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Autore: Studio Legale Berto

L’erede può conoscere chi sia il beneficiario di una polizza vita del defunto?

 

 

L’erede può conoscere chi sia il beneficiario di una polizza vita del defunto? L’insidioso percorso tra privacy e diritto di difesa.

Parigi val bene una messa.
( Enrico di Navarra)


I diritti dell’erede a conoscere chi siano i beneficiari di polizze vita stipulate dal defunto prevalgono sulla riservatezza di costoro?

Un percorso davvero accidentato.

Preambolo.


Le somme incassate da chi sia beneficiario di una polizza vita stipulata dal defunto non costituiscono provento ereditario.

Il loro importo, pertanto, non cade in successione e non se ne deve tener conto nella stima del compendio della massa ereditaria, in quanto traggono il loro titolo da un contratto stipulato in vita dal de cuius e costituiscono quindi l’adempimento di un’obbligazione contrattuale, che dall’evento morte trae solo la decorrenza per la loro esigibilità.

I premi di polizza, tuttavia, ossia le somme che il defunto aveva versato periodicamente alla compagnia assicurativa a seguito della stipula del contratto, sono considerati come “donazioni” in favore della persona che beneficerà della polizza e, pertanto, di tali importi si dovrà tenere considerazione al fine di valutare se, con tali versamenti liberali, siano stati lesi i diritti degli eredi legittimari, le cui quote, come è noto, si debbono calcolare sul relictum (ciò che è stato lasciato al momento dell’apertura della successione) e donatum (ossia le donazioni effettuate in vita dal de cuius).


Senza contare che di tali somme potrebbe essere chiesta la collazione da parte dei soggetti interessati.


Bene.


Direte voi: se io fossi legittimario e dovessi apprendere che il de cuius abbia destinato notevoli importi in polizze vita a favore di terzi, tali da ledere la mia quota di riserva, avrei ben diritto di conoscere chi siano i beneficiari, per eventualmente trarli a giudizio chiedendo la riduzione/collazione di quanto versato per i premi di polizza.


La risposta è sì, ma arrivarci è stata una battaglia e permane ancora un buon margine di incertezza.

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L’erede può conoscere chi sia il beneficiario di una polizza vita del defunto?

Proviamo a seguire il percorso di Tizia, erede di Caio, che ha visto concludersi il proprio percorso giudiziario – di primo grado – con una recentissima sentenza del Tribunale di Treviso (27.02.2020).


L’assicurazione non voleva fornire i nominativi dei beneficiari delle polizze, ma limitarsi ad allegare i dati dei contratti assicurativi e gli importi in ballo, invocando il diritto alla riservatezza di tali soggetti.


Tizia ricorre al Garante della Privacy, al fine di veder riconosciuto che il proprio diritto di erede – azionabile in giudizio – fosse prevalente rispetto alla privacy dei ben capitati beneficiari delle polizze.


Il Garante, tuttavia, ha disposto in senso negativo alla richiesta.


Il motivo di tale diniego, in buona sostanza, risiede in una distinzione: Tizia, come erede di Caio, subentra nel mondo giuridico di quest’ultimo ed, in quanto tale, ha diritto di ottenere la comunicazione in forma intelligibile dei soli dati riferiti al defunto, detenuti dalla Compagnia assicurativa, ma non dei dati che si riferiscono a terzi, estranei a tale fenomeno stilnox successorio e tutelati nel proprio diritto alla riservatezza.


Il provvedimento del Garante era, tra l’altro, suffragato da pronunce della Corte di Cassazione,la quale aveva avuto modo di precisare che il diritto di accesso ai dati personali concernenti persone decedute riconosciuto dal codice della Privacy ha ad oggetto i soli dati della persona deceduta “ma non autorizza l’accesso ai dati personali non riferiti al de cuius, come i terzi beneficiari dei contratti stipulati dal primo, i quali, nel caso di assicurazione sulla vita, acquistano un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione (art. 1920, terzo comma, c.c.)”.

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Come ha fatto la nostra Tizia a sfangare tale barriera?


Ha agito in giudizio davanti al tribunale ordinario, citando la compagnia assicurativa ed il Garante e suggerendo una lettura della questione alla luce dei recenti interventi normativi introdotti col Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati.


Tale disposizione, infatti, stabilisce la prevalenza del diritto di difesa rispetto a quello concernente la riservatezza dei dati personali (art. 6, lettera f, par 1).


Il trattamento dei dati – per tale intendendosi “qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione” – può avvenire anche in assenza del consenso del titolare quando sia “ necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali”.


La prevalenza del diritto alla difesa sulla riservatezza sarebbe altresì ribadita, in materia, dalla legge di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento UE (Dlgs 101/2018), secondo cui i diritti riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualita’ di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione e non possono incontrare ostacolo nemmeno nel divieto apposto al trattamento da parte del de cuius, qualora possa “produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonche’ del diritto di difendere in giudizio i propri interessi”.

Il Tribunale di Treviso ha accolto la prospettazione di Tizia, accertando i il suo diritto di accesso ai dati personali e ingiungendo alla compagnia assicurativa l’ostensione dei nominativi dei beneficiari delle polizze incriminate.


Stiamo a vedere se la pronuncia troverà conferma nella “giurisprudenza” del Garante della Privacy e delle Corti superiori.

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto su

diritto dell’erede a conoscere chi sia il beneficiario di una polizza vita del defunto

L’intervento di un terzo nella redazione di un testamento

 

L’intervento di un terzo nella redazione di un testamento: quali conseguenze sulla validità dell’atto?

 


La libertà non consiste tanto nel fare la propria volontà quanto nel non essere sottomessi a quella altrui.
JEAN-JACQUES ROUSSEAU

 

Libertà – testamento: un connubio, per legge, inscindibile.


Il testatore deve essere libero di disporre dei propri beni come crede per il tempo in cui avrà cessato di vivere: senza condizionamenti.


Per agevolare la libertà testamentaria il codice civile ha individuato vari accorgimenti, ma anche alcune limitazioni formali.


Come è noto, il testamento olografo deve avere tre requisiti di forma, in assenza dei quali l’atto di ultime volontà sarebbe irrimediabilmente inficiato:


– data
– sottoscrizione;
– olografia, vale a dire redatto interamente di pugno del testatore.


Si noti, non ha importanza su quale materiale sia stato scritto – carta, pergamena, pietra, legno …. – né il mezzo impiegato per redigerlo – penna, pennarello, matita, incisore.. – e nemmeno il tipo di materiale utilizzato per stendere la grafia – inchiostro, vernice, colore, financo il sangue.


