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Autore: Studio Legale Berto

La denuncia di successione comporta accettazione dell’eredità?

La denuncia di successione comporta accettazione dell’eredità?

 

La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito (con sentenza 31 ottobre 2016 n. 22017) il principio secondo cui “la denuncia di successione ed il pagamento della relativa imposta non comportano accettazione tacita dell’eredità.”


“Trattandosi di adempimenti fiscali che, in quanto diretti ad evitare l’applicazione di sanzioni, hanno solo scopo conservativo” e rientrano quindi tra gli atti previsti dall’art. 460 codice civile che il chiamato a succedere può compiere prima dell’accettazione o meno dell’eredità.

 

 

denuncia di successione
denuncia di successione comporta accettazione dell’eredità?

 

Il secondo comma dell’articolo prevede che il chiamato all’eredità (ossia colui che può accettare l’eredità, ma non lo ha ancora fatto), prima dell’accettazione della denuncia di successione, può compiere “atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea”.

Al contrario, ha chiarito sempre la Suprema Corte, c’è accettazione tacita dell’eredità quando vi è ricorso alla Commissione Tributaria contro l’avviso di accertamento del maggior valore notificato dall’Amministrazione finanziaria e la successiva stipulazione di un concordato per la definizione della controversia.


Questo perché questi atti non sono meramente conservativi ma tendono alla definitiva soluzione della questione fiscale.

 

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Spese manutenzione ordinaria senza approvazione assemblea?

L’amministratore di condominio può procedere al pagamento delle spese di manutenzione ordinaria senza approvazione assemblea?

spese manutenzione ordinaria
Spese manutenzione ordinaria senza approvazione assemblea: è possibile?

L’assemblea condominiale deve approvare in sede di bilancio preventivo le spese per la manutenzione ordinaria dello stabile, affinchè l’amministratore sia legittimato a procedere al relativo esborso?

E’ possibile che l’amministratore proceda direttamente alla spesa e la sottoponga ai condomini solo in sede di approvazione del bilancio consuntivo?

Rientra nei pieni poteri dell’Amministratore di condominio provvedere ad esborsi necessari ad affrontare spese di manutenzione ordinaria.

Le spese di manutenzione ordinaria non richiedono la preventiva approvazione dell’assemblea, ma dovranno essere ratificati solo in seguito, in sede di consuntivo.

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione in un recentissimo intervento.

Un condomino aveva impugnato la delibera assembleare che aveva approvato il bilancio consuntivo riportante, a suo dire, capitoli di spese di manutenzione ordinaria mai acconsentiti, non chiari ed addirittura parzialmente inesistenti.

Gli ermellini hanno statuito che a tali esborsi  l’amministratore provvede in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere dell’assemblea. L’approvazione di dette spese è richiesta soltanto in sede di consuntivo, giacché con
questo poi si accertano le spese e si approva lo stato di ripartizione definitivo che legittima lo amministratore ad agire contro i condomini per il recupero delle quote poste a loro carico

La Sentenza: Cassazione civile, sez. II, sentenza 11 gennaio 2017, n. 454

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Distanze: il piano casa non deroga alle distanze dai confini

deroga distanze confini
Deroga distanze confini?

Piano casa deroga distanze dai confini?

Recentemente, il Tar Veneto ha “rimeditato” il proprio pensiero in materia di distanze.

Fino a poco tempo fa, riteneva che le disposizioni sulle distanze dai confini, previste dai piani regolatori comunali,dovessero intendersi derogate in base all’art. 2, comma 1 della Legge Regionale Veneto n. 14 del 2009 (cd Legge sul Piano Casa).

Si ammettevano gli interventi di ampliamento ivi contemplati appunto in deroga alle previsioni dei regolamenti urbanistici comunali.

Il Giudice amministrativo veneto, mutando radicalmente avviso, a partire dalla sentenza n. 1329 del 2015 (recentemente confermata dalla sentenza 1128 del 2016) ha ritenuto che le disposizioni della normativa sul piano casa sono di “stretta interpretazione” nel senso che “la deroga ha ad oggetto esclusivamente i parametri di regolamento o di piano che fissano la quantità di volume o di superficie”.

