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Modifica assegno di separazione o divorzio? Gli importi già percepiti non vanno restituiti

 

 

Gli importi già percepiti non debbono essere restituiti in caso di modifica assegno di separazione o divorzio

 

 

 

È meglio aver amato e perso
che non aver amato mai.
(Alfred Tennyson)

 

 

Non è una bella consolazione per chi, dopo aver amato, abbia perso la possibilità di conseguire la restituzione dei maggiori importi versati, anche a seguito di una pronuncia che abbia ridotto consistentemente il proprio obbligo contributivo nei confronti del (ex) coniuge.

Ma è così.


Ce lo dice la Cassazione con una pronuncia slim and smooth.

Il caso.

A seguito della presentazione dei coniugi davanti il Presidente del Tribunale, questi disponeva l’obbligo del marito di versare alla moglie l’importo di 700 euro al mese.


Il provvedimento presidenziale è temporaneo ed urgente, va a regolare cioè le condizioni della separazione nelle more del procedimento, fino alla sentenza conclusiva, che potrà – per dirla alla Alessandro Borghese – confermare o ribaltare la statuizione iniziale.


Bene, nel caso in esame il Tribunale, con la decisione finale, aveva ridotto l’ammontare dell’assegno a 400 euro mensili.

 

assegno divorzile: quando/quanto?
Modifica assegno di separazione o divorzio Gli importi già percepiti non vanno restituiti

 


Domandina: se il provvedimento più importante, la sentenza, che viene a statuire (più o meno) definitivamente la lite tra le parti, stabilisce che la somma congrua e corretta, anche alla luce delle prove che sono state conseguite nel corso del processo, sia un importo minore di quello provvisorio fissato all’inizio del procedimento, i 300 euro in più corrisposti ogni mese dal marito fino alla pronuncia possono essere chiesti indietro alla moglie?


La risposta è negativa.


Normalmente, gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda se a tale momento esistevano le condizioni richieste per l’emanazione del provvedimento  .

Chiedo qualcosa, se ottengo vittoria, gli effetti della pronuncia decorrono da quando ho proposto la mia domanda, altrimenti il decorso del tempo mi pregiudicherebbe.


La giurisprudenza tuttavia, a più riprese, si è pronunciata nell’attenuare la retroattività della sentenza nei processi di separazione e divorzio.


Il motivo è dettato dalla natura alimentare degli importi corrisposti a tale titolo, che la legge considera irripetibili, non pignorabili e non compensabili con altri crediti vantati da chi debba versarli.

 


La conseguenza: il provvedimento finale è retroattivo ma … la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni, non più dovute in base alla sentenza di modificazione delle condizioni di separazione, non sarà più tenuto a corrisponderle, con la conseguenza che contro di lui non potrà agirsi esecutivamente.


In buona sostanza, se la moglie ha percepito 300 euro al mese in più rispetto alla decisione finale del Tribunale, il marito non potrà chiederne la restituzione.

Se tuttavia egli non abbia versato tale maggiore importo, allora non sarà tenuto a corrisponderlo, perchè gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda.

 

 

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Assegno divorzile: quando/quanto?

 


Assegno divorzile: quando/quanto? Non basta la semplice disparità dei redditi.

 

 


“Il divorzio è un sistema per mezzo del quale, se due persone commettono un errore, una sola delle due deve pagare per questo.”
LEN DEIGHTON (scrittore)

 

 

Ci permettiamo di dissentire: è circostanza assodata che separazione e divorzio costituiscano un lusso per molti, dato che la coperta (economica) è corta per entrambi i coniugi e tutti e due rischino di andar via con le ossa rotte dalla soluzione del vincolo.


Oggi, grazie ad una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione – che ha mirabilmente compendiato la nuova prassi giurisprudenziale venutasi a creare, a seguito di orientamenti significativamente divergenti – facciamo il punto della situazione in merito al quesito “assegno divorzile: quando/quanto?

 

assegno divorzile vicenza


Partiamo da ciò che dice la legge.


Art. 5 L. 898/1970  : Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

 

Bene, il Tribunale – tenuto conto di una serie di circostanze compiutamente enunciate – dispone l’obbligo di versare un assegno divorzile a favore dell’ex coniuge che non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni obiettive.


La parola della legge è chiara, difficile interpretarla.


Quando il beneficiario non ha mezzi adeguati? Ed a quanto deve ammontare l’assegno?


Assegno divorzile: quando/quanto?


Dal 1970 ad oggi sono intervenute diverse interpretazioni della norma citata.

Gli orientamenti significativi sono tre.


– Il più risalente, anno 1990 , affermava che il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile “di modo che deve essere negato se richiesto solo sulla base di premesse diverse, quale il contributo personale ed economico dato da un coniuge al patrimonio dell’altro, atteso che la sua concessione trova presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di ‘bisogno’, e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio”.


In buona sostanza, l’assegno andava concesso laddove sussistesse un insanabile squilibrio tra le posizioni patrimoniali dei coniugi ed era volto a garantire al beneficiario un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.


Carattere assistenziale, pertanto: va aiutato l’ex coniuge che non abbia mezzi adeguati per vivere come prima.

 

 

ammontare assegno divorzile
assegno divorzile: quando/quanto?


