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Mantenimento dei figli maggiorenni: una volta venuto meno, l’obbligo non può ripristinarsi

Una volta acquisita l’autosufficienza economica, viene meno l’obbligo al mantenimento dei figli maggiorenni, anche nel caso in cui perdano il lavoro.

Sul mantenimento dei figli maggiorenni ci siamo ripetutamente soffermati – link 1 –  link 2 .

Un interessante provvedimento del Tribunale di Roma – decreto 21 luglio 2017 – ci spinge a soffermarci su un aspetto quanto mai attuale, in un’epoca segnata dalla crisi come quella attuale: se bisogna mantenere i figli fino a quando abbiano acquisito l’autosufficienza economica, nel caso in cui perdano il lavoro, risorgerà l’obbligo precedente a provvedervi oppure si dovranno arrangiare? La risposta è negativa.

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Una volta divenuti autosufficienti, i figli non potranno chiedere alcuna contribuzione, nemmeno in caso di perdita del lavoro

I genitori non saranno tenuti nuovamente a contribuire al mantenimento dei figli: questi ultimi, una volta affrancati, per mezzo di un lavoro che concretamente abbia dato loro autonomia, dovranno cavarsela con le proprie gambe e non saranno più legittimati a richiedere l’intervento degli ascendenti, nemmeno nel caso in cui si trovassero a fronteggiare una crisi lavorativa, financo la perdita dell’occupazione.

Tale determinazione è frutto di un equo contemperamento tra le esigenze dei figli – tutelati fino al momento in cui spiccano il volo – e dei genitori, che non dovranno essere obbligati a far fronte per sempre alle vicissitudini della prole, divenuta ormai grande abbastanza per cavarsela autonomamente.

Una precisazione è d’obbligo: nel caso in cui venisse meno l’autosufficienza economica, permarrà sempre e comunque il più contenuto diritto agli alimenti, nelle ipotesi in cui i figli si trovassero in stato di bisogno.

Tale diritto trova fonte nella previsione disciplinata dagli art. 433 e seguenti cc, che riconosce tale beneficio a chi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, in una misura proporzionale al bisogno di chi ne faccia domanda ed alle condizioni economiche di chi deve somministrare la contribuzione, ma contenuta a quanto sia strettamente necessario per la vita dell’alimentando, tenuto conto della sua posizione sociale.

La ratio è assicurare ad un soggetto divenuto bisognoso la minima tutela per far fronte alle elementari esigenze di vita, nell’ipotesi di incapacità consolidata a farvi fronte.

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Il diritto agli alimenti è quanto strettamente necessario per vivere e si riferisce ad uno stato di bisogno, legato all’incapacità di provvedere al proprio manentimento

Un diritto che, per inciso, può spettare ai figli nei confronti dei genitori, ma anche ai genitori verso i figli, nel caso in cui siano gli ascendenti i soggetti divenuti indigenti e necessitevoli di aiuto economico.

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Assegno divorzile e nuova relazione

Assegno divorzile e nuova relazione.

 

Assegno divorzile e nuova relazione (stabile): il diritto si perde una volta per tutte.

Due aspetti da tenere in assoluta considerazione:
1. con la sentenza che pronuncia il divorzio il tribunale può disporre l’obbligo di un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive.
2. tale obbligo cessa se il coniuge al quale debba essere corrisposto l’assegno passi a nuove nozze.

nuova relazione
il diritto alla corresponsione di assegno divorzile cessa se l’ex coniuge beneficiario passi a nuove nozze o intrattenga una stabile relazione more uxorio

In tale ipotesi, infatti, a mantenerlo ci penserà il nuovo consorte.

Assegno divorzile e nuova relazione: la posizione della giurisprudenza.

La giurisprudenza è pervenuta al risultato di equiparare l’instaurazione di una nuova stabile relazione more uxorio con le nuove nozze, con l’effetto di risolvere l’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile anche in tale fattispecie.

Ovviamente, non dovrà trattarsi di una relazione di passaggio, precaria, abbozzata, ma un rapporto di convivenza stabile, dal quale si possa evincere l’instaurarsi di una vera e propria nuova famiglia di fatto, che provvederà autonomamente al proprio sostentamento.