Ora, poiché nel Piano Casa non è prevista una espressa deroga anche alle distanze previste dagli strumenti urbanistici, si giunge alla conclusione, sostiene il TAR, “che le stesse non possono ritenersi derogate”.

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Divieto animali domestici in condominio: il regolamento non può vietare di detenere animali domestici

Divieto animali domestici in condominio.

Divieto animali domestici in condominio
Divieto animali domestici in condominio

Fino ad una decina di anni fa, era discussa la possibilità per l’assemblea condominiale di deliberare il divieto di detenere animali per gli inquilini.

Si era, in ogni caso, alimentato a livello giurisprudenziale il principio secondo cui l’eventuale statuizione preclusiva dovesse essere stata deliberata all’unanimità dei consensi dei condomini, incidendo considerevolmente sull’ampiezza del diritto di proprietà e sulle prerogative base della vita dei singoli partecipanti.

Con  Legge n. 220/2012, che ha modificato l’art. 1138 del codice civile, si è data definitiva chiarezza sul punto, statuendo che “Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.

Subito dopo l’entrata in vigore di tale normativa non era pacifico se tale importante principio si applicasse soltanto ai regolamenti approvati successivamente alla legge 220 o se trovasse applicazione anche per quelli anteriori.

Ora, in giurisprudenza, sembra pacifico che la norma in oggetto si applichi a tutti i regolamenti: siano essi di tipo assembleare o contrattuale, precedenti o successivi all’entrata in vigore della riforma del 2012.

E’ quanto ha chiarito, ad esempio, il Tribunale di Cagliari che, con ordinanza del 22.7.2016, ha ritenuto viziata da nullità sopravvenuta la disposizione del regolamento (anteriore al 2012) che, sia pur approvata all’unanimità, statuiva il divieto di animali domestici in condominio.

Per il tribunale sardo, infatti,  la necessità di valorizzare il rapporto uomo-animale si è via via consolidata, nel diritto vivente, a livello di legislazione nazionale e a livello europeo, come espressione dei più generali diritti inviolabili di cui all’art. 2 della Costituzione.

Ne consegue che nessuno potrà invocare pregresse disposizioni assembleari al fine di riconoscere precluso il diritto di qualche partecipante a detenere animali da compagnia.

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Distanze tra edifici e distanze dal confine: una differenza non di poco conto

Distanze tra edifici: il nostro codice civile – art 873 c.c. –  stabilisce che tra costruzioni confinanti debbano intercorrere almeno tre metri di distanza l’una dall’altra, salvo che i regolamenti locali stabiliscano distanze maggiori (e mai inferiori).

Si noti: il legislatore non impone espressamente una distanza dal confine, ma solo le distanze tra edifici.

distanze tra edifici
Distanze tra edifici o distanze dal confine?

Tale precisazione deve essere sottolineata, perchè spesso vi è confusione sul punto.
Infatti, agli articoli seguenti viene disciplinato l’istituto della cd prevenzione: a chi costruisce per primo tra due proprietari di fondi confinanti è concessa una scelta. In primis, può costruire a 1,5 metri dal confine. In questo caso, il vicino potrà edificare osservando quanto meno la medesima distanza.
Chi costruisce per primo può anche farlo a meno di 1,5 metri dal confine: in questo caso all’altro proprietario sono date tre possibilità. O edificherà a 3 metri dall’altra costruzione, oppure potrà chiedere la comunione forzosa del muro della costruzione vicina e avanzare il proprio fabbricato fino ad esso, occupando lo spazio intermedio, dopo avere interpellato il proprietario se preferisca estendere il muro a confine o procedere alla sua demolizione (art. 875 c.c.); in alternativa, potrà costruire in aderenza, senza condividere il muro vicino, pagando solamente il valore del suolo occupato (art. 877 cc).
In buona sostanza, non si devono confondere le norme dettate dal codice in materia di distanze tra edifici, da quelle stabilite eventualmente dagli strumenti urbanistici locali in materia di distanza dal confine, che dovranno essere attentamente valutati al momento di un’edificazione.

