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Pagamento tributi locali da parte degli eredi: come si suddivide?

Imu, tari : come va suddiviso il pagamento dei tributi locali da parte degli eredi?

Spesso ci indebitiamo con il futuro per pagare i debiti con il passato.
KAHLIL GIBRAN

 

Non sappiamo se il grande poeta facesse riferimento anche ai debiti lasciati dal defunto, ma l’aforisma calza a pennello.

Capita di frequente che, nella massa ereditaria, debba tenersi conto di debiti contratti dal defunto prima della dipartita terrena.
E’ inutile in questa sede soffermarci in ordine all’opportunità da parte degli eredi di accettare l’eredità oppure no e, nel caso affermativo, se accettare con beneficio di inventario, per limitare la responsabilità debitoria nell’ambito di quanto si sia ricevuto (intra vires).

Qui partiamo dal presupposto che un’eredità sia stata accettata e plurimi siano gli eredi.

pagamento tributi locali eredi

La regola generale: i debiti ereditari si ripartiscono tra i successori in base alle rispettive quote.

L’art. 752 cc, infatti, stabilisce che “I coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto“.

Bene.

Ora c’è da chiedersi se tale ripartizione dei pesi valga solo tra coeredi e se, quindi, un creditore possa rivolgersi ad uno di essi pretendendo il pagamento dell’intero.

Non è così.

Non si viene a creare quella che in termini giuridici è denominata “solidarietà”- uno risponde per tutti e poi si rivale sugli altri – ma si tratta di un’obbligazione parziaria, proporzionale appunto alla partecipazione successoria, che andrà rispettata anche dai creditori.

E’ stato precisato al riguardo che “il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l’onere di indicare, al creditore, questa sua condizione di coobbligato passivo entro i limiti della propria quota, con la conseguenza che, integrando tale dichiarazione gli estremi dell’istituto processuale della eccezione propria, la sua mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l’intero” (C. 7216/1997).

pagamento debiti ereditari pro quota
pagamento dei tributi locali da parte degli eredi: va suddiviso pro quota

Eccoci qua, siamo arrivati ai debiti in capo al defunto attinenti alla mancata corresponsione dei tributi locali.

Dovrebbe essere pacifico, alla luce di quanto ci siamo detti sopra, che tale compendio debitorio vada ripartito pro quota tra gli eredi.
E’ così?
Sì è così, ma il percorso per arrivare a tale conclusione è un attimo più accidentato di quanto potesse pensarsi.

In altri ambiti, il legislatore, ha inteso imporre un vincolo solidale tra gli eredi per il pagamento dei debiti fiscali.
Ad esempio, in materia di imposta sui redditi, l’ art. 65 del D.P.R. 29 settembre 1973 stabilisce che “gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa”.
Anche l’art. 36 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, statuisce la solidarietà (ognuno risponde per l’intero, poi si rivale sugli altri) in ambito di pagamento imposta di successione.

Una recente sentenza della Commissione Tributaria di Salerno, ha avuto modo di precisare che tali norme sono a carattere speciale, ossia sono una deroga, in quanto tale specifica e non estensibile per analogia, a quanto in generale stabilito dal legislatore.

Quindi il vincolo solidale andrà limitato ad ipotesi espressamente previste dalla legge, tra le quali non rientrano i tributi locali.

La Sentenza: Commissione Tributaria Provinciale di Salerno n. 2504 del 25 giugno 2018.

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Suddivisione delle spese di installazione, manutenzione e sostituzione dell’ascensore condominiale.

Una recente sentenza della Cassazione ribadisce l’orientamento in tema di suddivisione delle spese di installazione, manutenzione e sostituzione dell’ascensore condominiale.

 

Condominio. Homo condomini lupus.

(Marcello Marchesi, regista-sceneggiatore, 1912-1978).

E’ proprio vero che il tema più scottante in ambito condominiale è quello della ripartizione delle spese.

Per quanto possano intervenire leggi di riforma della materia, sempre resteranno spazi di interpretazione e molteplici potranno essere le occasioni di lite.
Veniamo all’ascensore, anzi, alla suddivisione delle spese di installazione, manutenzione e sostituzione dell’ascensore.

suddivisione spese nuovo ascensore
Se un condominio, originariamente sprovvisto di ascensore, deliberasse l’installazione di un elevatore, le relative spese dovrebbero essere ripartite in base al valore dei millesimi di proprietà di ogni condomino, a sensi dell’art. 1123 cc.
Ferma la possibilità, trattandosi senza dubbio di innovazione gravosa, per i condomini che non intendano trarne vantaggio – leggasi utilizzarlo – di essere esonerati da qualsiasi contributo nella spesa.
L’ascensore, installato nell’edificio dopo la costruzione di quest’ultimo per iniziativa di parte dei condomini, infatti, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l’abbiano impiantato a loro spese. Ciò dà vita nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell’ascensore, che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi. L’art. 1121, comma 3, c.c. fa, infatti, salva agli altri condomini la facoltà di partecipare successivamente all’innovazione, divenendo partecipi della comproprietà dell’opera, con l’obbligo di pagarne pro quota le spese impiegate per l’esecuzione, aggiornate al valore attuale. (Cass. civ. Sez. II Ordinanza, 04/09/2017, n. 20713).

Bene, ora che un bell’ascensore in condominio ce l’abbiamo, ma è necessario provvedere alla sua manutenzione o, addirittura, alla sua sostituzione, come andranno ripartite le spese?

Senz’altro non potrà ignorarsi che il proprietario dell’appartamento al piano terra non utilizzerà l’elevatore, o certamente in maniera minore rispetto a quella dei piani superiori. Così pure il condomino del primo piano rispetto a quello del quinto.

Dobbiamo fare riferimento ad un’altra norma: l’art. 1124 ccLe scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo”.

Dunque.

Tutti debbono partecipare alle spese.
Tutti.
La Cassazione, al riguardo, ha rilevato che “al pari delle scale, l’impianto di ascensore, in quanto mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, riveste la qualità di parte comune anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poichè pure tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio, con conseguente obbligo gravante anche su detti partecipanti, in assenza di titolo contrario, di concorrere ai lavori di manutenzione straordinaria ed eventualmente di sostituzione dell’ascensore, in rapporto ed in proporzione all’utilità che possono in ipotesi trarne”.
Le modalità di partecipazione alla spesa saranno differenti a seconda dell’altezza di ciascun piano dal suolo. Qui si presume che maggiore sia l’altezza ove sia ubicata l’unità abitativa, tanto più utilizzato sarà l’ascensore condominiale.
Conseguentemente, ferma una quota da suddividersi in base ai millesimi, un’altra parte – la metà – si spartirà a seconda del piano abitativo di collocazione.

Questo criterio andrà utilizzato sia nel caso si debba procedere alla manutenzione dell’ascensore, sia in caso di sostituzione ex novo dell’elevatore.

suddivisione spese manutenzione ascensore

Si possono adottare altri criteri per la ripartizione delle spese?

Tutto è possibile, basta che ci sia l’unanimità dei condomini.

Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello di ripartizione delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori può essere derogato, ma la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione deve essere contenuta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), o in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini”.

La Sentenza: Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 15-06-2018) 12-09-2018, n. 22157.

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La responsabilità degli insegnanti per il danno commesso dall’alunno maggiorenne

Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione offre una diversa interpretazione sulla responsabilità degli insegnanti per il danno commesso dall’alunno maggiorenne.

Partiamo dal caso specifico: a scuola, una ragazza maggiorenne viene spinta in palestra da altri compagni, anch’essi over 18; inciampa su un tappettino ginnico, cade e si fa male.