Bene, le pronunce successive si sono soffermate ad analizzare l’ipotesi in cui, il coniuge assegnatario di assegno divorzile, abbia iniziato – per un tempo significativo – una relazione stabile, come quella sopra indicata, e che anche questa sia poi naufragata.

In tal caso non si assisterà alla resipiscenza dell’originario diritto all’assegno divorzile a carico dell’ ex coniuge, il quale, con il consolidarsi della nuova relazione di quello che era stato suo consorte si è completamente e definitivamente affrancato da ogni obbligo assistenziale.

Si noti: tale obbligo non è sospeso con la nuova relazione intrattenuta dal beneficiario dell’assegno, bensì interrotto e non potrà riprendere con il venir meno del rapporto sentimentale che ne ha causato la cessazione.

la nuova relazione e assegno
la nuova relazione farà cessare definitivamente, una volta per tutte, l’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile, anche se dovesse naufragare.

Una recentissima ordinanza  della Corte di Cassazione, ha ribadito chiaramente il concetto, sottolineando che “ l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicchè il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost., come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo“.

L’ordinanza: Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., (ud. 07-06-2017) 21-07-2017, n. 18111

 

 

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Mancato pagamento assegno di mantenimento: c’è il fondo di solidarietà

Mancato pagamento assegno di mantenimento: può essere tamponato dal fondo di solidarietà, ma solo per il coniuge in stato di bisogno.

L’intervento legislativo ha già un paio d’anni. Ed è stato istituito in via sperimentale.
Una recente pronuncia del Tribunale di Milano è l’occasione per fare il punto della situazione.
E’ noto: si può ottenere anche la sentenza più alta della Suprema Corte, ma se la controparte – condannata a pagare un importo a proprio favore – non ha beni su cui potersi soddisfare, anche il più autorevole provvedimento rischia di restare lettera morta.

fondo solidarietà
Mancato pagamento assegno mantenimento: previsto l’intervento del fondo di solidarietà…

E così è frequente l’ipotesi in cui sia attribuito ad un coniuge il diritto a percepire un assegno di mantenimento e che non solo l’altro consorte rimanga inadempiente, ma anche non abbia patrimonio aggredibile in via esecutiva.
Su questo presupposto, il legislatore ha istituito – in via sperimentale, nell’auspicio che si possa assestare definitivamente- un fondo di solidarietà volto ad aiutare le famiglie in difficoltà a seguito della separazione.
In buona sostanza, “il coniuge in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi, qualora non abbia ricevuto l’assegno  – determinato nell’ambito della separazione – per inadempienza del coniuge che vi era tenuto può rivolgere istanza da depositare nella cancelleria del tribunale del luogo ove ha residenza, per l’anticipazione di una somma non superiore all’importo dell’assegno medesimo”.
Non basta, quindi, che ci sia un inadempimento del coniuge che debba versare l’assegno, ma che il consorte a cui sia stato attribuito si trovi in “stato di bisogno“.
In questo caso, se il Tribunale riterrà che vi siano i presupposti, girerà l’istanza al Ministero della Giustizia, il quale provvederà a corrispondere al coniuge bisognoso somme nella misura massima pari all’ammontare dell’assegno e potrà agire in regresso nei confronti del coniuge inadempiente.
Due ulteriori precisazioni.
-In caso di rigetto dell’istanza non sarà possibile impugnare il provvedimento.
– L’istanza può essere proposta senza pagamento di contributo unificato.
Ecco, allora, la recente pronuncia del Trib. Milano, che con Decreto, 13/04/2017, ha precisato che la domanda di accesso al “fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno” puo’ essere avanzata solo dal coniuge a favore del quale, a seguito della separazione, è disposta l’erogazione dell’assegno di mantenimento” (personale)  “mentre una simile possibilità è esclusa se sono i figli a percepire l’assegno, erogato a loro favore ai sensi dell’art. 337-ter c.c. (il quale prevede che i genitori devono provvedere al loro mantenimento)“.