Al riguardo, come abbiamo verificato, ben può essere che alcuni regolamenti locali stabiliscano distanze tra costruzioni maggiori rispetto ai tre metri fissati dal codice civile.
Ci si è chiesti se in questo caso potesse valere l’istituto della prevenzione prima delineato.
La giurisprudenza sul punto è stata a lungo ondivaga e contrastante.

distanze tra costruzioni
…non c’è un distacco minimo delle costruzioni dal confine….

A dirimere la questione è intervenuta una recente Sentenza delle Sezioni Unite che hanno ammesso l’applicazione della prevenzione anche nel caso in esame.
I Giudici della Suprema Corte hanno infatti evidenziato che ” Le norme dei regolamenti edilizi che fissano le distanze tra le costruzioni in misura diversa da quelle stabilite dal codice civile, infatti, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 873 c.c., hanno portata integrativa delle disposizioni dettate in materia dal codice civile; e tale portata non si esaurisce nella sola deroga alle distanze minime previste dal codice, ma si estende all’intero impianto di regole e principi dallo stesso dettato per disciplinare la materia, compreso il meccanismo della prevenzione, che i regolamenti locali possono eventualmente escludere, prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza. Ne discende che un regolamento locale che si limiti a stabilire una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide sul principio della prevenzione, come disciplinato dal codice civile, e non preclude, quindi, al preveniente la possibilità di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni, nè al prevenuto la corrispondente facoltà di costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli artt. 874, 875 e 877 c.c.).”

La Sentenza: Cass. civ. Sez. Unite, 19/05/2016, n. 10318

 

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Contributo al mantenimento dei figli: l’assenza di accordo sulle spese straordinarie

Mantenimento dei figli:  assenza di accordo sulle spese straordinarie.

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Mantenimento dei figli:assenza di accordo sulle spese straordinarie

Quando una coppia di coniugi decide di separarsi deve valutare attentamente una serie di elementi riguardanti le condizioni che disciplineranno tale iniziativa.

Alcune hanno un contenuto necessario (quelle attinenti all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorziale per il coniuge economicamente più debole), altre possono essere anche eventuali, in quanto concernenti la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi.

Ovviamente, posta anche la posizione di privilegiato rilievo stabilita dal legislatore, le condizioni che disciplineranno la vita, la collocazione, il mantenimento dei figli avranno suprema considerazione.

Un’incongruità che spesso si rileva nell’ambito degli accordi di separazione risiede nel fatto che molto frequentemente i coniugi si limitino a prevedere un assegno mensile a carico del genitore che non abbia la collocazione prevalente della prole, a titolo appunto di contributo al mantenimento dei figli, ed una generica indicazione di corresponsabilità per le spese straordinarie.
Tale ultimo compendio economico – le spese straordinarie – può costituire significativo onere per i genitori e frequentissimo motivo di lite tra i medesimi.

spese-straordinarie
Spese straordinarie mantenimento dei figli: meglio mettersi d’accordo?

La scena, purtroppo alquanto consueta, è la seguente: il genitore affidatario, con notevoli difficoltà, anticipa notevoli somme per far fronte alle spese straordinarie (scolastiche, mediche,….), molto spesso senza farne menzione all’altro consorte (anche in virtù dei rapporti deteriorati che hanno cagionato la scelta di separarsi), salvo poi presentare un salatissimo conto finale, da saldare in termini restrittissimi.
Ne conseguono opposizioni e cause, nel corso delle quali il coniuge asserito debitore lamenta di essere stato tenuto estraneo dalla notizia di ogni esborso, di non aver avuto alcuna voce in capitolo, della voluttuarietà delle spese sostenute ad esclusiva discrezione dell’altro genitore.
I giudici, cosa dicono in merito?