Ne scaturisce una causa per il risarcimento del danno, dove l’infortunata cita i ragazzi che materialmente l’avevano strattonata, l’istituto scolastico, il Ministero dell’Istruzione, nonché l’insegnante che al momento del sinistro teneva lezione alla classe a cui apparteneva.

Lasciamo perdere i profili di responsabilità degli altri soggetti coinvolti nel giudizio e concentriamoci su quelli del docente.

responsabilità insegnante alunno maggiorenne

Il nostro codice civile riserva una norma specifica alla fattispecie: l’art. 2048, il quale dispone “Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante.

I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.

Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”.

La disposizione è apparentemente chiara (e severa per i motivi che esamineremo tra poco): i genitori rispondono per i fatti illeciti dei figli minori – si parla al riguardo di culpa in educando, ossia la loro responsabilità è ascrivibile alla mancata o insufficiente educazione impartita ai discendenti, che, se fosse occorsa, avrebbe impedito l’evento lesivo – successivamente, con la maggiore età ed il conseguimento del completo discernimento e della capacità di agire, risponderanno direttamente i figli stessi delle loro azioni.

La norma continua soffermandosi sulla responsabilità dei precettori: essi risponderanno per i fatti illeciti cagionati dagli allievi sottoposti alla loro vigilanza.

In entrambi i casi si rinviene quella che in termini giuridici viene denominata una presunzione di colpa: essi andranno esenti da responsabilità se dimostreranno di non aver potuto impedire il fatto, pur avendo adempiuto ai propri oneri di educazione e di vigilanza. L’evento dannoso, in tal caso, dovrà essere ascrivibile a circostanze imprevedibili ed inevitabili, in modo da troncare nettamente il fenomeno lesivo dalla condotta dei soggetti tenuti al controllo.

Ebbene, da una prima (ed anche da una seconda, per vero) disamina della disposizione di legge che abbiamo richiamato, si potrebbe concludere che, se un ragazzo, divenuto maggiorenne, consegue la responsabilità delle proprie azioni, tanto che i suoi genitori non risponderanno più per lui, alla medesima conclusione si dovrebbe pervenire in merito alla responsabilità degli insegnanti per il danno commesso dall’alunno maggiorenne.

Non è così.

danno commesso alunno
Sussiste la responsabilità degli insegnanti per il danno commesso dall’alunno maggiorenne

La Corte di Cassazione ci invita a considerare bene le due fattispecie contemplate dalla norma – la responsabilità dei genitori e degli insegnanti – che risultano accomunate solo dalla prova liberatoria che deve essere offerta a loro discolpa, ma non già sul dato anagrafico.

Per gli uni – i genitori – c’è un limite di età temporale del soggetto sottoposto al loro controllo, non per gli altri.

La fonte di responsabilità è diversa: il richiamo all’obbligo di vigilanza è effettuato solo per i precettori, non per i genitori.

E tale obbligo si ritiene debba sussistere anche sui soggetti – leggasi alunni – che abbiano conseguito la maggiore età.

Una circostanza del tutto plausibile, secondo la Suprema Corte, in quanto costituisce un naturale corollario dell’attività dell’insegnamento quella di vigilare sui destinatari di tale disciplina.

Pertanto, gli insegnanti sono tenuti alla vigilanza degli alunni e rispondono dei fatti illeciti che essi abbiano commesso anche dopo che questi abbiano conseguito la maggiore età.

A questo punto i giudici ermellini compiono un ulteriore passo avanti, effettuando una precisazione in ordine all’onere della prova che incombe sugli insegnanti che si vogliano discolpare dalla responsabilità loro attribuita dalla norma codicistica richiamata.

Si è poc’anzi accennato, infatti, come sia richiesta l’allegazione di “non aver potuto impedire il fatto dannoso” e di come questo debba essere stato imprevedibile e inevitabile.

Come rilevato in altre statuizioni, l’onere di vigilanza è meno rigido con l’aumentare dell’età del soggetto sottoposto al controllo: alla scuola primaria la vigilanza dovuta sarà massima, in quanto ridottissimi i margini di capacità e di autonomia dell’alunno. Col procedere degli anni tale obbligo si affievolirà, essendo ragionevole che il minore avrà conseguito maggiore discernimento e padronanza di sé.

Sarà conseguentemente più agevole il raggiungimento della prova liberatoria di non aver potuto impedire un evento rispetto al quale l’obbligo di vigilanza imposto sia ridotto.

Ebbene, la circostanza che l’alunno – autore del fatto illecito – sia maggiorenne è di estrema rilevanza per valutare la responsabilità dell’insegnante tenuto a sorvegliarlo, dovendosi ritenere che il conseguimento della maggiore età comporti la capacità per una persona normale di evitare consapevolmente una condotta colpevole che rechi danni a terzi.

Si attua, in questo modo, una sorta di inversione dell’onere della prova: non sarà più l’insegnante tenuto a discolparsi, bensì il soggetto danneggiato a dimostrare la colpevolezza del docente, ritenuto altrimenti presunto innocente.

Come è andato il giudizio relativo alla ragazza che era stata spinta dai compagni di classe? Leggete la Sentenza n.2334 del 31 gennaio 2018 della Corte di Cassazione.

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Rispetto delle distanze da immobile abusivo

Ciao, avvocatiberto

Rispetto delle distanze da immobile abusivo: cambio di rotta del Consiglio di Stato.

 

Poniamo il caso di dover costruire un fabbricato sulla nostra proprietà.

E’ noto che debbano essere rispettate, in base a diverse norme di legge, determinate distanze dalle altrui costruzioni.

Bene.

E se le costruzioni confinanti fossero abusive? Si dovrebbero rispettare le distanze stabilite come se tali costruzioni fossero legittime oppure si potrebbe fare a meno di considerarle nel computo, proprio perché eventualmente destinate ad essere demolite?

Signori, la risposta non è semplice né univoca.

In passato il Consiglio di Stato aveva escluso potesse esigersi il rispetto delle distanze da immobile abusivo.

Era stato osservato, infatti, che “l’abuso edilizio, allorquando occorra valutare la domanda del confinante di edificare sul proprio suolo, non può essere, di per sé, rilevante ed incidente sulla posizione giuridica di chi abbia diritto di edificare”: ciò in quanto – in caso contrario – si addiverrebbe “al risultato aberrante che, a causa dell’illecito ampliamento dell’edificio” confinante il vicino si vedrebbe costretto “ad arretrare il proprio manufatto rispetto alla sua legittima ubicazione originaria“. (Consiglio di Stato, sez. IV, 21 agosto 2015, n. 3968). 

Il ragionamento, di per sé, non fa una piega. Ci mancherebbe che per le illegittimità altrui debbano rimetterci altri.

Però…

La questione, come si diceva, non è così pacifica ed una recentissima pronuncia, sempre del Consiglio di Stato, ci dice il perché.

La considerazione muove da un quesito. Qual è la ragione per cui vengono emanate norme che prescrivono distanze tra costruzioni? “quella di preservare l’ordinato sviluppo dell’attività edilizia, nonché quella di preservare la salute dei cittadini, evitando il prodursi di intercapedini malsane”.

Quindi?

Ne consegue che, all’atto del rilascio del permesso di costruire per una nuova costruzione, devono comunque essere rispettate le distanze previste dalle norme applicabili, anche in riferimento ad un fabbricato che risulti abusivo”.