Ciò che rileva è l’indiscussa riconducibilità alla mano del de cuius.

 

ritrovamento di un nuovo testamento

 


Olos grafos: scritto tutto di pugno, in tutti i suoi componenti, nessuno escluso e – si noti – nessuno aggiunto da altri.


Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore” (art. 602 cc) . Pena la nullità (art. 606 cc).


La perentorietà delle previsioni di legge esclude l’utilizzabilità del documento quando le disposizioni, nello stesso contenute, non siano state scritte dallo stesso testatore.


L‘intervento del terzo, infatti, ne elimina il carattere di stretta personalità, interferendo sulla volontà di disporre del testatore.


Andiamo con ordine.


Intervento di un terzo nella redazione del testamento: c’è un limite di integrazione, al di sotto del quale l’atto di ultime volontà rimane valido?


Normalmente in materia testamentaria è applicabile la regoletta latina che recita “utile per inutile non vitiatur”, ossia ciò che è valido non è viziato da ciò che è invalido. Se un “peccato” affligge non tutto ma una parte sola del testamento, sarà questa ad essere inficiata, rimanendo efficace il resto.


Bene, tale regola non si applica allorquando sia intervenuto un terzo nella stesura del testamento.


Quando nel corpo della disposizione di ultima volontà anche una sola parola sia di mano altrui e risulti scritta dal terzo durante la confezione del testamento, ancorché su incarico o col consenso del testatore, l’intero documento sarà nullo.


La validità del testamento olografo esige l’autografia della sottoscrizione, della data e del testo del documento, essendo sufficiente ad escluderla ogni intervento di terzi, indipendentemente dal tipo e dall’entità, anche se il terzo abbia scritto una sola parola durante la confezione del testamento, senza che assuma rilievo, peraltro, l’importanza sostanziale della parte eterografa ai fini della nullità dell’intero testamento.

 


In che cosa deve consistere l’intervento del terzo nella redazione del testamento per causarne l’invalidità?


L’attività positiva di un soggetto diverso dal disponente nella redazione del testamento può consistere tanto nell’intervenire direttamente vergando, di proprio pugno, anche solo una parola o un tratto del documento, quanto nel condurre la mano esitante del testatore.


La nullità del testamento per difetto di olografia deve ritenersi  configurabile in ogni ipotesi di intervento del terzo che guidi la mano del testatore, trattandosi di condotta che appare in ogni caso idonea ad alterare la personalità e l’abitualità del gesto scrittorio, costituenti requisiti indispensabili perché possa parlarsi di autografia.

 

Ciò anche se il testo che ne sia scaturito coincida in tutto e per tutto con la reale volontà del de cuius.


La validità o meno del testamento, infatti, non può essere condizionata alla verifica di ulteriori circostanze, quali la effettiva finalità dell’aiuto del terzo, ovvero la verifica della corrispondenza effettiva del testo scritto alla volontà dell’adiuvato, che minerebbero in maniera evidente le finalità di chiarezza e semplificazione che sono alla base della disciplina del testamento olografo.

 

intervento di un terzo nella redazione del testamento
intervento di un terzo nella redazione del testamento


E’ rilevante il momento in cui risulti essere intervenuta la grafia di un terzo soggetto?


Hai voglia.


Tirando le fila di quanto abbiamo esposto finora, al legislatore interessa che il testatore sia assolutamente libero durante la redazione del proprio atto di ultime volontà.


Conseguentemente è proprio il momento della stesura di tale documento il termine temporale in cui la volontà del de cuius potrebbe subire alterazioni per l’ingerenza di altri.


Ne deriva che il testamento olografo alterato da terzi può conservare il suo valore quando l’alterazione non sia tale da impedire l’individuazione della originaria, genuina volontà che il testatore ha inteso manifestare nella relativa scheda.


L’annullamento per carenza dell’olografia opera – in presenza di un intervento di terzi – anche quando vi sia stata l’aggiunta di una sola parola, a condizione che l’azione del terzo si sia svolta durante la redazione del testamento stesso


L’intervento del terzo, se avvenuto in epoca successiva alla redazione, non impedisce al negozio “mortis causa” di conservare il suo valore tutte le volte in cui sia comunque possibile accertare la originaria e genuina volontà del “de cuius”.



Rileva anche l’area del testamento in cui è intervenuta la scrittura del terzo?


Sì.


In un testamento olografo, gli scritti apposti da un terzo in una parte del documento diversa da quella relativa alle disposizioni testamentarie, non comportano invalidità dello stesso, essendo tali scritti inidonei a pregiudicare la libertà di autodeterminazione del testatore.


In materia di testamento olografo, infatti, il rispetto del principio dell’autografia non impedisce che, nell’ambito dello stesso documento, siano enucleabili, da un lato, un testamento pienamente rispondente ai requisiti di legge e, dall’altro, scritti provenienti da una mano sicuramente diversa – apposti dopo la sottoscrizione da parte del testatore e, perciò, collocati in una parte diversa del documento – i quali, di per sé, non possono invalidare per intero la scheda testamentaria redatta dal testatore.


Il testamento olografo non perde il requisito dell’autografia nemmeno quando il testatore vi alleghi una planimetria redatta da terzi, per meglio descrivere gli immobili ereditari, già compiutamente indicati nella scheda testamentaria. Detto allegato, infatti, sottoscritto dal testatore, non integra la volontà del testatore ed è giustificato dall’esigenza di meglio individuare l’oggetto delle singole attribuzioni testamentarie tramite la rappresentazione grafica dei beni.


A risultato radicalmente diverso si deve approdare allorquando l’alterazione avvenga nel corpo della disposizione di ultima volontà e durante la confezione del testamento, ancorché su incarico o col consenso del testatore, giacchè ne elimina il carattere di stretta personalità, interferendo sulla volontà di disporre del de cuius.


E’ valido il testamento interamente redatto di pugno dal testatore che però ricopi fedelmente un altro scritto appartenente a terzi?


Il testamento redatto di proprio pugno dal testatore, ricopiando un testo predisposto da un terzo, non è privo del requisito dell’olografia, ed è pertanto perfettamente valido, a meno che non si deduca e dimostri che il testatore non si sia reso conto del contenuto dell’atto e che, quindi, la volontà apparente dal documento sia difforme da quella reale del disponente.

 

 

Per una consulenza da parte degli Avvocati Berto in materia di

intervento di un terzo nella redazione di un testamento

Aumento assegno di invalidità? la Corte Costituzionale lancia un messaggio.