coniuge in stato di bisogno
…non se il coniuge non sia titolare personalmente di assegno di mantenimento, ma solo i figli

In buona sostanza, pare di capire, se sia il coniuge – titolare di un assegno di mantenimento (anche) per sè – a chiedere l’intervento economico, nulla quaestio. Se, diversamente, lo fosse il  genitore nell’interesse dei soli figli, allora non sarebbe possibile giusto il rigoroso dettame normativo e la rigida interpretazione del medesimo.
Lo stesso provvedimento del Tribunale, per vero, sottolinea  che “la Dottrina ha sollevato dubbi in merito alla legittimità costituzionale di questa scelta (art. 3 Cost.) poiché solo il “genitore” che sia al contempo titolare di assegno ex art. 156 c.c. ha diritto di accesso al Fondo e non anche quello astrattamente più svantaggiato ossia il genitore che non goda di alcun assegno (e magari non percepisca alcun reddito per sé); tuttavia, al momento, il regime giuridico in esame è eccezionale e transitorio e, pertanto, sperimentale (dunque, non destinato a perdurare nel tempo)

 

 

 

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Mancato pagamento assegno di mantenimento

Il matrimonio non consumato può essere sciolto direttamente senza separazione

Matrimonio non consumato: una circostanza che può intaccare la stabilità del vincolo

Omnia amor vincit!

Matrimonio senza sesso
il Matrimonio non consumato può essere sciolto

L’amore vince tutto…quello paziente, però. Così pare, indirettamente, suggerire la pronuncia della Cassazione oggi in esame. Per poter considerare una relazione tra due persone al rango di quella matrimoniale, dopo aver celebrato le nozze i due sposini debbono “consumare” il matrimonio. Si deve instaurare, cioè, oltre alla comunione spirituale tra i consorti, anche quella fisica, altrettanto imprescindibile.

Altrimenti? Pena la possibilità di chiedere direttamente lo scioglimento del matrimonio, senza passare tramite il periodo di separazione, per i coniugi che, appunto, non abbiano intrattenuto il “congresso carnale”.

E’ logico: l’inconsumazione  è una sorta di spia circa le possibilità di funzionamento della macchina coniugale e conferisce, pertanto, una soluzione pronta ed immediata per le coppie che abbiano questi problemi e vogliano porre urgente termine al loro vincolo matrimoniale.

Ma andiamo in profondità al caso di oggi.

Una coppia di neo sposi, dopo aver convolato e prima di aver adempiuto ai conseguenti “doveri”, viene separata dal braccio della giustizia, che – spietato – viene a segregare il marito dietro le sbarre, per un periodo di tempo notevolissimo.

Quest’ultimo, preoccupato che il vincolo matrimoniale testè conseguito possa venir meno, senza aver consumato il rapporto coniugale, chiede un permesso cd ” di necessità” – che l’ordinamento penitenziario riconosce come rimedio d’urgenza ai detenuti che vertano in condizioni di particolare gravità – per poter incontrare la moglie in una casa di accoglienza e così sigillare fisicamente quanto solo verbalmente celebrato.

E l’impossibilità di adempiere ad un dovere sì rilevante ai fini del vincolo matrimoniale è stata prospettata dal detenuto come circostanza di “particolare gravità“.

Non così è parso al Tribunale, chiamato in prima battuta a pronunciarsi sulla questione. E nemmeno a parere della Cassazione. “Ci sono i permessi premio“, viene obiettato,  ossia delle uscite concesse a scopo premiale a detenuti che abbiano “manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali”. Ma dopo un consistente periodo di detenzione.

matrimonio non consumato in carcere
Non può essere chiesto un permesso per consumare il vincolo.

Nel caso di specie, è stato osservato, non rientrano i gravi motivi, che sono connotati da “carattere emergenziale ed eccezionale e, quindi, coerentemente limitati a situazioni la cui gravità si ponga in termini di irreparabilità attuale (morte di un familiare o di un convivente) o concretamente probabile (imminente pericolo di vita degli stessi), o sia comunque connotata dall’incombere di eventi familiari particolarmente pregiudizievoli“. L’amore vince tutto, se è paziente.

