozze e a cui spetti un assegno divorzile.

Occorre, in buona sostanza, che vi sia stato un provvedimento che abbia disposto la corresponsione dell’assegno, non essendo sufficiente l’esistenza delle condizioni che ne legittimino il riconoscimento in assenza di una statuizione.

Ancora, si rileva che la quota di indennità debba essere riconosciuta a chi vanti il diritto alla corresponsione periodica dell’assegno, mentre non potrà avere ulteriori pretese, anche relativamente al tfr, il coniuge che abbia accettato di conseguire l’intero assegno divorzile in un’unica soluzione.

 

Quota di tfr in caso di divorzio
Quota di TFR: 40% di quanto percepito all’esito del rapporto di lavoro, riferibile agli anni in cui il rapporto è coinciso con il matrimonio

Quanto spetta

Il 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.

Non viene menzionato se nel calcolo debbano essere inclusi ulteriori benefici conseguenti la fine del rapporto di lavoro, come l’indennità per mancato preavviso o quella di buona uscita per i dipendenti statali o per giusta causa. 

Un’interpretazione più elastica fa rientrare nel novero anche queste entrate, in quanto incluse nell’ampio ambito del rapporto di lavoro cui la norma si riferisce.

 

 

 

 

Quando matura il diritto a quota di Tfr in caso di divorzio 

Quando matura il diritto a quota di Tfr in caso di divorzio? occorre che il diritto all’indennità sia maturato dopo la domanda divorzio.

Vi deve essere una pronuncia di divorzio e la norma stabilisce che il diritto alla quota va riconosciuto anche se l’indennità venga a maturare dopo la sentenza.

Pacifico che la domanda possa essere presentata solo dopo che il coniuge obbligato abbia cessato il rapporto di lavoro, meno chiaro è il momento che debba essere preso a riferimento per veder maturato tale diritto.

La giurisprudenza ormai consolidata, e per ultima la recentissima ordinanza n 7239/2018, statuisce che la quota di indennità possa essere richiesta anche se il trattamento di fine rapporto sia  stato percepito prima della pronuncia di divorzio, purché dopo il deposito del ricorso introduttivo.

Secondo la Suprema Corte, infatti, “ poichè la “ratio” della norma è quella di correlare il diritto alla quota di indennità, non ancora percepita dal coniuge cui essa spetti, all’assegno divorzile, che in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorchè di regola venga costituito e divenga esigibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, ne deriva che, indipendentemente dalla decorrenza dell’assegno di divorzio, ove l’indennità sia percepita dall’avente diritto dopo la domanda di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell’assegno è riconnessa l’attribuzione del diritto alla quota di T.F.R“.

E se il diritto al TFR sia stato maturato prima della domanda di divorzio?

Nulla sarà dovuto all’ex coniuge, dovendosi individuare “nella data di cessazione del rapporto di lavoro… quella nella quale è sorto il diritto” e dovendosi negare quando sia “stato proposto il ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio in un arco cronologico successivo alla maturazione del diritto al TRF” in capo all’altro consorte.

 

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Assegnazione della casa familiare: l’acquisita indipendenza economica dei figli giustifica la revoca.

Può essere revocata l’assegnazione della casa familiare una volta che i figli siano divenuti autosufficienti.

Poniamo il caso: abitazione familiare, di proprietà esclusiva di un coniuge.

In assenza di figli, in linea di massima, non sarà data al giudice la possibilità di assegnare la casa al coniuge non proprietario in caso di separazione.

Se vi siano figli, il discorso cambia.

L’art.  337-sexies c.c. stabilisce che “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli“.

La tutela muove dal riconoscimento dell’esigenza di preservare la prole dalle conseguenze negative della separazione dei genitori, cercando di conservare l’habitat, le abitudini di vita, il consorzio sociale nel quale i figli sono inseriti e che lo sradicamento comprometterebbe.

Fino a quando opera tale tutela per l’assagnazione della casa familiare?E’ possibile sostenere che l’assegnazione della casa familiare segua le sorti dell’obbligo al mantenimento dei figli da parte dei genitori: dovuto fino al raggiungimento dell’indipendenza economica dei discendenti.Lo ha – indirettamente – ribadito una recente ordinanza della corte di Cassazione, che ha respinto l’impugnazione avverso un provvedimento di revoca dell’assegnazione della casa familiare, originariamente attribuita ad una madre convivente con la figlia, non economicamente autosufficiente.