Aumento assegno di invalidità: l’attuale importo è inadeguato per la tutela di diritti di rango costituzionale.

 

 

Un ringraziamento alla collega Stefania Cerasoli per il prezioso contributo.

 

La Corte Costituzionale, nella camera di consiglio del 23.06.2020, esaminando una questione di legittimità costituzionale evidenziata dal Corte di Appello di Torino, ha stabilito che l’assegno di invalidità che, come noto, ha un importo pari ad Euro 285,66, è manifestamente inadeguato a garantire alle persone totalmente inabili al lavoro i mezzi necessari per vivere.

 

Secondo la Consulta, quindi, l’importo viene a violare il diritto riconosciuto dall’articolo 38 della Costituzione, secondo cui “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.

 

aumento-invalidità-civile

 

Era stata la Corte di Appello di Torino, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 240 del 03.06.2019,  nel pronunciarsi sul ricorso presentato nell’interesse di una persona affetta da tetraplegia spastica neonatale, incapace di svolgere i più elementari atti quotidiani della vita e di comunicare con l’esterno a definire l’importo della pensione di invalidità “insufficiente a garantire il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita”.

 

In particolare, secondo la Corte di Appello, era ravvisabile un contrasto con il contenuto dell’articolo 3 della Costituzione, per “violazione del principio di uguaglianza, ponendo a confronto l’importo della pensione di inabilità, corrisposta agli inabili a lavoro di età compresa tra i 18 e i 65 anni, e l’importo dell’assegno sociale corrisposto ai cittadini di età superiore a 66 anni in possesso di determinati requisiti reddituali, meno favorevoli di quelli di riferimento per il riconoscimento della pensione di inabilità”.

 

Inoltre, un contrasto veniva rilevato anche nei confronti degli articoli 4 e 28 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità stipulata a New York il 13 dicembre 2006, resa esecutiva in Italia con legge n. 18/2009, nonché con gli articoli 26 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea richiamata dall’art.6 del Trattato di Lisbona.

Tra ricorso e sentenze, nell’ultima ordinanza del 03.06.2020, la Corte di Appello ha deciso di sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla decisione della Consulta.


La Corte Costituzionale, come detto, ha evidenziato come 285,66 euro non siano sufficienti a soddisfare i bisogni primari della vita determinando una violazione del diritto al mantenimento, che la Costituzione all’articolo 38 riconosce agli inabili.

 

Non solo.

 

Viene anche ritenuto ingiusto che l’invalido civile riceva meno benefici rispetto a quanto riconosciuto economicamente ai destinatari dell’assegno sociale, avendo il giudice stabilito la sostanziale similitudine tra le due condizioni.

 

Di conseguenza, il cosiddetto “Incremento al milione” (pari agli attuali 516,46 euro) da tempo riconosciuto, per vari trattamenti pensionistici, dall’articolo 38 della legge n. 448 del 2011,deve essere assicurato agli invalidi civili totali, di cui alla Legge n. 118/1971, art. 12, I comma, senza attendere il raggiungimento del sessantesimo anno di età, attualmente previsto dalla legge.

 

aumento assegno di invalidità: l’attuale importo è insufficiente a garantire la tutela del diritto al mantenimento

 

Questo aumento dovrà d’ora in poi essere garantito (dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza e , quindi, senza effetto retroattivo) a tutti gli invalidi civili totali che abbiano compiuto i 18 anni e che non godano, in particolare, di redditi su base annua pari o superiori a 6.713,98 euro.

 

E’ una goccia nel mare, certo. Ma sappiamo che il mare è composto da tante gocce: un buon inizio, la strada è ancora lunga.

 

 

 

 

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aumento assegno di invalidità

E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità?

 

 

E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità?

 

 

“Ho ereditato un milione da mia nonna ma me lo voglio tenere per ricordo!”
MACARIO

 

 

Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere” (art. 9, L 898/1970)


Non ricordo il numero di articoli (1, 2, 3,…) con i quali ci siamo soffermati su questa disposizione della legge sul divorzio.

 


Facciamo una statistica? Quali sono le domande più ricorrenti che i clienti rivolgono all’avvocato in sede di revisione delle condizioni divorzili?

 


I dati precisi precisi non li abbiamo, ma possiamo senz’altro inserire sul podio: “E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità?”.


Certo, lo scettro del vincitore lo contendono anche domande del tipo “e se uno dei due ex perde il lavoro?” “ e se lei/lui si risposasse?” “e se dovesse avere figli da un’altra relazione?”.


E’ un dato di fatto, comunque, sempre per citare la statistica, che spesso l’evento “divorzio” frequentemente avviene in un periodo della vita in cui i coniugi sono abbastanza maturi, ma non di età avanzatissima, tanto da avere ancora i genitori in vita, per cui al trauma dello scioglimento del matrimonio si potrebbe accompagnare, di lì a poco, quello della perdita di un ascendente, con conseguente passaggio ereditario.


Ebbene, riteniamo che la risposta alla domanda che ci siamo posti oggi potrebbe essere interessante da un duplice punto di vista, a seconda che il fenomeno successorio coinvolga (l’ex) coniuge beneficiario dell’assegno divorzile, o quello che ne sia onerato.

 

figli casa di riposo

 

 


A) l’ex coniuge beneficiario del mantenimento riceve un’eredità.

 


Partiamo dal presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile: il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.


Conseguentemente, se il coniuge a cui sia stato riconosciuto l’assegno, grazie ai proventi di un’eredità favorevole, conseguisse “mezzi adeguati”, ossia idonei a renderlo autonomamente capace, senza necessità di integrazioni ad opera dell’obbligato, senza dubbio potrebbe perdere il contributo riconosciutogli in sede divorzile.


Qualora il lascito che abbia conseguito non sia così ingente, tale da poter campare per il resto della vita, potrebbe comunque legittimare una riduzione dell’onere cui sia tenuto l’ex consorte.


Secondo la giurisprudenza, anche recentissima ( Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 05/06/2020, n. 10647) l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, è presupposto fattuale (dei “giustificati motivi”) necessario per procedere al giudizio di revisione dell’assegno e potrebbe certamente risiedere nel conseguimento di congrui attivi ereditari.

 

 

cila in sanatoria
E’ possibile modificare le condizioni di divorzio se uno dei due ex coniugi percepisce un’eredità

 

B) l’ex coniuge onerato del mantenimento riceve un’eredità.

 


Eh certo, il fenomeno successorio, al netto dei patimenti conseguenti al lutto, potrebbe riverberarsi positivamente sulle condizioni economiche del coniuge tenuto a versare l’assegno divorzile.


