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Si può dare esecuzione ad un testamento falso se tutti gli interessati sono d’accordo?

 

Unanime esecuzione di testamento falso: può finire a tarrallucci e vino?

 

 

 

“La verità esiste, solo la falsità deve essere inventata.”
GEORGES BRAQUE

 

 

 

Tizia muore.


Viene chiesta la pubblicazione del suo testamento.

Si appura, però, che la grafia non appartenga al defunto e che l’intero documento sia falso, in quanto apocrifo.

I possibili eredi si mettono attorno ad un tavolo, convengono che il testamento – seppur falso – contenga disposizioni che corrispondono alla reale volontà di Tizia, manifestata più volte da quest’ultima prima di morire.

In forza di queste considerazioni, decidono di dare comunque esecuzione al testamento falso.


Sarà efficace tale determinazione?


Facciamo un passo indietro.


Ciascuno di noi, se dovesse compiere un atto giuridico difettoso di qualche requisito, potrebbe cercare di porvi rimedio: replicandolo correttamente, se nullo, convalidandolo, se annullabile.


L’atto di ultime volontà, tuttavia, non può trovare alcuna forma di convalida da parte del suo autore – in quanto passato a miglior vita (speriamo per lui), né ovviamente potrebbe essere da questi rinnovato, replicato validamente.

Per ovviare a tale inconveniente la legge ha escogitato un rimedio: la nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, ha, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione. (art 590 cc).


Vale a dire che i soggetti interessati dal testamento nullo possono compiere una sorta di ratifica personale, rinunciando a far valere le cause di nullità dando attuazione alla disposizione invalida.

E’ un po’ come se la volontà del testatore fosse assecondata da coloro i quali ne sarebbero stati i beneficiari se il testamento fosse stato valido.


Ecco, allora, che la conferma appare come una sorta di integrazione mancante ad un atto invalido, supplendo alla carenza che ha generato la nullità.


La giurisprudenza sul punto è divisa nel valutare se tale norma di legge consista in una vera e propria convalida di atto nullo da parte degli interessati oppure una semplice preclusione a far valere la nullità da parte di coloro i quali se ne siano avvalsi, lasciando impregiudicate le eccezioni e le iniziative di quelli che non l’abbiano confermato.

 

fotocopia-testamento-olografo


La conferma del testamento potrà essere espressa o tacita.

Per quella espressa non vi sono requisiti formali, anche se la forma scritta potrebbe essere necessaria ai fini della trascrizione.

La conferma tacità presuppone la conoscenza del vizio che ha causato l’invalidità e la contestuale volontà di rinunciare all’impugnazione, ponendo in essere un comportamento incompatibile con l’intenzione di agire in giudizio per l’accertamento della causa di nullità .


Ovviamente, non potrà trovare tutela la “conferma” di disposizioni testamentarie nulle in quanto contrarie al buon costume o all’ordine pubblico: in tal caso è escluso si possano recuperare attribuzioni comunque inidonee ad avere efficacia giuridica. Come gli effetti di tali disposizioni non potevano essere conseguiti dal testatore in vita, così non potranno essere raggiunti dai suoi successori attraverso il negozio di convalida.


Dottrina e giurisprudenza unanimemente convengono che – presupposto per l’applicazione dell’istituto in esame – sia quanto meno l’esistenza di un testamento attribuibile alla volontà del de cuius.


Non potranno essere compresi nella disciplina gli atti che elidano o annullino l’elemento volontaristico, come – per esempio – la violenza fisica, la predisposizione con riserva mentali (dichiaro di volere ma non voglio), oppure se fatta a titolo di scherzo o redatta docendi causa, a titolo esemplificativo, per illustrare un concetto.


Qui non c’è una volontà da salvare o tutelare proprio perchè la volontà è inesistente.

 

ritrovamento di un nuovo testamento
Unanime esecuzione di testamento falso: manca la volontà del testatore


E in caso di apocrifia? Si può dare esecuzione ad un testamento falso?


La risposta è negativa e ce ne dà conferma una recentissima Sentenza della Cassazione  che – guarda caso – ha risolto la controversia relativa proprio al testamento di Tizia.


I giudici della Suprema Corte – in punto applicazione della norma “salvifica” dell’art. 590 cc – hanno concentrato l’attenzione sulla possibilità di ricondurre il testamento apocrifo alla volontà della de cuius.


Tale normativa “nel prevedere la possibilità di conferma od esecuzione di una disposizione testamentaria nulla da parte degli eredi, presuppone, per la sua operatività, l’oggettiva esistenza di una disposizione testamentaria, che sia comunque frutto della volontà del de cuius, non trovando applicazione, invece, nell’ipotesi di accertata sottoscrizione apocrifa del testamento, la quale esclude in radice la riconducibilità di esso al testatore”.


“La riconosciuta non autenticità della scheda” infatti mette “fuori gioco il meccanismo di sanatoria contemplato dall’art. 590 c.c., senza che avesse a quel punto alcuna rilevanza né la consapevolezza dei dichiaranti che il testamento fosse falso, né l’indagine volta a stabilire se la scheda fosse conforme alla volontà espressa in vita dalla defunta”.


Per inciso, è utile evidenziare come dottrina e giurisprudenza siano attualmente accapigliate circa la valutazione della “confermabilità” – attraverso l’istituto oggi enunciato – di un testamento riconducibile alla mano del disponente ma contenente adulterazioni circa alcune sue componenti (ad esempio la firma, o la data).


Al momento pare prevalere l’orientamento volto ad attribuire efficacia alla conferma del testamento, purchè le alterazioni effettuate non abbiano eliminato o viziato la volontà dispositiva del testatore.


 

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esecuzione di testamento falso

Eredità in favore di minorenni: come procedere?


Cautele ed autorizzazioni per accettare l’eredità in favore di minorenni.

 

 

Accettare un’eredità non è come bere un bicchiere d’acqua.

Può comportare significative conseguenze sulle condizioni del soggetto in favore del quale sia stata devoluta.

Pensiamo all’ipotesi in cui – a seguito della successione – oltre alle attività, vengano trasferite considerevoli passività, in grado di rendere sbilanciato ed oltre modo gravoso il conseguimento del lascito.

Una persona maggiorenne e vaccinata è in grado non solo di assumere le proprie determinazioni in ordine alla possibilità o meno di accettare un’eredità, ma anche di farsi carico delle conseguenze e responsabilità di una successione più o meno gravosa.

Le persone deboli, tra cui i minorenni, ma anche agli incapaci, no. Per essi deve decidere qualcun altro e deve farlo con scrupolo e cautela, per non far pesare sulle spalle di un innocente le conseguenze di una scelta poco ponderata.

Come procedere, quindi, in caso di eredità in favore di minorenni?


Innanzitutto – non è scontato dirlo – è necessario che i genitori siano d’accordo sul fatto di accettare o meno il lascito.


La legge, infatti, stabilisce che per alcuni atti – quelli di ordinaria amministrazione – i genitori possano agire disgiuntamente, senza che sia necessaria – per la validità dell’atto – il consenso di entrambi.


Le decisioni più importanti – quelle cioè che possono comportare significative conseguenze per il bene dei figli – è necessario che vengano assunte congiuntamente.


In caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei (art 316 cc ).

Il giudice, “sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio”.

 

eredità figlio minorenne

 


Bene.  La legge, per alcune determinazioni da parte dei genitori, non solo richiede il consenso di entrambi, ma anche l’autorizzazione del giudice, che vagli e statuisca la congruità e la conformità all’interesse del minore della scelta assunta dagli ascendenti.


Gli atti compiuti in difetto di tale autorizzazione saranno annullabili, senza che possano essere sanati da provvedimento successivo.


Parliamo degli atti di straordinaria amministrazione avente contenuto patrimoniale, come la vendita dei beni dei figli, oppure la locazione dei loro beni immobili per un tempo considerevole, o la riscossione di capitali: l’art. 320 cc ce ne dà un dettagliato elenco.


Tra questi atti per cui è necessaria la preventiva autorizzazione del Giudice Tutelare vi è l‘accettazione di eredità in favore di minorenni.

Ci siamo?

 

Passaggio primo: i genitori dovranno effettuare un ricorso al giudice tutelare per farsi autorizzare ad accettare l’eredità per conto dei figli, di cui hanno la rappresentanza, esponendo le ragioni per cui il lascito possa considerarsi vantaggioso per la prole.