Invero, ragionando a contrario, l’accennata finalità della disciplina sulle distanze verrebbe ad essere sostanzialmente vanificata, posto che il mancato rispetto delle distanze da un fabbricato, nonostante il carattere abusivo dello stesso, porta di fatto a quel disordinato svilupparsi dell’attività edilizia ed al formarsi di intercapedini insalubri che l’ordinamento vuole evitare”.

demolizione immobile abusivo

I Giudici di Palazzo Spada precisano anche l’ovvia considerazione che incomba sull’amministrazione il compito di emanare provvedimenti sanzionatori volti alla demolizione delle opere abusive ed ai privati, interessati, l’onere/interesse a sollecitare tali provvedimenti, emanati i quali, una volta abbattute le opere illegittime, potranno costruire le loro alla distanza di legge.


La sentenza: Cons. Stato Sez. VI, Sent., (ud. 26-06-2018) 11-07-2018, n. 4229.

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Se l’anziano rifiuta di entrare in casa di riposo l’amministratore di sostegno puo’ imporglielo?

Anziano rifiuta di entrare in casa di riposo:che poteri ha l’ads?

Con decreto del 28.03.2018, il Giudice Tutelare del Tribunale di Vercelli ha ritenuto ammissibile, fra i poteri riconosciuti all’amministratore di sostegno, quello di prestazione del consenso volto all’inserimento del beneficiario in un luogo di cura e questo nonostante il dissenso dal medesimo espresso e senza che sia necessaria una pronuncia d’interdizione.

Anziano si rifiuta di entrare in casa di riposo. Il bisogno non può non trovare risposta

La vicenda riguardava un’anziana signora, affetta da demenza senile e priva di un benché minimo sostegno affettivo-familiare, per la quale era stata disposta la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno.

Il Giudice Tutelare, nel corso di una visita all’anziana, aveva avuto modo di accertare  “la gravissima condizione di precarietà, fragilità ed asservimento della beneficiaria” la quale, pur in possesso di un cospicuo patrimonio, veniva fatta vivere in un appartamentino di servizio rispetto a quella che era la sua abitazione “storica” e di cui era proprietaria a titolo esclusivo e, di fatto, occupata sine titulo dalla “nuora”.

Non solo.

L’anziana, di fatto, viveva segregata in casa, in un’abitazione priva di strumenti di sostegno per persone con ridotta mobilità e senza alcuna possibilità di chiedere aiuto.

La fragilità delle sue condizioni la portavano, inoltre, ad esporsi ingenuamente ed acriticamente a qualunque richiesta di terzi.

Il Giudice Tutelare del Tribunale di Vercelli ha ritenuto di dover dare immediata risposta all’esigenza di tutela dell’anziana attraverso il celere inserimento della stessa in una RSA.

Tale operazione è stata ritenuta del tutto lecita ed ammissibile indipendentemente dal dissenso della beneficiaria.

Come noto, infatti, “la scelta della nomina dell’amministratore di sostegno s’impone laddove la riluttanza della persona fragile si fondi su un senso di orgoglio ingiustificato con il rischio di non dare un’adeguata tutela ai suoi interessi” e soprattutto laddove la volontà della persona non sarebbe in realtà autonoma e consapevole espressione dei propri desideri e interessi, ma soltanto condizionata dalla grave patologia in atto (cfr. Cass. Sez. I, n. 22602/2017)

In caso contrario i poteri dell’amministratore di sostegno sarebbero praticamente inutili, così vanificata la funzione concretamente protettiva della persona, non più autonomamente capace di comprendere cosa sia meglio per sé e per la propria incolumità.

 

 

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Chiudere con un cancello l’accesso ad un fondo è illegittimo se non si consegni copia delle chiavi agli altri possessori

E’ possibile chiudere con un cancello l’accesso ad un fondo? Vanno consegnate le chiavi agli altri possessori.

Estate. Si parte per le vacanze.

Mare o montagna. Si raggiunge l’appartamentino acquistato con i sudati risparmi.

All’arrivo l’amara sorpresa: l’accesso al fondo sul retro, quello sul quale da sempre abbiamo portato il nostro cane a fare le corse, o andavamo a raccogliere i fiori, o passeggiavamo per diletto è chiuso da un cancello.

Dovevo farlo per la sicurezza della mia proprietà” farfuglia il titolare del terreno.

Ma poteva? Ci passavamo da sempre, più volte l’anno, da quando avevamo i pantaloncini corti e il moccio al naso.

azione possessoria

Cosa dice la legge?

Si opera una distinzione.

Se fossimo stati ospiti occasionali, se il nostro accesso fosse stato consentito eccezionalmente, per cortesia, allora il proprietario avrebbe agito legittimamente, esercitando una sua prerogativa, quella di inibire il passaggio a chiunque transitasse senza il suo consenso.

E’ stabilito, infatti, che “gli atti compiuti con altrui tolleranza non possono servire a fondamento dell’acquisto del possesso” (art. 1144 cc).

Così, “le attività che traggono origine da un atteggiamento di condiscendenza del proprietario, da rapporti di amicizia e di buon vicinato a fronte di limitate e saltuarie ingerenze altrui e consistono in un godimento di portata modesta e tale da incidere molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell”effettivo titolare o possessore….non danno luogo, invero, a una situazione possessoria poiché non socialmente valutabili quali affermazioni di potere sulla cosa”. (Tribunale Cassino, 16/11/2009, n. 995).

Da cosa si può evincere che un atto venga compiuto per mera tolleranza?

Il giudice, eventualmente chiamato a decidere sulla controversia, potrà valutare discrezionalmente in base agli elementi che verranno forniti.

Avranno, tuttavia, rilevanza:

  • gli elementi di transitorietà e saltuarietà dell’attività esercitata, tali da incidere minimamente sul pieno diritto dell’effettivo titolare;
  • la conclamata origine degli atti effettuati da rapporti di buon vicinato, di familiarità o di amicizia.

Se il passaggio fosse stato esercitato con regolarità, seppure ciclicamente, come se si fosse trattato di agire secondo una prerogativa dovuta, acquisita, allora sarebbe un altro paio di maniche.

Approfondiamo.

Il possesso per il nostro codice civile è “il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale” (art. 1140 cc).

In buona sostanza, ci si comporta come se la “cosa” (nel nostro caso il terreno) fosse propria, o come se avessimo diritti su tale cosa (nel nostro caso il diritto di passaggio).

Talvolta, si esercita tale comportamento senza essere proprietari della “cosa” e senza avere diritti – almeno consacrati – sulla stessa.

Tuttavia, proprio perché il godimento del bene è frutto di un’attività non occasionale e caratterizzata da un esercizio assimilabile a quello svolto dal titolare del diritto, non si può interromperlo arbitrariamente, ex abrupto, quand’anche si contestasse la legittimità di tale comportamento.
Sarebbe come farsi giustizia da se’.

consegna chiavi possessore

In questo caso, sarà necessario svolgere un’azione giudiziale per contestare la propria piena titolarità del bene e l’assenza di diritti altrui.

In difetto, ossia spogliando il possessore del bene della possibilità di esercitare tale potestà, con atti che la precludano o la limitino, si rischierebbe un’azione cd possessoria da parte sua, volta a chiedere la reintegrazione o la manutenzione nel possesso perduto o deteriorato.

In questo caso il giudice non deciderà se il possessore spogliato abbia o meno un titolo risalente che lo legittimi all’esercizio del possesso, bensì si limiterà ad accertare la sussistenza stessa del possesso ed il verificarsi dello spoglio. Ad un giudizio futuro, che potrà essere iniziato da chi agisca in rivendica solo dopo la cessazione di quello possessorio, sarà demandata la statuizione dell’esistenza di diritti in capo al possessore.