 

L’augurio per questo matrimonio inconsumato è che la pazienza sappia reggere al passare degli anni. La Sentenza: Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-09-2015) 12-01-2016, n. 882  

 

 

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matrimonio non consumato

Assegno divorzile: dopo la sentenza della Cassazione, si potrà chiedere la revisione?

Ariecchice.

Torniamo sul luogo del delitto.
L’eco della sentenza n. 11504/2017 ancora risuona nelle diverse compagini sociali, poichè davvero consistente è stato il revirement dei giudici ermellini.
Dal diritto al mantenimento di un tenore di vita analogo a quello condotto in costanza di matrimonio all’aiuto limitato solo al caso di (incolpevole) non autosufficienza economica.
Ti pare poco?
Il futuro è segnato per le prossime cause divorzili? Forse non definitivamente: il provvedimento della Corte di Cassazione, emesso da sezione semplice, contrasta con precedente pronuncia a Sezioni Unite. Si dovrà valutare l’assestamento della scossa impressa dalla menzionata Sentenza su quelle che la seguiranno.
Molti diretti interessati si interrogano se il mutato orientamento possa esser fatto valere anche per i procedimenti precedenti al “lancio della bomba“.
Al riguardo, vediamo cosa prevede la legge.
L’art. 9 della L. 898/1970 (disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), stabilisce che “Qualora sopravvengono giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6.”
Si noti bene: giustificati motivi – sopravvenuti.
Per poter chiedere la revisione è necessario che sia intervenuto un qualcosa che non sussisteva al momento della determinazione delle condizioni divorzili.
E’ “giustificato motivo”, per esempio, la perdita della capacità lavorativa dell’ex coniuge tenuto al versamento.
Lo è, ancora, l’aumento considerevole del reddito del medesimo.
Potrebbe esserlo, ma non sempre, una nuova paternità/maternità da relazioni successive.
Non è pacifico che lo sia, non ho trovato precedenti in tal punto, un nuovo orientamento giurisprudenziale che disciplini in maniera differente gli ambiti che ci interessano in questa sede.
In particolare: potrebbero essere causa di revisione le sopravvenute acquisite disponibilità economiche del coniuge, già titolare di assegno divorzile, che gli consentano, ora, e a differenza di quanto in precedenza, un sostentamento autosufficiente.
Più controverso, da valutare, se la semplice pronuncia della Cassazione costituisca, di per se’. giustificato e sopravvenuto motivo per riconsiderare le medesime condizioni preesistenti a tale pronuncia ed immutate rispetto a quelle già alla base del provvedimento di divorzio.
Avremo risposta, stiamone certi, dall’autentico stillicidio di pronunce che seguiranno il lancio della”madre di tutte le bombe

 

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assegno divorzile

Assegno divorzile: la Cassazione svolta

Assegno divorzile: la sentenza della Cassazione

Ne parlano tutti, parliamone anche noi.

Ha avuto vasta eco nei giornali e quotidiani di questi giorni la pronuncia della corte di Cassazione che ha mutato il proprio orientamento in punto di assegno divorzile.
La “rivoluzione” ha riguardato il “se” ed il “quanto” tale emolumento sia dovuto.
L’inquadramento precedente imponeva al Tribunale di valutare, al momento del divorzio, se il coniuge economicamente più debole godesse di “mezzi adeguati” o potesse  comunque procurarseli, imponendo, in difetto di ciò, un contributo economico in suo favore a carico dell’ex.

assegno divorzile
Cassazione, cambio di rotta per l’assegno divorzile: dal tenore di vita goduto durante il matrimonio…