– Un secondo orientamento , che ha fatto molto discutere anche perchè d’epoca recente, (ne avevamo parlato in questi post 1, 2), sconfessava la consolidata interpretazione precedente e poneva l’attenzione sulla circostanza che il divorzio risolvesse la condizione matrimoniale e non fosse  possibile prendere a riferimento elementi – quali il tenore di vita goduto in costanza di vincolo coniugale – non più esistenti e non più attuali per il nuovo stato delle parti.


Quindi? L’esclusivo parametro per il giudizio d’inadeguatezza dei redditi o dell’impossibilità oggettiva di procurarseli doveva essere quello dell’indipendenza economica del richiedente.

L’autosufficienza poteva essere desunta dal possesso di redditi di qualsiasi specie, di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, della disponibilità di una casa di abitazione e della capacità e possibilità effettive di lavoro personale.


Bastava, in sostanza, che il coniuge richiedente avesse qualcosa di cui campare, anche minimo, che non gli sarebbe spettato alcunchè. Un eventuale aiuto dall’ex consorte sarebbe consistito in una contribuzione del tutto slegata da tenore di vita precedente e volta a costituire un sussidio base per poter vivere.


– Il terzo orientamento, quello attualmente vigente, prende le mosse da una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite  che ribalta ancora le precedenti interpretazioni: l’assegno divorzile ha valenza sia assistenziale che compensativa e perequativa.


Ehhh?


Tranquilli, ci spiega bene il concetto la sentenza della Cassazione cui facevo riferimento all’inizio di questo contributo.


Il caso da dirimere verteva sulla richiesta dell’ex moglie di vedersi riconosciuto dal facoltoso marito un cospicuo contributo a titolo di assegno divorzile sul presupposto che, dopo vent’anni di matrimonio, essa aveva perso e deteriorato le proprie capacità lavorative e reddituali. Aveva ricevuto, in verità, una casa al mare di consistente valore, ma era, per l’appunto, solo un’abitazione per la vacanza, non già fonte di reddito.

 

quando è dovuto assegno divorzio


La pronuncia degli ermellini, sapientemente riassume l’attuale orientamento giurisprudenziale.


L’assegno divorzile ha natura variegata:

– una finalità assistenziale: è un aiuto al (ex) coniuge che non abbia mezzi adeguati. Si badi, il parametro della conservazione del tenore di vita non ha più cittadinanza nel nostro sistema, per cui nulla sarà dovuto in caso di autosufficienza economica delle parti, se abbiano, cioè, la possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente.


E’ opportuno precisare che l’assegno nonbsarà comunque dovuto qualora entrambi i coniugi non abbiano mezzi propri adeguati per vivere dignitosamente, pure in presenza di un relativo squilibrio delle rispettive condizioni reddituali e patrimoniali.


– una finalità compensativa/perequativa, ossia volta a rimediare ad uno squilibrio patrimoniale venutosi a creare a causa delle scelte di vita concordate degli ex coniugi, per effetto delle quali uno di essi abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune.


La suddetta valutazione andrà operata con riferimento ai criteri indicati dalla norma divorzile sopra citata, tra i quali la durata del matrimonio, che incideranno sulla quantificazione dell’assegno.


Nell’ambito di questo accertamento – precisa la Corte – lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono, da soli, elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno.

Il mero dato della differenza reddituale tra i coniugi è coessenziale alla ricostituzione del tenore di vita matrimoniale, che è però estranea alle finalità dell’assegno nel mutato contesto.

L’attribuzione e la quantificazione dello stesso non sono variabili dipendenti soltanto dall’alto (o dal più alto) livello reddituale di uno degli ex coniugi, non trovando alcuna giustificazione l’idea che quest’ultimo sia comunque tenuto a corrispondere all’altro tutto quanto sia per lui “sostenibile” o “sopportabile”, quasi ad evocare un prelievo forzoso in misura proporzionale ai suoi redditi.

Un esito interpretativo di questo genere si risolverebbe in una imposizione patrimoniale priva di causa, che sarebbe arduo giustificare in nome della solidarietà post-coniugale”.

E’ interessante l’inciso finale del provvedimento in esame, che toglie spazio a qualsiasi possibilità di quantificare l’assegno in base ad una semplice percentuale dei redditi del coniuge più abbiente: se è vero che l’assegno può essere attribuito anche solo per finalità di tipo compensativo … dovrà essere parametrato unicamente al contributo personale dato alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge e alle esigenze di vita dignitosa del coniuge richiedente


La Sentenza: Cassazione Civile n. 21234 /2019 

 

 

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Pensione di reversibilità coniuge separato o divorziato

Pensione di reversibilità coniuge separato o divorziato: facciamo il punto.

Si può cancellare dal cuore il dolore di una perdita?
No. Ma ci si può rallegrare con ciò che si ricava da essa
.”
Paulo Coelho

Oddio, rallegrare è una parola grossa, ma è indubbio che poter contare su un sostegno economico possa aiutare ad attutire la caduta ed a tamponare alcune preoccupazioni che potrebbero conseguire dalla perdita di un proprio caro.


Quando muore una persona, un effetto che immediatamente si determina è il venir meno del sostegno economico che il defunto, con il proprio lavoro o con la propria pensione, apportava ai suoi famigliari.
Per tamponare tale assai pregiudizievole conseguenza, la legge ha disposto l’istituzione della pensione di reversibilità, ossia il trasferimentodel diritto di percepire parte della pensione della persona deceduta ad alcune categorie di soggetti specificamente determinate.