Per inciso, è opportuno rilevare che tale modalità dovrà essere seguita anche nel caso in cui i genitori considerino opportuno rinunciare all’eredità: sarà sempre necessario adire il tribunale ed ottenere l’autorizzazione alla rinuncia.


Ovviamente, sappiamo bene che un’eredità così accettata potrebbe comunque comportare brutte sorprese: debiti non dichiarati, non conosciuti, sopravvenuti, che espongano l’erede minorenne a conseguenze nefaste e compromettenti.


Di conseguenza la legge chiede un’ altra attività obbligatoria in caso di eredità in favore di minorenni.

 

accettazione eredità figli minorenni
eredità in favore di figli minorenni: autorizzazione del giudice e beneficio di inventario

 

 


Secondo passaggio: accettazione di eredità con beneficio di inventario.


Ci siamo soffermati più volte (link 1 e 2) su quest’argomento: per evitare le conseguenze di una damnosa hereditas, in cui il patrimonio (attivo e passivo) del defunto si confonde con quello dell’erede, esponendolo anche a debiti più grandi di quanto conseguito, la legge disciplina il rimedio dell’accettazione beneficiata.


Si tratta di istituto obbligatorio nel caso in cui chiamati all’eredità fossero minorenni, incapaci (interdetti, inabilitati) o persone giuridiche e associazioni -proprio per evitare il pericolo di eredità dannose – ma estensibile a quanti volessero tutelarsi da tale rischio.

Il risultato di tale procedura è che l’erede non sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni pervenuti.

 

Come procedere?

In due modi.

– Facendo eseguire, da un cancelliere del Tribunale o da un notaio, l’inventario di tutti i beni del defunto, in cui verranno indicate attività e passività.
Redatto l’inventario, si avranno 40 giorni di tempo per deliberare se accettare o rinunciare all’eredità. Trascorso questo termine senza aver deliberato, si perderà il diritto di accettare l’eredità.

– Altrimenti, si potrà manifestare fin da subito l’accettazione con beneficio di inventario, per poi eseguire l’inventario stesso entro il termine di tre mesi, pena la decadenza del beneficio.

 

è possibile obbligare un padre a vedere un figlio


E se i genitori, autorizzati ad accettare l’eredità in favore di minorenni, tardassero a compiere le attività precedenti?

 

L’ipotesi, proprio perchè tutt’altro che infrequente, ha spinto la legge ad attribuire un’ulteriore tutela in favore dei minorenni e degli incapaci.


Questi non saranno decaduti dal beneficio d’inventario se non al compimento di un anno dalla maggiore età o dal cessare dello stato di incapacità (art 489 cc).


Entro tale termine, quindi, una volta entrati in possesso della libera autodeterminazione e capacità di agire, potranno compiere l’atto riconosciuto dalla legge per proteggersi da eredità dannose.

Attenzione. Attenzione.

La legge non attribuisce al minore, il cui genitore non abbia rinunciato all’eredità, il diritto di rinunciarvi al compimento della maggiore età, ma soltanto la facoltà di redigere l’ inventario nel termine di un anno dal suo compimento, così da renderlo esente dalle conseguenze di un’eredità eccessivamente onerosa.


Lo ha specificato una recente Sentenza della Cassazione, in cui si è considerato il caso di un’eredità accettata con beneficio da parte dei genitori senza, tuttavia, che fossero state eseguite le formalità successive; nello specifico l’esecuzione dell’inventario.


Divenuta maggiorenne la figliola, questa veniva citata in giudizio da una banca che – è proprio il caso di dirlo – batteva cassa per riscuotere crediti vantati nei confronti del defunto.


La ragazza eccepiva di voler rinunciare all’eredità, sostenendo di poter beneficiare del termine annuale decorrente dal compimento della maggiore età, asseritamente concesso dalla legge.

La Suprema Corte ha rilevato che, in assenza di accettazione dell’eredità, il minore rimane nella posizione di chiamato alla eredità e, nel termine di prescrizione decennale, il suo rappresentante legale potrà accettare l’eredità con il beneficio d’inventario, mentre, lo stesso minore, una volta divenuto maggiorenne, potrà accettare senza il detto beneficio ovvero rinunciare alla eredità.

Qualora il genitore opti per l’accettazione dopo essere stato autorizzato dal Giudice Tutelare, ne deriva l’acquisto da parte del minore della qualità di erede.

Se – accettata l’eredità –  non fosse compiuto l’inventario, necessario per poter fruire della limitazione della responsabilità,  si porrebbe per il minore una particolare ulteriore tutela: l’inapplicabilità della decadenza dal beneficio di inventario fino al compimento dell’anno dalla maggiore età.

Se anche entro tale termine non si provveda, l’accettante – divenuto maggiorenne – sarà considerato erede puro e semplice, senza possibilità di rinuncia.


Citando un brocardo latino “semel heres, semper heres”.


Una volta che si sia divenuti eredi, lo si rimarrà per sempre, non essendo consentita la rinuncia successiva all’accettazione.

 

 

 

 

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Eredità in favore di minorenni

L’agenzia immobiliare ha diritto alla provvigione in caso di accettazione della proposta di acquisto da parte del venditore?

E’ dovuta la provvigione all’agenzia immobiliare in caso di accettazione della proposta di acquisto senza che poi sia intervenuta la stipula del contratto preliminare?

Ho sempre impostato la mia vita in modo da morire con trecentomila rimorsi e nemmeno un rimpianto.
(Fabrizio De André)


Meglio vivere di rimorsi che di rimpianti.


Siamo d’accordo. Meglio un giorno da leone che mille da pecora.

Certo che i rimorsi hanno un prezzo, come molti errori.


Oggi ci occupiamo di analizzare l’ipotesi in cui due soggetti, acquirente e venditore, che per l’affare relativo alla compravendita di un immobile si siano avvalsi di un’agenzia immobiliare mediatrice, abbiano dei ripensamenti dopo aver sottoscritto, rispettivamente, proposta di acquisto ed accettazione della medesima, e non abbiano più intenzione, per qualsiasi motivo, di procedere alla stipula del contratto preliminare.


Ci eravamo soffermati più volte (link 1,2 ): “Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento” (art 1756 cc.).


Affare concluso non significa necessariamente stipula del contratto definitivo di vendita.


E’ sufficiente che l’attività di mediazione, concretatasi nella messa in relazione delle parti, costituisca l’antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione dell’affare.

Non solo.

Per “affare concluso” deve essere intesa qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, vale a dire che imponga ad esse di concludere il contratto.


E’ ritenuta, conseguentemente, sufficiente, al fine del riconoscimento della provvigione, la stipula del contratto preliminare di vendita intervenuta fra le parti, giacchè obbliga le stesse  alla stipula del successivo definitivo, essendo indifferenti le vicende successive, non attribuibili all’attività del mediatore, quali, ad esempio, la mutata volontà dei contraenti o la scadenza del mandato conferito all’agente.

provvigione agenzia solo preliminare?


Bene. Ci siamo.


Il caso di oggi riguarda una fattispecie in parte diversa, antecedente alla sottoscrizione del preliminare, alla quale mai si arriverà.


Tizio si avvale della mediazione dell’agenzia Alfa per l’acquisto di un immobile di suo gradimento promosso in vendita da quest’ultima.


Dopo averlo visionato, Tizio sottoscrive una proposta irrevocabile di acquisto al proprietario, Caio, che la accetta, per iscritto, puntualizzando l’auspicio che nel successivo preliminare si potessero smussare alcuni aspetti di divergenza tra le rispettive posizioni.


Non si sa perchè, non si sa per come, Tizio e Caio in seguito decidono di non stipulare più il contratto preliminare e di lasciar perdere proprio l’affare.


L’agenzia immobiliare Alfa, tuttavia, ritiene che con l’incontro di proposta e accettazione l’affare dovesse ritenersi concluso e conseguentemente maturato il proprio diritto alla provvigione.

A fronte del rigetto delle proprie richieste di pagamento avanzate ai clienti, li citava in giudizio per vederli condannati al versamento del compenso dovuto.


La faccenda è stata sottoposta al giudizio della Corte di Cassazione (sentenza 7781/2020).