Torniamo al nostro caso, al passaggio precluso dall’apposizione di un cancello.

Tale attività, di per sé, pregiudicherebbe il nostro possesso, non consentendoci di esercitare il passaggio di cui avevamo sempre beneficiato.

Certamente il proprietario ha diritto di rendere sicuro il proprio fondo da incursioni esterne, ma anche il nostro diritto di passaggio andrà tutelato.

Ecco, allora, che per effettuare un bilanciamento tra le contrapposte esigenze, il proprietario deve consegnare copia delle chiavi del cancello al possessore, per consentirgli il transito e non incorrere nella possibilità di subire un’azione di spoglio.

Attenzione. Tale consegna potrebbe non essere sufficiente: occorrerà, infatti, esaminare attentamente la situazione dei luoghi e le prerogative attribuibili ai singoli diritti.

Nel mentre, infatti, la consegna delle chiavi, in casi simili a quello rappresentato, è stata ritenuta rimedio sufficiente e, seppur il dover aprire e chiudere il nuovo varco possa arrecare un disagio minimo per chi debba esercitarvi il passaggio, costituirebbe idoneo contemperamento con le esigenze del proprietario, (Cass. Civ. 17550/2014), talora potrebbe essere necessaria anche l’installazione di un citofono, per consentire il libero e comodo accesso a chi abbia il possesso del passaggio e ai terzi da lui autorizzati nei limiti della normalità” (Cass. n. 6826/2013), ovvero “l’apposizione di un meccanismo automatico con telecomando a distanza o di altro similare rimedio” per rendere meno disagevole l’apertura del cancello.

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Otto cose da sapere sul contratto preliminare

Otto cose da sapere sul contratto preliminare

Un’obbligazione contratta con parole si toglie con parole.“ (Eneo Domizio Ulpiano 170 – 228 d.c.)

Per questo è meglio scriverla.

Oggi ci soffermiamo sul contratto preliminare, di cui tutti abbiamo sentito parlare e molti lo avranno pure stipulato, per approfondire  alcuni aspetti da sapere e non farci trovare impreparati al momento dell’occorrenza.

1. cos’è il contratto preliminare?

Il codice civile non ci dice cosa sia il contratto preliminare, ma si limita ad indicare quale forma debba avere (1351 cc).

Possiamo affermare che si tratti di un contratto con cui le parti si impegnano a stipulare successivamente un altro contratto, il definitivo.

Un impegno a contrarre in seguito. Un obbligo che deve essere rispettato.

La proprietà di un bene, pertanto, non “passa” in seno al preliminare, ma solo successivamente con la stipula del definitivo.

La scelta di procedere con questa modalità può essere dettata da vari motivi: il più delle volte le parti non sono pronte ad addivenire immediatamente al “rogito”, ma hanno la necessità di prendere tempo per conseguire quanto necessario per la stipula (per es. reperire il mutuo della casa, una nuova abitazione per chi vende, la predisposizione della documentazione catastale…).

Altre volte esigenze di carattere fiscale suggeriscono di dilazionare il trasferimento di un bene per sottoporre il fenomeno traslativo ad un periodo di imposizione successivo.

preliminare futuro definitivo
otto cose da sapere sul contratto preliminare

2. che forma deve avere il contratto preliminare?

La medesima necessaria per il contratto definitivo.

Pena la nullità.

In particolare, se il contratto definitivo dovesse avere ad oggetto un bene immobile, per la cui validità è necessaria la forma scritta, per iscritto dovrà avvenire anche il preliminare.

Per la vendita di beni mobili non è necessaria la forma scritta, per cui nemmeno il preliminare dovrà osservarla. Si ritiene, comunque, suggeribile di documentare compiutamente l’impegno alla stipula, per ottenere piena prova di tale circostanza nel caso in cui i patti non venissero rispettati.

Va segnalato come la giurisprudenza richieda identico requisito formale anche per le modifiche eventualmente apportate al contratto preliminare, come pure per un eventuale scioglimento o recesso dallo stesso.

3. Cosa succede se una parte non rispetti il contratto preliminare e si rifiuti di stipulare il definitivo?

Lo abbiamo detto: il contratto preliminare non trasferisce la proprietà, ma obbliga comunque ad una prestazione, che è quella di stipulare il contratto definitivo.

Il mancato rispetto di questo impegno può condurre a due ipotesi alternative.

In primo luogo è possibile chiedere la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare e, conseguentemente, il risarcimento del danno che ne sia conseguito.

In secondo luogo, è esperibile un’azione giudiziaria con cui si chieda l’adempimento dell’obbligazione inevasa: ossia la stipula del contratto definitivo. In questo caso, la pronuncia finale del giudice che accolga tale richiesta comporterà “gli effetti del contratto non concluso”. (2932 cc). Vale a dire che la sentenza sostituirà il consenso che la parte inadempiente ha rifiutato di prestare davanti al notaio ed in virtù di ciò si conseguiranno gli effetti del contratto definitivo: la proprietà del bene passerà all’acquirente che dovrà versare il prezzo.

elementi contratto preliminare

 4. Quali sono gli elementi minimi che deve contenere?

Proprio perché in caso di inadempimento la sentenza darà esecuzione al contratto preliminare, è opportuno che questo sia il più dettagliato possibile.

Senza dubbio la descrizione compiuta del bene oggetto della vendita, del prezzo, delle parti e dei termini contrattuali sono elementi imprescindibili, senza i quali addirittura si rischierebbe l’assoluta indeterminatezza dell’accordo, tuttavia è consigliabile apporre tutte le clausole tipiche di un contratto definitivo, di modo che le medesime garanzie possano essere richiamate in sede di stipula successiva o in sede giudiziaria.

Poichè dal 2010 la commerciabilità dei fabbricati è subordinata anche all’attestazione, resa in atto dalla parte o con apposita relazione tecnica, di conformità dei dati e delle planimetrie catastali depositate in catasto allo stato di fatto, sarebbe opportuno di ciò farne esplicita menzione anche nel preliminare poiché la regolarità urbanisitica e catastale dell’immobile è condizione per procedere alla stipula del definitivo.

5 è obbligatorio registrare e trascrivere il contratto preliminare?

Operiamo una distinzione.

Per quanto riguarda la registrazione, che ha valenza fiscale, è obbligatoria.

Il T.U. 26 aprile 1986 n. 131 (Testo Unico imposte di registro) prevede, infatti, la soggezione a registrazione “in termine fisso” dei contratti preliminari di ogni specie.

L’importo, da corrispondere tramite modello F24, ammonta ad € 200 oltre ad una imposta di bollo di € 16 da applicare ogni quattro facciate oppure ogni 100 righe del compromesso.

Se sia stata prevista la corresponsione di un acconto in sede di preliminare, allora questa somma sarà soggetta ad imposta di registro nella misura dello 3% , mentre nel caso in cui il versamento sia stato effettuato a titolo di caparra l’imposta sarà dello 0,50% di esso.

Il termine entro cui effettuare la registrazione è di 20 giorni dalla data dell’atto.

Discorso diverso vale per la trascrizione del preliminare.

Non è obbligatoria. Costituisce un’opportunità tanto per la parte promissaria acquirente che per la promittente venditrice.

Trascrivendo il preliminare, infatti, si ottiene il cosiddetto effetto prenotativo.
Nel caso in cui l’attuale proprietario del bene, nonostante l’impegno a vendere contratto nel preliminare, alienasse a terzi in spregio a tale obbligo, la controparte potrebbe agire in giudizio per rivendicare i propri diritti antecedenti e facendo retroagire la pronuncia che ne conseguirà al momento della trascrizione del preliminare.