Parametro di riferimento utilizzato per determinare la ricorrenza dei presupposti per l’assegno ed il relativo ammontare, risiedeva nel “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio“.
Il coniuge a cui corrispondere la contribuzione, in buona sostanza, poteva essere economicamente autosufficiente, avere un lavoro, una casa, un patrimonio: ciò che contava era un confronto tra il prima ed il dopo divorzio. Se il suo stile di vita post scioglimento del matrimonio sarebbe risultato deteriore rispetto a quello mantenuto durante la vita coniugale, avrebbe avuto diritto ad un supporto, di carattere assistenziale, da parte dell’ex (purchè ovviamente costui ne avesse avuto la possibilità economica).
La valutazione del recente intervento giurisprudenziale è questa. Con il divorzio il matrimonio si scioglie. Due persone, prima coniugi, tornano ad essere single e tali devono essere considerate.
E’ errato, pertanto, prendere come riferimento il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, allorquando, per l’appunto il matrimonio non c’è più. Non si possono prendere in considerazioni presupposti che riguardano situazioni diverse.
Non solo. Deve essere valorizzato il principio dell’autoresponsabilità delle persone. Come si è liberi di effettuare le proprie scelte con le nozze (mi sposo o no? chi sposo? con che regime patrimoniale? figli? etc), assumendosi le relative conseguenze, così si deve essere quando si pone fine al matrimonio, facendosi carico di tutto ciò che deriverà da questa scelta.

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..al principio dell’autosufficienza economica.

E’ stato, pertanto, ritenuto che il parametro da prendere a riferimento per concedere o meno l’assegno divorzile fosse l’autosufficienza economica del coniuge richiedente l’assegno.
Riprendendo un principio vigente in ambito del mantenimento dei figli, che impone tale onere in capo ai genitori fino a quando i discendenti siano, per l’appunto, divenuti economicamente autosufficiente, così i giudici ermellini hanno ritenuto sussistere il diritto alla contribuzione in favore del coniuge che da solo non potrebbe andare avanti e che non sarebbe  in grado, per questioni di età, salute o altro di potersi mantenere.
L’assegno, in tali casi, sarà dovuto nei limiti del necessario per campare e non, come era in precedenza, per poter vivere in maniera simile a prima del divorzio.
Il matrimonio, pertanto, non dovrà essere considerato più un’ “assicurazione sulla vita” che garantisce ad un coniuge di poter godere, alle spalle dell’altro, di un “reddito” costante, vita natural durante, ma un percorso, con le sue regole, cessato il quale si recupera la propria identità personale singola e responsabilizzata.
Le considerazioni, sul punto, sono state numerose e di vario tenore.
A sommesso parere di chi scrive, è impossibile cancellare, con un colpo di spugna, un percorso come quello matrimoniale e procedere, in seguito, come nulla fosse stato.
C’è di mezzo una vita coniugale, più o meno lunga, nel corso della quale moglie e marito hanno condiviso eventi, preso decisioni, cresciuto figli, fatto sacrifici assieme.
Tutto in virtù di un unico progetto  (“i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare” art 147 cc)  ed osservando un preciso obbligo di legge (“collaborazione nell’interesse della famiglia”, art 143 cc).
Non solo.
All’esito del percorso matrimoniale, uno dei coniugi potrebbe godere di una situazione economica significativamente migliore dell’altro – vuoi per l’entità dei beni patrimoniali personali acquisiti durante il matrimonio, vuoi per un lavoro più remunerativo – tralasciando la circostanza che l’ex partner è stato partecipe di molte scelte fatte in quegli ambiti, vivendole di prima persona, e talvolta consentendo al consorte di poter coltivare la propria realizzazione personale, provvedendo ad un maggior apporto in ambito casalingo o seguendo di più i figli. Qualcuno lo doveva pur fare e quel qualcuno è giusto che non se ne vada con le ossa rotte, restando a mani vuote per il suo sacrificio, all’esito del matrimonio, .
Si plaude, pertanto, all’intento della Cassazione di valorizzare la responsabilità degli ex coniugi, criticandosi, dall’altro lato, il poco attento approccio volto a elidere gli ineliminabili effetti di ultra-attività del matrimonio.
La sentenza: Cass. Civ. 11504/2017

 

 

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Gratuito patrocinio per separazione e divorzio: il protocollo di Vicenza

Gratuito patrocinio per separazione e divorzio: vediamo insieme quando è possibile.