Quindi? Deve essere aumentata la contribuzione?


pian coe bombe” si dice qui in Veneto.


L’accertamento del diritto all’assegno di divorzio va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi (o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), raffrontati alle condizioni personali che potevano legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio.


Nella individuazione di tali aspettative, deve tenersi conto unicamente delle prospettive di miglioramenti economici maturate nel corso del matrimonio che trovino radice nell’attività all’epoca svolta e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale dell’onerato, e cioè solo di quegli incrementi delle condizioni patrimoniali dell’ex coniuge che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio.


E’ escluso, pertanto, che all’ex coniuge che già abbia mezzi adeguati – vuoi autonomamente, vuoi grazie al contributo riconosciutogli attraverso l’assegno divorzile – possa aspettare un’automatica revisione in melius delle condizioni di scioglimento del vincolo.

 

 

 

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modifica delle condizioni di divorzio

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Si può dare esecuzione ad un testamento falso se tutti gli interessati sono d’accordo?

 

Unanime esecuzione di testamento falso: può finire a tarrallucci e vino?

 

 

 

“La verità esiste, solo la falsità deve essere inventata.”
GEORGES BRAQUE

 

 

 

Tizia muore.


Viene chiesta la pubblicazione del suo testamento.

Si appura, però, che la grafia non appartenga al defunto e che l’intero documento sia falso, in quanto apocrifo.

I possibili eredi si mettono attorno ad un tavolo, convengono che il testamento – seppur falso – contenga disposizioni che corrispondono alla reale volontà di Tizia, manifestata più volte da quest’ultima prima di morire.

In forza di queste considerazioni, decidono di dare comunque esecuzione al testamento falso.


Sarà efficace tale determinazione?


Facciamo un passo indietro.


Ciascuno di noi, se dovesse compiere un atto giuridico difettoso di qualche requisito, potrebbe cercare di porvi rimedio: replicandolo correttamente, se nullo, convalidandolo, se annullabile.


L’atto di ultime volontà, tuttavia, non può trovare alcuna forma di convalida da parte del suo autore – in quanto passato a miglior vita (speriamo per lui), né ovviamente potrebbe essere da questi rinnovato, replicato validamente.

Per ovviare a tale inconveniente la legge ha escogitato un rimedio: la nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, ha, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione. (art 590 cc).


Vale a dire che i soggetti interessati dal testamento nullo possono compiere una sorta di ratifica personale, rinunciando a far valere le cause di nullità dando attuazione alla disposizione invalida.

E’ un po’ come se la volontà del testatore fosse assecondata da coloro i quali ne sarebbero stati i beneficiari se il testamento fosse stato valido.


Ecco, allora, che la conferma appare come una sorta di integrazione mancante ad un atto invalido, supplendo alla carenza che ha generato la nullità.


La giurisprudenza sul punto è divisa nel valutare se tale norma di legge consista in una vera e propria convalida di atto nullo da parte degli interessati oppure una semplice preclusione a far valere la nullità da parte di coloro i quali se ne siano avvalsi, lasciando impregiudicate le eccezioni e le iniziative di quelli che non l’abbiano confermato.

 

fotocopia-testamento-olografo


La conferma del testamento potrà essere espressa o tacita.

Per quella espressa non vi sono requisiti formali, anche se la forma scritta potrebbe essere necessaria ai fini della trascrizione.

La conferma tacità presuppone la conoscenza del vizio che ha causato l’invalidità e la contestuale volontà di rinunciare all’impugnazione, ponendo in essere un comportamento incompatibile con l’intenzione di agire in giudizio per l’accertamento della causa di nullità .


Ovviamente, non potrà trovare tutela la “conferma” di disposizioni testamentarie nulle in quanto contrarie al buon costume o all’ordine pubblico: in tal caso è escluso si possano recuperare attribuzioni comunque inidonee ad avere efficacia giuridica. Come gli effetti di tali disposizioni non potevano essere conseguiti dal testatore in vita, così non potranno essere raggiunti dai suoi successori attraverso il negozio di convalida.


Dottrina e giurisprudenza unanimemente convengono che – presupposto per l’applicazione dell’istituto in esame – sia quanto meno l’esistenza di un testamento attribuibile alla volontà del de cuius.


Non potranno essere compresi nella disciplina gli atti che elidano o annullino l’elemento volontaristico, come – per esempio – la violenza fisica, la predisposizione con riserva mentali (dichiaro di volere ma non voglio), oppure se fatta a titolo di scherzo o redatta docendi causa, a titolo esemplificativo, per illustrare un concetto.


Qui non c’è una volontà da salvare o tutelare proprio perchè la volontà è inesistente.

 

ritrovamento di un nuovo testamento
Unanime esecuzione di testamento falso: manca la volontà del testatore


E in caso di apocrifia? Si può dare esecuzione ad un testamento falso?


La risposta è negativa e ce ne dà conferma una recentissima Sentenza della Cassazione  che – guarda caso – ha risolto la controversia relativa proprio al testamento di Tizia.


I giudici della Suprema Corte – in punto applicazione della norma “salvifica” dell’art. 590 cc – hanno concentrato l’attenzione sulla possibilità di ricondurre il testamento apocrifo alla volontà della de cuius.


Tale normativa “nel prevedere la possibilità di conferma od esecuzione di una disposizione testamentaria nulla da parte degli eredi, presuppone, per la sua operatività, l’oggettiva esistenza di una disposizione testamentaria, che sia comunque frutto della volontà del de cuius, non trovando applicazione, invece, nell’ipotesi di accertata sottoscrizione apocrifa del testamento, la quale esclude in radice la riconducibilità di esso al testatore”.


“La riconosciuta non autenticità della scheda” infatti mette “fuori gioco il meccanismo di sanatoria contemplato dall’art. 590 c.c., senza che avesse a quel punto alcuna rilevanza né la consapevolezza dei dichiaranti che il testamento fosse falso, né l’indagine volta a stabilire se la scheda fosse conforme alla volontà espressa in vita dalla defunta”.


Per inciso, è utile evidenziare come dottrina e giurisprudenza siano attualmente accapigliate circa la valutazione della “confermabilità” – attraverso l’istituto oggi enunciato – di un testamento riconducibile alla mano del disponente ma contenente adulterazioni circa alcune sue componenti (ad esempio la firma, o la data).


Al momento pare prevalere l’orientamento volto ad attribuire efficacia alla conferma del testamento, purchè le alterazioni effettuate non abbiano eliminato o viziato la volontà dispositiva del testatore.