Poniamo che Tizio (promittente venditore) e Caio (promissario acquirente) stipulino un contratto preliminare di compravendita dell’appartamento Alfa e che tale accordo venga trascritto in data 10 giugno 2018.

Prima della data stabilita per il rogito, Tizio – inopinatamente- vende a Sempronio l’appartamento Alfa, che ne consegue la proprietà.

In questo caso Caio potrà ottenere la neutralizzazione della vendita intercorsa medio tempore, consacrando il proprio diritto di essere preferito in base ad un atto trascritto antecedentemente.

Tale prerogativa non avverrebbe nel caso di omessa trascrizione del preliminare, poiché andrebbe tutelato anche il terzo acquirente, ignaro della contrattazione intercorsa tra Tizio e Caio, che non risulta dai pubblici registri.

L’opportunità di trascrivere o meno il preliminare è ovviamente differente quanto più o meno breve sia il termine previsto per la stipula del definitivo ed anche a seconda dell’importo che sia stato versato come anticipo prima del rogito nonché, tra tutte, se sussista un’approfondita conoscenza delle parti contraenti.

Il costo per la trascrizione ammonta, attualmente, ad € 200 di imposta fissa, € 30 di diritti, oltre al compenso per il professionista incaricato ragguagliato al valore del trasferimento.

preliminare effetti anticipati

6 si può ottenere l’immediato possesso dell’immobile alla stipula del preliminare?

Non è corretto parlare di possesso, perché in termini giuridici non è possibile, ma di detenzione che è un concetto simile ma non identico.

Sì, è possibile che già in sede di preliminare vengano anticipati alcuni effetti del contratto definitivo: tra questi la consegna dell’immobile.

La giurisprudenza ha ritenuto che potrebbe ritenersi configurato una sorta di contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare.

Come, pure, ben potrà accadere che in tale occasione venga corrisposta tutta o larga parte del prezzo complessivo pattuito.

In ogni caso è escluso che si verifichi con il preliminare l’effetto traslativo, che avverrà solo con la stipula del definitivo.

E’ importante specificare che i versamenti debbano essere effettuati tramite bonifico o assegno e non in contanti in base alle norme in materia di riciclaggio ed alla tracciabilità dei versamenti.

7 che fine fanno i soldi versati in sede di preliminare?

Quasi sempre, contemporaneamente alla sottoscrizione del preliminare, la parte promissaria acquirente conferisce delle somme al promittente venditore, a titolo di acconto o caparra confirmatoria.

In entrambi i casi, tali importi alla stipula del definitivo verranno detratti dal prezzo complessivo.

In caso di inadempimento, le conseguenze potranno essere differenti.

In caso di versamento di un semplice acconto, se il contratto dovesse essere risolto andrà restituito, fatta salva la possibilità di chiedere un risarcimento del danno alla parte inadempiente.

Se, invece, sia stata versata una somma a titolo di caparra, la parte non inadempiente potrà recedere dal contratto e, a seconda dei casi, trattenere la caparra o pretendere il doppio della stessa.

E’ importante, pertanto, che sia ben specificato il titolo per cui sia effettuato il versamento.

preliminare sulla carta

8 è possibile sottoscrivere un preliminare avente ad oggetto un immobile da costruire.

Un cosiddetto preliminare sulla carta.

In questo caso la legge (decreto legislativo 20 giugno 2005 n. 122) impone che il costruttore/venditore consegni all’acquirente – prima o all’atto della stipula del contratto preliminare – una fideiussione, rilasciata da una banca o da un’impresa di assicurazione o ancora da un intermediario finanziario a ciò abilitato, a garanzia di tutte le somme o comunque dei corrispettivi incassati dal costruttore stesso sino al trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento. Pena la nullità del contratto, che può essere fatta valere unicamente dall’acquirente

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Tamponamenti a catena: chi paga?

Tamponamenti a catena: chi paga? l’ultimo della colonna o ogni soggetto tamponante?

Oggi ci occupiamo di tamponamenti a catena per rispondere alla più classica delle domande: chi paga?

Ve lo diciamo subito: la risposta non è così ovvia e sarà differente a seconda delle ipotesi che si saranno verificate.

Partiamo dalla prima, con un esempio.

Lunedì mattina, inverno, freddo e sonno.

Riprendere il lavoro dopo la pausa del fine settimana è durissimo e può essere che con la testa si sia ancora al pranzo domenicale o alla partita della propria squadra del cuore.

Il tragitto casa-lavoro la nostra automobile lo percorre ormai da sola ma…taaac, non abbiamo fatto attenzione alla macchina avanti la nostra, che ha frenato al semaforo divenuto rosso e…. puuuum, le andiamo sonoramente addosso, fracassando il nostro paraurti contro quello anteriore. Il problema è che dietro di noi procedevano altre due automobili, una in fila all’altra, che non hanno fatto in tempo a frenare e… taaaac, la prima viene addosso a noi, la seconda addosso alla prima.

tamponamenti a catena
Tamponamenti a catena, chi paga? è necessario esaminare se i veicoli coinvolti fossero in sosta o in movimento

Chi paga in questo caso di tamponamenti a catena tra veicoli in movimento?

In questo caso si dovrà richiamare quanto disposto da una norma del codice civile: l’art. 2054 cc.

Tale disposizione stabilisce che “nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subìto dai singoli veicoli”

Ebbene, nel caso che ci occupa, la giurisprudenza ha avuto modo di statuire che “tema di circolazione stradale, nell’ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l’art. 2054, secondo comma, cod. civ., con conseguente presunzione “iuris tantum” di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull’inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”.

Quindi, chi paga per i tamponamenti a catena?

Ovviamente il primo veicolo della fila, a meno che non sia incorso in infrazioni particolari, non sarà tenuto a contribuire ad alcun risarcimento, non avendo danneggiato alcuno e potrà pretendere la refusione dei danni.

Per quanto riguarda i conducenti delle macchine dietro, coinvolte nei tamponamenti a catena, saranno tenuti a dare prova di non aver potuto impedire il danno e, nella fattispecie, di aver mantenuto un’adeguata distanza di sicurezza, altrimenti concorreranno entrambi in eguale misura al risarcimento del primo veicolo.

A diverse conclusioni si deve pervenire in una seconda ipotesi di tamponamenti a catena che oggi esaminiamo.

Poniamo che gli autoveicoli coinvolti non fossero in movimento, ma allineati, fermi in coda al semaforo.

Mettiamo che l’ultimo mezzo, quello guidato il lunedì mattina dal lavoratore assonnato per intenderci, non si accorga tempestivamente di tale circostanza e tamponi il veicolo davanti, che urti quello anteriore e così via.

Anche qui la valutazione dei giudici è perentoria: “nel caso di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta, unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate, tamponando da tergo l’ultimo dei veicoli della colonna stessa” (cfr. Cassazione civile, sez. VI-3, ordinanza 15 giugno 2018, n. 15788, Cass. 4021 del 2013).

incidente stradale
tamponamenti a catena: attenzione a quale compagnia assicurativa indirizzare la richiesta danni

A quali compagnia assicuratrice rivolgersi per chiedere il risarcimento del danno in caso di tamponamenti a catena?

L’art. 149 del D.Lgs 209/2005 (codice assicurazioni private) stabilisce che “ In caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all’impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato”.

Bene, nel caso di scontro tra due veicoli il danneggiato rivolgerà la richiesta di risarcimento alla propria compagnia assicurativa la quale gestisce la pratica per conto della compagnia del soggetto responsabile, per poi regolare i rapporti con quest’ultima attraverso una stanza di compensazione.