Lo recita la nostra Costituzione: “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” (art. 24)
Tutti?

gratuito patrocinio per separazione
Gratuito patrocinio per separazione e divorzio

Tutti, alti e bassi, poveri e ricchi, di qualsiasi ceto, religione o convincimento politico,  senza distinzione alcuna.
La difesa, infatti, “è diritto inviolabile in ogni fase e stato del procedimento“.
Se una persona non avesse i mezzi economici per far fronte alla tutela dei propri diritti, “sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione“.

L‘istituto che ci interessa è, appunto, il patrocinio a spese dello stato:

allorquando un soggetto si trovasse nella necessità di intraprendere – vuoi come attore, vuoi come convenuto – un procedimento giudiziario, civile, penale, amministrativo, e non avesse redditi sufficienti per farvi fronte, potrà chiedere, ed ottenere se ve ne siano i presupposti, che sia lo stato a pagare il compenso al suo avvocato.

Requisiti per il gratuito patrocinio:

  • avere un reddito annuo imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.528,41. Attenzione: nel calcolo vanno fatti rientrare tutti i redditi degli appartenenti al nucleo familiare.
    Se, pertanto, l’interessato convivesse con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante.
  • Nel reddito vanno fatti rientrare anche compendi – es indennità  ed  assegni erogati agli invalidi civili, l’assegno sociale – che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, (ad es. gli interessi sui conti correnti bancari o postali) ovvero ad imposta sostitutiva (ad es. interessi sui BOT o su altri titoli del debito pubblico).

Laddove ci fossero dette condizioni, si potrà presentare la relativa istanza presso il competente Ordine degli Avvocati, corredandola con idonea documentazione, eventualmente indicando da quale  avvocato, tra quelli iscritti nell’apposito elenco, si desideri essere assistiti.

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Gratuito patrocinio per separazione e divorzio: il protocollo di Vicenza

E nel caso di separazioni o divorzi? Quando è possibile avere il gratuito patrocinio per separazione e divorzio?

Vale anche in questo caso la possibilità di avvalersi dell’istituto in esame.
Il Tribunale di Vicenza, con un recente protocollo, ha dato la linea di indirizzo su alcuni punti controversi in proposito.
Se la separazione è giudiziale, nessuna questione. Ciascuno dei coniugi potrà chiedere il gratuito patrocinio per la separazione, allorquando rientrasse nei limiti di reddito sopra indicati.
Ben potrebbe essere dato che uno dei consorti possa accedere al beneficio, mentre l’altro, sforando il tetto massimo, dovesse pagare di tasca propria il difensore.

In caso di separazione consensuale, andrà operato un distinguo.
Nel caso in cui la coppia di coniugi intendesse avvalersi del medesimo difensore, per la concessione del beneficio non dovrà in alcun modo essere superato il limite di reddito sopra indicato, attualmente pari ad € 11.528,41, risultante dal cumulo dei redditi di entrambi i coniugi.
Se i consorti, per ragioni di opportunità, intendessero farsi assistere da avvocati diversi, ognuno il proprio, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati valuterà “caso per caso se ammettere al beneficio, tenuto conto dei redditi dei coniugi e del conflitto esistente sulle condizioni di separazione“. In questo caso, “i difensori dovranno documentare l’opera svolta per addivenire all’accordo di separazione“.
Se i coniugi fossero già separati ed intendessero procedere al divorzio, è naturale che, non essendo più conviventi, non opererà il cumulo dei redditi.

L’avvocato Andrea Berto unitamente al fratello Paolo Giovanni Berto si occupa di separazione e divorzi a Vicenza e fuori sede ed è iscritto all’elenco degli avvocati con il patrocinio a spese dello stato, riportato al seguente  link:

Il protocollo del Tribunale di Vicenza sul patrocinio a spese dello stato

La modulistica per chiedere il patrocinio a spese dello Stato-

 

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Restituzione somme tra coniugi: cosa succede quando l’appartamento è solo dell’altro?