 

assegnazione della casa familiare
L’acquisita indipendenza economica dei figli giustifica il provvedimento di revoca dell’assegnazione della casa familiare
A seguito del reperimento di occupazione da parte della ragazza – evidentemente connotata da stabilità ed adeguata redditività  –  il padre chiedeva la modifica delle condizioni di divorzio e, appunto, di rientrare in possesso dell’abitazione di sua proprietà esclusiva.Domanda accolta, in virtù del fatto che era venuto meno l’originario presupposto di tutela del principale interesse della prole con il conseguimento dell’indipendenza economica.Principio fatto proprio dalla Suprema Corte: con l’autosufficienza verrà meno tanto l’obbligo di mantenimento, quanto l‘assegnazione della casa familiare.Il provvedimento: Cassazione civile, ordinanza 22 gennaio 2018, n. 1546

 

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Assegno di mantenimento: la nascita di un nuovo figlio può legittimarne la riduzione

La nascita di un nuovo figlio è un evento sopravvenuto che può legittimare la riduzione dell’assegno di mantenimento.

Torniamo su un argomento di concreto interesse.

Ce ne eravamo già occupati in altro post, allorquando si evidenziava che per chiedere la revisione delle condizioni di separazione o di divorzio, anche per quanto riguarda la contribuzione al mantenimento dei figli, fosse necessario allegare giustificati e sopravvenuti motivi, tali da comportare una significativa mutazione del quadro complessivo delle circostanze tenute in considerazione al momento della pronuncia.

assegno di mantenimento nascita di un nuovo figlio
La nascita di un nuovo figlio, dopo la separazione o il divorzio, è evento nuovo che potrebbe legittimare la revisione dell’assegno di mantenimento.

Assegno di mantenimento e nascita di un nuovo figlio

La Suprema Corte già aveva avuto modo di rinvenire nella nascita di un nuovo figlio, per il coniuge tenuto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, un evento peggiorativo delle condizioni economiche tale da legittimare la revisione di tale obbligo.

La conferma dell’orientamento avviene con una recentissima pronuncia, con la quale gli ermellini hanno statuito su un caso riguardante il ricorso promosso da un padre (ex coniuge) volto ad ottenere la riduzione della contribuzione da corrispondere all’ex moglie per il mantenimento dei figli, sul presupposto della nascita di un nuovo figlio.

In prima battuta l’istanza era stata rigettata, giacchè era emerso che il ricorrente all’epoca dell’emissione della sentenza di divorzio, avesse già avuto altri due figli dalla donna con la quale aveva intrecciato una nuova relazione e che aveva di seguito sposato e, pertanto, la circostanza della sopravvenuta nascita di prole non fosse sopravvenuta, ma già eccepibile e proponibile al momento della pronuncia che statuiva le condizioni divorzili.

Il giudice di prime cure aveva appurato, altresì, che le condizioni economiche del richiedente la revisione non fossero peggiorate, ma, anzi, implementate di qualche centinaio di euro, tenuto conto, altresì, del reddito percepito dalla nuova moglie, a titolo di pensione di invalidità.

La corte ha cassato tale pronuncia, rilevando come fosse errato arrestarsi alla considerazione che “il fatto preesistente (la nascita delle due figlie) precludesse l’esame del fatto sopravvenuto la cui ricorrenza avrebbe dovuto accertare (il mutamento in peius della complessiva condizione economica dell’obbligato rispetto alla data del divorzio, che non gli consentiva più di far fronte agli obblighi assunti verso E.), erroneamente considerando il primo nella sua sola dimensione statica, anzichè in quella dinamica, che gli imponeva di tener conto delle accresciute esigenze materiali delle altre figlie del ricorrente, indubitabilmente connesse alla loro crescita“.

Non solo.

La Cassazione ha sottolineato come fosse stata operata “una non consentita parcellizzazione del reddito”  del ricorrente  (il cui modesto aumento era stato ritenuto idoneo a “neutralizzare” i costi del mantenimento dell’ultimogenito)” e si fosse “sostanzialmente omesso di effettuare l’indagine dovuta, che consisteva nel verificare globalmente se, ed in che misura, le circostanze sopravvenute avessero alterato l’equilibrio economico raggiunto fra le parti alla data di emissione della sentenza di divorzio, e nell’adeguare eventualmente l’importo alla nuova situazione patrimoniale riscontrata“.

