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Autore: Studio Legale Berto

Contestazione multe. Autovelox: un particolare caso di nullità della multa

Contestazione multe. Quando è possibile contestare una contravvenzione?

La regola generale prevede che, qualora sia possibile, la contravvenzione debba sempre esser contestata immediatamente al trasgressore: l’eccezione è accettata solo quando l’inseguimento o l’arresto dell’auto è pericoloso per motivi di traffico.

contestazione multe
Contestazione multe autovelox

Vi sono dei casi in cui il Prefetto, in relazione a determinate strade, può preventivamente autorizzare la contestazione non immediata.

In tal caso, la Corte di Cassazione ha più volte stabilito il principio per cui il verbale di contestazione della contravvenzione deve necessariamente riportare gli estremi dell’autorizzazione prefettizia.

In particolare, la Cassazione distingue tre ipotesi:

1) in un centro abitato, la contravvenzione è legittima solo se, con autovelox montato su cavalletto, l’automobilista viene fermato immediatamente con relativa contestazione .In poche parole, oltre allo strumento, ci deve essere anche la polizia a controllarne il funzionamento.
2) Il discorso è diverso per le autostrade, dove l’autotovelox non è sottoposto ad alcun limite e pertanto non è necessaria la presenza fisica della polizia.
3) Il caso più ostico è quello relativo alle strade urbane ad alto scorrimento, dove l’autovelox può essere attivato anche senza la presenza della polizia, ma solo dopo l’autorizzazione del Prefetto: autorizzazione che deve essere appunto indicata nel verbale di contestazione.

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Risarcimento danni cane investito

Risarcimento danni cane investito. Incidente-cane automobile-chi-risarcisce-il-danno?

Risarcimento danni cane investito. Chi vince il cane o la macchina?
Risarcimento danni cane investito. Chi vince il cane o la macchina?

Partiamo da un dato normativo Anzi: da due.

La legge pone a carico del proprietario di un automobile una presunzione di responsabilità in caso di incidente.
Ossia, “Il conducente di un veicolo… è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno” (art. 2054 cc).

Il secondo dato, è un’altra presunzione di responsabilità: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale , sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito” (art. 2052 cc.).
Ne discende che, in caso avvenisse un incidente automobilistico, oppure un animale cagionasse danno a qualcuno, ne risponderebbero rispettivamente il proprietario dell’auto e il padrone dell’animale.
Salvo che non dimostrino – loro – che il fatto non è ad essi imputabile, perchè avvenuto per caso fortuito o comunque perchè era inevitabile.
Bene. Come la mettiamo se l’incidente avvenisse tra un automobile e un animale, ad esempio un cane? Si può parlare di risarcimento danni per il cane investito?
In questa circostanza le due presunzioni di responsabilità ricorrerebbero entrambe e potrebbero dar luogo ad un concorso di colpa delle parti, proprietario del cane e dell’autoveicolo.
A meno che….
A meno che, come ha rilevato una recente sentenza della Cassazione, il Giudice, valutando caso per caso, non rinvenisse che una di esse abbia dato la prova liberatoria che la affranchi dalla propria responsabilità. In questo caso resterà in piedi solo la presunzione a carico dell’altra parte, che dovrà difendersi analogamente, se non volesse assumersi l’intero carico di colpa.

Ecco allora le tre ipotesi che potrebbero verificarsi:
1) nessun proprietario – dell’auto e del cane – riesce a superare la presunzione di colpa a proprio carico: entrambi rispondono dell’evento dannoso.
2) solo uno dei proprietari dimostra la propria condotta diligente e di non aver potuto impedire l’evento: risponde la controparte.
3) entrambi i proprietari riescono a provare che l’evento dannoso sfugge alla propria sfera di controllo: nessuno sarà tenuto a risarcire il danno e chi lo abbia conseguito se lo dovrà sobbarcare.

Risarcimento danni cane investito da macchina
Incidente-cane automobile-chi-risarcisce-il-danno?