Chi l’ha vinta?


Tizio e Caio, i due mancati contraenti. Essi non dovranno sborsare alcunchè all’agenzia.


Vediamo il perchè.

provvigione dovuta se al preliminare non segue il rogito?


La conclusione dell’affare che fa sorgere il diritto alla provvigione, come abbiamo visto, non risiede necessariamente nella stipula del rogito: basta un atto che vincoli le parti ad addivenire alla compravendita, come il preliminare, che è il contratto con cui due soggetti non  trasferiscono la proprietà di un bene ma si impegnano a stipulare in seguito un altro contratto, chiamato definitivo, che produrrà gli effetti traslativi.


Se una delle parti dovesse sottrarsi all’obbligo di rogitare, l’altra sarà abilitata a chiederne l’esecuzione in forma specifica, ossia una pronuncia del giudice volta a sostituire il consenso mancante, concludendo così l’affare.


E la semplice sottoscrizione di proposta e accettazione sono sufficienti a considerare concluso l’affare?


Ad avviso dell’agenzia immobiliare sì, richiamando i principi generali in materia negoziale in base ai quali il contratto è concluso con l’incontro e consacrazione di proposta ed accettazione.


Non è così per la Suprema Corte.


Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato.


Va invece escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare.

In buona sostanza, quando le parti sottoscrivono una semplice proposta ed accettazione, volta ad effettuare una ricognizione dell’accordo di massima, da perfezionarsi in seguito, danno il là al primo di una serie di passi che porterà alla conclusione del contratto, determinando un semplice accordo preparatorio, destinato a regolamentare il successivo svolgimento del procedimento formativo del programmato contratto definitivo.


Questo primo step, se poi non dovesse essere ulteriormente coltivato, perchè le parti non vogliono più procedere con l’affare, non genera alcun obbligo reciproco alla stipula, come avviene per il preliminare, e non abiliterà nessuna delle due a poter chiedere la pronuncia giudiziale che concluda il contratto saltato.


Si noti, una proposta irrevocabile poi accettata, secondo lo schema appena delineato, non è una fattispecie priva di significato giuridico, anzi.


Si potrebbe ascrivere all’ipotesi che potremmo chiamare “preliminare di preliminare“, che, pur essendo di per sè stessa valida ed efficace, non legittima all’azione volta a chiedere l’esecuzione in forma specifica del progetto negoziale abortito, ma abiliterà semmai ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione contenuta nell’accordo interlocutorio.


Obbligo di concludere il contratto no, risarcimento danni sì.

come si interpreta un testamento
E’ dovuta la provvigione all’agenzia immobiliare in caso di accettazione della proposta di acquisto senza che poi sia intervenuta la stipula del contratto preliminare?


Attenzione.
Sarà necessario, comunque, effettuare un attento esame del caso specifico e della reale intenzione dei contraenti.

Occorre infatti distinguere se, in concreto, le parti abbiano inteso, con la proposta e la successiva accettazione, avviare un procedimento negoziale multifase, articolato in un cd. preliminare di preliminare, costituito mediante l’accettazione della proposta, in un successivo contratto preliminare e poi in un rogito definitivo di compravendita, ovvero dar vita più semplicemente ad un “tradizionale” procedimento bifase, articolato in un accordo ad effetti preliminari e in un successivo contratto definitivo.

Per effettuare questa valutazione occorre tener conto delle modalità con cui si è estrinsecata in concreto la volontà negoziale delle parti, poichè anche la mera proposta di acquisto, se contenente tutti gli elementi essenziali del contratto definitivo progettato (parti, oggetto, corrispettivo e termini di adempimento), è idonea a costituire contratto preliminare nel momento in cui essa viene accettata dal promittente venditore e si costituisce tra le parti un vincolo giuridico suscettibile di esecuzione in forma specifica.


Nel nostro caso, la semplice fase interlocutoria, preparatoria alla conclusione dell’affare, era testimoniata dalla circostanza che le parti avevano formalmente esplicitato per iscritto l’auspicio di limare alcuni aspetti rispetto ai quali non avevano ancora trovato convergenza, con ciò dimostrando si trattasse di un semplice accordo di massima, il cui unico scopo era di fissare i punti fondamentali concordati nella prospettiva della sottoscrizione di un contratto preliminare in un momento successivo.

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provvigione agenzia solo preliminare?

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Fotocopia del testamento olografo: vale tanto/quanto l’originale?

 

Quale valore ha la fotocopia del testamento olografo?

 


Segretezza, rapidità di esecuzione, economicità.


Questi sono i vantaggi più significativi del testamento olografo.


Non comporta alcun costo, può essere redatto in qualsiasi momento senza impiego di materiale particolare (bastano carta e penna) e, se ben nascosto, può rimanere sconosciuto al mondo fino …. al momento opportuno. Basta che poi qualcuno, possibilmente il soggetto più affidabile, lo rinvenga dopo la morte del testatore.


Limiti di tale tipologia dispositiva?


Redigere l’atto di ultime volontà senza l’ausilio di un professionista – un notaio, un avvocato – potrebbe esporre a possibili incongruenze su contenuto e forma, con riflessi sulla validità dello scritto e sulla tenuta delle prescrizioni indicate.

Non solo.


Passi che sia segreto, ma il rischio è che possa rimanere tale anche dopo la morte del disponente, senza che alcuno mai lo rinvenga. Oppure potrebbe essere oggetto di sofisticazioni da parte di eventuali malintenzionati, financo passibile di agile distruzione, se non conforme ai desiderata di chi lo abbia per le mani (si ricorda essere un reato che, tra l’altro, comporterebbe l’indegnità a succedere del suo autore).


Ed ancora.


Proprio per l’agilità con cui può essere confezionato un testamento olografo, potrebbe altrettanto facilmente essere oggetto di modifiche, revoche, integrazioni da parte del suo autore, determinando così possibili fraintendimenti circa l’esatta portata- a conti fatti – delle volontà del de cuius.


Per ovviare a queste problematiche capita di frequente che il testatore affidi a persone di propria fiducia una fotocopia del proprio testamento, di modo che sia per esse agile risalire all’esistenza ed alla consistenza di tali disposizioni dopo la sua morte.


E’ altrettanto consueta la circostanza che, possibili eredi, a dispetto della segretezza del testamento, intendano cristallizzare le proprie pretese fotocopiando un testamento rinvenuto con modi più o meno plausibili, agitandone il contenuto allorquando, in sede successoria, le disposizioni siano difforme rispetti alle proprie aspettative.


E qui viene il bello, o meglio, il tema dell’odierno spunto di riflessione.

 

fotocopia-testamento

 


Che valore ha la fotocopia del testamento olografo?


Di primo acchito, verrebbe da dire: nessuna, se vi sia l’originale del testamento; in mancanza, sostituirebbe il testamento stesso.


Non è proprio così.


A monte, infatti, è necessario operare una valutazione: perchè non esiste più l’originale del testamento?
Tra le varie possibilità, deve essere primariamente considerata quella per cui il testatore stesso abbia inteso sbarazzarsene, con ciò revocando tale atto di ultime volontà.


E’ la legge stessa a contemplare e disciplinare tale eventualità: il testamento olografo distrutto, lacerato o cancellato, in tutto o in parte, si considera in tutto o in parte revocato, a meno che si provi che fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore, ovvero si provi che il testatore non ebbe l’intenzione di revocarlo. Art 684 cc.


Vi è, pertanto, una sorta di presunzione legale: la distruzione del testamento si presume essere avvenuta ad opera del testatore, con la volontà – anch’essa presunta – di revocarlo. Chi abbia interesse (e possibilità) a dimostrare il contrario deve – lui – provarlo.


Conseguentemente, approdiamo ad un primo risultato: nessun valore avrà la fotocopia del testamento distrutto dal de cuius stesso o di cui non si abbia prova sia stato eliminato da altri.


Si noti, il testatore potrebbe aver tolto dalla circolazione il proprio scritto inavvertitamente: potrebbe averlo perso o eliminato senza volerlo (per caso fortuito o forza maggiore). In tal caso non sussisterà la revoca tacita disposta dalla legge, tuttavia sarà necessario dimostrare la circostanza volta a superare la presunzione che ne sta alla base, ossia che tale attività non sia corrisposta ad intenti revocatori.