 

Il provvedimento: Cassazione civile, ordinanza 2 febbraio 2018, n. 2620

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Matrimoni, separazioni e divorzi a Vicenza: i dati del 2017

Alcuni dati statistici pubblicati sul sito del Comune indicano il trend di matrimoni, separazioni e divorzi a Vicenza.

Stabile, tendente al ribasso.

La potremmo definire così la situazione  nell’anno appena terminato, se fosse possibile compendiare con terminologia “meteo” il “tempo” delle famiglie nel nostro comune di Vicenza.

Matrimoni, separazioni e divorzi a Vicenza: al volgere del 2016 avevamo segnalato un minimo incremento dei matrimoni celebrati rispetto all’anno precedente, (ecco il post ).

Ora assistiamo a un leggero decremento: 270 matrimoni celebrati nel 2017 rispetto ai 290 contratti nel 2016.

dati matrimoni separazioni e divorzi a Vicenza
Matrimoni, separazioni e divorzi a Vicenza. Consultabili sul sito del Comune di Vicenza i dati delle famiglie 2017

Costante è invece la differenza significativa relativa al rito prescelto: i matrimoni civili più che doppiano quelli religiosi (185 a 85). Così era stato anche nel 2016, con risultati di poco differenti (193 a 97). Nel 2015, invece, il divario era stato più contenuto, (197 a 125). Bisogna risalire al 2007 per appurare il periodo in cui è avvenuta l’inversione di tendenza, prima ad appannaggio del matrimonio religioso.

Età matrimoni separazioni e divorzi VicenzaMatrimoni, separazioni e divorzi a Vicenza: Circa l’età media degli sposi, si apprende un aumento rispetto all’anno precedente: i neo mariti 40,2 anni (nel 2016 l’età era di 38,6) mentre le spose 37 anni (35,1 l’anno prima).

I dati sono significativamente differenti a seconda che il rito sia stato civile (m 42,5 f 39,4) o religioso (m 35,1 e f 31,9). E’ logico dedurre che la maggiore età riportata nei coniugi celebrati civilmente sia dovuta anche, e soprattutto, alle seconde nozze, inglobate nei primi. Sostanzialmente stabile il rapporto tra matrimoni di cittadini italiani (185 nel 2017 contro i 188 del 2016), di stranieri (56 nel 2017, 71 nel 2016), e misti (rispettivamente 56 e 71).

Unioni civili a Vicenza: Le unioni civili nel 2017 sono state 30: 27 tra maschi e 7 tra femmine.

Non si hanno ancora i dati ufficiali circa il trend di separazioni e divorzi a Vicenza. Gli unici conteggi a disposizione riguardano il numero totale di divorziati, che nel 2017 è aumentato di circa 250 unità rispetto all’anno precedente (4.447 a 4.223, confermando una tendenza sempre in crescita.

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Mancato versamento assegno di mantenimento: quando è reato

Mancato versamento assegno di mantenimento e violazione degli obblighi di assistenza familiare.

 

Ai figli non far mancare il pane: questo motto, di uso popolare, si traduce in una precisa disposizione del codice penale, che viene a sanzionare la violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Di cosa si tratta?

Entrambi i genitori sono tenuti a contribuire a mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli.

Analogo obbligo i coniugi si assumono contraendo il matrimonio, allorquando si impegnano reciprocamente all’assistenza materiale.

Mancato versamento assegno di mantenimento
Mancato versamento assegno di mantenimento. E’ reato fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro

Ebbene, l’art. 570 cp viene a sanzionare la condotta di “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale  o alla qualità di coniuge“.

La pena comminata è la reclusione fino ad un anno o la multa  da 103 fino a 1032 euro. Tuttavia, dette pene si applicheranno congiuntamente a chi, tra l’altro, faccia ”  , agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa“.

 

Il precetto è chiaro, la sanzione è severa e resa ancora più disincentivante la condotta del mancato versamento assegno di mantenimento, punita tramite la possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena, all’esito del procedimento penale, alla corresponsione di un importo da versare a titolo provvisionale.