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il proprietario dell’auto aveva dimostrato che la propria automobile procedeva regolarmente lungo la via, allorquando un cane gli si era parato innanzi, causando la collisione.
Appurato che lo scontro non sarebbe stato evitabile dal conducente, circostanza che lo assolveva dalla presunzione di responsabilità, rimaneva al proprietario del cane il compito di dimostrare che l’incidente era avvenuto per caso fortuito. Ma non vi è riuscito, posto che l’animale era sfuggito al suo controllo.

E, pertanto, per questa volta i danni li ha pagati il padrone sbadato e quindi adios risarcimento danni cane investito.
Nella speranza che almeno l’animale non si sia fatto molto male.

La sentenza: Cassazione civile, 17 febbraio 2017, n. 4202

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Addebito della separazione: il cambio di credo religioso non ne è di per sè motivo

Addebito della separazione per motivi di cambio credo religioso.

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Addebito della separazione per motivi di cambio credo religioso.

Lo dice la legge: “I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare… A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato”.

Una volta “salpata” la barca della vita matrimoniale, marito e moglie debbono concordare dove e come dirigerla e su entrambi – o meglio, su ognuno di essi – spetta il compito di adoperarsi per il conseguimento degli obiettivi fissati.

Orbene: “panta rei”, tutto scorre. Anche le persone possono cambiare.

Cosa ne è se uno dei coniugi dovesse modificare il proprio credo religioso, nel corso del rapporto matrimoniale?
Senz’altro talora potrebbero nascere sconvolgimenti, modifiche di abitudini, financo il modo di vivere.
Che ne sarà dell’indirizzo di vita concordato al momento delle nozze?

Per i giudici della Cassazione, le differenti scelte religiose intraprese da un consorte costituiscono l’attuazione di diritti inviolabili della persona, tra i quali vi è quello, costituzionalmente garantito, “di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume” (art. 19 Cost.).

Ecco allora che “nonostante l’incidenza sull’armonia della coppia, il mutamento di fede religiosa da parte di uno dei coniugi e la conseguente partecipazione dello stesso alle pratiche collettive del nuovo culto, non possono rappresentare, in quanto tali, ragioni sufficienti a giustificare la pronuncia di addebito della separazione“.
Ciò ovviamente purchè la nuova fede non imponga e si traduca in comportamenti incompatibili con la vita coniugale e con i conseguenti obblighi genitoriali, tali da determinare l’ improseguibilita’ della convivenza o grave pregiudizio per l’interesse della prole.
La sentenza: Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., 19-07-2016, n. 14728

 

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Disturbo della quiete pubblica : Il figlio fa “fiesta”, mamma e papà rispondono per i rumori molesti.

Disturbo della quiete pubblica: chi risponde se il figlio è minorenne?

disturbo della quiete pubblica
Disturbo della quiete pubblica. Chi ne risponde se chi ne è causa è minorenne?

Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
Si può cioè commettere un reato tramite una condotta inerte a fronte di un evento lesivo.
Per intenderci, si può commettere un omicidio sparando o lasciando morire di fame la vittima.
Si può anche far rumore, provocando disturbo della quiete pubblica, personalmente o lasciando che i figli minorenni facciano “fiesta”.
In ogni caso ne rispondono i genitori, che hanno obblighi educativi nei confronti della prole e pertanto debbono vigilare ed impedire che questi commettano scelleratezze o rechino danni ad altri.
Ciò tanto in sede civile, quanto in ambito penale.

La sentenza, recentissima, della Corte di Cassazione ribadisce il concetto ed il monito ad educare adeguatamente i figli anche nell’ambito del prevenire il disturbo della quiete pubblica naturalmente.
In buona sostanza: il “piccolo di casa”, aveva organizzato un party a casa dei genitori, assenti.
Ne è scaturito un pandemonio, con notevole disturbo del sonno dei vicini.
I genitori vengono tratti a processo davanti al Giudice penale, con l’accusa del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone (art. 659 cp).
Ne è conseguita la condanna, confermata in appello e poi davanti alla Corte Suprema, sul presupposto in base al quale i genitori sono tenuti a mantenere, istruire, educare i figli (art. 147 cc)
Fino a quando essi siano minorenni, dei fatti illeciti ne rispondono madre e padre, a sensi dell’art. 2048 cc, a meno che non provino di non aver impedito l’evento.