Bene, passaggio successivo: si ha la prova dell’esistenza del testamento alla morte del testatore – che, conseguentemente, non potrà essere considerato l’autore della sua eliminazione o sparizione, ma gioco forza sarà da attribuire a terzi o a circostanze ulteriori e sopravvenute.


Che valore avrà la fotocopia del testamento olografo?


Innanzitutto, partiamo dal fatto che la fotocopia non potrà assumere il medesimo valore e ruolo del testamento. Solo quest’ultimo potrà essere oggetto di pubblicazione da parte del Notaio, che può procedervi unicamente in caso di allegazione della “carta su cui è stato redatto” (art. 620 cc) e non già sulla base di un documento che ne potrebbe costituire semmai la prova, ma non è l’originale.

 
Giocoforza, chi vorrà avvalersi della fotocopia del testamento olografo, dovrà agire in giudizio.


Diciamo subito che il percorso giudiziale non sarà agile: la legge, infatti, stabilisce che “le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta

 

ritrovamento di un nuovo testamento
Fotocopia testamento olografo: perchè l’originale non esiste più?


In buona sostanza, o la fotocopia del testamento prodotta in causa sarà stata autenticata da pubblico ufficiale – circostanza ascrivibile a possibilità microscopiche – oppure, come 99 volte su 100 accade, i convenuti contro i quali sia stata fatta valere la copia dello scritto potranno disconoscerla, vuoi perchè non ammettono sia stata redatta a mani del de cuius,(Art. 214 cpc), vuoi perchè non la ritengono conforme all’originale (art. 2719 cc) , ponendo l’attore in un tutt’altro che agevole onere probatorio.


In tribunale, infatti, si dovrà provare: che il testatore aveva redatto il documento prodotto in fotocopia; che il medesimo non sia stato distrutto o disperso ad opera del de cuius, ma bensì per mano di terzi o per circostanze non ascrivibili alla volontà di revoca del disponente; che l’originale del testamento esisteva al momento dell’apertura della successione, che la fotocopia sia conforme al testamento originale ed ascrivibile alla mano del defunto (art. 216 cc).

 

 

 

 

 

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Fotocopia del testamento olografo

Rinunciare all’eredità perchè si è indebitati?

 

E’ conveniente rinunciare all’eredità perchè si è indebitati?

 

Confusione.

 

L’accettazione pura e semplice dell’eredità comporta la cd confusione dei patrimoni: quello del defunto con quello dell’erede.

I debitori del defunto potranno aggredire anche i beni dell’erede e viceversa, quelli dell’erede troveranno una massa maggiore di attività su cui soddisfarsi.

Per evitare la confusione, l’erede può valutare di accettare l’eredità col beneficio di inventario: in questo modo sarà tenuto a rispondere dei debiti del defunto nei limiti di quanto ricevuto con la successione e con i beni stessi che gli siano pervenuti.

Tale rimedio, tuttavia, non lo copre dall’aggressione dei propri creditori personali, che si fregheranno le mani nel constatare l’aumento della consistenza patrimoniale del debitore.

Una scelta che da molti valutata è quella di non provvedere ad alcuna accettazione o, addirittura, di rinunciare all’eredità perchè si è indebitati.

Cada Sansone e tutti i filistei. Se non si può ereditare perchè i beni saranno pignorati dai creditori, almeno si salva il salvabile, lasciando ad altri eredi della compagine familiare la possibilità di incamerare la propria quota, magari con un patto di retrocessione quando le acque saranno più calme o con la possibilità se non di disporre, almeno di utilizzare (usufrutto, comodato, locazione a prezzo vile) taluni beni relitti.

 

Risarcimento danni per mancato pagamento assegno di mantenimento

 

Siamo salvi?

Taaaaac, sbagliato, e il motivo è presto detto.

Impugnazione della rinuncia/ Surrogatoria

I creditori dell’erede rinunciante potrebbero utilizzare uno di questi due rimedi previsti dalla legge per la tutela delle proprie pretese.

Prima strada.

Il debitore chiamato all’eredità mantiene un atteggiamento ostinatamente dilatorio nell’accettazione – ricordiamo che vi sono 10 anni di tempo per farlo, se non si sia in possesso dei beni ereditari – allo scopo di far passare acqua sotto il mulino e scoraggiare immediate azioni esecutive, confidando che il tempo aiuti all’oblio.

In questo caso i creditori potrebbero, in primo luogo, agire in giudizio affinchè venga assegnato un termine al debitore entro cui accettare l’eredità.

Trascorso inutilmente questo termine, la legge stabilisce che il chiamato decada dal diritto di accettare, per cui non diventerebbe erede e non acquisirebbe i beni caduti in successione.

Bene, una disposizione di legge – art. 524 cc – prevede che “Se taluno rinunzia, benché senza frode, a un’eredità con danno dei suoi creditori , questi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti”.

Capito? I creditori potranno accettare l’eredità al posto del debitore, conseguendone le utilità necessarie per rientrare delle proprie ragioni.

In maniera analoga, il rimedio sopra indicato potrà essere esperito quando il debitore non abbia indugiato, nel tentativo di approfittare del tempo che passa, ma abbia espressamente provveduto a rinunciare all’eredità.

 

rinuncia ad eredità del debitore
Rinunciare all’eredità perchè si è indebitati? potrebbe non bastare per sottrarsi alle ragioni dei creditori.

 

Seconda strada.

Ogni scarrafone è bello a mamma soja, cantava il grande Pino Daniele.

Ben potrebbe accadere che il defunto, in vita, conoscendo l’esposizione debitoria del proprio caro, intenda preservare i beni che cadranno in successione, attribuendoli, in tutto o in parte, ad altri eredi, accrescendo da subito le loro quote con la porzione che sarebbe spettata all’indebitato.

Questi, conseguentemente, sarà o pretermesso dall’eredità, oppure i suoi diritti di legittimario saranno compressi, con attribuzioni che non tengono conto della quota ad esso riservata.

Ovviamente, anche in questo caso i creditori dell’erede/debitore leso nella sua quota saranno danneggiati dal mancato introito della giusta porzione patrimoniale.

Essi potranno esercitare un’azione surrogatoria.

La surrogatoria è una tutela che il codice civile (art. 2900) attribuisce al creditore per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni e consiste nella possibilità di esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare.

I creditori, pertanto, potranno agire, sostituendosi al debitore leso o escluso nella quota di legittima ed esercitare l’azione di riduzione, volta ad appurare la sua qualifica di erede legittimario, la lesione dei diritti a lui riservati, la riduzione delle disposizioni successorie (ma anche donative) effettuate dal de cuius, la restituzione delle eccedenze attribuite ad altri, la soddisfazione su queste ultime delle proprie ragioni creditorie.

Dubbi?

Fino a qualche tempo fa, qualcuno ve ne era.

Come si può leggere dalla norma richiamata, la surrogatoria non può riguardare diritti o azioni che per la loro natura o disposizione di legge non possano essere esercitati se non dal loro titolare.

In questo senso, vi è una disposizione codicistica (art. 557 cc) che attribuisce il diritto di esercitare l’azione di riduzione solamente al legittimario, ai suoi eredi o aventi causa e, pertanto, sembrerebbe essere un rimedio personale non sostituibile.

Una significativa apertura, tuttavia, la apprendiamo da una sentenza recente recente della Suprema Corte, che espressamente viene a stabilire che “È ammissibile l’esercizio in via diretta dell’azione surrogatoria – prevista dall’art. 2900 c.c. – nella proposizione della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima da parte dei creditori dei legittimari totalmente pretermessi che siano rimasti del tutto inerti, realizzandosi un’interferenza di natura eccezionale – ma legittima – nella sfera giuridica del debitore; infatti, l’azione surrogatoria non è altro che lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad alimentare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori”.

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Rinunciare all’eredità perchè si è indebitati

Come si interpreta un testamento?

 

 

Come si interpreta un testamento?

 

 


Può capitare con un contratto, sfidiamo a non trovare qualcuno che non sia incappato in qualche clausola dubbia, più o meno volutamente ambigua.


Succede talvolta con la legge: vai a capire la portata di questa o quella disposizione ed il suo esatto significato (scriviamo questo articolo in piena quarantena da coronavirus, quando non è ancora ben chiaro quando e come ci si possa muovere da casa).