Ma nel caso di più veicoli coinvolti in tamponamenti a catena chi paga?

Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Cassazione civile, sez. III, sentenza 07/02/2017 n° 3146) ci soccorre nell’individuazione, operando una distinzione.

La procedura di indennizzo diretto è ammissibile anche in caso di collisione che abbia riguardato più di due veicoli, con esclusione della sola ipotesi in cui, oltre al veicolo dell’istante e a quello nei cui confronti questi rivolge le proprie pretese, siano coinvolti ulteriori veicoli (i cui conducenti siano) responsabili del danno”.

Quindi se vi siano stati più macchine coinvolte nel sinistro ma una sola di esse sia la responsabile dell’incidente, ogni soggetto danneggiato potrà rivolgersi alla propria compagnia per essere risarcito.

Tale modalità opererà anche laddove sussista la corresponsabilità del danneggiato istante, indipendentemente dall’esistenza di altri danneggiati, mentre resta esclusa nel caso in cui, essendovi ulteriori soggetti responsabili, si avrebbe il coinvolgimento di una ulteriore compagnia di assicurazione.

Nell’ipotesi di più soggetti responsabili del sinistro – frequente, attesa la presunzione di responsabilità stabilita dall’art. 2054 cc, appena esaminato – si dovrà seguire la procedura standard stabilita dall’art. 148 del codice delle assicurazioni, il cui link qui alleghiamo per comodità, formulando la richiesta danni all’assicurazione del proprio danneggiante.


Vuoi maggiori informazioni?

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Come fare testamento?

Come fare testamento?

Sono già due anni che ho fatto testamento. Veramente, sai? Tanto a fare testamento non si muore mica prima!

Iniziare una mini guida citando una frase di Sandra Milo potrebbe scoraggiare il lettore più esigente.

Il messaggio che vogliamo passare è di farsi trovare preparati.

E’ vero, una volta che si avrà abbandonato questo mondo lasceremo i problemi a chi verrà dopo di noi. Se li grattassero.

Ciò che è certo è che la vita è fatta di relazioni, di affetti, di legami di parentela, di amicizie. Un nostro gesto, anche di carattere patrimoniale, può essere d’aiuto a chi resterà. Conoscere l’ABC su come fare testamento ci darà la possibilità di indirizzare questa attenzione ai nostri cari senza incorrere nel rischio che le nostre volontà possano essere disattese per vizi di forma o cavilli di legge.

E poi…si può sempre cambiare idea … se si sarà in tempo per farlo.

Come fare testamento?

Cos’è il testamento?

Domanda banale, tutti lo sanno.

E’ un atto con cui un soggetto viene a disporre di tutte le proprie sostanze o parte di esse per il momento in cui avrà cessato di vivere.

Ma lo sapevate che con il testamento si possono dare indicazioni anche di carattere non patrimoniale?

Ad esempio, con tale atto è possibile riconoscere un figlio (art. 254 cc), designare un tutore per il proprio figlio minore (art. 348 cc) ed anche un curatore che amministri i beni (art. 356 cc)  che gli vengano lasciati o donati.

Queste sono alcune disposizioni tipiche di carattere non patrimoniale previste dal legislatore. Altre, purché meritevoli di tutela e non contrarie a norme di legge, possono essere inserite in libertà dal testatore.

Libertà, un principio cardine in ambito testamentario.

Chi confeziona il proprio atto di ultime volontà deve essere libero da condizionamenti sul se e sul come redigerlo.

E nessuno ci deve mettere il naso.

Per questo motivo: sono vietati i cd patti successori (ossia accordi con cui si conviene con qualcuno in ordine alla propria successione. Ad esempio il patto con cui ci si impegna a nominare proprio erede qualcun altro); sono vietati i testamenti congiuntivi (con cui due persone dispongono delle proprie volontà nel medesimo atto) o reciproci (redatti nel medesimo documento da due persone, l’una in favore dell’altra, o con condizioni di reciprocità, ad es. questo testamento sarà valido solo se tu abbia nominato erede me nel tuo); non si può testare appoggiandosi ad un rappresentante delegato a redigere l’atto.

Una conseguenza di questa libertà è che si possa cambiare idea.

La revoca del testamento

Il testamento, infatti, può essere revocato.

Come?

Espressamente: distruggendolo, oppure con una apposita dichiarazione, redatta anch’essa per iscritto o in un nuovo testamento (ad esempio: “revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria”)

Tacitamente: predisponendo un altro testamento con contenuto incompatibile con quello precedente (attenzione, non è detto che valga sempre soltanto l’ultimo testamento. Se non è contrastante col precedente potrebbe costituirne una integrazione), oppure vendendo o trasferendo il bene lasciato in eredità.

Quali requisiti per redigere testamento?

Il nostro codice non dice cosa ci voglia per essere capaci di disporre validamente per testamento. Indica cosa lo impedisce.

In particolare:

– la minore età. Il minorenne è incapace di testare e se anche lo facesse il testamento sarebbe nullo.

– la incapacità di intendere e di volere. Espressione della libera autodeterminazione testamentaria è la capacità di rendersi conto di ciò che si sta facendo quando si redigano le proprie ultime volontà.

l’interdizione. Il soggetto interdetto è dichiarato, a monte, incapace di provvedere ai propri interessi per un’abituale infermità di mente.

Tanto il soggetto sottoposto a misura di inabilitazione, tanto quello beneficiario di amministrazione di sostegno possono testare, non risultando alcuna preclusione normativa (a meno che, in caso di ADS, non sia stato esteso, appositamente, nel provvedimento del Giudice Tutelare, tale limitazione, prevista per l’interdizione).

Quali tipi di testamento?

La distinzione più frequente è tra testamento olografo e testamento pubblico.

Il testamento olografo

testamento olografo

è quello redatto interamente di proprio pugno (a mano) dal disponente.

E’ di gran lunga il modello più utilizzato per redigere le proprie ultime volontà.

Ciò per gli indubbi vantaggi offerti rispetto ad altre forme di testamento:

Innanzitutto è gratuito. Non necessitando di un professionista o di un notaio per la stesura, i costi sono pressoché azzerati.

La segretezza: nessuno verrà a conoscere le nostre determinazioni, non essendoci testimoni che possano presenziare alla redazione e non essendo necessario che il testamento sia custodito in luoghi predeterminati.

L’immediatezza: Si può predisporlo qui, ora. Quando si vuole. Ovunque ci si trovi. Su qualsiasi pezzo di carta. Senza rigide formalità. Altrettanto semplicemente si può modificare, revocare, cancellare.

Vi possono essere alcuni “contro”: la segretezza potrebbe essere eccessiva, il testamento nascosto troppo bene, così da non essere rinvenuto.

Ed ancora: magari si pensava che in quel posto nessuno ci avrebbe messo naso ed invece…

Potrebbe esserci il pericolo di sottrazioni o di distruzioni di quel documento di cui nessuno sapeva l’esistenza o il contenuto.

Oppure potrebbe verificarsi che qualcuno, commettendo un reato, abbia interesse affinché il testamento non venga pubblicato e lo disperda o distrugga dopo averlo rinvenuto.

Circostanze che potrebbero utilmente essere ovviate consegnando il testamento ad un professionista o ad una persona di fiducia che lo custodisca.

Elementi essenziali per il testamento olografo

Data, sottoscrizione, compilazione tutta eseguita di proprio pugno dal testatore.

La data: serve per collocare temporalmente il testamento. Come abbiamo visto ne possono essere redatti plurimi nel corso della vita di una persona.