Penalmente, a fronte della richiamata disposizione che equipara il non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire al causarlo, i genitori sono stati ritenuti responsabili di aver permesso i disturbanti schiamazzi e rumori da parte del figlio che hanno generato la vicenda.
Ciò non esclude, ovviamente, la concorrente responsabilità del minore, se ultraquattordicenne e capace di intendere e di volere.

Tant’è: culpa in educando et in vigilando.
Bisogna adeguatamente educare i propri figli e vigilare sulle loro azioni.

La sentenza: Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-09-2016) 15-12-2016, n. 53102

 

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Ancora sull’obbligo comunicazione dati del conducente

L’obbligo di comunicare i dati del conducente da parte del proprietario del veicolo nel caso sia contestata una violazione che comporta la decurtazione dei punti patente non può essere sospeso o eliminato né dall’eventuale ricorso avverso la violazione principale, né dall’eventuale pagamento della multa correlata alla violazione del Codice della Strada presupposta.
E’ quanto ha più volte chiarito, anche recentemente la Corte di Cassazione (si veda per esempio la sentenza n. 24233 del 29.11.2016) secondo cui l’obbligo di comunicare i dati costituisce un distinto obbligo (sanzionato a sua volta autonomamente) che nasce dalla richiesta avanzata dall’Amministrazione.
In sostanza, anche qualora si faccia ricorso o si paghi la multa, è sempre necessario comunicare i dati del conducente per non incorrere nella sanzione di cui all’art. 126 bis codice della Strada che va da un minimo di euro 286 ad un massimo di euro 1142.

Mancata comunicazione dati conducente

Mancata comunicazione dati conducente
Cosa comporta la mancata comunicazione dati conducente?

A seguito della contestazione non immediata di una violazione che comporta la decurtazione di punti della patente l’art. 126 bis Codice della Strada pone al proprietario del veicolo l’obbligo di comunicare i dati del conducente.

Cosa capita per la mancata comunicazione dati conducente?
Capita spesso che il suddetto proprietario dimentichi di provvedere a tale incombnza e, in tal caso, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 286 a euro 1142.

E’ importante notare che detta seconda sanzione deve essere notificata entro il termine di 90 giorni dalla violazione: e cioé da quando scade il termine 60 giorni per il proprietario di comunicare i dati del conducente.

Ecco un esempio: una multa viene notificata il 1.01.2017. Entro 60 giorni, e quindi entro il 1.03.2017, il conducente deve inviare la comunicazione con i dati del conducente. Se non lo fa, il termine di 90 giorni per la notifica della seconda multa inizia a decorrere il 2.03.2017.

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Rilascio e rinnovo permesso di soggiorno

L’art. 5 comma 5 del Testo Unico sull’Immigrazione prevede che il rilascio e rinnovo permesso di soggiorno siano rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso sia revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili.

rilascio e rinnovo permesso di soggiornoDalla mancanza degli elementi cui l’ordinamento subordina l’ingresso ed il soggiorno dalla disposizione normativa sopra citata sembrerebbe obbligatoriamente discendere quindi non solo il rifiuto del titolo ma anche il venir meno di quello già rilasciato.

Il Tar Campania, tuttavia, in una recente decisione (sentenza n. 596 del 27.1.2017) ha ricordato che in base alla stessa norma è obbligo dell’amministrazione “considerare eventuali, sopraggiunti nuovi elementi, mancanti ad un primo esame, e che risultino invece successivamente posseduti” a favore del rilascio del provvedimento, purché evidenziati dall’interessato in un momento anteriore rispetto all’adozione della decisione definitiva (art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 286/1998).