In particolare, il R.D. n. 636/1939 art. 13, stabilisce che.
nel caso di morte del pensionato … spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato .. non abbiano superato l’età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi.
Le quote di reversibilità, per quanto qui ci possa interessare, sono:
a) il 60 per cento al coniuge;
b) il 20 per cento a ciascun figlio se ha diritto a pensione anche il coniuge, oppure il 40 per cento se hanno diritto a pensione soltanto i figli.

diritto pensione reversibilità


Si noti: la legge non richiede (a differenza che per i figli di età superiore ai diciotto anni, per i genitori superstiti e per i fratelli e sorelle del defunto, etc), quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità, la vivenza a carico al momento del decesso del coniuge e lo stato di bisogno, ma unicamente l’esistenza del rapporto coniugale col coniuge defunto pensionato.


Il diritto pensionistico viene meno se il coniuge superstite o i figli contraessero nuove nozze.

Ci siamo? Bene.

Al coniuge separato spetta qualcosa della pensione del consorte defunto?


La Legge non pone alcuna preclusione al riconoscimento della reversibilità al separato superstite.


Vi erano due sole limitazioni – che la separazione non fosse stata pronunciata per colpa del superstite e che le nozze fossero durate almeno due anni se avvenute dopo che il defunto aveva compiuto 70 – ma sono state spazzate via da pronunce della corte Costituzionale che ne ha pronunciato la illegittimità.


In particolare, non è stato considerato ostativo un eventuale addebito posto a carico del coniuge, poi superstite, in quanto ciò che andava tutelata era la necessità di assicurargli la continuità di quei mezzi di sostentamento, che se fossero sopravvenuti stati di bisogno, il defunto consorte avrebbe dovuto fornire. (C. Cost. 286/1987).


Pensione reversibilità coniuge separato senza assegno di mantenimento.


Sulla scorta di tali identiche motivazioni, la pensione di reversibilità andrà riconosciuta anche al coniuge separato superstite che non fosse beneficiario di alcun assegno di mantenimento a carico del consorte, poi deceduto.


Della questione se ne è occupata recentissimamente la Corte di Cassazione , che ha riformato le pronunce dei gradi precedenti con cui era stato disatteso il diritto di una moglie a vedersi riconosciuta la reversibilità del marito, sul presupposto che non godesse di alcun assegno di mantenimento e che, quindi, non avesse diritto al sussidio, perchè già autosufficiente.


Ebbene, gli ermellini hanno rilevato che se non si debba distinguere, al fine del riconoscimento, il titolo della separazione – con o senza addebito – alla stessa stregua si dovrà ragionare per il coniuge che non abbia alcun diritto economico riconosciuto dalla sentenza separativa.


La ratio della tutela previdenziale è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno, “senza che tale stato di bisogno divenga concreto presupposto e condizione della tutela medesima”.

reversibilità divorzio


Pensione reversibilità per il coniuge divorziato.


Qui è un altro paio di maniche, in quanto la legge stessa ha posto alcuni paletti.
Ce ne siamo già occupati in un post specifico, ma riassumiamo .

L’art. 9 della L. 898/1970 stabilisce che “In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”

Il diritto, pertanto, matura in capo al superstite divorziato se:

  • gli sia stato riconosciuto il diritto all’assegno divorzile;
  • non sia passato a nuove nozze;
  • il contributo pensionistico da devolvere tragga origine da un rapporto di lavoro anteriore alla sentenza di divorzio.

Pensione di reversibilità coniuge separato o divorziato: no se è convolato a nuove nozze

Pensione di reversibilità per il coniuge superstite risposato solo in Chiesa.

Siamo in Italia, e sappiamo che da noi fatta la legge è trovato l’inganno.

Per scampare il pericolo di perdere la reversibilità, è diffusa la consuetudine di risposarsi solamente con rito religioso, senza conseguire gli effetti civili del vincolo e, con essi, le conseguenze inerenti al rapporto matrimoniale riconosciuto dallo Stato.

Si faccia attenzione.

Se si dovesse procedere successivamente alla trascrizione del matrimonio canonico, si rischierebbe di dover restituire gli importi conseguiti nel frattempo a titolo di pensione di reversibilità.

Ai sensi di legge, infatti, “ La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi”.

Bene, da tale disposizione la giurisprudenza ha tratto la retroattività degli effetti civili della trascrizione al momento della celebrazione (religiosa).

Venendo meno, a monte, i presupposti per l’attribuzione della pensione di reversibilità, il coniuge superstite, risposato a tutti gli effetti, dovrà dire un grosso CIAONE agli emolumenti previdenziali nel frattempo conseguiti, con l’obbligo di restituirli nei limiti della prescrizione. (Cass. Civ. n. 9694/2010)

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Determinazione assegno divorzile: torna in auge il tenore di vita goduto in costanza del matrimonio?

Determinazione assegno divorzile: conta il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio? No, sì, forse.

«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» 
Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Appassionante.


Il diritto è appassionante. E’ scendere nella concretezza delle situazioni, applicarci il principio giuridico, calarlo in medias res…e saper rivedere e rimodulare antiche interpretazioni, financo abbracciarne talune appena soppiantate.


A cosa mi riferisco?


All’assegno divorzile.


Come è noto, fino al 2017 vigeva l’indiscusso ed inscalfibile orientamento della Suprema Corte, abbracciato già dal lontano 1990, che stabiliva il criterio interpretativo della disposizione di cui all’art. 5 L. 898/1970con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

assegno divorzio
Determinazione assegno divorzile


Il principio statuito dalla Cassazione era volto ad attribuire l’assegno divorzile al coniuge che non avesse mezzi adeguati volti a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che fosse necessario uno stato di bisogno dell’avente diritto, ma “rilevando l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio”. (Cass. civ. Sez. Unite, 29/11/1990, n. 11492)

Tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, quindi.