Talvolta sono incompatibili tra loro. In questo caso prevarrà la disposizione redatta per ultima e l’indicazione della data sarà utile per operare questo bilanciamento.

Ovviamente la veridicità della data potrebbe essere oggetto di contestazione da parte di qualche interessato, ma questa guida riguarda soltanto l’ABC sul testamento e non è bene dilungarsi oltre.

La data è altresì utile per verificare la capacità mentale del testatore, elemento essenziale ai fini della validità dell’atto di ultime volontà. Collocare nel tempo il testamento darà la possibilità di verificare se, all’epoca, sia stato redatto da soggetto che presentasse patologie tali da perturbarne le facoltà psichiche oppure no.

Tale requisito è fondamentale anche per appurare se al momento della redazione il disponente avesse oppure no figli. In tale ultimo caso, come pure in quello in cui il testatore ignorasse di avere discendenti, opererà una speciale revoca di diritto del testamento “per sopravvenienza dei figli” (art. 687 cc) in cui il codice stesso priva di efficacia l’atto predisposto senza possibilità di conoscere circostanze ritenute fondamentali come quella in esame.

E’ ritenuto valido equipollente, in luogo dell’esatta indicazione di giorno/mese/anno, indicare specifiche ricorrenze di quella data: ad es. Natale 2018; Capodanno 2015, etc..

Se la data dovesse mancare il testamento potrebbe essere annullato su richiesta di chiunque vi avesse interesse.

Addirittura più grave la sanzione per il difetto o il vizio degli altri due elementi fondamentali, la sottoscrizione e l’autografia, per i quali è stabilita addirittura la nullità.

Con riferimento alla firma, deve essere apposta al termine delle disposizioni (è stato, infatti, ritenuto invalido quello sottoscritto in ogni foglio tranne quello finale) e deve permettere l’identificazione del testatore senza possibilità di errore (anche se la firma illeggibile potrebbe essere considerata valida se tratto abituale che contraddistingua il redattore).

Può sostituire il nome ed il cognome – se proprio proprio si deve – l’uso di pseudonimi assolutamente riferibili al testatore o l’indicazione del rapporto di parentela con i beneficiari delle disposizioni (es vostra mamma).

Per quanto riguarda l’autografia, essa impone l’integrale redazione dell’atto a mani del testatore.

L’impiego della propria grafia garantisce, infatti, la provenienza e la conoscenza del contenuto da parte di chi lo abbia predisposto.

Non è ammesso l’utilizzo di mezzi meccanici per la redazione dell’atto – macchine da scrivere, computer o altro – ed è addirittura contestato se sia plausibile l’impiego dello stampatello in luogo del corsivo (a meno che non sia accertato l’utilizzo, da parte del testatore, oltre che del consueto carattere corsivo, anche di quello stampatello).

Possono essere effettuate aggiunte ad un testamento redatto in precedenza. In questo caso tali cd “codicilli” dovranno riportare i medesimi requisiti prescritti per l’atto principale: data, sottoscrizione, autografia. In difetto saranno invalidi, ma tale mancanza non travolgerà, di per sé, il resto del testamento.

disposizioni non patrimoniali del testamento
Come fare testamento? si possono inserire anche disposizione che non hanno contenuto patrimoniale

Testamento pubblico

E’ il testamento ricevuto dal notaio alla presenza di due testimoni .

Più in particolare, il testatore, in presenza dei testimoni, dichiara al notaio la sua volontà, la quale è ridotta in iscritto a cura del notaio stesso. Questi dà lettura del testamento al testatore in presenza dei testimoni. Di ciascuna di tali formalità è fatta menzione nel testamento (art. 603 cc).

Ciò comporta che non vi dovrebbero essere dubbi circa la provenienza delle dichiarazioni raccolte dal pubblico ufficiale né sull’esattezza della loro trasposizione.

Anche in questo caso andranno indicati data, luogo (e ora) di sottoscrizione e dovranno intervenire tanto la firma del testatore quanto quella del notaio e dei testimoni.

Appare lampante il beneficio conseguente ad una scelta di questo modello testamentario: sicurezza tanto per la custodia del documento che per la futura pubblicazione, collaborazione di un professionista nella redazione, in grado anche di interpretare correttamente le volontà da trasfondere nell’atto e tenere al riparo da eventuali vizi di forma/contenuto.

Inoltre, il testamento pubblico, a differenza di quello olografo, può essere effettuato anche da soggetto non in grado di leggere o di scrivere: in tal caso il Notaio farà presente la circostanza nell’atto stesso.

Di contro, la procedura è senz’altro più elaborata e costosa rispetto a quella agile, immediata e gratuita del testamento olografo. Eventuali aggiunte e modifiche potrebbero risultare altrettanto onerose rispetto a quelle pret a porter dell’altra modalità. Inoltre, partecipando testimoni al confezionamento delle ultime volontà si potrebbe considerare ridotto il margine di segretezza, ma – in linea di massima – il rischio di divulgazione dovrebbe essere contenuto.

testamento segreto
Come fare testamento?

Il testamento segreto

Per completezza – seppure non esaustiva – un cenno va fatto ad un altro tipo di testamento, in verità poco utilizzato: il testamento segreto, ossia scritto dal testatore o da un terzo, anche con mezzi meccanici, sottoscritto dal disponente in ogni foglio e consegnato, chiuso e sigillato, ad un notaio in presenza di due testimoni, che non ne conosceranno il contenuto (di qui, appunto, l’aggettivo “segreto”)

Si procederà quindi a predisporre e a sottoscrivere un atto di ricevimento del testamento, nel quale si indicheranno il fatto della consegna e la dichiarazione del testatore, il numero e l’impronta dei sigilli, e l’assistenza dei testimoni a tutte le formalità.

Evidente l’utilità di tale tipo di procedura: abbinare la segretezza propria del testamento olografo alla sicurezza attinente a quello pubblico.

Il contenuto del testamento

Come abbiamo accennato, il testamento può contenere disposizioni di carattere anche non patrimoniale.

La parte da leone rivestono senz’altro le determinazioni successorie.

Al riguardo, si deve evidenziare come il testamento possa essere un modo per disporre delle proprie sostanze diversamente rispetto a quanto, altrimenti, prevederebbe la legge con la successione cd legittima, nella quale sono previste specifiche categorie di eredi e relative quote di partecipazione.

Il codice civile, infatti, a seconda della composizione della famiglia del defunto, stabilisce chi siano i chiamati all’eredità e la relativa suddivisione del patrimonio.

Lo schema seguito dal legislatore è il seguente:

successione di

solo coniuge: intera eredità

coniuge e un figlio: 50% a testa

coniuge e due ( o più) figli: 1/3 al coniuge, 2/3 ai figli, da suddividersi in parti eguali

solo un figlio: intera eredità

solo 2 o più figli: intera eredità da suddividersi in parti uguali

coniuge e ascendenti (genitori del defunto): 2/3 al coniuge e 1/3 agli ascendenti.

Coniuge e fratelli (del defunto): 2/3 coniuge e 1/3 ai fratelli.

Coniuge e fratelli nonché ascendenti: 2/3 coniuge, 1/3 agli altri (ma agli ascendenti almeno ¼) .

Bene, tramite il testamento si possono modificare i soggetti e le quote che altrimenti la legge stabilirebbe per la successione legittima.

Come fare testamento: quali disposizioni può effettuare il testatore?

Ne richiamiamo due, le principali.

Può istituire eredi e attribuire legati

Istituzione di erede.

L’erede è il successore a titolo universale, che subentra in tutto o in una quota del patrimonio ereditario del defunto.