 

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esecuzione di testamento falso

Il diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti.

Diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti: sono i medesimi di quelli “biologici”?

 


Quando tutti hanno detto di no, tu chiedilo ai nonni.
Anonimo

 

 

Quante frasi belle si riescono a trovare riguardo ai nonni.


Il motivo risiede nel fatto che il loro rapporto con i nipoti è rivestito di connotati particolari: i nonni potrebbero educare – oh se ne hanno di cose da insegnare sulla vita – ma cedono gran parte di questa prerogativa ai genitori, mantenendo per loro la parte più bella, ossia il legame puro, nudo, spogliato di oneri, di compiti istituzionali.

Si godono i nipoti e basta.

Sia chiaro. Non è sempre così.

Oggi giorno ai nonni è attribuito un ruolo di autentico soggetto attivo nel welfare: se non ci fossero, chi potrebbe attendere i nipoti quando i genitori lavorano? Chi subentrerebbe nelle quotidiane emergenze di collocamento dei ragazzi, chi li andrebbe a prendere a scuola,chi li accompagnerebbe alle attività, chi farebbe fare loro i compiti?


Tutto bello? Tutto buono? Tutto magnifico?

Purtroppo no.


Spesso le cose non vanno come dovrebbero/potrebbero e nascono incomprensioni.

No, non tra nonni e nipoti. Tra genitori e (loro) genitori.

Vuoi per difficoltà nei loro rapporti. Vuoi perchè, con la crisi familiare tra i genitori spesso i rapporti con gli ascendenti (chiamiamo i nonni così) potrebbero avere serie conseguenze.

Quel senso di mal celata insofferenza tra suocera e nuora, (per esempio!) potrebbe esplodere in autentica contrapposizione all’esito del rapporto coniugale/sentimentale.

Il fuoco, covato sotto la cenere, potrebbe esplodere per dar luogo a reciproco ostracismo, coinvolgendo anche i minori, incolpevoli ed ancor più disorientati dai repentini cambiamenti familiari.

Ne avevamo già parlato, circa circa la prerogativa, attribuita ai nonni, di frequentare i nipoti (link) .


Il nostro legislatore ha una norma ad hoc, volta a consacrare il diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.


Il nonno cui sia impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinchè siano adottati i provvedimenti più idonei.

Come sottolineato più volte, il provvedimento di tutela verrà emesso “nell’esclusivo interesse del minore”.

Vale a dire: il diritto alla frequenza nonni/nipoti è espressamente riconosciuto quale interesse strumentale alla piena realizzazione della personalità del nipote, poiché facendo valere questo diritto, i nonni, fanno valere il diritto dei nipoti, che in tal modo risulta più fortemente tutelato.

I nonni esercitano un loro diritto, nell’interesse dei nipoti.

πάντα ῥεῖ, Panta rei. Tutto scorre. Le cose cambiano.

 

 nonni acquisiti nipoti

 

Anche per i nonni, che possono tutto d’un tratto restare da soli, perchè si separano o divengono vedovi.

E se decidessero di rifarsi una vita, con un nuovo compagno/a?

Buon per loro.

Talvolta, tale scelta è così felice da generare autentiche primizie nel rapporto tra il nonno “acquisito” ed i nipoti.

Eh però…. le cose possono compromettersi (purtroppo statisticamente più facilmente) anche tra nuovi compagni dei genitori e i figli.

In tal caso ci si deve chiedere se la tutela approntata dalla legge per i nonni biologici rimanga valida anche per quelli acquisiti.

Diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti: ci danno risposta, come sempre, i giudici della Cassazione, i quali, con una recentissima pronuncia (n 9144/2020), hanno sciolto positivamente il quesito che siamo posti.


Gli ermellini, dapprima, hanno sottolineato come le principali carte dei diritti della persona e del fanciullo siano unanimi nello sancire la fondamentale rilevanza del rispetto della vita privata e familiare della persona (art. 8 Convenzione Europea Diritti dell’Uomo) e la prevalenza, in tutti gli atti relativi ai bambini, dell’interesse superiore del fanciullo (art. 24 Carta di Nizza ).

 

Diritto dei nonni acquisiti a frequentare i nipoti


Senza dimenticare che la nostra Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.

Tra queste “formazioni sociali” un ruolo fondamentale ricopre la famiglia, sia essa fondata sul matrimonio oppure no.

 

Ebbene, alla luce di questi principi, il diritto dei nonni di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, riconosciuto dalla legge, cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, non va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di parentela “sanguineo”, ma anche ad ogni altra persona che affianchi il “nonno biologico” del minore, sia esso il coniuge o convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore stesso una relazione affettiva stabile, dalla quale il “nipote acquisito” possa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psico-fisico.

 

 

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Guida all’ingresso in casa di riposo

 

 

 

Ci siamo.


Tante volte nel corso della vita abbiamo pensato “ e se dovessi perdere le mie capacità, la mia autosufficienza, l’attitudine a svolgere le mansioni di vita quotidiana?”. O semplicemente, “ se mi trovassi solo? Senza nessuno che si occupasse di me, dei miei bisogni, delle mie necessità?”.


Ci siamo.


E’ arrivato il momento, per sé o per un proprio caro. Abbiamo bisogno di aiuto. Di assistenza alla nostra cura. Di un soccorso per la nostra salute che ci fa vacillare. Quotidianamente.


I nostri familiari – beati coloro che ci possono contare – non sono più in grado di darci una mano.
Hanno il loro lavoro, la loro famiglia. La loro vita.


Farebbero di tutto per noi. Ma non ce la fanno più.


Le nostre esigenze sono diventate soverchianti. E loro non sono medici, nemmeno infermieri.
Neanche badanti, verrebbe da dire, ma quello ormai hanno imparato a farlo, mossi dal loro amore e affetto.

Sono persone come tutti. Non hanno la competenza e la professionalità per affrontare la moltitudine di risvolti e sfaccettature che la nostra età avanzata o la malattia prospettano ogni giorno.


La soluzione che abbiamo individuato, per quanto sofferta, è l’ingresso in casa di riposo.


Già aver assunto una determinazione in merito è molto.
Il percorso per entrare in una RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) potrebbe rivelarsi ingarbugliato ed accidentato.

Questa guida è per te, che non sai da dove partire.


Qui puoi trovare le informazioni base che cerchi.


Per il resto… siamo a Tua disposizione.

 


Avv. Paolo Giovanni Berto                                   Avv. Stefania Cerasoli

 

 

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Eredità in favore di minorenni: come procedere?