Ai fini della legittimità del provvedimento di rigetto quindi non è sufficiente la valutazione degli elementi antecedenti alla scadenza del titolo di cui si chiede il rinnovo ma è necessaria anche la valutazione delle eventuali sopravvenienze.

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Separazione: riduzione assegno di mantenimento se nasce un nuovo figlio

Riduzione assegno di mantenimento:  se nasce un nuovo figlio le condizioni possono essere riviste.

Le condizioni che discipleranno la separazione debbono essere attentamente valutate dai coniugi, poichè non potranno essere in seguito modificate a causa di ripensamenti o perchè valutate sconvenienti o svantaggiose.

riduzione assegno di mantenimento
Quando è posibile la riduzione assegno di mantenimento se nasce un nuovo figlio?

L’unica possibilità di riduzione assegno di mantenimento è data da una eventuale e sopravvenuta mutazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi rispetto a quelle tenute in considerazione al momento della separazione, con effetti sia riguardo ai provvedimenti inerenti il mantenimento e l’affidamento della prole, sia relativamente al mantenimento del coniuge.

I “giustificati motivi” che presiedono la possibilità di riduzione assegno di mantenimeneto non possono ovviamente essere rinvenuti in scelte discrezionali ed unilaterali dei coniugi, (ad esempio scegliere di abbandonare il lavoro, stipulare un contratto di locazione maggiormente oneroso rispetto al precedente, intraprendere una nuova e dispendiosa attività) assunte nella consapevolezza dei propri obblighi derivanti dalla separazione ed in dispregio delle conseguenze che avrebbero comportato.

Ora, una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione si è fermata a riflettere sull’ipotesi in cui sopravvenga un nuovo figlio da altra relazione, successiva alla separazione.
Il marito, tenuto a corrispondere alla moglie un assegno di mantenimento, nonchè a contribuire a quello del figlio nato dalla relazione coniugale, intrapresa una nuova storia d’amore, diviene padre di un altro bambino: è legittimato a chiedere una revisione delle condizioni di separazione, alla luce delle maggiori spese che dovrà affrontare per la nascita del nuovo figlio?
Per i Giudice ermellini tale circostanza,  “pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico”.

Nella fattispecie si è ritenuto congruo “spalmare” la contribuzione del padre in favore di tutti i figli, con conseguente riduzione dell’assegno dei figli di primo letto.
Non solo.
Per quanto attiene l’obbligo al mantenimento della moglie, la nuova paternità comporterà la possibilità di rivederne l’ammontare o addirittura l’esclusione. Con una precisazione: non si deve pensare che la contribuzione nei confronti del coniuge debba essere “recessiva”, ossia di minor importanza, rispetto a quella dei figli, dovendosi “ anche in tale ipotesi valutarsi l’incidenza della circostanza sopravvenuta per verificare se sia in concreto giustificata la revoca o la modifica delle condizioni già fissate“.
La sentenza: Cass. civ. Sez. I, 13/01/2017, n. 789

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Can che abbaia…morde: la responsabilità danni causati da un animale

Di chi è la responsabilità dei danni causati da un animale domestico?

Homo faber fortunae suae, dicevano gli antichi: l’uomo è artefice del suo destino.

Se vuoi la bicicletta, dopo pedali: ci dicevano i genitori.
Anche il nostro ordinamento impartisce la medesima disposizione in capo al proprietario di animali. Quindi di chi è la responsabilità dei danni causati da un animale?
Recita, infatti, l’art. 2052 cc.  “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale , sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito“.

responsabilità danni causati da un animale
Responsabilità danni causati da un animale

Unica eccezione al chiaro monito del legislatore è dato dal fatto che si dia la prova del caso fortuito.
Prova che, ovviamente, incombe sul proprietario della bestia o comunque su chi la custodisca.
Un onere assai arduo dimostrare il caso fortuito, ma non impossibile.