La Cassazione ha avuto modo a più riprese di specificare che “non è configurabile a carico del coniuge affidatario o presso il quale sono normalmente residenti i figli, anche nell’ipotesi di decisioni di maggiore interesse per questi ultimi, un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro genitore, in ordine alla effettuazione e determinazione delle spese straordinarie, che, se non adempiuto, comporta la perdita del diritto al rimborso. Nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità derivante ai figli e della sostenibilità della spesa stessa, rapportata alle condizioni economiche dei genitori“. (Cassazione Civile, Sez. VI, 3 febbraio 2016, n. 2127)
In buona sostanza, e ferma la sempre ricorrente rimborsabilità delle spese urgenti ed assolutamente necessarie,  ove le spese sostenute corrispondano al “maggiore interesse” dei figli, esse potranno essere anticipate, senza preventivo accordo,da un genitore, che potrà chiederne il rimborso della corrispondente quota parte. Spetterà, eventualmente, al giudice accertare se tale circostanza fosse ricorrente, tenuto conto anche della congruità dell’importo versato e delle condizioni economiche dei coniugi.
Proprio in virtù del consisente carico di conflittualità che si avvertiva in relazione alla gestione di tale capitolo di spese, il Tribunale di Vicenza ha stilato un protocollo che i coniugi potranno vagliare in sede di separazione e divorzio, che disciplina le modalità di gestione delle spese straordinarie, prevedendo quali saranno rimborsabili in assenza di preventivo accordo e quali potranno esserlo solamente allorquando siano state avvallate da entrambi i genitori.

Il link del protocollo (pagina 17)

 

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Infedeltà e addebito della separazione

…e prometto di esserti fedele sempre.

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infedeltà e addebito della separazione

Una frase che viene pronunciata nei matrimoni di rito cattolico, ma che trova pieno corrispondente nelle previsioni normative di cui all’art. 143 cc. che tra i doveri derivanti dal matrimonio espressamente riporta quello della fedeltà.
Per chi violi gli obblighi matrimoniali, ed in particolare quello su cui oggi ci soffermiamo, può essere richiesta e disposta una pronuncia di addebito della separazione, ossia una statuizione su chi sia il coniuge responsabile della crisi del rapporto, proprio in conseguenza dei comportamenti contrari ai doveri del matrimonio.

I Giudici della Suprema Corte hanno avuto modo, a più riprese, di sottolineare come non sia sufficiente il comportamento infedele di un coniuge per sanzionarlo con la declaratoria di addebito, ma occorre stabilire che quella condotta sia stata la causa della crisi del matrimonio.
Potrebbe essere, infatti, che la relazione extraconiugale si sia innestata nell’ambito di un rapporto nuziale già compromesso, per cui non sarebbe suscettibile di determinare la pronuncia di “colpa”, ma si sarebbe posta come (evitabile o meno) conseguenza di un matrimonio già naufragato.

Con una recente quanto interessante pronuncia, la Cassazione si è soffermata su un aspetto che incide sull’onere della prova: ossia, a quale dei coniugi spetti provare che la condotta infedele sia stata la causa del precipitare del rapporto nuziale.

In buona sostanza, i giudici ermellini hanno stabilito che se la separazione venisse chiesta immediatamente dopo la scoperta del tradimento, si potrebbe presumere che sia stata la causa determinante dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e del venir meno dell’affectio coniugalis, di tal che spetterà al coniuge che abbia avuto la relazione fedifraga dimostrare il contrario; se, invece, la separazione intervenisse in  un lasso di tempo più consistente, si verificherebbe la fattispecie opposta.

E’ ben frequente nei matrimoni che uno dei due sposi incappi in uno scivolone e che l’altro provi ad accettare e perdonare la circostanza e si ritenti di ripartire, senza però riuscirvi.
Ebbene, in questa ipotesi, spetterà al consorte tradito dimostrare come, pur a distanza di tempo, la genesi della crisi si sia verificata con la risalente condotta infedele.

La pronuncia: Corte di Cassazione  10823/2016

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Caduta sugli sci: quali sono le responsabilità del maestro?

Responsabilità maestro sci in caso di caduta.