Cautele ed autorizzazioni per accettare l’eredità in favore di minorenni.

 

 

Accettare un’eredità non è come bere un bicchiere d’acqua.

Può comportare significative conseguenze sulle condizioni del soggetto in favore del quale sia stata devoluta.

Pensiamo all’ipotesi in cui – a seguito della successione – oltre alle attività, vengano trasferite considerevoli passività, in grado di rendere sbilanciato ed oltre modo gravoso il conseguimento del lascito.

Una persona maggiorenne e vaccinata è in grado non solo di assumere le proprie determinazioni in ordine alla possibilità o meno di accettare un’eredità, ma anche di farsi carico delle conseguenze e responsabilità di una successione più o meno gravosa.

Le persone deboli, tra cui i minorenni, ma anche agli incapaci, no. Per essi deve decidere qualcun altro e deve farlo con scrupolo e cautela, per non far pesare sulle spalle di un innocente le conseguenze di una scelta poco ponderata.

Come procedere, quindi, in caso di eredità in favore di minorenni?


Innanzitutto – non è scontato dirlo – è necessario che i genitori siano d’accordo sul fatto di accettare o meno il lascito.


La legge, infatti, stabilisce che per alcuni atti – quelli di ordinaria amministrazione – i genitori possano agire disgiuntamente, senza che sia necessaria – per la validità dell’atto – il consenso di entrambi.


Le decisioni più importanti – quelle cioè che possono comportare significative conseguenze per il bene dei figli – è necessario che vengano assunte congiuntamente.


In caso di contrasto su questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei (art 316 cc ).

Il giudice, “sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio”.

 

eredità figlio minorenne

 


Bene.  La legge, per alcune determinazioni da parte dei genitori, non solo richiede il consenso di entrambi, ma anche l’autorizzazione del giudice, che vagli e statuisca la congruità e la conformità all’interesse del minore della scelta assunta dagli ascendenti.


Gli atti compiuti in difetto di tale autorizzazione saranno annullabili, senza che possano essere sanati da provvedimento successivo.


Parliamo degli atti di straordinaria amministrazione avente contenuto patrimoniale, come la vendita dei beni dei figli, oppure la locazione dei loro beni immobili per un tempo considerevole, o la riscossione di capitali: l’art. 320 cc ce ne dà un dettagliato elenco.


Tra questi atti per cui è necessaria la preventiva autorizzazione del Giudice Tutelare vi è l‘accettazione di eredità in favore di minorenni.

Ci siamo?

 

Passaggio primo: i genitori dovranno effettuare un ricorso al giudice tutelare per farsi autorizzare ad accettare l’eredità per conto dei figli, di cui hanno la rappresentanza, esponendo le ragioni per cui il lascito possa considerarsi vantaggioso per la prole.


Per inciso, è opportuno rilevare che tale modalità dovrà essere seguita anche nel caso in cui i genitori considerino opportuno rinunciare all’eredità: sarà sempre necessario adire il tribunale ed ottenere l’autorizzazione alla rinuncia.


Ovviamente, sappiamo bene che un’eredità così accettata potrebbe comunque comportare brutte sorprese: debiti non dichiarati, non conosciuti, sopravvenuti, che espongano l’erede minorenne a conseguenze nefaste e compromettenti.


Di conseguenza la legge chiede un’ altra attività obbligatoria in caso di eredità in favore di minorenni.

 

accettazione eredità figli minorenni
eredità in favore di figli minorenni: autorizzazione del giudice e beneficio di inventario

 

 


Secondo passaggio: accettazione di eredità con beneficio di inventario.


Ci siamo soffermati più volte (link 1 e 2) su quest’argomento: per evitare le conseguenze di una damnosa hereditas, in cui il patrimonio (attivo e passivo) del defunto si confonde con quello dell’erede, esponendolo anche a debiti più grandi di quanto conseguito, la legge disciplina il rimedio dell’accettazione beneficiata.


Si tratta di istituto obbligatorio nel caso in cui chiamati all’eredità fossero minorenni, incapaci (interdetti, inabilitati) o persone giuridiche e associazioni -proprio per evitare il pericolo di eredità dannose – ma estensibile a quanti volessero tutelarsi da tale rischio.

Il risultato di tale procedura è che l’erede non sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni pervenuti.

 

Come procedere?

In due modi.

– Facendo eseguire, da un cancelliere del Tribunale o da un notaio, l’inventario di tutti i beni del defunto, in cui verranno indicate attività e passività.
Redatto l’inventario, si avranno 40 giorni di tempo per deliberare se accettare o rinunciare all’eredità. Trascorso questo termine senza aver deliberato, si perderà il diritto di accettare l’eredità.

– Altrimenti, si potrà manifestare fin da subito l’accettazione con beneficio di inventario, per poi eseguire l’inventario stesso entro il termine di tre mesi, pena la decadenza del beneficio.

 

è possibile obbligare un padre a vedere un figlio


E se i genitori, autorizzati ad accettare l’eredità in favore di minorenni, tardassero a compiere le attività precedenti?

 

L’ipotesi, proprio perchè tutt’altro che infrequente, ha spinto la legge ad attribuire un’ulteriore tutela in favore dei minorenni e degli incapaci.


Questi non saranno decaduti dal beneficio d’inventario se non al compimento di un anno dalla maggiore età o dal cessare dello stato di incapacità (art 489 cc).


Entro tale termine, quindi, una volta entrati in possesso della libera autodeterminazione e capacità di agire, potranno compiere l’atto riconosciuto dalla legge per proteggersi da eredità dannose.

Attenzione. Attenzione.

La legge non attribuisce al minore, il cui genitore non abbia rinunciato all’eredità, il diritto di rinunciarvi al compimento della maggiore età, ma soltanto la facoltà di redigere l’ inventario nel termine di un anno dal suo compimento, così da renderlo esente dalle conseguenze di un’eredità eccessivamente onerosa.


Lo ha specificato una recente Sentenza della Cassazione, in cui si è considerato il caso di un’eredità accettata con beneficio da parte dei genitori senza, tuttavia, che fossero state eseguite le formalità successive; nello specifico l’esecuzione dell’inventario.


Divenuta maggiorenne la figliola, questa veniva citata in giudizio da una banca che – è proprio il caso di dirlo – batteva cassa per riscuotere crediti vantati nei confronti del defunto.


La ragazza eccepiva di voler rinunciare all’eredità, sostenendo di poter beneficiare del termine annuale decorrente dal compimento della maggiore età, asseritamente concesso dalla legge.