2017, si diceva, l’anno della svolta.


E’ intervenuta una sentenza degli ermellini che in buona sostanza ha sovvertito l’orientamento precedente, sottolineando il principio dell’ “autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali “persone singole“, non più sposate, senza prendersi a riferimento parametri attinenti ad una dimensione sociale ed affettiva, il matrimonio, che non c’è più e giungendo, pertanto, a riconoscere e calibrare l’assegno divorzile sulla base dell’autosufficienza economica del coniuge, senza riferimenti al tenore di vita precedente.
Cassazione 11504/2017


Cassazione 2017 assegno divorzio

Bomba atomica.


Con sostenitori ed oppositori della nuova tesi propugnata.
Chi rivendicava come fossero finiti i tempi della speculazione economica di un coniuge a carico dell’altro (“il matrimonio non deve far conseguire un vitalizio, diciamola tutta, per la ex moglie a carico del marito bancomat”), chi – a parere (sommesso) di chi scrive a ragione – sottolineava come da una siffatta prospettazione poteva derivare che un coniuge, quello che per una vita si era sacrificato a seguire casa e figli, ne sarebbe uscito con le ossa rotte.

2018. Determinazione assegno divorzile. Altro cambio di rotta.


La Cassazione rivede e rimodula la pronuncia di pochi mesi antecedente e – a Sezioni Unite – statuisce che nella verifica e quantificazione dell’assegno divorzile si debba tener conto del carattere compensativo, perequativo e assistenziale di tale compendio economico.
Assistenziale, in cui bisogna valutare se il coniuge richiedente abbia mezzi adeguati e sia in grado di conseguirli.
Compensativo e perequativo, volto a rimediare ad uno squilibrio nascente dal sacrificio che il coniuge richiedente possa aver sostenuto per le esigenze familiari a discapito della propria capacità reddituale.


Bene, felici? Tutto a posto?


Pare di sì, anzi no.

Perchè debbono ancora essere precisati con dovizia i criteri per quantificare l’assegno divorzile, al di là dell’identificazione dei titoli da cui trae origine.

Cassazione 2018 assegno divorzile


Ci ha pensato una freschissima sentenza della Corte di Cassazione a tentare di calibrare la questione entro termini precisi. Ma il risultato che ne è sortito è stato un ritorno al passato.


La questione: gli ermellini hanno esaminato la legittimità della pronuncia della Corte d’appello di Catania con cui – in sintesi – nella determinazione dell’assegno divorzile si era tenuto conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio dal coniuge a cui era stato attribuito.


Una decisione impeccabile, a parere della Cassazione.


Ecco il motivo.


la Corte etnea, pur non facendo mistero di orientare l’asse del proprio deliberato sul criterio del tenore di vita goduto …in costanza di matrimonio, ha tuttavia proceduto in questa direzione seguendo un percorso argomentativo che guarda con prudenza al criterio del tenore di vita e volutamente ne evita ogni forzatura, … annotando che “esso concorre e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati” dall’art. 5 L 898 /1970. “Ancorchè lo scenario ideale del suo ragionamento non sia più attuale, nondimeno il giudizio che essa declina nel caso concreto anche alla luce della durata non breve del vincolo matrimoniale … – si mostra in singolare sintonia con la “natura composita” che le SS.UU. hanno inteso rivendicare quale prius qualificante al parametro sulla base del quale procedere al riconoscimento del diritto. Ed anzi, laddove opera la diretta saldatura, nell’accertamento del diritto …, del criterio dell’adeguatezza agli altri indicatori enunciati dalla norma, ne ricalca, sia pur se inconsapevolmente, le linee, assecondando una chiave di lettura dell’istituto non incoerente con quella delle SS.UU. e perciò non suscettibile della pretesa cassazione”.


Pare di capire, lasciando spazio a chi voglia contraddirci, che la valutazione per la determinazione dell’assegno divorzile riposi sul criterio assistenziale, compensativo, perequativo dianzi indicato:il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio può essere parametro di riferimento, calibrato ai criteri appena accennati.


Un po’ come avveniva in precedenza?

Si, no, forse.

La sentenza: Cassazione Civile n. 4523/2019.

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Revoca assegnazione casa familiare: Aumento dell’assegno divorzile?

La revoca assegnazione casa familiare può comportare l’aumento dell’assegno divorzile?

La casa è un luogo che quando cresci vuoi lasciare, e quando invecchi ci vuoi tornare.
(John Ed Pearce)

…. e quando divorzi, non vorresti abbandonare.


Partiamo dal caso specifico, per scendere in medias res della questione che oggi esaminiamo.


Alla moglie, in sede di separazione, era stata assegnata la casa familiare.


Non si parla di un’abitazione qualunque, né di una separazione ordinaria: i coniugi evidentemente erano molto facoltosi, come lussuosa la villa dove avevano trascorso la vita matrimoniale.


In sede divorzile, veniva revocata alla signora l’assegnazione dell’immobile.


Costei, presone atto, chiedeva che della circostanza fosse tenuto debito conto nella commisurazione dell’assegno divorzile in suo favore.


Il Tribunale si limitava a riconoscerle “solo” € 3.000 mensili, a fronte degli oltre 10.000 richiesti dalla (ex) moglie.