Restituzione somme tra coniugi. Il coniuge non può chiedere il rimborso delle spese di ristrutturazione dell’appartamento di proprietà esclusiva dell’altro.

Un progetto, il matrimonio, che impone diritti e obblighi.

restituzione somme tra coniugi per ristrutturazione
Restituzione somme tra coniugi per ristrutturazione

Dal giorno delle nozze i coniugi concordano l’indirizzo della vita matrimoniale e si assumono importanti oneri.
Tra essi quello all’assistenza materiale ed alla contribuzione ai bisogni della famiglia, ognuno in relazione alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo (art. 143 cc)

Capita sovente il caso in cui un consorte sia già proprietario di un immobile prima del matrimonio ma che, per renderlo adattabile alle esigenze della famiglia costituita, siano necessari interventi di ristrutturazione.
Che ne è se il coniuge, non proprietario, impieghi denaro personale per le opere di riattamento dell’appartamento dell’altro? E’ possibile in questo caso la restituzione somme tra coniugi?
Una recente sentenza della corte d’Appello di Lecce ci dice di no.

restituzione somme tra coniugiIl diniego trae origine proprio in considerazione dell’obbligo contributivo che abbiamo richiamato all’inizio del post.
Poichè è obbligo dei coniugi – di entrambi – partecipare ai bisogni della famiglia, allorquando si impieghino somme a tal fine esse non sono rimborsabili ma frutto, per l’appunto, di un preciso dovere coniugale.
A poco vale l’obiezione che si sia incrementato il valore di un bene che rimarrà nell’esclusiva proprietà di un solo consorte, ne’ che le spese di ristrutturazione possano travalicare i limiti strettamente necessari per l’adempimento dell’obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia.

La pronuncia della corte pugliese è perentoria: ” i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti in virtù della disposizione citata, non si esauriscono in quelli minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi; situazioni che, quindi, indipendentemente dal valore economico, sono comunque riconducibili alla logica della solidarietà coniugale“.
La sentenza: App. Lecce Sez. II, Sent., 04-07-2016

 

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Affidamento figli. Se un genitore separato va a lavorare altrove, che ne sarà dei figli?

Affidamento figli: Il nostro ordinamento è improntato alla massima tutela della prole, sia nell’ambito della vita matrimoniale, sia dopo la separazione.

affidamento figli
Affidamento figli. A chi spetta se vado a lavorare lontano?

Da un lato, infatti, all’art. 315 bis, il codice civile stabilisce che “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni..” e che “ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti“.
Dall’altro, il legislatore ha sancito che – a seguito di separazione o divorzio, “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.” Per realizzare tale finalità “il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” (art 337 ter cc).

E’ da chiedersi come la massima tutela dei figli possa essere “combinata” con le prerogative di vita dei genitori, anche lavorative.

In particolare, capita – ed in tempo di crisi sempre più di frequente – che uno degli (ex) coniugi debba trasferirsi in altra città, magari molto lontana rispetto a quella dove risiedono i figli – per esigenze lavorative.
Che ne sarà dei figli? A chi spetterà l’affidamento dei figli? Il genitore deve rinunciare alle proprie ambizioni?  Che ne sarà del paritario diritto dell’altro genitore ad avere un rapporto continuativo con la prole?
La questione non è da poco conto.
Se ne sono occupati parecchio i Tribunali e si rinvengono parecchie pronuncie al riguardo.
Da ultima, una recente sentenza della Cassazione ha ribadito un solco già consolidato.
In buona sostanza, i figli erano affidati in via condivisa ad entrambi i genitori.
La loro – bruttissimo termine – “collocazione” era “paritaria”, ossia con eguale permanenza presso la residenza del papà e della mamma.
Il padre era spesso fuori città per motivi di lavoro.
La mamma, di recente, aveva vinto un concorso che avrebbe imposto il trasferimento in un altra città.
Che ne sarebbe stato dei figli? Entrambi i genitori avevano manifestato la volontà di tenerli presso la propria città e residenza.
La Corte, dapprima, ha valutato  quale dei due coniugi fosse il più indicato ad essere collocatario prevalente della prole: e qui è stata ritenuta maggiormente idonea la mamma, proprio perchè assicurava maggior presenza giornaliera, rispetto al marito, spesso fuori casa e, comunque, dando per consolidato come la madre, in genere, fosse il soggetto più portato a meglio seguire i figli in età prescolare.
Quindi, passando ad esaminare la circostanza della necessità di trasferimento della mamma, ha statuito che tale eventualità fosse una legittima prerogativa della stessa, avendo diritto ogni cittadino alla propria massima realizzazione.
affidamento congiuntoEd infatti la Corte ha evidenziato che ”  trasferimento della propria residenza e sede lavorativa sono oggetto di libera e non conculcabile opzione dell’individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale
Vi è di più: si precisa che “il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell’altro coniuge non perde per ciò l’idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario“.
Atteso quanto sopra, e dato quindi per acclarata come legittima e tutelabile l’ambizione di uno dei genitori a realizzarsi lavorativamente, trasferendosi in altra città, al giudice non rimarrà che decidere chi tra padre e madre sia più indicato per essere il collocatario prevalente dei figli, improntando la sua valutazione all’esclusivo e preminente interesse di questi ultimi.
E nel caso di specie…. ha prevalso la mamma, “per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario“.