La Suprema Corte ha rilevato che, in assenza di accettazione dell’eredità, il minore rimane nella posizione di chiamato alla eredità e, nel termine di prescrizione decennale, il suo rappresentante legale potrà accettare l’eredità con il beneficio d’inventario, mentre, lo stesso minore, una volta divenuto maggiorenne, potrà accettare senza il detto beneficio ovvero rinunciare alla eredità.

Qualora il genitore opti per l’accettazione dopo essere stato autorizzato dal Giudice Tutelare, ne deriva l’acquisto da parte del minore della qualità di erede.

Se – accettata l’eredità –  non fosse compiuto l’inventario, necessario per poter fruire della limitazione della responsabilità,  si porrebbe per il minore una particolare ulteriore tutela: l’inapplicabilità della decadenza dal beneficio di inventario fino al compimento dell’anno dalla maggiore età.

Se anche entro tale termine non si provveda, l’accettante – divenuto maggiorenne – sarà considerato erede puro e semplice, senza possibilità di rinuncia.


Citando un brocardo latino “semel heres, semper heres”.


Una volta che si sia divenuti eredi, lo si rimarrà per sempre, non essendo consentita la rinuncia successiva all’accettazione.

 

 

 

 

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E’ possibile obbligare un padre a vedere il figlio?

E’ possibile obbligare il padre a vedere il figlio?

 

Malgrado le disposizioni sull’affidamento del figlio, il padre non vuole frequentarlo. E’ possibile obbligarlo?

 


Colui che genera un figlio non è ancora un padre, un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno.
(Fëdor Dostoevskij)

 

 

Per cementare i legami profondi bisogna volerlo. Bisogna sentirlo. Non si possono imporre. Nemmeno forzare.


Ma i legami di sangue? Padre e figlio. Madre e figlio. E’ possibile pretendere che vengano coltivati, se non per i genitori, nell’interesse dei figli stessi?


E’ il quesito cui ha dato risposta la Corte di Cassazione.


Un uomo, dopo una causa giudiziaria che aveva accertato la sua paternità naturale del figlio minore, veniva citato in tribunale dall’ex compagna perchè non ottemperava alle condizioni di affidamento stabilite per il minore, rifiutandosi di fargli visita.


Il giudizio si concludeva con un provvedimento di condanna del padre a versare la somma di 100 euro per ogni futuro inadempimento del proprio obbligo genitoriale.


La questione era incentrata sull’applicazione o meno di una norma di legge – l’art. 614 bis cpc – che consente al giudice, su richiesta di parte, di fissare una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza da parte di un obbligato a prestazioni diverse dal pagamento di somme di denaro (ad esempio, un obbligo di fare o non fare).


In buona sostanza, se il giudice ammette tale possibilità, riconosce che il dovere di visita sia coercibile, possa cioè essere oggetto di imposizione ad un genitore che non voglia vedere il proprio figlio.


Chiariamoci.


Se un padre si disinteressa del figlio assume una condotta giuridicamente rilevante.


Potrebbe legittimare una pronuncia di ammonizione del genitore inadempiente, oppure una condanna al risarcimento dei danni, nei confronti del minore o dell’altro genitore, il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, financo la revisione delle condizioni di affidamento.


Si tratta, tuttavia, di provvedimenti consequenziali, successivi ad inadempimenti da parte del genitore, non già preventivi.

In buona sostanza si prendono in considerazione danni già integrati dalla condotta di un genitore, non già che si devono ancora verificare. Sono circoscritti al passato ed al presente, non al futuro.

 

 

E’ possibile obbligare un padre a vedere il figlio?


E’ possibile obbligare il padre a vedere il figlio?


La Suprema Corte ha osservato che l’ambito della materia familiare è del tutto particolare rispetto a quello tradizionale delle obbligazioni, ove chi non adempie può essere obbligato a farlo, direttamente – con esecuzione in forma specifica – o indirettamente – con mezzi di incentivo e sanzione per la violazione.


Non solo.


Il rapporto genitore / figlio è foriero di diritti e doveri.


Diritti: il diritto di un figlio a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori e di essere da questi mantenuto, educato, istruito..

.
Il diritto del genitore a frequentare il figlio, senza interferenze od ostacoli da parte dell’altro che, se verificatisi, possono essere sanzionati con i provvedimenti che abbiamo verificato.


Doveri. Ad un diritto si accompagna un dovere.


Attenzione. Il dovere di visitare e frequentare il figlio non è conculcabile, non è coercibile, non può essere imposto con la forza, ma è espressione della libera determinazione del genitore che vi è tenuto.


Ragionare al contrario sarebbe svilire tale rapporto e contrario all’interesse stesso del figlio: come potrebbe essere efficace, positivo – per il figlio e per il genitore – un rapporto nato dall’obbligo, perchè si deve, perchè altrimenti si pagano le conseguenze?

 


Stabilire preventivamente multe per il padre che non vuole vedere il figlio ogni infrazione commessa?


Sarebbe – ad avviso degli ermellini – “in evidente contrasto con l’interesse del minore, il quale viene a subire in tal modo una monetizzazione preventiva e una conseguente grave banalizzazione di un dovere essenziale del genitore nei suoi confronti, come quello della frequentazione”..


Senza sorvolare sul fatto – ma qui parliamo forse troppo in giuridichese – che un provvedimento come quello di cui all’art. 614 bis cpc consente al giudice di imporre le sanzioni per inadempimenti futuri relativamente a “provvedimenti di condanna”.
Ci mancherebbe che si possa configurare come “condanna” la visita che un genitore debba/voglia/possa riservare al figlio.

 

 

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“è possibile obbligare il padre a vedere il figlio”

L’agenzia immobiliare ha diritto alla provvigione in caso di accettazione della proposta di acquisto da parte del venditore?

E’ dovuta la provvigione all’agenzia immobiliare in caso di accettazione della proposta di acquisto senza che poi sia intervenuta la stipula del contratto preliminare?

Ho sempre impostato la mia vita in modo da morire con trecentomila rimorsi e nemmeno un rimpianto.
(Fabrizio De André)


Meglio vivere di rimorsi che di rimpianti.


Siamo d’accordo. Meglio un giorno da leone che mille da pecora.

Certo che i rimorsi hanno un prezzo, come molti errori.


Oggi ci occupiamo di analizzare l’ipotesi in cui due soggetti, acquirente e venditore, che per l’affare relativo alla compravendita di un immobile si siano avvalsi di un’agenzia immobiliare mediatrice, abbiano dei ripensamenti dopo aver sottoscritto, rispettivamente, proposta di acquisto ed accettazione della medesima, e non abbiano più intenzione, per qualsiasi motivo, di procedere alla stipula del contratto preliminare.