Sentenza appellata da quest’ultima, ma il provvedimento veniva confermato in secondo grado.


Arriviamo alla Cassazione che accoglie le doglianze della signora ed espone quanto segue.

revoca assegnazione casa familiare


L’assegno di divorzio – come statuito di recente dalla Suprema Corte – ha natura assistenziale, compensativa e perequativa.


Assistenziale: il coniuge che non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli deve essere sostenuto economicamente dall’altro.


Compensativa: l’assegno tende a riconoscere il contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi


Perequativa: volta a ridurre il disequilibrio tra le rispettive posizioni venutosi a creare con lo scioglimento del vincolo, tramite il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.


Conseguentemente, Il giudizio sull’attribuibilità e consistenza dell’assegno divorzile dovrà essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

assegnazione casa familiare
revoca assegnazione casa familiare: può avere incidenza sull’attribuzione dell’assegno ma nessun automatismo.


Ebbene, a parere della Cassazione, i giudici che avevano statuito la questione oggetto di causa non avevano “valutato la disponibilità e la fruizione nel corso del matrimonio della casa familiare di elevate caratteristiche di pregio, tali da non renderla fungibile con qualsiasi altra abitazione reperibile nel medesimo Comune a costi contenuti; sul punto dunque la decisione risulta viziata e va cassata”.


Appare, pertanto, incidentalmente acquisito che anche l’attribuzione della casa familiare abbia valenza assistenziale, perequativa e compensativa, in quanto tale oggetto di rilevanza in seno al giudizio di statuizione e quantificazione dell’assegno divorzile.


Tale decisione ripercorre altre, di simile tenore, precedenti, ove – tra l’altro – era stato evidenziato che “Il coniuge al quale viene revocata l’assegnazione della casa coniugale, non ha automaticamente diritto ad un incremento dell’assegno divorzile in suo favore ma si deve effettuare una valutazione di congruità diretta a verificare se, quale conseguenza “del venire meno dell’assegnazione della casa coniugale” si sia determinata una modifica “in peius” delle sue condizioni economiche complessive”. Cassazione civile, sezione prima – 12 Marzo 2012 – n° 3922

La sentenza Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 03-12-2018) 08-02-2019, n. 3869

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Risarcimento danni per mancato pagamento assegno di mantenimento: è legittimo

 

E’ possibile richiedere il risarcimento danni per mancato pagamento dell’assegno di mantenimento? Il Tribunale di Roma risponde di sì.

Partiamo da un rilievo: in base al nostro ordinamento, la commissione di un reato giustifica il risarcimento del danno in favore della persona offesa.

Quale danno?

Quello patrimoniale – ad esempio la restituzione di quanto sottratto, l’erogazione di quanto dovuto, la corresponsione del valore di un determinato bene – e quello non patrimoniale, come il danno morale, ossia la sofferenza, il patimento psico-fisico conseguente al reato stesso (art. 185 cp)

risarcimento danno morale
Veniamo, ora, al quesito odierno: il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, oltre ad ovviamente giustificare la pronuncia di condanna al versamento di quanto dovuto, ossia delle mensilità arretrate, può legittimare il riconoscimento di un risarcimento del dannomorale”?

Su tale istanza si è trovato a decidere, recentissimamente, (n 17144 del 12.09.2018) il Tribunale di Roma, al quale si era rivolta una signora che lamentava la mancata corresponsione da parte del marito degli importi dovuti a titolo di mantenimento proprio e dei figli in base alla pronuncia di divorzio.

La circostanza le aveva creato non poco disagio. Tra l’altro, in mancanza della liquidità che le avrebbe dovuto essere assicurata dal pagamento degli assegni divorzili, non era riuscita a pagare l’affitto di casa ed aveva dovuto subire il conseguente sfratto per morosità.

L’attrice si era già azionata col promuovere un’azione esecutiva contro l’ex marito, pignorandone lo stipendio, ma in questa sede chiedeva il risarcimento del danno morale, per la condotta lesiva del suo onore e della sua dignità.

Il Tribunale, con la Sentenza oggi in commento, ha rilevato che la mancata corresponsione dell’assegno divorzile e di quello statuito per il mantenimento dei figli costituisce reato, a sensi dell’art. 12 sexies della L. 898 /1970, ora art 570 bis cp, punibile con identica pena prevista per la violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 cp).

danno morale mancato pagamento assegno divorzile
risarcimento danni per mancato pagamento assegno di mantenimento: se reato, va riconosciuto

Sulla base di tale presupposto, è agevole riprendere la premessa da cui siamo partiti: ogni reato obbliga al risarcimento il colpevole, anche del danno non patrimoniale/morale.

Poichè il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento costituisce reato, è legittimo il riconoscimento di un risarcimento danni alla persona che lo abbia subito.

Tra l’altro, non è necessario attendere una pronuncia di condanna in sede penale, giacché il giudice civile può rilevare i presupposti astratti della fattispecie criminosa e conseguirne i provvedimenti di competenza.

E’ stata, così, statuita la condanna alla corresponsione di € 20.000 all’ex marito inadempiente.

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Pensione di reversibilità dopo il divorzio: sì all’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile, purché non sia una tantum

Pensione di reversibilità dopo il divorzio: quali requisiti e quali impedimenti.

Ogni volta che vuoi sposare qualcuno, esci a pranzo con la sua ex moglie.”