Una recente sentenza del Tribunale di Ascoli ce ne riporta un esempio, affermando che nel “caso fortuito” rientri anche la condotta sconsiderata del danneggiato.

Cosa era successo: Tizio, elettrauto, si era recato a casa di Caio per riparargli l’automobile in panne.
Giunto nei pressi dell’abitazione, entrava in giardino e lì veniva assalito dal cane di Caio che lo mordeva, procurandogli serie lesioni alla mano.
Il danneggiato citava in giudizio il proprietario del cane, chiedendo i danni alla luce del menzionato art. 2052 cc.
Nel corso della causa, tuttavia, si appurava che l’animale era rinchiuso in un recinto, separato da sbarre d’acciaio; vi era un cartello ben visibile con scritto “attenti al cane”; la bestiola, al momento del passaggio dell’intruso, si era slanciata in sonori abbaii; ciò nonostante l’elettrauto allungava la mano all’interno del recinto e di lì veniva attinto dal morso del cane.

La conclusione del Tribunale è stata che il danneggiato se l’era andata a cercare e la sua condotta improvvida costituisse “caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità” invocata.
La Sentenza: Tribunale di Ascoli Piceno, 24.10.2016

 

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Piano casa: sulle distanze interviene l’interpretazione autentica della Regione

Piano casa: qualche chiarimento sulle distanze.

piano casa
Piano casa: le distanze

La Regione Veneto prende le mosse dalle interpretazioni – rimeditazioni del Tar  Veneto in materia di distanze dal confine nell’ambito di ampliamenti conseguenti al piano casa.

Come è noto, la Legge Regionale n. 14/2009, allo scopo di promuovere misure per il sostegno del settore edilizio, ha consentito l’ampliamento di edifici esistenti al 31 ottobre 2013 in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali, ivi compresi i piani ambientali dei parchi regionali nei limiti del 20 per cento del volume, o della superficie e comunque fino a 150 metri cubi per gli edifici residenziali unifamiliari da destinarsi a prima casa di abitazione.

Per gli ampliamenti rimanevano  “salve le disposizioni in materia di distanze previste dalla normativa statale vigente”.

L’interpretazione che ne conseguiva era che fossero derogabili le disposizioni non statali in materia di distanze.

Interpretazioni suffragate da un florilegio di sentenze del Tribunale amministrativo Regionale (Tar Veneto, Sez. II, 6 febbraio 2014, n. 151; 24 ottobre 2013, n. 1213; 13 giugno 2013, n. 835;  21 ottobre 2010, n. 5694).
In una recentissima pronuncia, riportata da questo sito al seguente link http://www.avvocatibertovicenza.it/distanze-il-piano-casa-non-deroga-alle-distanze-dai-confini/ , il Tar aveva dato l’altolà a siffatte argomentazioni, e con un revirement totale aveva rimeditato le precedenti pronuncie, arrivando a negare la legittimità di costruzioni derogatorie dagli strumenti urbanistici locali, pur in applicazione del piano casa.

Ebbene, la Regione Veneto, con la Legge R. n. 30 del 30 dicembre 2016- Collegato alla legge di stabilità regionale 2017 – ha stabilito l’auspicata chiarezza, fornendo un’interpretazione autentica della legge sul punto e precisando, una volta per tutte,  che “Le norme di deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti Piano casa le distanzeurbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali” di cui alla legge sul piano casa “devono intendersi nel senso che esse consentono di derogare ai parametri edilizi di superficie, volume, altezza e distanza, anche dai confini, previsti dai regolamenti e dalle norme tecniche di attuazione di strumenti urbanistici e territoriali”  fermo restando quanto previsto dalla legislazione di emanazione statale”.

Non solo “Gli eventuali provvedimenti di rigetto o di annullamento emessi dal comune sulla base di una interpretazione degli articoli 2, comma 1, 6, comma 1, e 9, comma 8, della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14, diversa da quella indicata al comma 1, sono riesaminati alla luce di quanto previsto dai medesimi”.

 

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