Ciò nonostante, le aule dei Tribunali sempre più frequentemente si trovano ad occuparsi di casi relativi a questa fattispecie, resa ulteriormente ricorrente dall’acuirsi della crisi che ha colpito l’economia ed il mercato del lavoro negli ultimi anni.

Una recente Sentenza della Corte di Cassazione è tornata, però, a ribadire, una considerazione già più volte fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, ossia che per andare assolto dall’incriminazione in oggetto il genitore (o coniuge) inadempiente rispetto all’obbligo di assistenza materiale non sarà sufficiente che dimostri il proprio stato di perdurante disoccupazione e quindi la propria assenza di reddito.

assegno mantenimento vicenza
Se lo stato di disoccupazione non sia dovuto ad impossibilità assoluta ed incolpevole a trovare lavoro, il mancato versamento assegno di mantenimento potrebbe costituire reato

E’ necessario, semmai, dar prova dell’assoluta impossibilità di far fronte alle obbligazioni attraverso la dimostrazione di una fruttuosa attivazione in tal senso.

Si noti, l’impossibilità deve essere assoluta ed incolpevole.

Da ultimo, sarà irrilevante allegare che il figlio minore non versi in condizioni di indigenza, perchè lo stato di bisogno è insito proprio in tale situazione.

La sentenza: Cassazione Penale n. 39411/2017   

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Assegno di mantenimento del coniuge: nulla è dovuto se il matrimonio è durato un soffio.

Presupposto essenziale per poter ottenere un assegno di mantenimento è l’instaurarsi della comunione materiale e spirituale tra i coniugi.

Green card: matrimonio di convenienza.
Era il titolo di un film del 1990 che narrava la storia di una coppia in cui lui, cittadino francese sposava un’americana per poter ottenere la green card ed avviarsi al lavoro negli Stati uniti e lei convolava a nozze per poter ottenere in  affitto un alloggio, assegnabile solo a coppie sposate.

C’è da chiedersi: nel caso in cui la coppia di sposi, poco dopo le nozze, si fosse separata, sarebbe spettato un assegno di mantenimento al coniuge economicamente più debole.

La risposta è no, e non è parere del sottoscritto ma parola dei giudici della Corte di Cassazione, che con una pronuncia di pochi giorni fa, hanno statuito su un identico caso: un alto ufficiale statunitense convola con una cittadina italiana per beneficiare di gratifiche economiche conseguenti al matrimonio.
Alla moglie non va peggio, perchè il marito le riconosce vari assegni post datati per l’importo di 110 mila dollari.
Dopo appena 28 giorni di matrimonio, la richiesta di separazione da parte della signora, che richiede una pronuncia di addebito in capo al marito e la corresponsione di un assegno di mantenimento come coniuge economicamente debole.
La Corte Suprema ha negato tali istanze.

separazione addebito vicenza (1)
No affectio coniugalis? No money

Non si è instaurata una comunione materiale o spirituale tra i coniugi : questo il succo della pronuncia degli ermellini.
Senza tale comunione non derivano – tra i nubendi –  gli obblighi che nascono col matrimonio, tra i quali, segnatamente, quello di assistenza materiale – per cui non andrà riconosciuto il mantenimento -e neppure gli altri obblighi di fedeltà, coabitazione, collaborazione e assistenza morale, la cui violazione legittimerebbe la pronuncia di addebito.
La Cassazione ha riscontrato esclusivamente la realizzazione di accordi economici tra le parti senza che vi sia stata alcuna condivisione di vita e instaurazione di un vero rapporto affettivo qualificabile come affectio coniugalis.

Possiamo davvero dire che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

La pronuncia : Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., (ud. 10-10-2017) 10-01-2018, n. 402

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Mantenimento dei figli: le linee guida del Consiglio Nazionale Forense

Mantenimento dei figli: la chiarezza preventiva è la chiave di volta per dirimere eventuali contrasti.

Ne abbiamo parlato più volte. La problematica è diffusa e costituisce lo scoglio sul quale più spesso si infrangono le speranze dei coniugi ed ex coniugi di aver trovato un po’ di serenità dopo le tempeste della separazione o del divorzio.

Cosa comprende l’assegno di mantenimento che il genitore non collocatario deve corrispondere all’altro, che sia stato designato come soggetto presso il quale i figli debbano risiedere prevalentemente?