SHELLEY WINTERS (attrice)

L’autrice di questo aforisma era una giurista?

Non crediamo, ma la sua “battuta” assembla un possibile scenario che si potrebbe creare a seguito di un divorzio e di nuove nozze: due mogli e un marito. Ma se questo morisse chi beneficerà della pensione di reversibilità?

Procediamo con ordine.

pensione reversibilità

Inutile soffermarsi su cosa sia e quando sia dovuto l’assegno divorzile.

Basta in questa sede riportare la previsione di cui all’art. 5 della Legge sul divorzio (898/1970) che così stabilisce “ Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

Un assegno periodico al coniuge che non abbia mezzi adeguati, tenuto conto di diverse circostanze.

Ovviamente, ne abbiamo già parlato (link 1 2, 3 4) le circostanze che hanno determinato la contribuzione di tale beneficio ed il suo ammontare possono variare col tempo.

In questo caso “qualora sopravvengono giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale,… può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti …la misura e alle modalità dei contributi da corrispondere…” (art. 9 L 898/1970).

La norma di legge indicata consente,altresì, che “su accordo delle parti la corresponsione” – dell’assegno divorzile – possa “avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal Tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”.

Quindi, in luogo della contribuzione periodica gli ex coniugi possono convenire per la somministrazione una volta per tutte – una tantum – dell’assegno.

In tal caso la legge mette fin da subito in chiaro che alcuna modifica, neanche se fondata su giustificati motivi – possa essere richiesta in seguito, proprio perché le parti hanno inteso, con tale scelta, assumersi il carico anche del rischio di eventuali squilibri successivi.

Effettuate queste premesse, che riteniamo utili per inquadrare sufficientemente il tema di oggi, veniamo ad analizzare cosa succede se l’ex coniuge, tenuto a somministrare periodicamente l’assegno divorzile, venga a mancare.

Ovviamente si verrebbe a creare una drammatica rivoluzione nella vita del soggetto percipiente, che potrebbe perdere se non l’unica fonte del proprio sostentamento, un importante sussidio per conseguire mezzi adeguati alla quotidiana sussistenza.

Ecco, allora, che la legge viene ad ovviare a tale problematica prevedendo che In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”, (art. 9).

L’ex coniuge potrà beneficiare della pensione di reversibilità del passato consorte se:

– sia già titolare di assegno divorzile;

– egli non sia passato a nuove nozze;

– il rapporto lavorativo da cui trae origine la pensione, sia cominciato prima della sentenza di divorzio.

Bene, tutto chiaro?

Manca un tassello, anzi due.

Abbiamo cominciato l’articolo riportando l’immagine del pranzo di due donne, mogli della medesima persona.

Una la ex, l’altra l’attuale consorte.

due coniugi, una reversibilità

Mettiamo caso che la ex percepisca assegno divorzile.

E a tale caso aggiungiamo che venga a mancare il comune marito.

La donna che al momento del decesso era l’attuale consorte del defunto avrà senz’altro diritto alla sua pensione di reversibilità per diritto ereditario.

Ma l’altra, che beneficiava – in presenza dei presupposti di legge- dell’assegno divorzile, rimarrebbe a piedi senza tale sussidio.

In questa ipotesi, la legge stabilisce che “Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il Tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze”.

Conseguentemente, le due mogli (attenzione, la ex doveva già percepire l’assegno divorzile) si spartiranno la reversibilità del defunto.

Quanto spetterà a testa?

La legge dispone debba tenersi conto della (rispettiva) durata del rapporto matrimoniale.

La giurisprudenza include ulteriori criteri, quali l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali (ex multis Cass. civ. Sez. VI – 1 Ordinanza, 05/07/2017, n. 16602).

Nel caso in cui, a sua volta, dopo il marito decedesse una delle due mogli, l’altra avrebbe diritto di percepire l’intera reversibilità.

Soffermiamoci su un’ultima ipotesi.

Se l’assegno divorzile, anziché periodicamente, fosse stato corrisposto in un’unica soluzione, l’ex coniuge superstite che ne abbia beneficiato potrebbe vantare la pensione di reversibilità o una sua quota?

La risposta è negativa, ma c’è voluta una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite per mettere la parola definitiva.

Manca l’attualità della titolarità dell’assegno: questa in buona sostanza la considerazione preclusiva della Suprema Corte.

Se infatti la finalità del legislatore è quella di sovvenire a una situazione di deficit economico derivante dalla morte dell’avente diritto alla pensione, l’indice per riconoscere l’operatività in concreto di tale finalità è quello della attualità della contribuzione economica venuta a mancare; attualità che si presume per il coniuge superstite e che non può essere attestata che dalla titolarità dell’assegno, intesa come fruzione attuale di una somma periodicamente versata all’ex coniuge come contributo al suo mantenimento. Del resto l’espressione titolarità nell’ambito giuridico presuppone sempre la concreta e attuale fruibilità ed esercitabilità del diritto di cui si è titolari; viceversa, un diritto che è già stato completamente soddisfatto non è più attuale e concretamente fruibile o esercitabile, perchè di esso si è esaurita la titolarità”. (Cass. civ. Sez. Unite, Sent., n. 22434/2018)

pensione reversibilità
pensione di reversibilità dopo il divorzio: no se l’assegno è stato corrisposto una tantum

Faccia, pertanto, buona attenzione il coniuge che intenda acquisire in unica tranche l’assegno divorzile, perché in seguito non potrà recriminare alcunchè: né se dovessero volgere al peggio le circostanze tenute in considerazione al momento del divorzio ai fini della determinazione dell’importo da corrispondere, né a seguito della morte dell’ex consorte per far valere inesistenti diritti previdenziali.