Una recente sentenza del Tribunale d’Aosta ci offre l’occasione per riflettere su una problematica che può (facciamo gli scongiuri) avvenire frequentemente nei periodi invernali: la caduta nel corso di una lezione di sci.

Partiamo dalle considerazioni finali del provvedimento: è impossibile, per un maestro di sci, come per chiunque, impedire una perdita di equilibrio di una persona sugli sci. Essa può avvenire sempre e comunque, indipendentemente da condotte inadempienti.

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responsabilità maestro sci in caso di caduta

Potrebbe sembrare un’affermazione retorica o ridondante, ma così non è, posto l’ indirizzo giurisprudenziale, oramai consolidato, che pone a carico dei gestori degli impianti sciistici una sorta di probatio diabolica in caso di infortunio dell’utente, in forza della quale – attesa la natura pericolosa (ossia comportante pericolo) dell’attività svolta da essi, spetterebbe a costoro dimostrare che l’evento dannoso si sia verificato per caso fortuito o forza maggiore.

Ebbene, la pronuncia del Tribunale Valdostano, nel rilevare la natura contrattuale della responsabilità facente capo all’attività del maestro di sci, consistente nell’ “obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso“, ha stabilito che, in caso di infortunio, nel conseguente processo spetti all’istruttore dimostrare di aver correttamente svolto il proprio operato, mentre il cliente si potrà limitare a provare il danno patito ed il nesso di causalità con la prestazione della controparte.

Sulla scorta di tali premesse, il Giudice ha assolto da ogni responsabilità la condotta del maestro di sci che aveva prestato lezione ad una bimba di cinque anni, la quale – purtroppo – era caduta all’indietro ed aveva riportato lesioni.

Si era, infatti, rilevato che:
– la bimba aveva già percorso la pista, senza avere difficoltà
– il fatto si era verificato su un tratto di pista a lievissima pendenza, sicchè da un lato non esigeva particolare abilità, dall’altro rendeva impossibile raggiungere velocità non gestibili;
– la bimba, necessariamente , aveva perso l’equilibrio autonomamente.

L’insegnante, da par suo, non avrebbe potuto accorgersi immediatamente della caduta, poiche è notorio che nelle lezioni di sci il maestro preceda l’allievo, il quale ne segue la linea di discesa, ed è del tutto normale che il maestro non abbia visto l’accaduto.

Sulla scorta di tali valutazioni, il Tribunale ha concluso con la considerazione da cui siamo partiti: per quanta cautela il maestro di sci possa predisporre, è pur sempre possibile che l’allievo cada, per l’intrinseca natura dell’attività che alla scuola è richiesta di svolgere e perché costituisce dato di comune esperienza che non è possibile imparare a sciare senza incappare mai in cadute.

La sentenza: Trib. Aosta, Sent., 19-07-2016

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Divorzio: prima si sfamano i figli, poi si pagano i debiti

Assegno di mantenimento…

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L’assegno di mantenimento…I figli vengono prima di tutto

Nel nostro ordinamento la legge sanziona come reato la condotta di chiunque faccia mancare i mezzi di sostentamento al coniuge o ai figli non autosufficienti.
Alla stessa stregua è punito il “coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento” divorzile e della somma dovuta a titolo di contributo al mantenimento dei figli, con pene che di regola comportano  la reclusione fino a un anno e/o  la multa da euro 103 a euro 1.032.

Nel primo caso, per integrare il reato è necessario che il coniuge faccia mancare i mezzi di sostentamento ai propri familiari, per cui un adempimento soltanto parziale dei propri obblighi non integrerebbe necessariamente tale fattispecie qualora non comportasse, appunto, l’assenza di mezzi di sussistenza delle persone offese.
Al contrario, la condotta di cui sopra potrebbe integrare il secondo reato, relativo all’omessa corresponsione della somma stabilita dal giudice dell’assegno di mantenimento del coniuge o dei figli, a seguito di divorzio, purchè sia consistente nella volontà di sottrarsi agli obblighi imposti giudizialmente.