Se si potesse prevedere tutti gli oneri inclusi e quelli esclusi, qualcosa senz’altro rimarrebbe fuori.

Sulla scia dell’esempio tenuto dalla Corte d’appello di Milano, che recentemente ha delineato delle linee guida che possano essere di sussidio e prassi per i procedimenti in materia familiare, il Consiglio Nazionale Forense ha emanato, di rimbalzo, le proprie “linee guida per la regolamentazione delle modalità di mantenimento dei figli nelle cause di diritto familiare”.

Tre consigli

L’apporto è preceduto da tre consigli, di ordine pratico ma di estremo buon senso.

1. l’invito alle parti ed ai rispettivi difensori di ” riservare ampia trattazione, all’interno degli eventuali accordi di separazione e/o divorzio, alla disciplina delle spese straordinarie, con precisa e puntuale elencazione delle spese che esulano dalla contribuzione ordinaria al mantenimento della prole”.

2. Nella predetta esposizione indicare quali erano le “eventuali spese correnti della famiglia coesa”.

3. porre bene attenzione al concetto di spese straordinarie, che sono quelle “imprevedibili nell’ “an” e non determinabili nel “quantum” perchè afferiscono ad esigenze episodiche o saltuarie” o comunque “non rientranti nelle normali consuetudini di vita dei figli”.

Distinzioni

Effettuate queste premesse, il CNF parte dalla distinzione tra spese ordinarie e straordinarie e, relativamente a quest’ultime, quelle per le quali è richiesto il “preventivo consenso” oppure quelle sempre rimborsabili.

Alle parti sarà rimesso il compito di individuarle e distinguerle.

In caso di mancata espressa pattuizione e/o accordo tra le parti sul punto, la qualificazione delle spese in “ordinarie e straordinarie” potrà essere effettuata tenendo conto delle seguenti indicazioni.

– Per quanto riguarda le spese comprese nell’assegno di mantenimento, esse attengono a quelle ordinarie, abituali, quotidiane e ricorrenti dei figli: vitto, abbigliamento, alloggio e relative utenze, spese per tasse scolastiche (escluse quelle universitarie) e materiale scolastico di cancelleria (non i libri), mensa, medicinali da banco, spese di trasporto urbano.

linee guida mantenimento dei figli
L’invito del CNF è a prevedere compiutamente quali siano le spese straordinarie in ambito di accordo divorzile o nella separazione.

Sono inclusi alcuni compendi di spesa molte volte non considerati in punto di mantenimento: la ricarica del cellulare, l’approvvigionamento di carburante per eventuali mezzi motorizzati in dote ai figli, le rette per rientri anticipati o posticipati a scuola (purchè si tratti in questo caso di “spese sostenibili”) e tutte le attività ricreative abituali (cinema, feste, pizzate). Da ultimo saranno comprese nell’assegno le spese per la cura di eventuali animali domestici dei figli (purchè appartenessero loro prima della separazione o divorzio).

– Le spese straordinarie, come detto, si distingueranno in quelle obbligatorie per le quali non è richiesta la previa concertazione e saranno sempre ripetibili, pro quota, dal genitore che le avrà sostenute.

Tra di esse si comprendono le spese per i libri scolastici, le spese sanitarie urgenti, l’acquisto di farmaci non da banco, debitamente prescritte, interventi chirurgici non differibili, sia presso strutture sanitarie pubbliche che private, spese  mediche specialistiche (oculistiche, ortodontiche…), spese di bollo e assicurazione per eventuali mezzi di trasporto (acquistati col benestare di entrambi i genitori).

Tutte le menzionate spese saranno rimborsabili, ovviamente, previa debita documentazione.

Le spese straordinarie da concordare

– Da ultimo, alcune spese straordinarie potranno essere rimborsate soltanto se concordate da entrambi i genitori.

Tra di esse quelle:

1. Scolastiche: per l’iscrizione a scuole private, per alloggi universitari fuori sede, ripetizioni, frequenza del conservatorio, baby sitting assunte per coprire l’orario del lavoro del genitore che le utilizzi per un’esigenza emersa in virtù ed a seguito della separazione.

2. Spese di natura ludica o parascolastica: attività artistiche, informatica, centri estivi, viaggi di sitruzione, vacanze autonome senza i genitori.