Vuoi che all’apertura di un testamento non possano sorgere dubbi su quale fosse la reale intenzione del disponente, quali i suoi desideri, la portata delle sue attribuzioni?


Il problema è che in tal caso non possono essere effettuati atti ricognitivi di volontà, come per i contratti, oppure diramate circolari e faq come per le disposizioni di legge.


In buona sostanza, è venuto a mancare l’unico soggetto al quale si sarebbe potuto chiedere di dar conto delle sue determinazioni.


Ed allora, come si interpreta un testamento?


Non vi sono disposizioni di legge particolari, proprio perchè non è concepibile determinare preventivamente criteri plausibili di ricostruzione della volontà testamentaria.


La giurisprudenza, tuttavia, è consolidata nell’estendere l’applicazione di alcune norme ad hoc, statuite per l’ambito contrattuale, a quello che oggi ci occupa.

 

come si interpreta un testamento

 


L’articolo 1362 del codice civile, infatti, riguarda proprio la disciplina dell’interpetazione dei contratti e dispone che “Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto” .


Il rigore della forma, in buona sostanza non deve intrappolare la ricostruzione della reale determinazione dei contraenti, che dovrà essere sondata anche tenendo conto di elementi ulteriori, estendendo il campo anche alla ricostruzione logica, ricavata – ad esempio – dal contegno assunto dalle parti, prima e dopo la conclusione dell’accordo.


Si noti.


Il dato letterale sarà pur sempre l’imprescindibile base di partenza: la norma, infatti, pur imponendo agli interpreti del contratto di non limitarsi all’analisi fredda del significato letterale delle parole, lo mantiene come via privilegiata per la corretta ricostruzione della comune intenzione dei contraenti.


Il giudice, eventualmente chiamato a dirimere una controversia in merito, dovrà in primo luogo appurare scrupolosamente la ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale prima di accedere ad altri, diversi parametri di interpretazione, specie quando la comune volontà delle parti emerga in maniera certa ed immediata dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.


In buona sostanza, laddove il testo utilizzato sia chiaro e non ambiguo, sarà precluso l‘accesso ad altri criteri interpretativi.

Ben potrebbe essere, tuttavia, che – pur di fronte ad un testo chiaro dell’accordo – ci si possa trovare di fronte ad un risultato incoerente con altri elementi che rivelino una diversa volontà dei contraenti.


In tal caso, sarà possibile andare oltre, estendendo il campo a criteri ulteriori, di tipo logico, sistematico, ossia improntati a desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi conto, se del caso, anche del comportamento successivo delle parti.

 

ritrovamento di un nuovo testamento
Come si interpreta un testamento?

 

Come si interpreta un testamento?


Torniamo al nostro quesito iniziale.


Anche per il testamento il dato di partenza è pur sempre la parola utilizzata dal disponente: laddove questa non dia margini di dubbi, non si potrà ricorrere a criteri sussidiari, rimanendo preclusa all’interprete la possibilità di avvalersi di dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento.


In buona sostanza, la chiara volontà del testatore, emergente dal non equivoco dato letterale della scheda testamentaria, esclude la necessità del ricorso, quale criterio interpretativo ulteriore, a dati e circostanze estranei al testamento medesimo.


Laddove, tuttavia, dalle espressioni utilizzate non fosse possibile ricostruire l’effettiva intenzione del loro autore si potrà ricorrere ad elementi estrinseci per risolvere parole o espressioni dubbie.


L’interpretazione del testamento, infatti, è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca – al di là della mera dichiarazione – della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., che abbiamo poco fa analizzato, va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, e non di ciascuna singola disposizione.


Al fine di superare eventuali dubbi sull’effettivo significato di parole ed espressioni usate dal testatore si potrà fare riferimento anche ad elementi estrinseci alla scheda stessa, come la cultura. la mentalità, le abitudini espressive e l’ambiente di vita del testatore medesimo, di modo che il giudice nella ricostruzione della volontà, potrà attribuire alle parole usate dal de cuius un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purchè non contrastante e antitetico, e si prestino ad esprimere in modo più adeguato e coerente la reale intenzione del disponente.

 

 

 

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto su

come si interpreta un testamento

La scelta del luogo di sepoltura del defunto: a chi spetta?

 

 

A chi spetta la scelta del luogo di sepoltura del defunto.

 

 

Si narra che l’imperatrice Elisabetta d’Austria, a tutti nota come la principessa Sissi, dopo la morte – tragica – del figlio Rodolfo, si fosse data a viaggi e peregrinazioni, attraversando gran parte dell’Europa.


Tra le mete preferite vi era l’isola greca di Corfù, dalla quale era rimasta incantata per clima e paesaggio.


Qui addirittura acquistò una splendida villa  e manifestò il desiderio di esservi sepolta dopo la morte, (c’è chi sostiene lei volesse venissero disperse le proprie ceneri in mare, quello stesso mare la cui schiuma aveva dato i natali alla divina Venere).


La sua volontà, tuttavia, non fu rispettata, dovendo tale romantico proposito cedere il passo al rigido protocollo reale che la volle tumulata nell’attuale sistemazione, presso la cripta dei cappuccini, ultima residenza degli asburgo.

 


Tanta divagazione introduce il tema di oggi: a chi spetta la scelta del luogo di sepoltura del defunto.


Una recente pronuncia del Tribunale di Velletri (n 391/2019) ci aiuta a fare il punto, ricostruendo lo status giuridico venutosi a consolidare in tale (delicata) materia.


Il conflitto risolto dalla decisione del giudice laziale concerneva la richiesta di spostare la tomba di un defunto, non sposato e verosimilmente deceduto in giovane età, presso il cimitero dei nonni, attori, in luogo dell’attuale, dove era stato tumulato in un loculo appartenente alla zia, che resisteva per trattenerlo vicino a lei.


Il tribunale ha ripercorso i passaggi e gli arresti venutisi via via a consolidare in giurisprudenza in merito alla cd electio sepuchri, partendo da un dato fondamentale: la volontà del defunto prevale su tutto.


Se i parenti ed altri soggetti rientranti nella cerchia d’affetti del de cuius avessero diversa opinione o propositi in merito all’individuazione del luogo (e dei modi) di sepoltura, dovranno, gioco forza, soccombere rispetto alle determinazioni del titolare delle proprie spoglie, ossia colui che è morto.


Tale prerogativa, infatti, rientra nel novero dei “diritti della personalità”, specifici, individuali, assolutamente correlati al singolo individuo e non trasmissibili agli eredi con l’evento successorio.


A nessuno, conseguentemente, è dato disporre di tale scelta se non il solo titolare, mentre è in vita.


La disposizione incontrerà come unico limite la legge, il buon costume e gli elementari precetti che presiedono l’ordine pubblico.


Tra le limitazioni concernenti le modalità di sepoltura una volta vi era il divieto di disperdere le ceneri del defunto, addirittura punito con sanzione penale ad hoc dall’art. 411 cp.


Tale disposizione è stata, tuttavia, temperata da un intervento di legge (L. 130/2001), che disciplina la pratica funeraria della cremazione, nonché della dispersione delle ceneri, che diviene consentita, nel rispetto della volontà del defunto e purchè sia stata autorizzata dall’ufficiale dello stato civile.


Come è possibile manifestare la propria determinazione in ordina alla futura sepoltura?


Non vi è una disposizione di legge ad hoc.


Si può disporre senz’altro tramite testamento.
E’ noto, infatti, che l’atto di ultime volontà possa contenere disposizioni tanto patrimoniali quanto non patrimoniali: tra queste vi rientrano certamente quelle relative alla gestione delle proprie spoglie mortali.


Senza dubbio si potrà manifestare la propria scelta anche con atto scritto separato dal testamento.


Potrebbe essere, anzi, una eventualità addirittura consigliata, in quanto non tanto la pubblicazione ma la semplice apertura e lettura del testamento potrebbe avvenire anche a distanza di tempo dalle avvenute esequie, per cui parrebbe opportuno giocare d’anticipo, rendendo più facilmente acquisibile tale circostanza.

La maggior parte degli interpreti sostiene che non sia necessario gioco forza un atto scritto.