Cosa significa “a titolo universale”? In buona sostanza, possiamo dire che l’erede subentra e si sostituisce in tutti i rapporti di cui era titolare il defunto (eccetto quelli che inevitabilmente cessano con la morte), in tutti i diritti e in tutti gli obblighi. Nelle attività e nelle passività. Nella situazione possessoria ed anche – se fosse pendente un procedimento giudiziario – in quella processuale. In poche parole, l’erede è il “continuatore della soggettività del defunto*”. (A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, ed Cedam).

Il subentro può essere totale – cd erede universale – o parziale, ossia per una quota.

La quota in linea di massima comprende una parte di tutte le componenti del patrimonio ereditario (ibidem). Immobili, mobili, denaro etc.

Tuttavia il testatore può stabilire egli stesso quali beni entrino a far parte di tale quota (institutio ex re certa). L’importante è che in questo caso il disponente abbia inteso configurare delle quote del proprio patrimonio e “riempirle” con beni specifici.

Se, invece, avesse inteso solamente beneficiare il soggetto destinatario del lascito con singoli beni, senza considerarlo partecipante al complessivo patrimonio ereditario, allora potrebbe configurarsi un legato, cui accenneremo tra pochissimo.

Altra importantissima conseguenza è che l’erede risponderà dei debiti ereditari. Anche se quanto ricevuto fosse inferiore all’esposizione passiva. Più in particolare, si verifica la cd. confusione patrimoniale: l’erede risponde dei debiti con quanto ricevuto e con il proprio patrimonio personale.
Ciò a meno che non accetti con beneficio di inventario: in tal caso risponderà nei limiti del ricevuto e con i beni ereditari.

Il legato

è una disposizione cd “a titolo particolare”, con la quale il testatore non conferisce la qualifica di erede al beneficiario ma gli attribuisce uno o più beni specifici (es quella macchina, quella somma, quell’immobile).

Il legatario, pertanto, diventando titolare solo di determinati beni non assumerà la veste di erede e conseguentemente non dovrà far fronte ai debiti ereditari.

Potrà rispondere di eventuali incombenze che il testatore avesse imposto a suo carico – cd oneri – ma sempre nei limiti di quanto ricevuto.

legittimari

Le quote indisponibili

Il nostro ordinamento stabilisce che alcune categorie di familiari più stretti del defunto non possano essere estromesse dalla successione e che ad esse spetti una quota minima del patrimonio ereditario.

Si parla, in proposito, di eredi legittimari.

Il testatore, in buona sostanza, non può disporre di tutte le proprie sostanze come crede, ma soltanto di una parte, la cd disponibile, essendo la porzione rimanente, cd quota di riserva, di spettanza dei legittimari.

Chi sono i legittimari?

Il codice li definisce “Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione”.

Essi sono: il coniuge, i figli, gli ascendenti.

I fratelli non rientrano in tale categoria e, pertanto, possono essere estromessi dal testamento.

Quanto spetta ai legittimari?

Occorre operare una distinzione, a seconda della composizione del nucleo familiare.

Infatti.

– Se vi sia il solo coniuge, ad esso è riservata la quota di ½.

– Se vi sia un solo figlio, ad esso è riservata la quota di ½.

– Se vi siano solo 2 o più figli ad essi, in parti uguali, sarà riservata la quota di 2/3.

– Se vi siano solo ascendenti (genitori..) ad essi sarà riservata la quota di 1/3

– Se vi sia il coniuge in concorso con un figlio, la quota riservata a ciascuno è 1/3.

– Se vi sia il coniuge con 2 o più figli, al coniuge sarà riservata la quota di ¼, ai figli di ½ .

– Se vi sia il coniuge, nessun figlio ma ascendenti (genitori..), al coniuge spetterà ½, agli ascendenti ¼ ;

I figli non concorrono con gli ascendenti.

Va precisato che al coniuge, oltre alla quota sopra indicata, spetterà sempre, in aggiunta, il diritto di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.

La cd quota disponibile, che il testatore può attribuire a chiunque, ma anche a singoli eredi in aggiunta a quanto ad essi spettante per legge, non può mai essere inferiore ad ¼ del patrimonio.

Come verificare se un “legittimario” sia stato leso nella quota che gli spetti?

Potrebbe darsi che nel testamento vi siano delle attribuzioni con le quali il disponente abbia penalizzato alcuni familiari rientranti nella categoria sopra accennata.

Come pure che le ultime volontà fossero pienamente corrispondenti alle prescrizioni di legge ma che il defunto avesse beneficiato in vita alcuni soggetti con donazioni, penalizzando gli eredi legittimari, che al momento dell’apertura della successioni si troveranno con un pugno di mosche.

In entrambi i casi si assiste alla cd lesione di legittima, ove la quota spettante ai legittimari sia violata dalle disposizioni, in vita o in morte, del testatore.

Per esaminare se vi sia stata lesione occorrerà operare un calcolo: sommare il valore del patrimonio lasciato dal defunto con la successione a quello che lo stesso abbia disposto con donazioni durante la sua vita.

Effettuata questa stima sul patrimonio complessivo (lasciato in eredità + donato) si detrarranno i debiti ereditari, ossia quelli lasciati in morte dal testatore.

Sull’importo che ne risulterà andrà effettuato il calcolo della quota di ogni legittimario.

Facciamo un esempio.

Il defunto lascia il coniuge e tre figli.

Non vi è testamento, per cui si procederà ad attribuzioni di quota in base a quanto previsto per la successione legittima: 1/3 al coniuge e 2/3, in parti uguali, ai figli.

Ipotizziamo che il patrimonio lasciato in morte ammonti a 300 e le donazioni effettuate in vita a 150 (poniamo siano state effettuate ad un figlio).

Per il calcolo della legittima sarà necessario: sommare il patrimonio relitto – 300 – a quello donato -150. Totale 450. Si stabilirà, quindi, la quota di spettanza di ogni erede legittimario.

Nel nostro caso al coniuge andrebbe ¼ e ai figli ½, da suddividere in parti uguali.

Si verificherà, quindi, se ad ognuno degli interessati sia stata conferita la quota di spettanza.

Nel nostro caso: alla moglie sarebbero spettati 112,5, ma alla stessa sono stato lasciati in successione (legittima, in assenza di testamento) solo 100. Essa, pertanto, è in credito di 12,5.

La quota di legittima dei figli è ½, quindi 225 (la metà del patrimonio totale che ammontava a 450). Tale importo andrà diviso in parti uguali tra i tre figli: ad ognuno spetterebbe 75, a fronte dei 66,6 conseguiti con la successione. Il credito di ognuno sarà di 8,3.

C’è un figlio che ha conseguito una donazione di 150.

Gli altri legittimari potranno agire per chiedere la riduzione di tale donazione fino ad essere reintegrati della loro quota di legittima.

Come fare testamento
Come fare testamento: lo schema

Per concludere

Questa guida su come fare testamento non ha pretese di esaustività. Esistono, infatti, innumerevoli fattispecie contemplate dal codice per ipotesi più disparate (ad es. se un erede non voglia accettare, se sia premorto al testatore, se questi abbia disposto per tali casi operando sostituzioni…).

Riteniamo che sia utile per tutti un’infarinatura sull’ABC della materia.

Sarà rimesso alla diligenza di ognuno informarsi sul proprio caso specifico.

Per terminare con un sorriso, chiosiamo parafrasando una battuta di Woody Allen: questa guida la proponiamo a tutti, tranne a chi crede nella reincarnazione. Nel qual caso il nostro consiglio è di fare testamento a favore di se stessi.

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