La sentenza: Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-09-2016, n. 18087

 

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Separazione: riduzione assegno di mantenimento se nasce un nuovo figlio

Riduzione assegno di mantenimento:  se nasce un nuovo figlio le condizioni possono essere riviste.

Le condizioni che discipleranno la separazione debbono essere attentamente valutate dai coniugi, poichè non potranno essere in seguito modificate a causa di ripensamenti o perchè valutate sconvenienti o svantaggiose.

riduzione assegno di mantenimento
Quando è posibile la riduzione assegno di mantenimento se nasce un nuovo figlio?

L’unica possibilità di riduzione assegno di mantenimento è data da una eventuale e sopravvenuta mutazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi rispetto a quelle tenute in considerazione al momento della separazione, con effetti sia riguardo ai provvedimenti inerenti il mantenimento e l’affidamento della prole, sia relativamente al mantenimento del coniuge.

I “giustificati motivi” che presiedono la possibilità di riduzione assegno di mantenimeneto non possono ovviamente essere rinvenuti in scelte discrezionali ed unilaterali dei coniugi, (ad esempio scegliere di abbandonare il lavoro, stipulare un contratto di locazione maggiormente oneroso rispetto al precedente, intraprendere una nuova e dispendiosa attività) assunte nella consapevolezza dei propri obblighi derivanti dalla separazione ed in dispregio delle conseguenze che avrebbero comportato.

Ora, una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione si è fermata a riflettere sull’ipotesi in cui sopravvenga un nuovo figlio da altra relazione, successiva alla separazione.
Il marito, tenuto a corrispondere alla moglie un assegno di mantenimento, nonchè a contribuire a quello del figlio nato dalla relazione coniugale, intrapresa una nuova storia d’amore, diviene padre di un altro bambino: è legittimato a chiedere una revisione delle condizioni di separazione, alla luce delle maggiori spese che dovrà affrontare per la nascita del nuovo figlio?
Per i Giudice ermellini tale circostanza,  “pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico”.

Nella fattispecie si è ritenuto congruo “spalmare” la contribuzione del padre in favore di tutti i figli, con conseguente riduzione dell’assegno dei figli di primo letto.
Non solo.
Per quanto attiene l’obbligo al mantenimento della moglie, la nuova paternità comporterà la possibilità di rivederne l’ammontare o addirittura l’esclusione. Con una precisazione: non si deve pensare che la contribuzione nei confronti del coniuge debba essere “recessiva”, ossia di minor importanza, rispetto a quella dei figli, dovendosi “ anche in tale ipotesi valutarsi l’incidenza della circostanza sopravvenuta per verificare se sia in concreto giustificata la revoca o la modifica delle condizioni già fissate“.
La sentenza: Cass. civ. Sez. I, 13/01/2017, n. 789

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