 

 

 

 

scelta sepoltura
Scelta del luogo di sepoltura


Il defunto potrà aver in vita manifestato verbalmente ai cari la propria volontà, attribuendo ad essi il compito di darne esecuzione.


Sarà necessario che la determinazione sia stata inequivocabile, volta cioè non tanto ad esprimere un semplice orientamento o desiderio, bensì a conferire ai destinatari precise indicazioni circa il luogo e le modalità di sepoltura.


Qualora dovessero sorgere dubbi o fraintendimenti, potrà essere valutata ed ammessa prova per testimoni di tale circostanza.


Talora si potrà ricorrere a presunzioni, risalendo da fatti che rivelino la volontà del caro estinto (ad esempio, l’aver fatto costruire la tomba di famiglia in un determinato luogo).


L’apprezzamento di tali rilievi sarà rimesso al prudente apprezzamento del giudice chiamato a risolvere eventuali contrasti.

E se il defunto non avesse lasciato alcuna indicazione circa la scelta del luogo e modalità della propria sepoltura?


La legge nulla dice in merito, non essendo mai intervenuta a disciplinare espressamente la questione.


Ci si appoggia a prassi, a consuetudini, le più vicine alla compiuta tutela della “pietas” per i defunti e dell’affetto dei cari che essi hanno lasciato.


La tendenza è quella di attribuire la scelta del luogo di sepoltura ai familiari più stretti del de cuius.


Si noti: familiari, non tanto eredi, in quanto sappiamo che questi ultimi possono essere anche soggetti estranei al compendio parentale e, come abbiamo precisato prima, non è possibile parlare di trasmissibilità del diritto di scelta per successione.


Quali familiari? I più stretti, verosimilmente è possibile prendere come riferimento il grado di parentela disciplinato dalle norme del codice civile agli art. 74 e ss. 


Tra i familiari va fatto senz’altro rientrare il coniuge.

Anzi.


L’orientamento maggioritario è di dare prevalente rilevanza alla volontà del coniuge rispetto a quella degli altri congiunti.


Si ritiene che il consorte possa essere il depositario delle convinzioni più intime del caro estinto, il più profondo conoscitore, in grado di ricostruire, in assenza di indicazioni, quelle che sarebbero state le disposizioni del defunto in proposito, nonchè il coniuge è il soggetto che più degli altri va tutelato in relazione al diritto di visitare e commemorare il luogo di sepoltura.


Più dei figli.

Questi si possono rifare una vita. Il coniuge superstite talvolta non può o non vuole, per cui ben potrà essergli accordato un occhio di riguardo nella determinazione del posto ove esercitare il culto e la devozione verso i morti.


In assenza di coniuge, la scala di considerazione rimane quella della contiguità parentale, sulla presunzione che maggiore è la vicinanza di sangue, più elevato è il grado di tutela che deve essere accordato ai parenti superstiti.


Su questa prospettiva, tra l’altro, si è mossa la legge (n 130/2001) allorquando ha disciplinato la pratica mortuaria della cremazione, che può essere richiesta “in mancanza della disposizione testamentaria, o di qualsiasi altra espressione di volontà da parte del defunto ” dal coniuge o, in difetto, dal parente più prossimo individuato ai sensi degli articoli 74, 75, 76 e 77 del codice civile e, in caso di concorrenza dai più parenti dello stesso grado, dalla maggioranza assoluta di essi, manifestata all’ufficiale dello stato civile del comune di decesso o di residenza.


Riassumendo: la volontà del defunto in merito alla propria sepoltura prevale su ogni altra diversa indicazione. Quando non risulta alcuna manifestazione espressa dal defunto,opera in via sussidiaria il diritto dei congiunti di provvedere alla destinazione della salma con prevalenza del coniuge sugli altri parenti e sugli eredi. Se non vi è coniuge, sarà attribuito maggior valore all’indicazione dei parenti più prossimi, nell’ordine di vicinanza stabilito dalla legge nella graduazione di parentela.


E se vi è conflitto sulla opportunità o meno di spostare la tomba del defunto da un cimitero all’altro?


Problematica attinente alla decisione del tribunale di Velletri, dalla quale abbiamo preso le mosse per il presente intervento.


Se il luogo di sepoltura era stato originariamente determinato dal titolare del relativo diritto” sarà necessario per il giudicante “valutare con oculata prudenza le giustificazioni addotte per pretendere di operare un trasferimento che comporta esumazione e ritumulazione del cadavere, posto che è avvertita dalla sensibilità degli uomini l’esigenza che le salme dei defunti non vengano, senza adeguate e gravi ragioni, trasferite da un luogo ad un altro”.

lista d'attesa assistenza persona con disabilità

 


Tale valutazione di opportunità andrà operata anche se il defunto non abbia dato alcuna indicazione in merito, ma in tal caso, qualora idonea motivazione sia stata addotta e la nuova sede di tumulazione sia considerata ragionevolmente più conveniente, la determinazione del soggetto idoneo e privilegiato nell’indicazione del luogo di sepoltura prevarrà sugli altri parenti, anche se questi abbiano espresso dissenso od opposizione.


Il diritto/potestà di scelta, infatti, comporta anche quello di variare in seguito la propria determinazione, purchè sorretta da adeguata giustificazione, rimessa all’eventuale valutazione del giudice.


Come è finita la causa decisa dal Tribunale di Velletri?


L’hanno vinta i nonni che chiedevano lo spostamento del luogo di sepoltura del nipote.


Sono stati giudicati i parenti più prossimi del defunto – che, in vita, non aveva dato indicazioni di sorta – e le motivazioni addotte per il trasferimento – garantire una tumulazione più dignitosa, nella tomba di famiglia, ove riposava la madre, vicina ai nonni – erano adeguatamente valide.


Ricorrendo simili circostanze, conclude il tribunale laziale, “non v’è dubbio che per i nonni (aventi diritto alla scelta del luogo di sepoltura) tale traslazione sia idonea a garantire in modo più adeguato la manifestazione del loro sentimento di devozione e pietà nei confronti del defunto”.

Termine impugnazione del testamento per incapacità del disponente: entro quando?

 

Quali sono e da quando decorrono i termini per l’impugnazione del testamento per incapacità del de cuius?

 

 

Per poter fare testamento occorre averne la capacità, come per tutte le cose.


Per capacità, tuttavia, in quest’ambito intendiamo:

maggiore età
– non essere stati interdetti
– essere capaci di intendere e di volere.


Su questa tematica ce siamo già soffermati – ecco qua il link – richiamando le disposizioni di cui all’art. 591 cc


Oggi ci soffermiamo a porre la nostra attenzione su quali siano i termini per l’impugnazione del testamento per incapacità.


Cinque anni.

L’articolo di legge che abbiamo indicato non dà margini di ambiguità ed è chiarissimo.

Il rimedio accordato è l’azione di annullamento, che comporta il ripristino della situazione ereditaria – successione legittima o eventualmente testamentaria, disposta con atto precedente – che si sarebbe creata se l’atto di ultime volontà, viziato, non fosse stato confezionato.


Il termine è stabilito per dare  certezza nei rapporti giuridici.

Trascorso tale determinato periodo di tempo, i diretti interessati dalla disposizione testamentaria, ma anche i terzi che da questi ne abbiano conseguiti diritti, debbono trovarsi nelle condizioni di non vedersi attaccabili nell’acquisto effettuato.

 

Impugnazione del testamento per incapacità

 


Più complesso è stabilire da quando decorra il termine per poter esercitare questo rimedio.


L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie”, recita l’articolo di legge.


La disposizione è vuoi generica, vuoi sibillina.


Inevitabilmente. Fosse stata più specifica e dettagliata, non avrebbe compreso tutte le situazioni non espressamente stabilite, lasciandone fuori di equipollenti o di non prevedibili, ma altrettanto bisognose di tutela.


Ci pensa la giurisprudenza a dare interpretazione alla legge e ad adattarla al caso concreto.


Ecco, allora, una recente Sentenza della Suprema Corte che ci dà qualche dettaglio in più.


Il casus belli riguardava la richiesta di annullamento di un testamento -, di cui ne era stata appurata la stesura da parte di disponente affetta da incapacità mentale al momento della redazione – proposta a risico, in bilico con lo spirare dei termini prescrizionali.