Ci eravamo soffermati più volte (link 1,2 ): “Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento” (art 1756 cc.).


Affare concluso non significa necessariamente stipula del contratto definitivo di vendita.


E’ sufficiente che l’attività di mediazione, concretatasi nella messa in relazione delle parti, costituisca l’antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione dell’affare.

Non solo.

Per “affare concluso” deve essere intesa qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, vale a dire che imponga ad esse di concludere il contratto.


E’ ritenuta, conseguentemente, sufficiente, al fine del riconoscimento della provvigione, la stipula del contratto preliminare di vendita intervenuta fra le parti, giacchè obbliga le stesse  alla stipula del successivo definitivo, essendo indifferenti le vicende successive, non attribuibili all’attività del mediatore, quali, ad esempio, la mutata volontà dei contraenti o la scadenza del mandato conferito all’agente.

provvigione agenzia solo preliminare?


Bene. Ci siamo.


Il caso di oggi riguarda una fattispecie in parte diversa, antecedente alla sottoscrizione del preliminare, alla quale mai si arriverà.


Tizio si avvale della mediazione dell’agenzia Alfa per l’acquisto di un immobile di suo gradimento promosso in vendita da quest’ultima.


Dopo averlo visionato, Tizio sottoscrive una proposta irrevocabile di acquisto al proprietario, Caio, che la accetta, per iscritto, puntualizzando l’auspicio che nel successivo preliminare si potessero smussare alcuni aspetti di divergenza tra le rispettive posizioni.


Non si sa perchè, non si sa per come, Tizio e Caio in seguito decidono di non stipulare più il contratto preliminare e di lasciar perdere proprio l’affare.


L’agenzia immobiliare Alfa, tuttavia, ritiene che con l’incontro di proposta e accettazione l’affare dovesse ritenersi concluso e conseguentemente maturato il proprio diritto alla provvigione.

A fronte del rigetto delle proprie richieste di pagamento avanzate ai clienti, li citava in giudizio per vederli condannati al versamento del compenso dovuto.


La faccenda è stata sottoposta al giudizio della Corte di Cassazione (sentenza 7781/2020).

Chi l’ha vinta?


Tizio e Caio, i due mancati contraenti. Essi non dovranno sborsare alcunchè all’agenzia.


Vediamo il perchè.

provvigione dovuta se al preliminare non segue il rogito?


La conclusione dell’affare che fa sorgere il diritto alla provvigione, come abbiamo visto, non risiede necessariamente nella stipula del rogito: basta un atto che vincoli le parti ad addivenire alla compravendita, come il preliminare, che è il contratto con cui due soggetti non  trasferiscono la proprietà di un bene ma si impegnano a stipulare in seguito un altro contratto, chiamato definitivo, che produrrà gli effetti traslativi.


Se una delle parti dovesse sottrarsi all’obbligo di rogitare, l’altra sarà abilitata a chiederne l’esecuzione in forma specifica, ossia una pronuncia del giudice volta a sostituire il consenso mancante, concludendo così l’affare.


E la semplice sottoscrizione di proposta e accettazione sono sufficienti a considerare concluso l’affare?


Ad avviso dell’agenzia immobiliare sì, richiamando i principi generali in materia negoziale in base ai quali il contratto è concluso con l’incontro e consacrazione di proposta ed accettazione.


Non è così per la Suprema Corte.


Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato.


Va invece escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare.

In buona sostanza, quando le parti sottoscrivono una semplice proposta ed accettazione, volta ad effettuare una ricognizione dell’accordo di massima, da perfezionarsi in seguito, danno il là al primo di una serie di passi che porterà alla conclusione del contratto, determinando un semplice accordo preparatorio, destinato a regolamentare il successivo svolgimento del procedimento formativo del programmato contratto definitivo.


Questo primo step, se poi non dovesse essere ulteriormente coltivato, perchè le parti non vogliono più procedere con l’affare, non genera alcun obbligo reciproco alla stipula, come avviene per il preliminare, e non abiliterà nessuna delle due a poter chiedere la pronuncia giudiziale che concluda il contratto saltato.


Si noti, una proposta irrevocabile poi accettata, secondo lo schema appena delineato, non è una fattispecie priva di significato giuridico, anzi.


Si potrebbe ascrivere all’ipotesi che potremmo chiamare “preliminare di preliminare“, che, pur essendo di per sè stessa valida ed efficace, non legittima all’azione volta a chiedere l’esecuzione in forma specifica del progetto negoziale abortito, ma abiliterà semmai ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione contenuta nell’accordo interlocutorio.


Obbligo di concludere il contratto no, risarcimento danni sì.

come si interpreta un testamento
E’ dovuta la provvigione all’agenzia immobiliare in caso di accettazione della proposta di acquisto senza che poi sia intervenuta la stipula del contratto preliminare?


Attenzione.
Sarà necessario, comunque, effettuare un attento esame del caso specifico e della reale intenzione dei contraenti.

Occorre infatti distinguere se, in concreto, le parti abbiano inteso, con la proposta e la successiva accettazione, avviare un procedimento negoziale multifase, articolato in un cd. preliminare di preliminare, costituito mediante l’accettazione della proposta, in un successivo contratto preliminare e poi in un rogito definitivo di compravendita, ovvero dar vita più semplicemente ad un “tradizionale” procedimento bifase, articolato in un accordo ad effetti preliminari e in un successivo contratto definitivo.

Per effettuare questa valutazione occorre tener conto delle modalità con cui si è estrinsecata in concreto la volontà negoziale delle parti, poichè anche la mera proposta di acquisto, se contenente tutti gli elementi essenziali del contratto definitivo progettato (parti, oggetto, corrispettivo e termini di adempimento), è idonea a costituire contratto preliminare nel momento in cui essa viene accettata dal promittente venditore e si costituisce tra le parti un vincolo giuridico suscettibile di esecuzione in forma specifica.


Nel nostro caso, la semplice fase interlocutoria, preparatoria alla conclusione dell’affare, era testimoniata dalla circostanza che le parti avevano formalmente esplicitato per iscritto l’auspicio di limare alcuni aspetti rispetto ai quali non avevano ancora trovato convergenza, con ciò dimostrando si trattasse di un semplice accordo di massima, il cui unico scopo era di fissare i punti fondamentali concordati nella prospettiva della sottoscrizione di un contratto preliminare in un momento successivo.

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provvigione agenzia solo preliminare?

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