3. Spese sportive, comprensive della relativa attrezzatura.

4. Spese mediche e trattamenti non coperti o non effettuati dal SSN.

5. Organizzazione di ricevimenti e feste dedicate ai figli.

Tali spese dovranno essere concordate. Il genitore che intenda proporle dovrà presentare una richiesta scritta all’altro, che dovrà esprimersi ed eventualmente manifestare il proprio motivato dissenso. In difetto di risposta entro 20 giorni, il silenzio sarà inteso come consenso alla spesa.

Un’ultima utile proposta è l’attribuzione concordata degli assegni familiari al genitore collocatario in via prevalente dei figli, anche se materialmente erogato dal datore di lavoro dell’altro genitore.

Le linee guida complete proposte dal Consiglio Nazionale Forense sono reperibili al seguente link.

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Affidamento condiviso: una sentenza contestata sui poteri decisionali di maggiore interesse

Una recente Sentenza della Cassazione pare ridisegnare la portata normativa dell’affidamento condiviso in materia delle scelte di maggiore interesse per i figli minori.

Revirement?

No. Non tanto.

I precedenti provvedimenti degli ermellini – abbastanza recenti, essendo la norma sull’affidamento condiviso risalente solo al 2006 – non hanno mai segnalato deviazioni significative.

Piuttosto, si potrà parlare di interpretazione estensiva del potere decisionale attribuito al singolo genitore, da farsi valere in via “temporanea ed urgente,nei casi in cui si verifichi uno stallo risolutivo in ordine a questioni di primaria importanza per i figli.

Facciamo il punto della situazione.

Affidamento condiviso: ossia il potere, conferito ad entrambi i genitori, di poter assumere e partecipare alle scelte che riguardino la prole. In virtù di un intento rafforzativo della bigenitorialità, l’istituto vuole conferire tanto al padre, quanto alla madre medesima dignità di ruolo.

In questo senso, ad entrambi i genitori è conferita la possibilità di intraprendere, autonomamente, senza ottenere il previo consenso dell’altro, le scelte “di ordinaria amministrazione” per i figli.

Per quanto riguarda le scelte di maggiore interesse – leggiamo testualmente l’art. 337 ter cc. – “relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice“.

Accordo preventivo o niente: pareva di intendersi.

Ed invece no

.La sentenza della Cassazione in esame, (n. 4060/2017) relativa alla scelta effettuata unilateralmente dalla madre in ordine al tipo di scuola (pubblica o privata) da far frequentare alla figlia, ha stabilito che “quando il rapporto tra i genitori non consente il raggiungimento di un’intesa, occorre assicurare ancora la tutela del migliore interesse del minore e l’opposizione di un genitore non può paralizzare l’adozione di ogni iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se di rilevante interesse, e neppure è necessario ritrovare l’intesa prima che l’iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete al giudice, ove ne sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all’interesse del minore“.

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Compatibile l’affidamento condiviso con la decisione unilaterale, seppur provvisoria, di un solo genitore?

Nessuna intesa preventiva, ma una scelta unilaterale oggetto di eventuale e postuma decisione del giudice.

Il provvedimento – apparentemente di buon senso, in quanto volto ad eliminare frequenti impasse, causate più da attriti tra coniugi, o ex coniugi, piuttosto che da significative divergenze genitoriali – pare disattendere da un lato la parola della legge, dall’altro la ratio dell’istituto dell’affidamento condiviso.

Se, infatti, il testo dell’art. 337 ter cc lascia pochi dubbi circa la consensualità che deve presidiare le decisioni gravate da maggior incidenza e significato per la vita della prole nonchè il momento in cui deve intervenire l’eventuale pronuncia del Tribunale a dirimere il contrasto, a monte e non ex post, dall’altro è bene evidenziare come la ragione di tale previsione normativa fosse nell’attenta e precisa valorizzazione della pari dignità genitoriale alla base della gestione delle vicende relative ai figli.

Se, accanto alla spesso inevitabile collocazione prevalente dei figli presso un genitore – vigente l’affidamento condiviso – fosse consentito anche che un ascendente possa anche assumere unilateralmente le scelte più importanti, da sottoporre al vaglio successivo e solo eventuale del giudice, si svuoterebbe di significato e di rilevanza il ruolo dell’altro genitore, con buona pace del preciso intento parificatorio dell’intervento legislativo citato.

C’è da lavorare.

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