In prima fase, il Tribunale aveva accolto l’istanza volta ad elidere l’efficacia dell’atto di ultime volontà. La corte d’appello, in sede di impugnazione, confermava tale statuizione, che aveva determinato l’effetto di aprire la successione legittima.


La palla alla Cassazione, che è andata ad esaminare attentamente da quali circostanze, nel caso concreto, era stata determinata la decorrenza del termine di prescrizione.


In particolare, era pacifico che uan delle beneficiarie del testamento impugnato avesse riscosso, fin dall’apertura della successione, i canoni di locazione di un immobile facente parte dei beni caduti in eredità, circostanza – questa – non ritenuta dai giudicati precedenti come “indizio inequivoco della volontà di disporre a titolo esclusivo dei beni ereditari” e conseguentemente “di dare attuazione alle disposizioni testamentarie, in quanto semmai costitutiva in un’attività amministrazione della comune compendio ereditario (per effetto della successione nel contratto di locazione di tutti gli eredi)”.


Ebbene, gli ermellini hanno sottolineato come “per esecuzione del testamento, deve intendersi un’attività diretta alla concreta realizzazione della volontà del testatore come la consegna o l’impossessamento dei beni ereditati o la proposizione delle azioni giudiziarie occorrenti a tale scopo, con la conseguenza che non valgono a far decorrere il detto termine nè la pubblicazione del testamento olografo, che è atto anteriore e soltanto preparatorio alla sua effettiva esecuzione, nè la presentazione della denuncia di successione ed il pagamento dell’imposta, che costituiscono atti dovuti, volti ad evitare conseguenze sfavorevoli alla massa ereditaria”.

 

 

termine impugnazione testamento per incapacità
termine impugnazione testamento per incapacità dalla data di esecuzione delle disposizioni di ultima volontà


Conseguentemente, l’attività di riscossione da parte di un erede dei canoni relativi all’immobile già locato dal testatore costituiva indubbia esecuzione delle relative disposizioni di ultima volontà, dando concreto seguito alla condotta gestionale seguita dalla de cuius, (tra l’altro percependo i relativi frutti come propri), e a nulla rilevando che non fossero intercorsi – in tale contesto – altri atti da cui rinvenire la condotta richiesta dalla legge, in quanto un’esecuzione, seppure parziale, era già idonea a produrre gli effetti prescrittivi indicati.


La Suprema Corte, per inciso, ha sottolineato come il termine prescrizionale – nel caso in cui ci siano più eredi – decorra dal giorno in cui sia stata data, anche da uno soltanto dei chiamati all’eredità, esecuzione alle disposizioni testamentarie, dovendosi tutelare in questo modo le esigenze di certezza nell’acquisizione dei rapporti giuridici, anche dei terzi, risultando altrimenti oltremodo indefinita la qualifica di eredi dei soggetti indicati nel testamento.


Su tali presupposti, è stata cassata la pronuncia che aveva accolto l’azione di annullamento, ritenendola intempestiva, dovendosi far decorrere i termini prescrizionali in data anteriore, sfavorevole al ricorrente che aveva impugnato il testamento, con sua buona pace.

 

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

Termine impugnazione del testamento per incapacità

Mancata accettazione dell’eredità: l’amministrazione dei beni ereditari durante la giacenza.

 

Mancata accettazione dell’eredità. La gestione del patrimonio ereditario durante il termine per accettare.

 

 

Con la morte di una persona si “apre la successione”, ossia il (più o meno) complesso iter di subentro di un soggetto ad un altro nella sua situazione giuridico-patrimoniale.


Dal momento della morte decorrono una serie di termini che la legge fissa relativamente a possibili attività collegate al fenomeno successorio: tra questi – ma ve ne sono molti altri – vi è il termine per accettare l’eredità, che si prescrive in 10 anni dall’apertura della successione. (art. 480 cc). 


Sulle possibili modalità di accettazione o rinuncia all’eredità ci siamo soffermati in altri articoli ( 1).


Tali attività sono rilevanti, non solo per il materiale consolidamento della successione nei rapporti giuridici dal de cuius all’erede, con l’accettazione, ma anche per l’individuazione di eventuali ulteriori successibili, con la rinuncia.


Riepiloghiamo per arrivare al nocciolo della questione che oggi ci interessa:


dall’apertura della successione (morte del de cuius) il chiamato all’eredità (ossia il potenziale erede legittimo o testamentario) ha dieci anni di tempo per accettare, trascorsi i quali perde tale diritto. Se accetta diviene in tutto e per tutto erede, se rinuncia altri al posto suo saranno individuati con criteri che la legge espressamente disciplina.


Dieci anni.


Gli altri possibili eredi, ossia gli ulteriori chiamati che diventerebbero eredi se il primo chiamato non accettasse, potrebbero rimanere sulla graticola per un periodo non indifferente.

 

eredità giacente


Non solo.


E che ne sarebbe dei beni ereditari (e anche dei crediti e debiti ereditari) in tutto questo tempo che il chiamato può darsi per accettare?


Al primo quesito rispondiamo: azione interrogatoria.


Si tratta di un rimedio giudiziale che la legge (art. 481 cc) ha individuato per eliminare lo stallo conseguente al protrarsi nel tempo della scelta per il chiamato all’eredità di accettarla o meno.


E così, “Chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare”.


Si tratta, in buona sostanza, di un rimedio volto ad abbreviare il termine decennale su iniziativa di chi vi abbia interesse, tramite un provvedimento giudiziale.


Sarà il giudice a valutare se chi eserciti tale azione vi abbia interesse o meno.

Generalmente possono praticarla sia i chiamati ulteriori (che, si noti e non è indifferente, incorrono nella prescrizione ad accettare l’eredità nel medesimo termine fissato per il primo chiamato: dieci anni dalla morte del de cuius, non già dal verificarsi del loro possibile subentro), sia eventuali creditori, tanto del defunto quanto del possibile erede, sia i legatari, che proprio dall’erede potrebbero percepire il lascito particolare loro effettuato.

 

azione interrogatoria


L‘istanza per la fissazione del termine deve essere proposta con ricorso al tribunale dove si è aperta la successione (ultimo domicilio del de cuius), il quale stabilirà la data entro la quale il chiamato debba effettuare l’eventuale accettazione.


Quest’ultimo potrà accettare anche con beneficio d’inventario (link) entro il medesimo termine, eventualmente potrà chiedere una proroga se dovesse essere insufficiente per espletare tale formalità.


Per inciso, il chiamato non deve trovarsi nel possesso dei beni ereditari, altrimenti la legge stabilisce che decorsi tre mesi dall’apertura della successione senza che questi abbia chiesto l’inventario, si considererà erede puro e semplice.


Ove questi non si pronunci nel termine assegnato dal Tribunale decadrà dal diritto di accettare e vi sarà la delazione ad altri chiamati ulteriori.


E nel caso di mancata accettazione dell’eredità senza che sia stata esercitata alcuna azione d’impulso da parte di possibili interessati, che ne sarà delle sorti dei beni ereditari, dei crediti da riscuotere, dei debiti da pagare durante l’inerzia del chiamato?

 


Anche questa ipotesi è stata prevista dal codice civile (art 528 cc ) che la denomina “eredità giacente” ed occupa lo spazio temporale intercorrente dalla morte del de cuius all’eventuale accettazione (o prescrizione del diritto di accettare).


Il tribunale su istanza delle persone interessate o d’ufficio, potrà nominare un curatore dell’eredità.


Il decreto di nomina dovrà essere iscritto nel registro delle successioni per rendere nota la circostanza.


Quali sono gli obblighi del curatore.


Innanzitutto, egli dovrà operare l’inventario dell’eredità, attivo e passivo, così da cristallizzare la situazione patrimoniale giacente.


Successivamente, il curatore dovrà prendere possesso dei beni ereditari, esercitando – se del caso – le dovute azioni possessorie a loro tutela.


La presa in possesso dei beni ereditari è strumentale all’amministrazione dei medesimi da parte sua, tanto ordinaria – per la quale potrà muoversi con autonomia e senza vincoli particolari (ad es. concedendo in locazione i beni immobili, riscuotendone i canoni, provvedere alla manutenzione dei beni, pagare utenze, rate di mutuo, versare le tasse o imposte) – quanto straordinaria, facendosi autorizzare dal Tribunale.