Nel caso preso all’esame da una recentissima pronuncia della Cassazione, il marito tenuto al versamento, condannato per aver versato solo quota parte del dovuto per il mantenimento dei figli, aveva impugnato le pronunce di merito che lo avevano ritenuto responsabile del reato, perchè, a suo dire, egli sarebbe stato nell’impossibilità di far fronte all’esecuzione del provvedimento divorzile, in quanto tenuto a corrispondere altri importi ad istituti di credito con i quali aveva recentemente contratto un mutuo, che gli avrebbero sottratto la disponibilità economica necessaria per adempiere ai propri obblighi familiari come il versamento dell’assegno di mantenimento.
La Cassazione ha respinto tale difesa, argomentando come la condizione di impossibilità economica dell’obbligato, “può assumere rilievo ai fini di escludere l’antigiuridicità della condotta, soltanto se essa … consista in una situazione incolpevole di indisponibilità di introiti”, fattispecie che non sussiste “allorquando l’inadempimento degli obblighi imposti verso i figli sia frutto della scelta di soddisfare pretese creditorie diverse, nel caso il pagamento del mutuo“.

In buona sostanza: i figli vengono prima di tutto, anche delle (legittime) pretese di altri creditori.
La sentenza: Cass. Pen.51625/16

 

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Affidamento del cane nella separazione tra coniugi

Affidamento del cane in caso di separazione

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A chi spetta l’affidamento del cane in caso di separazione?

I tempi cambiano, i costumi evolvono.
Per i cani oramai si trovano negozi di abbigliamento, alberghi con apposite cucine gourmet, addirittura pompe funebri.

E’ naturale che sia entrato nel recente contesto delle problematiche attinenti la separazione tra coniugi il problema relativo al destino che dovranno subire gli animali di affezione.
Una recente pronuncia del Tribunale di Como ha fatto il punto della situazione su tale tematica.
Se la separazione è consensuale, ben potrebbe essere che i coniugi inseriscano tra le condizioni le modalità che regolano i tempi di visita e di permanenza del cane presso ciascuno di essi, nonchè un contributo al mantenimento dello stesso.

Se, infatti, da un lato è pacifico che tale ultima previsione abbia inequivoco contenuto economico, e possa pertanto trovare collocazione nella procedura di separazione, per quanto attiene alle condizioni relative agli “aspetti del rapporto con l’animale”, la loro disciplina pattizia può essere considerata degna di tutela – a sensi delle civilistiche disposizioni che disciplinano le obbligazioni non patrimoniali – e, pertanto, non sarebbe d’intralcio alla piena omologazione della separazione.

Discorso diverso si avrebbe in caso di separazione giudiziale, allorquando il Tribunale lombardo ha escluso si possa richiedere al Giudice di disciplinare questioni attinenti l’affidamento di un animale, “non essendo tenuto ad occuparsi dell’assegnazione di animali d’affezione all’uno o all’altro coniuge“.
Sull’affidamento del cane in caso di separazione la giurisprudenza non è pacifica: si assiste, infatti, a pronunce che riconoscono come il sentimento per gli animali abbia oramai raggiunto un riconoscimento e protezione di rango costituzionale, specie a seguito della ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, mentre altri provvedimenti, allineandosi sul contenuto della pronuncia oggi presa in esame, hanno statuito come debba essere espunta dalla decisione del giudicante tale questione non attinente all’ “oggetto dei procedimenti di famiglia“.

Ad ogni modo è interessante cogliere il disappunto del Tribunale orobico allorquando – a fronte della prospettata disciplina dei reciproci contributi economici dei coniugi per il cane, nonchè giorni ed ore di visita, prelievo e consegna dell’animale, feste comprese –  ha stigmatizzato comeuna caduta di stile sul piano culturale” l’adozione per animali di compagnia di “clausole generalmente adottate in tema di affidamento e protocollo di visita dei figli minori”.

La pronuncia sull’affidamento del cane in caso si separazione : Tribunale di Como, decreto 3 febbraio 2016

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