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Il versamento diretto dell’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni

Il versamento diretto dell’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni.

Non parliamo dei presupposti dell’assegno di mantenimento, né fino a quando i genitori saranno tenuti a mantenere i figli una volta che abbiano raggiunto la maggiore età.

Ecco i link (1, 2, 3) con cui abbiamo tratto il tema, che riportiamo per comodità.

Oggi ci soffermiamo non tanto sul “se” sia dovuto l’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni, ma sul “come” debba essere onorato: i soldi vanno dati al genitore con cui convivono o ai figli direttamente?

mantenimento figli maggiorenni

Partiamo dal dato normativo

Art 337 septies ccIl giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto.”.

 Quindi: se il giudice ritenga dovuta una contribuzione, dispone, in linea di massima, il versamento diretto dell’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni.

Primo quesito: chi è legittimato a chiedere tale partecipazione?

Senza dubbio i figli stessi, raggiunta la maggiore età, potranno agire per chiedere venga disposta la contribuzione dei genitori al loro mantenimento, allorquando non siano economicamente autosufficienti.

La Corte di Cassazione ha, infatti, riconosciuto a più riprese la legittimazione del figlio maggiorenne economicamente non indipendente ad intervenire nel giudizio di separazione personale dei propri genitori per fare valere il proprio diritto al mantenimento.

Parimenti, ai giovani che abbiano raggiunto la maggiore età è conferita la possibilità di chiedere la modifica delle condizioni di separazione o divorzio nel caso ve ne siano i presupposti per quanto attiene il loro mantenimento.

Alla legittimazione dei figli maggiorenni, si aggiunge quella del genitore presso cui convivano a chiedere la contribuzione a carico dell’altro coniuge in favore della prole.

E’ stato disposto, infatti, che il genitore, separato o divorziato, a cui il figlio sia stato affidato durante la minore età, sia legittimato iure proprio ad ottenere dall’altro genitore il pagamento dell’assegno per il mantenimento del figlio, quale titolare di un diritto autonomo (e concorrente con quello del minore) a ricevere il contributo alle spese necessarie a detto mantenimento anche dopo il raggiungimento della maggiore età del figlio che non sia ancora autosufficiente.

Tale legittimazione è assicurata anche in assenza di un’autonoma richiesta del figlio, purché persista e non venga meno il rapporto di coabitazione. (Cass Civ 12972 2017)

E’ stato ritenuto congruo che, mentre il figlio maggiorenne conviva con il genitore, possa essere conferito a quest’ultimo la possibilità di agire direttamente per ottenere la contribuzione al suo mantenimento, proprio perché è lui a farsene carico, a sostenere le spese necessarie per vitto, alloggio, etc. 

versamento diretto figli maggiorenni
assegno mantenimento figli maggiorenni versamento diretto

Secondo quesito: a chi deve essere versato l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne?

In linea di massima, come visto, il giudice dispone che la contribuzione sia versata direttamente nelle mani del figlio.

Avendo, infatti, conseguito la capacità di agire con il raggiungimento della maggiore età, ben potrà essere destinatario e gestore degli importi dovuti.

Ciò sia che viva da solo, sia che conviva con un genitore: in tal caso dovrà mettere a disposizione parte di tali somme per contribuire alle spese sostenute anche in suo favore.

Alcuni interpreti hanno tuttavia rilevato che se l’assegno di mantenimento del figlio sia stato disposto quando ancora questi era minorenne – e pertanto doveva essere versato nelle mani dell’altro genitore – tale modalità di adempimento rimarrà invariata anche una volta raggiunta la maggiore età, salva la possibilità del figlio di attivarsi affinché gli venga corrisposto direttamente l’assegno.

Alla stregua di questa considerazione, la richiamata disposizione del codice civile, volta a disporre – in via generale – la contribuzione direttamente alla prole che abbia conseguito la maggiore età sarebbe applicabile al caso in cui l’assegno in favore del figlio fosse disposto quando questi già sia maggiorenne.

Da ultimo, si segnala come sia pacifica in giurisprudenza la circostanza secondo cui il genitore tenuto a versare l’assegno non possa decidere autonomamente a chi corrisponderlo, ma debba attenersi scrupolosamente a quanto statuito nel provvedimento che gli abbia attribuito tale onere.

Capita, infatti, di frequente – soprattutto per ragioni attinenti i rapporti (e gli strascichi) tra ex coniugi – che il genitore tenuto all’assegno in favore del figlio pretenda di versare direttamente a costui le somme dovute, quando abbia raggiunto la maggiore età.

La giurisprudenza sul punto è ferrea: “il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, non può pretendere, in mancanza di una specifica domanda del figlio, di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest’ultimo anzichè del genitore istante. Invero …sia il figlio, in quanto titolare del diritto al mantenimento, sia il genitore con lui convivente, in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo dell’altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento cui materialmente provvede, sono titolari di diritti autonomi, ancorchè concorrenti, sicchè sono entrambi legittimati a percepire l’assegno dall’obbligato; di conseguenza, il genitore obbligato non ha alcuna autonomia nella scelta del soggetto nei cui confronti adempiere.”.