 

curatore eredità
mancata accettazione dell’eredità: può essere nominato un curatore per amministrare l’eredità giacente


Più in particolare, dovrà essere chiesto ed autorizzato ogni atto di alienazione, di sottoposizione a pegno o ipoteca dei beni ereditari, nonché qualsiasi transazione ad essa attinente.


Per quanto riguarda i beni mobili, che nel corso del tempo potrebbero essere soggetti a dispersione, riduzione di valore, alterazione, sottrazione, deperimento, deve esserne promossa la vendita da parte dal curatore nei trenta giorni successivi alla formazione dell’inventario, salvo che il giudice, con decreto motivato, non disponga altrimenti.


Per gli immobili, in assenza delle urgenze dianzi indicate, la vendita potrà essere solo eventuale e sarà legata a particolari necessità esistenti o che si verranno a verificare, quali – ad esempio – il pagamento dei debiti ereditari o degli oneri legati all’amministrazione dell’eredità.


Sia ben chiaro: Il curatore può provvedere al pagamento dei debiti ereditari e dei legati solamente previa autorizzazione del tribunale.


I versamenti potranno essere effettuati nella misura e nel tempo in cui i creditori si faranno vivi, mantenendo salvi eventuali privilegi che essi abbiano.


Se però qualcuno dei creditori o dei legatari farà opposizione, il curatore non potrà procedere ad alcun pagamento, ma dovrà provvedere alla liquidazione dell’eredità facendosi assistere da un notaio e provvedendo alla graduazione dei crediti.


In ogni caso, il curatore è sempre tenuto a rendere il conto della propria amministrazione, al giudice (che ha, anzi, esplicito obbligo di vigilanza), durante il suo operato, a chi ne abbia interesse, al termine dell’incarico.


Durata del mandato.


Il curatore cessa dalle sue funzioni quando l’eredità sia stata accettata. (532 cc).


In tal caso, dovrà consegnare i beni al legittimo erede, senza che sia necessaria un’esplicita autorizzazione in tal senso da parte del Tribunale, ma essendo sufficiente che la prova e la validità dell’accettazione sia stata acquisita.

Se più sono gli eredi, è verosimile che la distribuzione dei beni avvenga in base alla quota a ciascuno spettante, anche a seguito di un progetto di distribuzione.

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

mancata accettazione dell’eredità – eredità giacente

I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore? La rappresentazione

 

I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore? La rappresentazione

 


Non c’è bisogno di essere morto per lasciare un’eredità…..
(Onyi Anyado)

 

….Si può rinunziare alla propria. (art 467 cc)

 

Oggi ci soffermiamo ad analizzare il caso in cui chi sia potenziale erede, vuoi perchè sia stato indicato come tale in un testamento, vuoi perchè – in assenza di un atto di ultime volontà – lo sia per legge, non possa (ad esempio perchè premorto) o non voglia (rinunziando) accettare l’eredità.


In tali ipotesi il nostro codice civile contempla l’istituto della rappresentazione che comporta la facoltà per i discendenti del chiamato all’eredità di subentrargli nel luogo e nel grado ove, appunto, non ne avesse avuto accesso lui personalmente.


Si tratta di una chiamata “indiretta”, in quanto il soggetto “rappresentante”, altrimenti escluso dalla successione, vi accede in forza di un’accettazione altrui che non ha avuto luogo.


Andiamo con ordine.


Quando si verifica la rappresentazione?


L’istituto è applicabile tanto alla successione legittima quanto a quella testamentaria.

In quest’ultimo caso è necessario che il de cuius non abbia disposto altrimenti, ossia non abbia espressamente preveduto l’ipotesi della mancata accettazione del diretto chiamato, disponendo la sua sostituzione .

 

successione per rappresentazione

 


L’ipotesi per le quali il primo chiamato non effettui l’accettazione possono essere varie. Tra queste:


– la premorienza. Tizio, figlio di Caio, muore prima del padre e conseguentemente non potrà accettare l’eredità di costui.


Allorquando Tizio morisse dopo Caio, ma prima di aver accettato l’eredità di quest’ultimo, si determinerà la trasmissione ai suoi eredi (a tutti, e quindi anche ad eventuali non discendenti) della possibilità di succedere a Caio. (art 479 cc)  


rinuncia. Tizio manifesta formalmente la propria volontà di non accettare l’eredità di Caio.


Indegnità del rappresentato, che non potrà succedere per aver compiuto uno degli illeciti contemplati all’art. 463 cc


perdita del diritto di accettare del primo beneficiario, perchè, ad esempio, egli non vi abbia provveduto entro il termine  fissato dall’autorità giudiziaria su richiesta di chiunque vi abbia interesse.

 

rappresentazione ereditaria


Quali soggetti subentrano al primo beneficiario?


La rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli anche adottivi, del defunto, e, nella linea collaterale a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto.


Cosa significa: il primo chiamato “rappresentato”, che non accetta, deve essere figlio o fratello del defunto.


In questo caso, i discendenti possono accettare l’eredità al posto del genitore.


Muore Caio. Tizio, suo figlio, non può accettare. Possono succedere per rappresentazione i figli di Tizio.

Alla stessa stregua se Tizio fosse il fratello di Caio.


Pare essere escluso che nella qualifica di “rappresentato” possano essere compresi soggetti diversi da quelli indicati, come ad esempio i nipoti.


La giurisprudenza, limitata, più recente opta – infatti – per un’ interpretazione restrittiva rilevando che “L’ambito di applicazione della rappresentazione, sia nella successione legittima che in quella testamentaria, è circoscritto dall’art. 468 c.c., nel senso che essa ha luogo a favore dei discendenti del chiamato che, nella linea retta, sia figlio e, in quella collaterale, fratello o sorella del defunto; ne consegue che sono esclusi dalla rappresentazione i discendenti del nipote ex sorore istituito erede testamentario”. Cass. civ. Sez. II Sent., 30/12/2011, n. 30551.


Fino a quale grado di parentela in linea retta opera la rappresentazione?


La rappresentazione ha luogo in infinito, siano uguali o disuguali il grado dei discendenti e il loro numero in ciascuna stirpe. non si segue quindi la regola generale che il grado più prossimo esclude quello più remoto.


La rappresentazione avviene per stirpi, vale a dire per gruppi di discendenti di ciascun chiamato, e non rileva per l’operare dell’istituto che siano uguali o disuguali il grado (di parentela con il defunto) dei discendenti e il loro numero;
conseguentemente, il discendente del figlio o del fratello o della sorella potrà succedere al de cuius anche se, per ipotesi, presenti un grado di parentela estremamente remoto.


Se uno stipite ha prodotto più rami, la suddivisione avviene per stirpi anche in ciascun ramo, e per capi tra i membri del medesimo ramo.


Facciamo un esempio.
Caio muore e lascia due figli, Tizio e Sempronio. Quest’ultimo ha a sua volta due figli, Mevio e Quinto. Se Sempronio dovesse rinunziare alla successione l’eredità di Caio si dividerebbe ugualmente in due parti, metà a Tizio, l’altra verrebbe divisa tra Mevio e Quinto.

 

 

rinuncia eredità discendenti
I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore che vi abbia rinunciato o non possa farlo

 

Si tengono in considerazione eventuali donazioni effettuate dal de cuius al rappresentato?


Come abbiamo visto in altri contributi (1, 2) le donazioni effettuate in vita dal de cuius costituiscono una sorta di anticipo di eredità. Esse possono rientrare in gioco al momento dell’apertura della successione vuoi in virtù dell’istituto della collazione, vuoi perchè hanno leso i diritti dei legittimari alla loro quota di riserva.


Ebbene, allorquando il soggetto chiamato all’eredità non intendesse o non potesse accettare, i discendenti che succedono per rappresentazione sono tenuti alla collazione  delle donazioni fatte al rappresentato dal de cuius, anche se abbiano rinunciato all’eredità di questo (art. 740 cc).


Dal par loro, ai rappresentanti sarà riservata la medesima iniziativa contemplata per il soggetto rappresentato per agire in riduzione contro le disposizioni lesive dei diritti della quota di legittima. (art 576 cc

 

 

 

 

 

Per una consulenza da parte degli avvocati Berto in materia di

I figli possono accettare l’eredità al posto del genitore