(Cass. Civ. 9/07/2018 n, Cass. civ. Sez. I, 17/05/2017, n. 12391)

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Assegno divorzile: sentenza delle Sezioni Unite risolve il contrasto giurisprudenziale

Assegno divorzile: sentenza delle Sezioni Unite.

Il comunicato stampa della Cassazione.

Dopo la sentenza del maggio 2017, che aveva modificato un consolidato e pluridecennale orientamento, volto a riconoscere il cd assegno divorzile tenendo come parametro di riferimento il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, la decisione sul contrasto giurisprudenziale formatosi era stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

comunicato sezioni unite
Assegno divorzile Sentenza delle Sezioni Unite: un criterio composito da sviscerare alla luce del cammino matrimoniale

La Cassazione ha statuito la questione con sentenza 18287/2018 recante data odierna (11.07.2018).

Oggi è uscito il comunicato stampa della Cassazione che ha riassunto, in attesa del deposito delle motivazioni, i seguenti concetti fatti propri dalla Sentenza:

  • l’assegno di divorzio ha una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa.
  • ai fini dell’attribuzione dell’assegno occorre tener conto delle condizioni economiche-patrimoniali degli ex coniugi, confrontandole tra loro e far riferimento particolare al contributo fornito dal richiedente l’assegno al patrimonio comune e personale, alla durata del matrimonio e alle potenzialità reddituali presenti e future, nonchè all’età del possibile soggetto beneficiario del contributo.
  • quanto sopra in considerazione dei principi costituzionali di ” pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo“.

In attesa di conoscere compiutamente il testo della Sentenza, sul quale avremo modo, senz’altro, di soffermarci.

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Revisione dell’ assegno di divorzio in base al nuovo orientamento giurisprudenziale? Non basta

E’ possibile chiedere la revisione dell’assegno di divorzio in base al nuovo orientamento giurisprudenziale che elimina come parametro di riferimento il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio?

Alea iacta est. Dicevano i romani.

Il dado è tratto.

Nel nostro ordinamento una sentenza che non è più impugnabile acquisisce efficacia incontrovertibile (art. 324 cpc

Bene.

La recente sentenza della Cassazione sull’assegno di divorzio ha costituito un’autentica bomba atomica per quanto concerne l’assegno divorzile

Ora, come è noto, la recente pronuncia della corte di Cassazione che ha introdotto un nuovo orientamento per determinare se sia dovuto un assegno divorzile a favore di un (ex) coniuge ed, in caso positivo, quanto debba essere corrisposto, ha avuto un effetto dirompente, in quanto copernicana è stata la rivoluzione rispetto ad un filone giurisprudenziale consolidato da lustri e lustri.

Il criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio è destinato a cedere il passo a quello dell’autosufficienza (o possibilità di indipendenza) economica del coniuge non più tale.

I procedimenti divorzili iniziati dopo tale pronuncia avranno visto, quasi sicuramente, applicato il nuovo criterio, in attesa della pronuncia della corte di Cassazione a Sezioni Unite che dovrebbe sciogliere ogni dubbio sulla definitività di tale percorso argomentativo.

E per i divorzi già pronunciati?

Magari per quelli che hanno statuito come dovuto un assegno divorzile, sulla base del precedente orientamento, è possibile invocare il “cambio di rotta”?

Ce lo eravamo chiesto (link). Ora sembra di no.

Una recente pronuncia del Tribunale di Mantova, ci aiuta a fare il punto.

In base alla legge sul divorzio,Qualora sopravvengono giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale… può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere” (art. 9 L. 898/1970). (ne avevamo parlato e riparlato)

Ebbene, si tratta di verificare se tra i giustificati e sopravvenuti motivi possa rientrare la mutata interpretazione giurisprudenziale in tema di assegno divorzile.

Il tribunale lombardo dà pollice verso.

Per “fatto sopravvenuto” deve intendersi un “ fatto nuovo sopravvenuto modificativo della situazione economica in relazione alla quale erano stati adottati i provvedimenti concernenti il mantenimento del coniuge”, debbono cioè essersi modificate le carte in tavola, dal punto di vista patrimoniale, che erano state tenute in considerazione all’epoca della pronuncia di scioglimento del vincolo.

Non è, pertanto, possibile in un giudizio di revisione “addurre fatti pregressi o ragioni giuridiche non prospettate nel procedimento di divorzio e ciò alla stregua del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile” e cioè, che una sentenza non più impugnabile diviene definitiva ed incontrovertibile.

In caso contrario, si verrebbe ad estendere a rapporti “esauriti”, perché coperti dalla sentenza passata in giudicato, una diversa interpretazione delle norme a suo tempo applicate, ma con efficacia retroattiva: ciò – come sottolinea decisamente il Tribunale mantovano – non è consentito nemmeno alla legge (che in linea generale è irretroattiva, art 11 disp prel.cc.), figuriamoci alle pronunce giurisprudenziali.

retroattività sentenza cassazione assegno divorzile
Revisione dell’ assegno di divorzio in base al nuovo orientamento giurisprudenziale: è no, ma i giudicati precedenti sono penalizzati.

Il ragionamento, di per sé, non fa una piega.

Andiamolo a spiegare a chi deve sborsare, magari con molta fatica, un assegno di mantenimento all’ex e veda casi simili al proprio regolati in maniera del tutto differente per uno snap”, uno schiocco di dita giurisprudenziale, che modifichi l’interpretazione delle identiche norme applicate al suo divorzio.

La pronuncia: Tribunale di Mantova, sez. I, sentenza 24 aprile 2018 

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